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Autore: Deirbhile    10/04/2013    6 recensioni
Dalla storia:
“Magari è vero che le persone non sono mai come sembrano, Pirandello aveva perfettamente ragione. Ognuno di noi indossa una maschera. Solo che fino ad ora ero convinta che l'unica che usasse Roberta Della Corte fosse una maschera esfoliante per liberare i pori” constatò Chiara.
Chiara e Roberta sono due liceali qualunque: a Chiara piace leggere e studiare, stare in mezzo alla natura e portare i capelli rossi legati in una treccia. A Roberta piace ostentare la sua bellezza statuaria, mostrarsi in centro a fare shopping con il suo ragazzo e nascondere i propri pensieri in fondo all'alcol.
E allora perché, dopo quattro anni passati ad odiarsi, sentono lo strano desiderio di capirsi a vicenda?
Fra amiche iperprotettive, genitori sempre assenti, scontri diretti e qualche attacco di panico, Chiara e Roberta capiranno finalmente che c'è qualcuno disposto a cicatrizzare le loro ferite.
[STORIA CONCLUSA]
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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-Sicura che posso?- domandò per l’ennesima volta, passeggiando avanti e indietro per la sua stanzetta dalle pareti verde mela. Roberta le assicurò che aveva la casa libera quel pomeriggio e che un tè caldo assieme (Chiara era famosa per le sue strane abitudini, come bere tè caldo a fine maggio) sarebbe stato tutto ciò che desiderava.

-Ma la smetti di essere così melensa? Giuro che a volte non ti riconosco- ridacchiò la rossa, riprendendola bonariamente.

-Scusatemi, milady. Dimenticavo che siete volubile, un giorno volete che vi si corteggi alla vecchia maniera, l’altro siete acida come un limone- la prese in giro Roberta, imitando l’accento inglese.

-Sei un’idiota. Ci vediamo fra poco- le disse Chiara, mandandole un bacio attraverso il cellulare. Chiuse la chiamata e si sedette, passandosi una mano fra i capelli sciolti.

“E ora cosa dico a mamma?” si domandò, in preda al panico. Pensò alla scusa dei compiti scolastici, magari dicendole che aveva promesso a Roberta di darle una mano in fisica, siccome lei era una vera schiappa, l’avrebbe lasciata andare senza particolari problemi. Magari Margaret non ricordava nemmeno che era la figlia dell’avvocato Della Corte, che era agli occhi di tutti una cattiva compagnia. Scese al piano di sotto ed entrò di sottecchi in cucina, dove sua madre stava leggendo una rivista medica di fronte ad un caffè lungo.

-Mamma…- la chiamò, tirando fuori dal frigo il cartone del succo di frutta alla pesca e versandone un po’ in un bicchiere. Margaret alzò la testa e si tolse gli occhiali, rivolgendole un’occhiata interrogativa.

-Qualcosa che non va?-

-No, va… tutto bene. Solo oggi pomeriggio dovrei dare delle ripetizioni di fisica a…- quasi balbettò nel dirlo, ma strinse di più il bicchiere per non sembrare nervosa. Sarebbe andato tutto liscio, si disse. In fondo, lei e Roberta non potevano comportarsi da semplici compagne di classe? Deglutì prima di continuare, Margaret la guardava ancora stranita.

-A Roberta, Roberta Della Corte. Te la ricordi?- chiese, con gli occhi che fuggivano in tutte le direzioni tranne che verso il volto serio della madre.

-Ah, si. La figlia dell’avvocato. E come mai le dai ripetizioni?- chiese, con un tono fra il sorpreso e il sospettoso.

-Non è molto brava in fisica e mi ha chiesto una mano, così pensavo che sarei potuta andare oggi da lei- spiegò, piano. Margaret le rivolse un’altra occhiata sinceramente stupita. Poi posò la rivista sul tavolo e cominciò a sorseggiare con calma il suo caffè, senza dir nulla. Quando ebbe finito, si alzò e si diresse in silenzio verso il salotto, dicendo solo:

-Va bene, puoi andare. Solo limitati alle ripetizioni, sai che quella Roberta non mi piace proprio. Né lei né le sue amiche, non voglio che le frequenti, non c’è niente che le possa legare a te-

Il gelo con cui Margaret aveva parlato spaventò a tal punto Chiara che dovette limitarsi ad annuire con la testa, perché era sicura che se avesse aperto bocca per parlare ne sarebbe uscito solo un sospiro tremulo e soffocato. Deglutì di nuovo e si disse che non avrebbe potuto aspettarsi nient’altro, poi prese la giacca e uscì di casa sbattendo la porta, sentendosi improvvisamente triste e sola, come se l’idillio in cui aveva vissuto fino a quel momento fosse stato improvvisamente rovinato. Arrivò a casa di Roberta tutta trafelata, con gli occhi inspiegabilmente lucidi e le mani che tremavano nonostante il sole fosse lì a riscaldare tutta la strada. Suonò al campanello, con lo sguardo fisso sullo zerbino verde all’entrata. L’ultima volta che ci era venuta, alla sua festa, era troppo buio per scorgere nei dettagli la facciata della bella villa, coi balconi decorati da vasi di gerani colorati e il piccolo giardino curato pieno di piante rampicanti. Roberta le venne ad aprire subito, con il viso  e le mani sporche di colori acrilici.

-Buon pomeriggio- le sorrise, col naso macchiato di colore blu. Chiara si sentì meglio a quella vista e si lasciò scappare un sorrisetto divertito.

-Che stai combinando? Hai la faccia tutta sporca- le chiese, passandole una mano su una macchia gialla che aveva su una gota. Roberta alzò le spalle e indicò il piano di sopra, invitandola ad entrare.

-Sto dipingendo, posso farlo solo quando sono sola, i miei odiano avere la puzza di colori in casa- disse, dirigendosi su per le scale e trascinandosi dietro Chiara per mano. Aprì la porta della sua stanza e le fece segno di sedersi sul suo letto. Tutt’attorno a loro la camera di Roberta faceva sfoggio dei suoi colori vivaci,che erano sembrati così cupi e spenti la notte del loro primo bacio.

-E cos’è che dipingi?-

-Ho visto un albero stamattina, mentre arrivavo a scuola. Un albero di pesche, bellissimo. Ho deciso di dipingerlo- indicò la piccola tela con su già abbozzato il tronco e i rami di un bell’albero fiorito. Chiara  rimase a bocca aperta di fronte a quelle linee sottili e aggraziate, all’ombra che già si intravedeva sulle poche foglioline verdi e ai fili d’erba sottili che spuntavano dal bordo inferiore della tela. Si avvicinò di più a Roberta, poggiandole la testa sulla spalla e strofinando impercettibilmente i naso contro il suo collo.

-C’è qualcosa che non va?- chiese quella, girandosi a guardarla in volto. Chiara fissava un punto imprecisato del dipinto incompleto, assorta e in silenzio, con un’espressione lontana e assente. A quelle parole scosse la testa, come a dire che non c’era nulla che non andava.

-Andiamo, oramai ti conosco. Ti ho osservata in questi anni dal mio banco, sai? Quando sei triste o pensierosa tendi a fissarti su un punto e non sbattere le palpebre, come se andassi in catalessi- la richiamò Roberta, sfiorandole una guancia con le labbra. Chiara mugugnò contrariata.

-Mi sento solo un po’ strana- mormorò, cingendole i fianchi.

-Posso esserti d’aiuto?- le chiese gentilmente la riccia, abbandonando il pennello e cominciando ad accarezzare i capelli.

-A mia madre non piaci e credo che vederci sarà un problema, d’ ora in poi- ammise rassegnata, con un sospiro che finì dritto sul collo esposto di Roberta, che ridacchiò per il solletico. Poi tornò seria e annuì, sedendosi sul letto e trascinandosi dietro Chiara.

- E’ comprensibile, Chiara. Non ho una bella fama- disse abbattuta, intrecciando una mano con la sua. Chiara la strinse e si accoccolò su di lei.

-Ma tu sei migliore di quello che dicono, guardati- sospirò esasperata. Roberta alzò le spalle, guardando gli alberi del suo giardinetto che ondeggiavano ad un leggero vento dalla finestra.

-Questo lo sai tu e forse lo sa mio fratello. La fama che mi sono procurata è solo colpa mia, Chiara. Cosa non si fa per nascondersi…- disse amara e, quando la rossa la esortò a spiegarsi meglio, cominciò un altro dei suoi racconti circa la sua seconda identità, come la chiamava Chiara.

-Vanessa e le altre non mi avrebbero mai frequentato se non avessi avuto così tanti ragazzi, se non avessi avuto la sfacciataggine di ubriacarmi tutti i sabati da quando avevo quattordici anni, se non avessi cominciato a fumare. Guardami, è questo che sono, esattamente come mi vedi. Ma vallo a dire ad una quattordicenne che essere omosessuale, con la passione per il disegno e la testa perennemente fra le nuvole è la cosa più normale del mondo. Così ho fatto quello che mi riesce meglio nella vita, nascondermi. E Vanessa mi ha fornito la maschera perfetta, l’alibi incrollabile per proteggermi dal giudizio degli altri e da me stessa- raccontò, in tono tagliente e quasi arrabbiato. Chiara le strinse di più la mano, cercando di calmarla.

-Ho baciato dieci ragazzi, Chiara, prima di te. Li ho baciati nei posti più squallidi, da ubriaca, dopo aver fumato chissà cosa. Qualcuno ha anche cercato, senza successo, di portarmi al letto. Eppure non ho mai provato nulla, zero. Mi odiavo per questo, così ne cambiavo uno ogni mese. Con Massimo è durata di più solo perché ci facevamo comodo a vicenda, lui con la ragazza copertina sempre a lodarlo, io col mio cagnolino al guinzaglio. Non è certo colpa di tua madre sembro una… poco di buono-

-Ferma, non dirlo neanche per scherzo. Tu- disse Chiara, alzandole il mento e guardandola dritta negli occhi – sei la persona più sensibile e fragile e bizzarra che io abbia mai conosciuto, ma non per questo devi nasconderti. Io voglio te e ti voglio per come sei- continuò, tenendo le mani strette attorno alle sue guance, che quasi già tremavano per le lacrime che le avrebbero bagnate.

- Ho passato giorni, mesi a dannarmi per il fatto che sono particolare, certe notti non chiudevo occhio, piangevo solo fino a che non suonava la sveglia, sperando che qualcuno prima o poi si accorgesse che fingevo. I ragazzi mi trattavano male, mi davano della troietta, mi usavano come se fossi un oggetto e Vanessa mi prendeva in giro, continuava a dirmi che ero solo una sua brutta copia. Io mi ubriacavo solo per dimenticarmi di tutto- quasi singhiozzò Roberta, accucciandosi fra le braccia di Chiara.

-Ora è tutto finito, ci sono io e non devi preoccuparti più di niente- affermò sicura, accarezzandole la testa. Curioso come i ruoli si fossero subitaneamente invertiti, ora era Roberta a cercare conforto e quell’alternarsi, quel rincorrersi in cerca di una tregua l’una negli occhi dell’altra, era la cosa che più affascinava Chiara.

-Ti ho aspettata per così tanto tempo- pianse finalmente la riccia, aggrappandosi alla sua camicetta con tutte le sue forze. Chiara si distese completamente sul letto e la fece sistemare fra le sue braccia.

-Possiamo restare così per un po’? Per favore- mormorò Roberta, nascondendo il viso sul suo petto.

-Si, per un po’- la rassicurò la rossa, stringendola più forte che poteva. Dopo quelle che parvero ore, Roberta lasciò un bacio al centro del suo sterno e diede segno di essersi calmata, per poi alzare la testa e rivolgerle un sorriso più sereno.

-Io sono qui per te e anche se mia madre non vorrà, troveremo il modo di vederci- le assicurò.

-Ora però torna a dipingere, non voglio più vederti piangere, intesi?- le asciugò le lacrime e la esortò a continuare col suo lavoro. In realtà né Roberta riuscì a continuare indisturbata il quadro, né Chiara poté impedirsi di tanto in tanto di abbracciarla e rubarle un pennello da sotto al naso o macchiarle la guancia col verde delle foglie.

-Sei terribile! Questo è l’ultimo tubetto di verde smeraldo!- si lamentò fra le risate Roberta, cercando di pulirsi come poteva la guancia.

-Il verde ti sta bene- affermò seria Chiara, annuendo di fronte all’ennesima macchia sulla sua fronte come se avesse appena compiuto un capolavoro.

Roberta la mandò a quel paese cercando di sembrare seria, ma si lasciò sfuggire una risatina di troppo, così fu costretta a gettare di peso Chiara sul letto per rubarle il tubetto in questione, col quale stava combinando più guai che altro.

-Mmh, aggressiva. Mi piace- mormorò in tono volutamente provocante, gettando i capelli rossi all’indietro e assumendo un’espressione fintamente maliziosa, mordendosi un labbro. Vide Roberta arrossire sulle orecchie e abbassare lo sguardo su un paio di pennelli sparsi sul pavimento.

- Ma non mi dire, l’avvenente e affascinante Roberta Della Corte che abbassa lo sguardo di fronte ad un misero e goffo tentativo di seduzione- ridacchiò leggera Chiara, lasciandosi cadere all’indietro.

-Guarda che ci sai fare sul serio- si giustificò la riccia, tornando a dipingere. La rossa rise ancora più forte, quasi lusingata.

-Dici sul serio?-

-Si, dico sul serio. Per questo Flavio ti guarda il sedere ogni volta che ti giri e, a proposito, questo mi fa proprio incazzare- borbottò, dando una pennellata lieve per delineare una nuvola.

-Gelosa, eh?-

-La mia rossa non si tocca- ringhiò quasi, mescolando il grigio e l’azzurro per ottenere la tonalità giusta per il cielo. Chiara le si avvicinò, senza farsi sentire, e le arpionò i fianchi in una stretta possessiva, sorridendo quando sentì che Roberta stava trattenendo il respiro. Le soffiò sul collo e, sinuosa, le arrivò all’orecchio.

-Tanto lo sai che nessun ragazzo potrà essere alla tua altezza- scandì bene le parole, con voce roca. La riccia si girò e la guardò fissa, con quei suoi occhi cerulei che inspiegabilmente si erano fatti più scuri. A Chiara sembrò che volesse dirle qualcosa, ma poi si limitò a baciarla sulle labbra, prima piano, poi sempre più affannata, infilando le dita nei passanti dei suoi jeans. Sentì i suoi denti morderle per un attimo il labbro superiore e provò una stretta allo stomaco più piacevole del solito, col cuore che pompava sangue sempre più convulsamente. Si avvolse i suoi ricci neri attorno alle dita e prese a giocarci, sapendo quando a Roberta piacesse essere accarezzata sui capelli. Si spostarono quasi in sincrono verso il letto, cadendoci di nuovo sopra a peso morto e attorcigliando le gambe scoperte dai pantaloncini estivi. Fu Roberta la prima a staccarsi, per poi lasciare piccoli baci su tutto il volto di Chiara.

-Non ti conviene provocarmi, elfo- la avvertì, ridendo.

-Ma sta’ zitta, se quando ti ho preso i fianchi hai smesso persino di respirare- la punzecchiò Chiara.

-Mi mandi al manicomio, giuro- sospirò Roberta, facendosi aria con una mano sulle guance accaldate. La rossa le schioccò ancora un bacio, giusto per il gusto di toglierle definitivamente il fiato. Adorava vederla così presa e si vergognava non poco nel constatare che anche lei non era rimasta indifferente a quelle provocazioni.

-Forse è meglio se comincio a scaldare l’acqua per il tè- mormorò concitata Roberta fra un bacio e l’altro, facendo su e giù con la mano sul collo di Chiara.

-Si, okay, basta, la smetto- disse trafelata quella, staccandosi e dando un’ultima carezza alle gote arrossate dell’altra.

Roberta corse in fretta giù in cucina, nel timore che se si fosse voltata di nuovo verso il letto non sarebbe più riuscita a staccarsene, lasciando Chiara a fissare il soffitto bianco con un sorriso ebete in volto. Il suo stomaco si contraeva ogni minuto sempre più velocemente, lasciandola con la curiosa sensazione di quando si cade nel vuoto, e si sentiva così leggera, le mani e i piedi le formicolavano dall’emozione che la sua testa non fu capace di formulare nemmeno un pensiero di senso compiuto. Meglio persino delle poesie di Keats, riuscì a constatare in un attimo di lucidità. Roberta tornò dopo dieci minuti con due tazze fumanti, accomodandosi ai piedi del letto, con la testa poggiata sulle sue ginocchia, e porgendogliene una con cortesia. Chiara prese a bere, dando un piccolo sorso, constatando sorpresa che si trattava proprio di tè alla pesca gialla con un goccio di limone, come piaceva a lei.

-Come fai a saperlo?- domandò, nascondendo un sorriso dietro la tazza. Roberta diede un altro sorso, prendendosi tempo prima di rispondere.

-L’avrai detto mille volte, in classe. Anche se ti piace il tè alla vaniglia, so che preferisci quello alla pesca- disse lentamente, come se fosse ovvio.

-Caspita, dovevo piacerti proprio molto. Conosci a memoria ogni parola che sia mai uscita dalla mia bocca, in classe- ironizzò l’altra, non senza sentirsi profondamente lusingata. Adorava sentire Roberta che parlava di lei, sia perché in fondo era parecchio narcisista, sia perché rimaneva ogni volta estasiata dalla luce che emanavano i suoi occhi quando le ricordava una sua abitudine o affermava di conoscere un determinato dettaglio della sua vita.

-Oh, si. Proprio molto- confermò la riccia, puntando il mento sul suo ginocchio sinistro.

-Ti va di raccontarmelo? Non è che io sia egocentrica o cosa…- arrossì Chiara, ma poi continuò, presa dalla curiosità. -… ma voglio sapere davvero cos’è che è successo, quando è successo. Quand’è che hai capito di… me-

Roberta sospirò, finendo di bere il tè caldo e prendendo a giocare distrattamente con i bordi dei pantaloncini di jeans che arrivavano appena sopra il ginocchio di Chiara. Passò con i polpastrelli sulle due cicatrici che le solcavano quello sinistro, due tagli rosei e leggermente rigonfi che lo attraversavano sul lato, prodotto di una gita in collina finita male. Le esaminò per un’altra manciata di secondi, con quello sguardo riverente che Chiara già amava vedere nei suoi occhi.

-Te l’ho detto, non so cos’è che mi passò per la testa. Ma quando tornammo dalle vacanze estive e cominciò il secondo anno, non so… mi rapisti totalmente- raccontò assorta, ancora intenta a fissare le cicatrici. Chiara ridacchiò morbidamente, passandole una mano fra i capelli per riportarla alla realtà.

-Si, lo so. Ma dimmi qualcos’altro-

-Eri così bella… e lo sei ancora. Con questi occhi così scuri rispetto ai miei, eppure sempre così limpidi. Non mi ero mai lasciata andare così tanto. La vita mi ha sempre deluso, sai? Come quella volta che mi presi una cotta per la mia insegnante di francese, alle scuole medie. Strano a dirsi, ma ero la migliore in classe nelle sue ore. Le feci un ritratto, forse una delle prime volte che io abbia mai disegnato. Poi la mia compagna di banco lo trovò, nascosto in fondo al mio zaino, spiegazzato e rovinato da un mio improvviso attacco di rabbia. Incredibile quanta rabbia ci sia in chi non si accetta, anche se ha tredici anni. Non ne parlò mai chiaramente con me, ma sapevo dal suo sguardo disgustato e freddo che sapeva. Non volevo fare la stessa fine anche al liceo- spiegò, guardandola fissa negli occhi. Chiara non seppe cosa dire, così continuò ad accarezzarle i capelli.

- Non eri solo bella, eri brillante. Così intelligente, così determinata. Cocciuta, forse anche questo. Coraggiosa, indifferente agli insulti. Ma poi c’erano i momenti in cui crollavi, ti chiudevi in bagno nelle ore buche e restavi lì a singhiozzare, ti sentivo. E io avrei voluto solo avere un po’ del tuo coraggio per entrare e prenderti fra le braccia, dirti che andava tutto bene come tu ora fai con me. Credo sia questo il bello, abbiamo le stesse cicatrici- sospirò, passando per un’ultima volta un dito sui suoi tagli. Chiara le prese il mento e le fece alzare il viso, per poterla guardare in tutta la sua fragilità, in quegli occhi da cervo ferito che solo a lei mostrava.

-Sei davvero piena di dolore come me. Di dolore e di amore-disse, sicura. Roberta le rivolse un sorriso sghembo.

-Quando sono con te il dolore non c’è più- 

Fuori gli uccellini cinguettavano e il sole dorava le foglie delle siepi del giardino di una patina luminescente, di tanto in tanto il gatto della vicina miagolava acutamente e tutt’attorno a loro aleggiava l’odore pungente dei colori acrilici. Chiara non disse nulla, commossa com’era. Si limitò a sorriderle di rimando e trascinarla con sé a stendersi, stringendo le braccia attorno ai suoi fianchi e affondando il volto nei suoi ricci scuri che, come quella notte a Vienna, avevano sempre l’inconfondibile aroma di acqua marina. Giocò ancora un po’ con i suoi capelli, carezzo lievemente le sue lentiggini chiare coperte dal fondotinta e si mise a contare le pagliuzze grigie di cui i suoi occhi erano disseminati attorno all’iride finché non si addormentarono, placidamente cullate dal vento di maggio, che dava loro più sicurezza e serenità di quanta non ne avessero mai ricevuta fino ad allora.

 

  
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