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Autore: Nanek    11/04/2013    4 recensioni
Questa è la storia d’amore di James e Charlie, una storia d’amore come tante, forse, ma unica e perfetta per loro due; una storia d’amore che è stata fermata dalla guerra, la guerra del Vietnam.
Ma in questa storia d’amore, c’è anche un altro personaggio: Billy White, soldato semplice, al primo anno di guerra, amico di James.
Ma perché ci deve essere un altro ragazzo in una storia d’amore? Beh, Billy sarà colui che li salverà entrambi.
Tratto dal primo capitolo:
"Caro James,
mi manchi, e sono ormai ripetitiva, te lo scrivo in ogni lettera che mi manchi, ma non credo mi stancherò mai di farlo; amore mio, aspetto la tua risposta ogni giorno, una risposta che non arriva mai, e che mi sta spaventando"
“Cara Charlie,
mi scuso per le mancate risposte, ma qui si fa la guerra, il tempo scarseggia, e i miei soldati hanno bisogno di me.”
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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Capitolo 6

A little bit longer, and I’ll be fine





9 agosto 1973




Dall’ultima lettera inviata a Charlie, passarono più di undici mesi.

Quasi un anno, dall’ultima volta che Billy vide arrivare Paul, a consegnare la posta.
L’ultima volta che il postino era arrivato, era Settembre del 1972.
Da quel giorno, Billy non l’aveva più visto.
In quei mesi, Billy White ebbe molte cose da fare, e quasi ringraziò il cielo di non doversi preoccupare di Charlie: aveva una guerra da continuare, aveva la sua vita da salvare, ma soprattutto, aveva James da trovare.

Aveva cominciato le sue ricerche, tenendo all’oscuro i compagni, o il suo stesso Generale, scappava di nascosto, si assentava, e cominciava a cercare in lungo e in largo.
Usciva di notte, quando in realtà gli toccava il turno di guardia, usciva e se ne fregava di tutti: rischiava di mettere in pericolo gli altri, di non riuscire ad avvisarli del pericolo imminente, ma quello non lo fermò, e lui continuò per la sua strada, sfidando il destino, sfidando la sorte, ogni giorno, ogni notte.
Durante le ispezioni del territorio, usava la solita scusa per allontanarsi: -vado io a controllare di là, non è necessario far muovere troppe persone, se non torno entro tre ore, date l’allarme- quella era la sua frase di routine, e dopo un cenno del capo da parte di un suo superiore, partiva nella sua ricerca clandestina.

Cercava ovunque, l’arma ben salda in caso di strani brusii, gli occhi ben aperti, la mente concentrata su un unico pensiero: James.
Lo cercava tra gli uomini di qualche villaggio che incrociava, lo cercava vicino alle fonti d’acqua, lo cercava tra i cespugli, ma di James non c’era traccia.
Trovava soldati morti, senza una tomba, abbandonati per terra, e quando notava che le loro divise portavano il suo stesso simbolo, sbiancava: pregava il cielo che non fosse lui, pregava ogni volta che si avvicinava a un cadavere, gli guardava il volto, o gli controllava la caviglia, ma di James non c’era traccia, neanche tra quei corpi.
Tornava alla base più sconsolato, ma anche sollevato: non trovare il corpo senza vita di James era sempre da considerare una fortuna.

Quel pomeriggio di Agosto, se  ne stava disteso sul letto.

Sarebbe partito, non appena l’altra squadra fosse tornata, doveva aspettare solo una mezz’oretta per poi ritornare a cercare James.
La porta della sua camerata si spalancò di colpo.
-White!!!- urlò un ragazzo dai capelli rossi: la solita borsa enorme, piena di posta, la solita divisa, il solito viso magro, il solito Paul.
Billy si alzò in piedi, corse ad abbracciarlo, sorpreso di vederlo, dopo quasi un anno.

-Paul! Mio Dio quanto mi sei mancato! Ma sei ancora vivo o questo sei tu in versione fantasma? Oddio Paul da quanto! Ma sei ancora più magro?- esclamò Billy, mentre continuava a stringerlo tra le sue braccia.
-taci soldato, tu non hai idea di cosa ho passato, ho rischiato di morire circa venti volte al secondo- affermò Paul, ricambiando quell’abbraccio con più decisione.

Billy lo guardò negli occhi, con sguardo interrogativo, e Paul, cominciò a raccontare, di getto, quello che era successo in quegli ultimi mesi.
Parlava di bombe, di aerei caduti, di lettere bruciate, di assalti, di massacri, di morti, parlava della sua paura, parlava del pericolo sempre pronto a tormentare gli animi, anche durante la notte, senza tregua, senza un attimo di respiro.

-sembra che i nostri nemici siano alieni. Cazzo ma loro non dormono mai?!- sbottò Paul, con gli occhi spalancati, le iridi che sembravano tremare, le mani che non riuscivano a stare ferme.

Billy lo lasciava parlare, Paul non si fermava un secondo, quell’impulso, quella voglia di togliersi quel peso, quel racconto, dal petto era troppo forte.
Le lacrime poi, presero il sopravvento.
Paul cominciò a piangere, un pianto isterico, un pianto strano, come se fosse solo l’ennesimo da contare, un pianto che gli faceva sobbalzare con troppa violenza il petto, che sembrava indebolirlo sempre di più.
Poi, la confessione.

-è morto!- quasi urlò, soffocato da un singhiozzo, che lo fece accasciare al pavimento.

Billy si mise davanti a lui, confuso, disorientato; lo riprese in un abbraccio, facendogli appoggiare la testa alla sua spalla, e accarezzandogliela con il palmo della mano.
-non piangere Paul, ti prego- gli sussurrava, mentre l’amico continuava a emettere strani suoni, e a bisbigliare parole incomprensibili.
-Andrew.. il mio Andrew..- singhiozzava Paul, quando si ritrovò senza più fiato e senza più forze.

Solo in quel momento Billy capì.
Andrew Martin, 26 anni, amico d’infanzia di Paul, o forse: qualcosa di più di una semplice amicizia.
Capelli corvini, occhi color caramello, lentiggini sulle gote, lavorava con Paul, era anche lui un postino della guerra.

-lo hanno.. lo hanno torturato prima di farlo morire- continuò a raccontare Paul –lo hanno legato, lo hanno ferito, lo hanno fatto sotto i miei occhi- un singhiozzo lo bloccò, nuove lacrime avevano rigato le sue guance.
-ma chi sono queste persone? Come possono essere uomini coloro che torturano un ragazzo come Andrew?!- urlò, stringendo la maglietta di Billy.
Il soldato rimaneva in silenzio.
-il mio Andrew, il mio Andrew, dovevo esserci io al suo posto!- continuava Paul –io gli volevo bene, lui non meritava, lui non meritava di morire!- concluse infine, quando un colpo di tosse lo bloccò definitivamente.
Billy lo strinse ancora più a sé, dopo avergli offerto un bicchiere d’acqua, che Paul sorseggiò appena e a fatica.

-mi dispiace tanto, Paul, davvero- gli sussurrò, guardandolo, mentre si puliva le ultime lacrime con il palmo della mano e tirava su con il naso.
-so quanto ci tenevi a lui, so quanto eravate amici, non so cosa dire, davvero- continuava il giovane, senza parole di fronte al suo compagno, stravolto, sotto shock, isterico, anche lui vittima indiretta di quella guerra; vittima indiretta, perché Paul non era morto con il corpo, non era morto per colpa di una pallottola, o di una bomba, Paul era morto dentro, lacerato dalla sofferenza, lacerato dal ricordo di quell’episodio, dove un suo caro amico aveva perso la vita in modo atroce.
Paul si alzò in piedi, e allontanò Billy: odiava essere considerato un debole, Paul era conosciuto da tutti come una persona fredda, senza emozioni, e farsi trovare in quelle condizioni non era da lui, lui era l’uomo senza sentimenti.

-soldato, non una parola su quel che ti ho detto- annunciò infatti.

Billy si limitò ad annuire, e dentro la sua testa, si chiese da quanto tempo Paul aspettasse quel momento, il momento in cui quel peso si sarebbe tolto, il momento in cui qualcuno l’avrebbe ascoltato, l’avrebbe consolato, e gli avrebbe detto quelle parole di cui si ha bisogno di sentire.
-ho due sorprese per te, Billy- continuò Paul, frugando nella sua borsa.
Tirò fuori due buste blu: due lettere di Charlie.

-una è la risposta alla tua, quella di Settembre- e gliela porse, -questa invece, è una lettera vecchia, molto vecchia, risale ancora alla prima missione del Caporale, parliamo del 1961, James era ancora un ragazzino- concluse Paul.
-e perché arriva qui? E soprattutto: perché ora?!- chiese Billy.
Paul gli mostrò il retro della busta, qualcosa scritto in penna.
-la nostra Charlie ha pensato di spedirla ora, forse nel 1961 non ha avuto coraggio- annunciò Paul, mentre Billy leggeva:

“te la spedisco ora, perché credo tu debba sapere che anche all’ora ti pensavo, nonostante avessi paura, e avessi perso il coraggio per imbucarla, spero apprezzerai i pensieri di quando ero "piccola". Charlie.”

-vuoi lasciarle una lettera minuscola per farle almeno capire che sei vivo, “James”?- chiese Paul, indicando la macchina da scrivere.
-magari le lascio due parole, e le dico che abbiamo problemi e missioni; non ho più tempo Paul, James non si trova da nessuna parte- annunciò il soldato, avvicinandosi alla macchina da scrivere.
 
 
 
Era passata un’ora dal suo saluto a Paul, e da un’ora, Billy era fuori, con le lettere di Charlie con sé, cercava James, sperando che quelle parole riuscissero a portargli un po’ di fortuna.
Si avvicinò al fiume, aveva sete.
Immerse la mano e bevve, per poi notare un’immagine riflessa: l’albero dietro di lui.
Si voltò a fissarlo, aveva poche foglie, i rami grossi, vuoti.
Uno però, catturò la sua attenzione.

C’era qualcosa su quel ramo, qualcosa che non vedeva bene.
Si avvicinò al tronco, per vedere meglio, l’ombra non era troppo lontana, riusciva a vederla, riusciva a riconoscere il profilo di una persona.
Si arrampicò, appena scorse una divisa da militare.
Si arrampicò piano, facendo attenzione, e non appena si trovò dietro quell’ombra, spalancò gli occhi.
I capelli biondi, rasati, il corpo muscoloso, il viso serio, concentrato: no, non lo avrebbe confuso con nessun altro al mondo.

-James?!- urlò il giovane Billy, facendo voltare quell’uomo che aveva tanto cercato.
Il viso dell’uomo misterioso si girò verso il soldato: gli occhi azzurri di James erano spalancati, increduli di vederlo lì.
Billy non fece in tempo ad aggiungere altro, il ramo al quale si teneva con la mano cedette, troppo esile per reggerlo, e Billy cadde al suolo, perdendo i sensi.
 
 

Billy aprì gli occhi.
Sopra di lui c’era un muro grigio.
Sentì puzza di muffa, di posto chiuso.
Si mosse di scatto.
Sentì qualcosa al suo piede destro.
Come se fosse legato.
Una catena, che lo teneva legato al muro.
Si guardò attorno.
Era su un letto.
In quel posto c’era solo una finestra.
Una porta troppo lontana per raggiungerla, ma che lasciava entrare una luce fioca.
Era solo.
Incatenato.

-dove.. dove.. dove cazzo sono?!- urlò, preso dal panico.

Sentì mancargli l’aria, come preso da un attacco di claustrofobia.
Cominciò a dimenarsi, cercò di liberarsi da quella catena, non capiva.
-ehy! Ehy! Cazzo! Dove cazzo sono? Ehy! C’è nessuno?! Come cazzo sono finito qui?!- continuava a urlare, senza ricevere risposta.
Sentì qualcuno.
Una voce strana, proveniente dalla finestra, che gli diceva qualcosa, qualcosa che lui non capiva: non parlava la sua lingua.
E se qualcuno non parlava la sua lingua, non era di certo un alleato.

Oh merda. Sono stato preso. Pensava, mentre si portava una mano alla bocca: non poteva urlare, il tipo fuori dalla finestra l’aveva minacciato con il suo tono di voce, era sufficiente a farlo stare zitto.

Billy era stato preso.
Billy era stato catturato.
Fatto prigioniero.
L’ansia si fece più viva.
Le mani tremavano, e continuavano a tenere la bocca serrata, per evitare che scoppiasse a urlare dal panico, per evitare che cominciasse a piangere e i suoi singhiozzi fossero troppo rumorosi.

Nei suoi pensieri, vedeva la fine dei suoi giorni, non era più libero, non era più destinato a vedere la luce del sole, se non attraverso quella miseria finestra; i suoi giorni potevano essere contati sulle dita delle mani, o forse, solo sulle dita di una, o forse in nessuna; prigioniero, non più libero, un morto che respirava ancora per poco.
Continuava a trattenere un singhiozzo, mentre tutta la sua vita gli passava davanti come in un film: la fine era vicina, un prigioniero non poteva uscire vivo da quella situazione, se non da morto, dopo continue torture, e quello lui lo sapeva bene, e per la prima volta, cominciò a tremare di paura.
Morire sul campo, a causa di una bomba, forse era la cosa più facile e meno dolorosa, era una morte da uomo coraggioso, caduto sul campo; la morte che gli spettava era diversa, sarebbe stata il suo incubo peggiore, sarebbe stata lenta e dolorosa, sarebbe stata orribile.

Tremava, i denti battevano.

Un pensiero poi lo invase: Charlie.
Come avrebbe fatto senza di lui? Senza le sue lettere?
Come avrebbe fatto a rassicurarla? Come avrebbe fatto a farla sentire felice?
Come avrebbe fatto a dirle che James..

JAMES.

Ed ecco un nuovo pensiero farsi largo nella sua mente: James, vivo, su quell’albero.
Se l’era sognato?
Forse una visione?
No, impossibile. Si ripeteva.

Ricordava con fin troppa precisione l’intera scena, se la ricordava fin troppo bene per esser stata solo un’illusione.
L’albero riflesso sull’acqua, l’ombra di un uomo su un albero, un uomo dai capelli biondi, il corpo muscoloso, le spalle larghe, gli occhi di ghiaccio che lo fissavano con aria sorpresa quando lui l’aveva chiamato per nome.
Non poteva essersi sbagliato: James era su quell’albero, James era vivo, ne era certo.

L’unica cosa che lo confondeva, era la divisa militare: perché era diversa da quelle che usava lui? Perché sulla sua divisa mancava lo stemma americano? Perché su quella divisa non aveva almeno intravisto tutte le sue medaglie?
Qualcosa non quadrava, i conti non tornavano, quella divisa era strana, era diversa.
Non era una divisa americana. Concluse Billy, per poi spalancare gli occhi al pensiero.

No, non è possibile, quella non può essere la divisa del nemico!!. Esclamò nei suoi pensieri, sussultando appena.
Che James fosse passato con il nemico?
James Phillips? Caporale devoto alla sua patria? L’avrebbe davvero pugnalata alle spalle per schierarsi con coloro che avevano massacrato i suoi uomini? Uccidendoli come barbari? Torturandoli fino all’estremo, facendo perdere loro la dignità?
James aveva davvero fatto una cosa simile?
Billy si distese sul letto.

No, James non ci tradirebbe mai. Concluse, pensando a che fine potesse aver fatto.
E se l’avessi fatto scoprire? Continuava a interrogarsi.

Dov’era andato il caporale?
Billy lo aveva davvero messo nei guai?
Lo aveva fatto catturare?
Forse James era già morto a causa sua?
O James era riuscito a scappare?

Troppi interrogativi invadevano la mente del giovane White, troppi tormenti gli fecero aumentare il dolore alla testa.
Si fece il segno della croce, e cominciò a pregare, come faceva spesso, quando la sua fede tendeva ad oscillare.
L’ultima frase della sua preghiera, era rivolta a James.
So che ti sei nascosto e sei riuscito a scappare, ti prego James, vivi ancora, e se ti avanza tempo, Salvami.


 

Note di Nanek:
poco da dire: questo capitolo fa schifo. È triste, pieno di cose tristi (Andrew :( ), pieno di scene da infarto.. e basta, non mi dilungo troppo.
In questo capitolo notiamo la personalità di Paul, volevo un po’ trattarla, Paul mi sta troppo a cuore.. volevo che si sciogliesse un po’, lo volevo tenero anche lui.. spero vi piaccia =)
Il nostro Billy è stato catturato, il nostro James è stato trovato e perso di nuovo di vista.
Che dite? Billy è destinato a morire in quella cella? Chi lo sa… lo scopriremo nel prossimo capitolo dai =) grazie alle mie due lettrici preferite, la Tomma e la Malika, che mi stressano per scrivere questa storia, e che spero apprezzeranno fino alla fine <3 grazie anche a chi legge e sta in silenzio ;)
A presto!
Nanek

  
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