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Autore: redeagle86    11/04/2013    1 recensioni
(Ipotetico seguito di TMI)
Dal prologo:
"Era la fine: aveva perso, i suoi sogni di gloria erano crollati come castelli di carte e lui moriva con la faccia nel fango. Un finale epico, senza ombra di dubbio.
Clary e i suoi amichetti avrebbero avuto il loro “per sempre felici e contenti” e tutti si sarebbero presto dimenticati della sua esistenza. Non c'era nessun segno del suo passaggio, solo una sconfitta.
-Ave atque vale- sussurrò.
Non è ancora giunta la tua ora, Jonathan Christopher Morgenstern.
"
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Alicante dalle torri di vetro

William guardava incuriosito tutto ciò che lo circondava: al contrario dei due amici, lui non si recava spesso ad Idris e ai suoi occhi erano tutte cose nuove. Il suo parabatai e Catherine erano nati e cresciuti lì e le loro famiglie vivevano ancora ad Alicante, mentre l'ultima volta che il giovane era stato lì risaliva a dieci anni prima, alla festa dell'anniversario dove aveva conosciuto Ron; da allora non era più tornato nella terra dei Cacciatori.
Non puoi dire di aver visto una città finché non hai visto Alicante dalle torri di vetro.
Sua madre lo aveva scritto a margine di un disegno che rappresentava la città, appeso nella biblioteca dell'Istituto. Ed era vero: quel paesaggio non somigliava a niente che avesse visto prima.
Lui poteva ammirare la città di New York da prospettive che i mondani non avrebbero mai scoperto, come il lato di Central Park riservato agli Shadowhunters o attraverso i vetri magici della Corte Seelie.
Ma non era nulla in confronto ad Alicante.
Pareva uscita da un'altra epoca o dalle pagine di uno dei libri di favole che gli leggevano da bambino: non si sarebbe stupito se gli fosse passato davanti un principe a cavallo di un unicorno o se un drago gli fosse volato sopra la testa. Lì sembrava che tutto potesse accadere.
Soprattutto l'impossibile.
Si diceva che per ogni Cacciatore, Alicante fosse un luogo familiare, una parte ritrovata di sé, la tessera mancante di un puzzle; Alicante era casa, sia per chi viveva lì, sia per chi vi entrava per la prima volta.
-Will, non siamo qui per fare i turisti- lo rimproverò Cat. -È meglio se ci sbrighiamo prima che qualcuno ci noti.
Il ragazzo annuì a malincuore, rimandando l'esplorazione e seguendo l'amica che si muoveva sicura tra strade che a lui non dicevano nulla: New York era molto più semplice, forse perché ne conosceva ogni centimetro.
-Da questa parte.
Dopo la Guerra Morale e la firma degli Accordi, il Conclave non controllava più strettamente gli ingressi magici, ma le torri antidemoni impedivano comunque di aprire varchi all'interno della città. I tre ragazzi erano arrivati attraverso un Portale nei pressi di Alicante, poi erano entrati a passo svelto facendo attenzione ad evitare le strade principali ed abbassando velocemente le teste ogni volta che incrociavano qualcuno.
-Non ci faranno mai entrare nella Sala degli Accordi, siamo minorenni- disse Ronald che, con le sue lunghe gambe, faticava a tenere l'andatura della compagna.
-E se tramortissimo un Cacciatore e gli rubassimo la tonaca?
-Will, lo so che è difficile, ma prova a ragionare: ci scoprirebbero nel giro di un secondo.
-Zitti, sta arrivando qualcuno.
I due si chiusero immediatamente nel silenzio, passando accanto a una ragazza vestita di bianco che camminava nella direzione opposta; William si girò a guardarla e sussultò nello scoprire che anche lei lo fissava con un misto di stupore e confusione. La stessa espressione che era certo di avere anche lui sul viso.
-William- lo chiamò Catherine, afferrandogli una mano e trascinandoselo dietro. -Che ti è preso? Non hai mai visto una ragazza?
-Non graziose come lei- ribatté, anche se non era quello il motivo per cui si era voltato. -Conosco solo maschiacci come te.
-Se vuoi andare a chiederle di sposarti, fa pure. Io e Ron andiamo a scoprire cosa trama il Conclave e poi ce ne torniamo a casa.
Il giovane assunse un'aria pensierosa, come se stesse valutando veramente l'affermazione della coetanea.
-No, sono troppo giovane per sposarmi e troppo vecchio per essere abbandonato come una infante sulla porta di una chiesa- affermò. -Ma se non ci facciamo venire un'idea su come entrare, possiamo anche rinunciare.
-Io ho appena avuto un'idea- intervenne il suo parabatai.

La Sala degli Accordi era cambiata dopo la Guerra Mortale: conservava ancora le sue pareti bianche e oro, ma era stata adattata per essere il luogo ufficiale delle riunioni del Conclave.
Al centro, dove un tempo c'era stata una fontana con una sirena, era stato costruito un piccolo palco circolare leggermente rialzato, dove prendeva posto il Console; tutt'intorno c'erano file di panche concentriche interrotte solo da corridoi d'accesso che le dividevano in quattro spicchi.
Ma era ancora il salone usato per le feste: in quelle occasioni, il pavimento veniva abbassato e, attraverso una serie di incantesimi attuati dagli stregoni, appariva un secondo pavimento composto di piccole piastrelle disposte a formare il simbolo del Coclave disegnato da Clary dopo la firma degli Accordi. Lo stesso motivo era ripreso nella disposizione delle panche e nel grande vetro che si trovava sul soffitto.
Jace venne raggiunto dai genitori di Catherine e da quelli di Ron e si trattenne a parlare con loro mente Magnus ed Alec si accomodavano.
-È successo qualcosa con quella ragazza?
-Niente di grave, Alec. Sul serio.
-Non voglio impicciarmi dei tuoi affari, ma sembravi un po' scosso.
-Ne parliamo quando torniamo a casa, promesso.
Il Cacciatore sospirò, sentendosi trattato come un bambino che faceva i capricci davanti a un giocattolo: era solo preoccupato, possibile che non lo capisse?
-Alec- lo chiamò, posandogli una mano sulla gamba. -Non è davvero nulla, non devi preoccuparti. E no, non riguarda le elezioni. Diciamo che è una cosa... personale.
-Personale?
-Sì, ma non nel senso che intendi tu.
Gli alti tacchi del Console risuonarono nella grande sala, anticipando il suo arrivo: tutti si accomodarono nelle panche mentre Isabelle Lightwood faceva il suo ingresso. Percorse con passo deciso il corridoio, collocandosi al suo posto e rivolgendo un rapido sguardo ai fratelli prima di iniziare.
-Benvenuti a tutti. Ci troviamo qui oggi per discutere una questione molto seria che riguarda tutti noi: ogni notte, mondani di tutto il mondo vengono uccisi da forze oscure che non riusciamo ad identificare e comprendere- spiegò la donna. -I Cacciatori pattugliano costantemente le zone assegnate loro, eppure non c'è modo di mettere fine a questa strage.
-Forse semplicemente non fate bene il vostro lavoro- intervenne una fata con un sorriso mellifluo.
-O magari è il Popolo Fatato a nascondere qualcosa- replicò Raphael dalla parte opposta. -Sappiamo tutti che siete sempre pronti a cambiare bandiera a seconda di come tira il vento.
-Perché tu sei un esempio di fedeltà e fiducia, vero succhiasangue?- continuò il rappresentante dei lupi mannari.
Isabelle strinse una mano a pugno, esasperata: non era questo che si era aspettata quando aveva accettato la carica di Console. Da ragazza aveva infranto spesso le leggi assurde del Conclave, aveva subito la sua opprimente ed antiquata presenza; da Console sperava di poter cambiare le cose, di rinnovare preconcetti superati ed essere vicina ai problemi reali. Ma non era andata così.
Prima di organizzare quella riunione, ad esempio, aveva dovuto aspettare che i cadaveri raggiungessero un numero inimmaginabile: solo a quel punto anche gli altri si erano convinti che fosse il caso di intervenire.
-Basta!- urlò. -Nessuno è qui per lanciare accuse! Vi abbiamo convocati perché serve l'aiuto di tutti per risolvere quest'emergenza: non ho bisogno di ricordarvi cosa accadrebbe se i mondani scoprissero il nostro mondo, no?- proseguì, respirando profondamente per recuperare la calma. -Bene, allora inizieremo analizzando alcuni dei rapporti più dettagliati, sperando di trovare qualcosa che ci aiuti nelle indagini. Poi decideremo come procedere e dividere i compiti.

-Ron, non è un'idea: è una follia- fu il commento secco di Catherine dopo aver sentito la proposta dell'amico.
-Io la trovo fantastica, invece.
-Non avevo dubbi, Will: tu non sei una persona ragionevole, ma qualsiasi idiota saprebbe che questa è una follia e non possiamo farlo!
-Allora trova un altro sistema, visto che improvvisamente sei diventata il genio del trio.
-Bhe... - tentennò, presa alla sprovvista. -Lasciatemi il tempo di pensarci...
-Non abbiamo tempo, quindi si segue l'idea di Ron.
William Herondale svanì in mezzo alle fronde di un alto albero che cresceva accanto alla Sala degli Accordi, imitato dal suo parabatai.
-Ci toglieranno i marchi e diventeremo dei mondani, me lo sento- brontolò ancora la ragazza, arrampicandosi. -Oppure passeremo la vita nella Città Silente... o mi costringeranno a diventare una Sorella di Ferro.
-Una Sorella del Silenzio è impossibile, dato che non stai mai zitta- ribatté Will, saltando agilmente sul tetto senza fare il minimo rumore. -E ormai è tardi per tornare indietro.
Sopra alla Sala degli Accordi era stata realizzata una grande vetrata circolare, progettata a modello delle vetrate gotiche; era divisa in quattro spicchi che raffiguravano i simboli delle razze di Nascosti che sedevano nel Conclave e, a separarli, c'era una croce composta da piccoli frammenti di vetro uniti insieme da un sottile filo di adamas. Ogni pezzetto apparteneva alla precedente Città di Vetro, danneggiata durante la Guerra Mortale, e vi erano disegnate tutte le rune del Libro Grigio.
Nelle calde giornate soleggiate, gli spicchi venivano sollevati come ante di una gigantesca finestra e quella era proprio una mattina di sole: i tre ragazzi si avvicinarono al vetro, sporgendosi sull'apertura per poter vedere cosa accadesse di sotto.
Riconobbero subito la chioma nera di Isabelle ed i suoi gesti nervosi segno che, come al solito, la riunione stava diventando una gara di insulti tra Cacciatori e Nascosti.
Will individuò il luccichio dei glitter che Magnus insisteva per mettersi sui capelli nonostante l'età; accanto a lui c'erano suo zio e, soprattutto, suo padre pronto ad ucciderlo se avesse scoperto dove si trovava.
-Sbaglio o stanno parlando di mondani morti?- disse Ron. -Come quello che abbiamo trovato ieri sera.
Era una delle cose che il suo compagno di battaglia proprio non riusciva a capire: perché erano abbastanza grandi da farsi ammazzare nelle perlustrazioni, da saper uccidere in duemila modi diversi, da combattere contro qualsiasi creatura si annidasse nei vicoli oscuri... ma erano troppo piccoli per entrare nel Consiglio? Perché in quella sala c'era gente che non impugnava un'arma da almeno mezzo secolo, e non c'era chi lottava ogni giorno e vedeva con i suoi occhi ciò di cui stavano parlando?
Non era giusto: erano loro a rischiare la vita, a proteggere gli ignari (ed inutili) mondani, eppure venivano esclusi dalla riunione, lasciati al parco giochi come bambini di cinque anni. Sua zia Isabelle aveva tentato di abbassare l'età d'accesso, ma si era scontrata con il muro delle tradizioni e aveva dovuto fare marcia indietro.
Forse perché pensava alle ingiustizie del Conclave, forse perché il destino aveva scelto quel momento per muovere i suoi fili ed uscire allo scoperto... Qualunque fosse il motivo, il discendente dei migliori Shadowhunters mai esistiti perse l'equilibrio e si ritrovò a precipitare velocemente verso il basso, verso una morte decisamente dolorosa.
Udì a malapena gli amici urlare il suo nome, poi il pavimento della Sala si avvicinò ad una velocità sorprendente... e lui si bloccò ad un soffio dall'impatto con il suolo.
-William Gabriel Herondale.
Sentendo Jace pronunciare il suo nome completo, William si chiese se schiantarsi nel mezzo della Sala degli Accordi non fosse una fine migliore di quella che lo aspettava.
  
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