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Autore: zorrorosso    12/04/2013    2 recensioni
”Un mostro! Un mostro vi dico! Il volto gli colava dalla testa come se fosse stato spellato! Come se fosse morto, tuttavia in vita, si muoveva e camminava... "- Alcuni segreti non possono essere svelati con facilità! ***mentre sto preparando questa storia per traduzione ed editing, verranno aggiunti dei capitoli "prequel"***
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aramis, Athos, Cardinale Richelieu, Duca di Buckingam, Milady
Note: Cross-over, Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Di Uomini e Mostri...'
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Credevo di aver toccato il fondo con la mia distesa sui peluches per le dinamiche del capitolo 9, ma mi sono messa addirittura a scavare con la stesura di alcune meccaniche di questo nuovo capitolo, dove ho usato le figure di un vecchio mazzo di carte da gioco.

Piccolo quiz della mia mente malata: quali personaggi avro' associato alle varie figure delle carte da gioco (cuori, quadri, fiori, picche)?

Vale sempre la regola del lui/lei a seconda dei personaggi con cui si trova Aramis  e quello che questi sanno. Le introspettive sono sul "lei".

Riassuntino capitoli precendenti:
Milady si insinua nel Louvre e cerca di attaccare Athos senza successo. Ci prova anche con la Baronessa d'Herblay, ma anche in questo caso atterra Constance e non l'altra dama. Durante il confronto tra Milady e Renee, Milady scopre che la dama e' molto di piu' di quello che si dice essere.

 Nel frattempo, una carrozza del cardinale e' arrivata a palazzo ed e' stato richiesto al Re di consegnare i moschettieri per un servizio personale ad un caro amico del prelato, autorizzato da una lettera che Athos conosce molto bene. Il Re rifiuta, ma gli ospiti del Cardinale sembrano scendere ad un compromesso.
 

Capitolo 10
Sei pioli di Calais

 
Il pomeriggio si faceva afoso nel piazzale d'ingresso che, al contrario dei giardini poco distanti, era quasi privo di alberi.
Tuttavia, piu' avanti sotto il porticato, l'ombra portava un po' di refigerio alla carrozza dalle tende nere del cardinale e le guardie stanche, in giacche di velluto scarlatto, ora aperte sulle camice umide.

A detta di alcuni soldati, la partenza era prevista di notte proprio per questo: per evitare il meno possibile l'afa del giorno e concedersi ben due notti di frescura (1).
Aramis era riuscita a nascondersi dietro alcune colonne e poteva ascoltare molto di quello che riecheggiava nel porticato senza essere vista. Non le era concesso di udire nulla che provenisse direttamente dalla carrozza o dal salone dei ricevimenti proprio di fronte, ma rimaneva attenta e vigile su tutto quello che stava avvenendo nel percorso che li divideva.
All'interno della sala, sotto le orecchie attente di Athos e Porthos, il cardinale Richelieu si apprestava a trovare un compromesso che quietasse i capricci del re e si piegasse comunque ai suoi voleri.
"Il mio carissimo amico sarebbe disposto ad una soluzione che accontenti i desideri di tutti. Richiederebbe, per condurre la sua carrozza, un uomo che fu si' la vostra guardia reale un tempo, insieme ai nostri astanti, ma che attualmente ha rinunciato al nuovo incarico e vive a Parigi da comune cittadino"- insinuo' il sorridendo verso ai due moschettieri.
Questi si guardarono con la coda dell'occhio, entrambi colti dallo stesso pensiero.

Il re alzo' le sopracciglia stanco, e sbuffo' giocherellando con una spilla della sua giacca di seta broccata, di colore violaceo.
"Si tratta di colui che non si e' presentato! Mi sembra un buon compromesso: allenato ed attento come una guardia reale, seppure non lo sia piu'. Athos, Porthos! Voi sapete bene dove vive. Vi do due ore esatte per trovarlo e portarlo al cospetto di Vostra Eminenza!
 Tra due ore e mezzo, subito dopo il tramonto, dovrete pero' ripresentarvi qui di guardia. In caso scoprissi di una vostra assenza, sarete considerati disertori!"- esclamo' alzandosi dal suo trono di ricevimento ed abbandonando subito la sala, senza quasi un congedo.

Il Cardinale si volto' verso i due moschettieri, fece una piccola reverenza al Re e lancio' ai due un sorriso meschino, mentre con la mano faceva loro cenno di affrettarsi.
Porthos ed Athos uscirono subito dal salone e corsero attraverso il porticato verso i loro cavalli, non troppo distanti dalla carrozza cardinalizia. Era di un colore nero pece, relativamente grande, tanto da contenere facilmente piu' di quattro persone, da fare in modo che queste fossero molto comode al suo interno e, se fossero state meno del dovuto, si potessero sdraiare per dormire in un viaggio notturno.

Ebbero subito il sospetto di qualcuno dentro quella carrozza che non avesse tolto mai loro gli occhi di dosso.
"Credete che dobbiamo andare veramente a chiamare Aramis e consegnarlo da solo nelle mani del Cardinale e dei suoi presunti amici?"- chiese sospetto Porthos.
Anche se a detta di Athos il loro amico pareva essere cambiato e inacidito, o tra i due ci fossero sempre stati costanti battibecchi, Porthos aveva una strana considerazione per quello che fu il loro compagno moschettiere: era una sorta di odio fraterno, che mascherava forse una certa ammirazione o invida, nel quale continuava a detestarlo e sminuire le sue qualita', per essere poi irritato fortemente dai suoi difetti e le sue gesta, senza con questo mai lasciarlo andare.
 
Dal momento che i tre moschettieri erano stati di nuovo nominati ed avevano fatto piede in caserma, non era passato un minuto senza che questo avesse desistito dal nominarlo: vino, cibo, donne e il disprezzo costante per la scelta che Aramis aveva appena fatto, sembravano le uniche costanti di cui fosse in grado di parlare.
Anche interrogando la baronessa d'Herblay, aveva rivisto qualche cosa in ricordo dell'amico e non si era trattenuto dal nominarlo per l'ennesima volta.
"Non so, per adesso non abbiamo molto tempo: uno di noi due deve dirigersi a casa di Aramis e portarlo subito qui, se e' questo quello che il Cardinale desidera. Una volta trattato con lui, vedremo il da farsi!"- rispose Athos, salendo in groppa al suo cavallo e guardandosi attorno, come se qualcun altro, oltre alle mistreriose persone della carrozza, si nascondesse tra le colonne del porticato e stesse ascoltando quei loro discorsi.
"Allora dirigetevi alle caserme, Capitano, questa volta con monsieur Aramis ci parlo io!"- sorrise orgoglioso Porthos, sapendo che, nel caso l'amico non avrebbe avuto intenzione di ragionare con la diplomazia, non avrebbe avuto gli stessi scrupoli di Athos nell'utilizzare altri mezzi per convincerlo.
I due galopparono insieme fino alle caserme, dove D'Artagnan li stava aspettando all'ingresso senza gli stivali della divisa, ma calciando per terra un paio di scarpette femminili dal tacco molto alto.
Porthos fece un ultimo cenno ai due e galoppo' verso i cancelli d'ingresso che portavano velocemente in citta'.

***
Planchet si leccava le labbra, mentre assaporava col pensiero quel tozzo di pane vecchio, zuppo di vino dolce che aveva preparato di fronte a lui. Quando, nella speranza di mangiare avidamente e da solo quella che a lui appariva l'ultima delle delizie, la porta di casa si palanco' in un boato, il tavolino sussulto' e la zuppa ricadde sul pavimento sporco.

Porthos, si guardo' attorno ed annuso' l'aria disgustato.
Alcuni piccioni e gazze volarono via dalla finestra, ma si poteva facilmente notare come questi avessero risieduto in casa per diverso tempo, notando tante chiazze di guano bianco macchiare alcune travi ed angoli dei pochi e poveri mobili di legno della sala da pranzo.
"Planchet!"- urlo' indignato l'uomo-"Da quanto tempo non buttate il secchio e lavate per terra?"- chiese in un brivido di disgusto.
In anni di servizio ai tre moschettieri, Planchet non aveva mai sentito Porthos lamentarsi di una casa sporca. Dovevano essere passati davvero parecchi giorni dall'ultima lamentela di monsieur Aramis, se questa abitazione adesso puzzava addirittura per le narici del possente moschettiere.
Planchet sussulto' una seconda volta quando l'uomo, dall'aspetto titanico, lo sollevo' per la collottola con un braccio solo e chiese nuovamente:
"Che fine ha fatto monsieur Aramis?".

"Monsieur Porthos... Io non lo vedo da giorni! Non so quanti, ho perso il conto e lui continua ad evitarmi! Ho sentito solo dei rumori nella sua stanza ma... Sapete che non mi e' concesso entrare!"- esclamo' Planchet pronto a giustificarsi, ma non riusci' cominciare, o a finire il discorso, che venne subito buttato di nuovo a terra e Porthos sfondo' immediatamente la porta della stanza di Aramis con un calcio.
 
"Monsieur Porthos! Che fate! Monsieur Aramis non vuole che qualcuno tocchi le sue cose in sua assenza! Poi mi tocchera' risistemare tutto esattamente com'era!"- disse lui seguendolo, ma Porthos glie lo impedi', rialzando la porta dal pavimento ed appoggiandola di nuovo all'ingresso della povera stanza.
I rumori che Planchet udiva, provenivando dal vetro chiuso male della finestra che sbatteva sulle persiane sbarrate, nulla che avesse a vedere con la presenza dell'uomo in casa, ma come era d'uso lasciare lui prima di un lungo viaggio.

Porthos si guardo' attorno, notando tutto esattamente in perfetto ordine: il piccolo scrittoio di legno chiaro, il cui bordo era in parte annerito dall'uso e parte ricoperto di cera delle candele, segno delle notti passate in bianco a pregare per le anime delle persone cadute sotto il suo rapiere. Appoggiati sopra quello scrittoio c'era il suo libro dei salmi dalla fodera di pelle nera e dorata ed una croce d'argento inscurito, il letto finemente rifatto dalle lenzuola bianchissime, come quella delle sue camicie, le armi lucide coperte da una leggera patina polverosa, l'armadio piccolo e sottile dalle ante chiuse a chiave. Tutto lasciava ad intendere che l'amico non avrebbe fatto ritorno per diverso tempo.
Apri' veloce l'armadio, forzando la serratura con il suo pugnale e scruto' le poche giacche scure ed i bianchi colletti delle vesti delicatamente ripiegati: ai suoi occhi le sue vesti erano sempre sembrate tutte logore e sbiadite, seppur sempre pulite, ma specialmente quelli  riposti in quell'armadio erano i piu' logori e sbiaditi. Aramis aveva portato via i suoi vestiti migliori ed aveva lasciato solo i piu' vecchi nello scaffale.

Il moschettiere ebbe un'idea fulminea: sarebbe tornato con le vesti di Aramis, in modo da dimostrare che il loro amico aveva accettato l'invito.

Non se la sentiva pero', di andare oltre i cancelli del Louvre senza prima essersi presentato al Re. Teneva agli sfarzi di corte e l'apparire disertore non era un suo desiderio.
Solo successivamente avrebbe discusso con Athos e D'Artagnan il da farsi per trovare la maniera di consegnare Aramis, o chi per lui, al Cardinale e presentarsi successivamente al sovrano.

Proprio all'interno di quell'armadio, altri due particolari colsero la sua attenzione: una spazzola d'argento, di quelle in uso tra le dame, in una mensola piu' alta e uno strano piedistallo di legno, su cui era appoggiato una sorta di boccino da gioco.
Non si spettava di certo che un uomo dalla sua capigliatura corta e arruffata, utilizzasse uno strumento tanto fine per pettinarsi i capelli, ma non si stupi' piu' di tanto, visto che poteva sempre essere l'eredita' o la dimenticanza di qualcuno.

Tra i due oggetti, quello che lo strani' di piu', fu quell'ultimo piedistallo particolare: il fatto che in anni di amicizia, non avesse mai visto Aramis giocare, ne' assistere, o discutere del gioco delle bocce.
Alzo' le spalle nel pensiero che anche questo fosse come un'eredita', o un ricordo d'infanzia, e tento' di indossare una delle giacche. Era stretta, anzi strettissima di spalle e, per quanto si sforzasse a congiungere i bottoni alle asole, la distanza tra di loro era piu' di una spanna.

Trattenne lo stomaco per qualche secondo, inspirando profondamente, non riuscendoci neppure cosi', infilo' la giacca in una borsa che aveva portato con se e provo' solo la mantella.
Questa gli arrivava al ginocchio, era un po' corta per lui, ma una volta seduto a cavallo non faceva poi cosi' troppa differenza.
Mise anche quella nella borsa e richiuse la stanza appoggiando la porta al suo ingresso sommariamente, allontanandosi via con un breve cenno al servo.

***
Mancava solo mezz'ora alla presentazione di Aramis al cardinale, quando Porthos si presento' ai cancelli da solo, mentre Athos e D'Artagnan lo stavano aspettando al piazzale d'ingresso.

"Aramis? Lo avete convinto?"- chiese Athos guardando oltre al suo cavallo, nella sparanza che il loro amico giungesse a breve.
"Aramis non e' a Parigi da giorni! Ho trovato questi"- disse mostrando la mantella e la giacca.
"Buona idea! Uno di noi deve passare per Aramis e presentarsi al cardinale!"- continuo' Athos guardando D'Artagnan, che scuoteva la testa dubbioso.
"Non posso essere io! Il Re mi riconoscerebbe subito! Sono quello di noi tre che ha passato piu' tempo con lui ultimamente!"- ricordo' loro il ragazzo. Athos annui'.
"Non potete essere voi, siete ancora troppo giovane per essere un disertore: chiunque prenda questo primo incarico potrebbe diventarlo piu' facilmente degli altri che, una volta presentati a corte, potrebbero essere scagionati piu' facilmente!"- penso' poi a voce alta.

"Non possiamo agire da soli: se qualcuno deve fingersi Aramis e rischiare la diserzione non presentandosi al Re, gli altri devono trovare il modo di abbandonare il Louvre solo successivamente e seguirlo!"- constato' Porthos, nel dubbio non di voler essere lui la prima persona e perdere cosi' i suoi privilegi.
Athos noto' il dubbio nel suo amico ed in un certo senso lo giustifico'.
"Lo faro' io! Voi preparatevi e presentatevi al Re"-  esclamo' Athos, nella consapevolezza che era veramente lui la persona che stavano cercando di intrappolare e che solo lui, in quel momento, era in grado di poter rinunciare al suo incarico.

"Siete il capitano della guardia! Rinuncereste cosi' in fretta alla vostra posizione privilegiata?"- chiese Porthos perplesso.  

"Saro' anche un disertore del mio Re, ma mai dei miei amici! Poi sono io la persona che il destinatario della lettera vuole e questa e' la mia occasione per sapere chi si nasconde dietro quella lettera! Datemi quella mantella adesso!"- esclamo' Athos strappandogliela dalle mani e buttando a terra la casacca della sua uniforme.

Athos alzo' il cappuccio della mantella nera e corse al galoppo verso le sale di ricevimento, dove solo il Cardinale, seduto al posto del re, attendeva quasi addormentato il cocchiere per la carrozza del misterioso ospite.
Qualche cosa gli impedi' la traversata e l'arrivo ai piedi del Cardinale.

All'entrata del portone, non pote' fare a meno di sgranare gli occhi, e nascondersi dietro una grossa statua di marmo, alla vista di un altro uomo vestito alla sua stessa maniera, che si toglieva veloce il cappuccio e si inchinava agli anelli dell'eminenza: lo stesso Aramis.
"Cardinale Richelieu, mi avete cercato..."- disse, respirando con stanchezza. In cuor suo, provava esasperazione nel doversi vestire e cambiare continuamente per quel noioso prelato. Era suo piano consegnarsi al Cardinale quello stesso giorno, ma non sapeva piu' con quale nome.
"Oh voi! Finalmente! Dicevo che vi eravate perso chissa' dove! Dovreste condurre questa carrozza per me..."- disse indicando l'esterno del salone e la vettura che aspettava in attesa da ore.

Talmente tanta era stata quella lunga discussione ed attesa alla calura, che anche i cavalli erano stati sciolti e abbeverati nei giardini circostanti. Le persone al loro interno erano state servite e riverite di cibi, bevande ed intrattenimenti, direttamente provenienti dalle sale reali per conto del cardinale. Le porte della carrozza rimanevano aperte, ma l'identita' delle persone al suo interno sconosciuta.
Il cardinale, accompagnato dalla sua corte ed Aramis, uscirono insieme dalla sala reale, diretti verso quella carrozza, mentre Athos li seguiva non visto.
La vettura fu nuovamente preparata per partire, i cavalli vennero imbrigliati ed Aramis sali' al cocchio, scortato fino al piazzale d'ingresso.
In quel preciso momento tutte le guardie cardinalizie tornarono indietro per aspettare la dipartita di Richelieu e lasciare la vettura completamente priva di scorta.

Porthos e D'Artagnan, di guardia, aprirono i cancelli. Alla vista della mantella nera, non riconobbero subito il loro amico e, confondendolo con Athos, fecero un cenno di saluto orgoglioso a cui lui rispose muto in lontananza.
Mentre richiudevano le grate dei cancelli, si accorsero di Athos, vestito con la mantella di Aramis, galoppare affannato verso di loro.
"Presto! Riaprite immediatamente i cancelli! Dobbiamo seguire quella carrozza!"- ordino' agli altri due.
"Ma se non siete voi sotto quella mantella, chi diavolo c'e'?"- chiese D'Artagnan.
"Aramis stesso! Dobbiamo seguirlo subito!"- rimbecco' Athos, spronando il suo cavallo e dirigendosi oltre ai cancelli, non curante del fatto che, facendo cosi', avrebbe suscitato le ire del Re e sarebbe stato accusato di essere un disertore.
I due lo guardarono allonarsi verso il tramonto.

D'Artagnan lancio' un'occhiata dubbiosa verso Porthos, che sospiro' con tristezza, dirigendosi tra cancello e caserma con le spalle ricurve, non degno dell'ardore dell'amico.
"Se ci prepareremo in fretta, potremo ancora raggiungerli prima che faccia buio, presto andiamo!"- incalzo' D'Artagnan alla vista rassegnata del suo compagno.
"Voi non potete immaginare la fame... La rabbia di essere un nobile, che per legge non puo' lavorare, e tantomeno mangiare, se non per la misericordia di altri nobili..."- sospiro' Porthos scuotendo la testa e ricordando un tempo a lui molto lontano.
"Se siamo tutti diventati moschettieri, vuol dire che anch'io ho patito la stessa cosa, amico mio! Non dimenticatevene!"- gli ricordo' D'Artagnan sorridendo amaramente.
"Voi venite dalla campagna... Non dimenticatevi anche di questo!"- disse lui piegando le sopracciglia ed abbassando i lati della bocca, si armo' di qualche strumento in caserma e si preparo' amareggiato a raggiungere le sale di ricevimento reali con il suo giovane compagno.

Porthos e D'Artagnan sbuffarono frequentemente, seduti sulle sedie della sala, scrutando il sole tramontare. Il Re non accennava ancora ad una sua visita.
"Cosa succederebbe se sventassimo una guerra? Cosa succederebbe se, una volta a Calais, scoprissimo che le voci che girano a corte fossero vere e che e' solo grazie a noi e al nostro coraggio che la Francia fosse di nuovo al sicuro?"- si chiese D'Artagnan, rompendo quel nervoso silenzio d'attesa.
"Porthos! Come potremmo essere considerati disertori se, proprio grazie a noi, la Francia fosse di nuovo al sicuro e non dovesse temere attacchi improvvisi?"- chiese nuovamente il ragazzo.
A quelle parole, Porthos non pote' resistere un solo minuto di piu' in quella sala e , preso il ragazzo per la collottola ed alzandolo fino ad avere il suo sguardo convinto nei suoi occhi feroci, disse semplicemente: "Avete ragione! Che stiamo a fare qui?!"-  e corse via verso le scuderie, trascinandolo con se.

***
Allo stesso modo, il sole tramonto' rosso verso l'altipiano e le basse collinette della campagna, quando Aramis conduceva indifferente e con stanchezza la carrozza alla volta di Calais.

Si sentiva come gia' condannata, ma sapeva che, facendo cosi' avrebbe potuto evitare uno scontro diretto tra Athos ed il Duca di Buckingham.
Guardava spesso dalla finestrella dietro di se, coperta di una spessa tendina scura, con amaro sospetto che il Duca di Buckingham o Milady avrebbero potuto tranquillamente fermare la vettura da un momento all'altro in un angolo isolato e procedere con i loro piani meschini.  
Ancora peggio, Milady con la sua agilita', avrebbe potuto arrampicarsi alle sue spalle sul tettuccio della carrozza ed avvelenarla o spararle un colpo alle spalle.
Per fortuna o disgrazia, non era neppure scortata da altre guardie ed avrebbe viaggiato di notte, come se fosse un invito aperto ad essere attaccata, se non da loro stessi, anche solo dai briganti di passaggio.

L'aveva intuito fin da subito che erano Milady e il Duca di Buckingham i misteriosi ospiti da scortare a Calais, anche se non aveva piu' rivisto quella lettera che il Duca aveva compilato insieme al Cardinale, aveva spiato Athos e Porthos da dietro le colonne del porticato e li aveva sentiti fare il suo nome e dirsi diretti verso casa, per riportarlo a palazzo.
Li aveva superati in velocita', consegnandosi prima che uno di loro avrebbe potuto farlo e sperava che, in questo modo, il sacrificare la sua vita per la loro, avrebbe redento quella che, a tratti, sembrava la triste fine della loro eterna amicizia.
La Francia e le sue necessita' giunsero tra di loro ancora prima che lei potesse godere di quella serenita', delle gioie della vita e della guerra insieme ai suoi compagni o il capire di piu' di quei suoi turbamenti, anche solo tornare ad essere ancora una donna e, con la semplicita' di un sorriso, ritrovare un sentimento che mancava nella sua vita da tempo.

Calais era circa a due giorni di viaggio, se ci si fermava in una locanda durante il tragitto, ma nel suo caso le era del tutto inopportuno: se si fosse fermata, Milady e il Duca avrebbero potuto prendere subito il sopravvento su di lei e disfarsene immediatamente:  avrebbe dovuto passare l'intera notte cavalcando, anche a passo abbastanza veloce, in modo da evitare qualsiasi tipo di stabilita' all'interno della vettura, che potesse dare ai due il tempo di agire. 
Il suo piano, al momento, consisteva nello stare sempre in guardia e cercare di impedire loro qualsiasi mossa improvvisa.

Come aiuto nello stare stare sveglia, chiese ad un mercante di passaggio che importava beni dall'Olanda, di vendergli una caraffa contenente una bevanda turca che, durante il suo periodo da sacerdote, le era sempre stata vietata di bere e che ricordava chiamare dagli altri sacerdoti qualche cosa come l'amara invenzione di Satana(2).
Sara' stata pure la bevanda del Diavolo, pensava, ma teneva i suoi occhi svegli e attenti anche al buio, senza avere la stessa puzza della pipa: quindi, benedi' con un segno di croce la caraffa di ceramica bianca del Diavolo, dal lungo becco e ne riverso' un po' in una coppa di legno sorseggiando lentamente l'amaro liquido, mentre proseguiva per quel lungo tragitto.

***
Dentro la carrozza, il caldo andava scemando e la notte aveva portato finalmente un po' di refrigerio.
Milady ed il Duca di Buckingham, avevano evitato in tutti i modi di farsi vedere dal loro cocchiere, nella speranza di non essere riconosciuti, senza sapere chi in realta' li aveva spiati e tenuti d'occhio quasi fin dal loro stesso arrivo in Francia.
Il Duca, soprattutto, non credeva di aver mai visto da vicino quell'uomo.
Se lo ricordava saper armeggiare bene sia il rapiere che le armi da fuoco, anche quelle piu' grosse di lui, troppo bene per essere un semplice prete, ma adesso si presentava apparentemente privo degli strumenti  necessari per batterli e anche dei suoi fedeli amici che sperava lo avrebbero raggiunto presto, senza farsi attendere.
Facendo presto tesoro del fatto che i tre non si sarebbero dovuti incontrare: insieme sarebbero stati micidiali.
"Dei tre moschettieri, avete scelto proprio il piu' insulso e mingherlino!"- ricordo' l'uomo a Milady.
"Seppur mingherlino, vi posso assicurare, e' tutt'altro che insulso..."- disse lei, stringendo un polso indolenzito e ricordandosi del loro ultimo confronto.
"E' talmente magro che pure voi riuscireste a metterlo a terra! Credete che Athos lo raggiungera' presto?"- chiese lui.
"E' troppo buio per esserne certi, ma se sapesse quello di cui sospetto anche io, correrrebbe il doppio per arrivare da... lui" -disse quasi sorridendo ed osservando dalla finestrella il chiaro di luna.

 "Dormite adesso e ne riparleremo domattina! Dobbiamo riposare e confidare nella sua stanchezza!"- continuo' sorridente, come se avesse in mente un piano particolare, gia' studiato nei minimi dettagli.

"Non avete intenzione di attaccarlo prima dell'alba?"- chiese il Duca alla donna, mostrando il suo rapiere ben saldo nella tracolla -"Potremmo ucciderlo per primo ed aspettare che arrivino gli altri!".

"No! Ho un altro modo per disfarmi di lui...  Dovremo arrivare al molo di Calais, prima di poter attaccare ed aspettarci che sia veramente stanco del viaggio. Voi dovrete mettervi subito al comando della vostra nave ammiraglia ed essere pronti per sferrare l'attacco, anche con tutta la flotta, se necessario.
 Come avete appena detto, di lui mi posso benissimo occupare io. Voi pensate pure a catturare Athos e gli altri!"- disse Milady sicura, incontrando il suo sguardo annoiato alla luce della luna.

***
La notte trascorse velocemente, arrivo' presto l'alba e di nuovo un tramonto. Questa volta, presso il porto di Calais, Aramis fermo' finalmente la carrozza ed i cavalli esausti, affamati ed assetati da tante ore di viaggio continuo.

Lo spettacolo che le si paro' alla sua vista fu agghiacciante: sgrano' gli occhi senza riuscire a parlare.

Piu' flotte navali, battenti tutte bandiera inglese, sostavano ai moli del porto e proseguivano fino a coprire l'orizzonte. Com'era stato possibile che la notizia non fosse giunta a Parigi in tutte quelle settimane?
Alle volte, verso l'orizzonte, sembrava addirittura non esserci spazio tra un vascello e l'altro.

Il cielo, ancora rosso e viola del crepuscolo, sembrava come coperto da grosse nuvole nere, ma alzando gli occhi, si accorse che quelle non erano nuvole: era una flotta di navi volanti, come quella che aveva accompagnato il Duca di Buckingham a Parigi in precedenza, queste erano tutte provviste di pesanti cannoni puntati verso la citta'.
Bastava solo una mossa perche' la Francia fosse rasa al suolo all'improvviso, senza neanche la possibilita' di difendersi.

Aramis, provata da quel lungo viaggio senza sonno, alzo' gli occhi al cielo e all'orizzonte dietro di se, nell'aspettativa che un esercito, un qualsiasi esercito, avesse seguito la loro carrozza ed ora fosse venuto a confrontare tutte quelle navi da guerra, a questo punto, il colore della divisa non faceva piu'  importanza.
Per quanto il pericolo fosse imminente, all'orizzonte non accorse nessuno.

Con un grosso sospiro, si alzo' in piedi dal cocchio ed abbasso' il cappuccio, aspettando del tempo prima di accorrere ai passeggeri.
Questi non si fecero attendere e, sistemata velocemente la scaletta, un uomo biondo vestito di nero, dall'ampio cappello piumato, scese per primo.
Il Duca, con la vana speranza di rimanere a lui anonimo, non si presento'.

"Non ci aiutate a scendere, moschettiere?"- chiese freddo, lasciando che l'ampia tesa del copricapo calasse sugli occhi.
Aramis lo guardo' con aria di sfida: non lo temeva, ma non sapeva come avrebbe potuto eliminarlo facilmente, senza creare scompiglio in quell'esercito al suo comando. Annui' ed accorse verso la dama, anche questa vestita di nero e con il volto velato.
La donna prese veloce la sua mano e la strinse forte, senza mai guardare il moschettiere negli occhi.

A questo punto era soltanto questione di attimi: se non procedeva nell'attaccare i due da sola, questi l'avrebbero potuto ucciderla con facilita', ancor meglio utilizzarla come esca per catturare Athos e gli altri moschettieri, nel caso poi non ci fossero riusciti, avrebbero immediatamente dichiarato guerra alla Francia e, armati com'erano, l'avrebbero subito rasa al suolo.

Per giunta, si rese conto che, se avesse attaccato l'uno o l'altra senza la dovuta velocita', si sarebbe trovata attaccata dalla seconda persona e, se questo fosse stato il Duca, avrebbe anche potuto dare il segnale ad un bombardamento immediato.

"Accompagnateci verso questa barca, Aramis!"- disse la donna, seguendo il signore di fronte a lei, senza mai lasciare la presa della mano. Questa era una scialuppa secondaria, di dimensioni medie che, probabilmente, li avrebbe portati verso una delle navi piu' grandi.

Il moschettiere ebbe un sussulto, notando la esile scaletta a pioli della barca sulla quale i due sarebbero voluti salire. Con un balzo, il Duca si allontano' immediatamente lasciando i due indietro.
Milady trascino' il moschettiere per qualche passo, questo si ritrasse piu' volte dall'arrampicarsi su quei pioli di legno.
Aramis penso' che, se questa non l'aveva avvelenata o non l'aveva uccisa fino a quel momento, voleva proprio dire che la desideravano viva, forse come ostaggio.

Dopo quel primo tentennamento, il Duca si era allontanato dalla sua mira e Aramis non aveva piu' la possibilita' di attaccarlo con una semplice mossa.
Chiuse gli occhi e si fece coraggio, arrampicandosi sui primi sei pioli, ma al giungere del sesto, Milady che gia' conosceva quella sua debolezza, esclamo' con un sorriso:
"E' stato un piacere viaggiare con voi, baronessa!" - e la spinse volentemente in quell'acqua del molo, torbida e poco profonda in confronto all'oceano, ma abbastanza da poter vedere in un attimo il suo corpo immergersi completamente e non tornare piu' a galla.

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(1) Storicamente impreciso. Un periodo d'afa, potrebbe essere capitato per pochi giorni o all'improvviso, accaldando le persone anche se non fosse stato veramente poi cosi' caldo.
Generalmente, durante il 1600 -soprattutto dopo gli anni '50- le estati erano decisamente fredde. C'e' questa tendenza che vorrebbe associare ad ogni periodo piu' cupo della storia politica, un "inverno" e per quelli piu' prolifici un'"estate", che poi si riflette allo stesso modo sulla societa' che prende una piega piu' "cupa". E' stato teorizzato da diversi geografi che periodi come  la seconda meta' del  '600, l'800 e gli anni 30/40 del '900 facciano parte di questa categoria definita come "piccole ere glaciali".
 
(2)Per i primi 60 anni dal suo "debutto"  nel commercio europeo, il caffe'  fu boicottato dalla religione cattolica perche' associato ai riti musulmani e considerato come la "Bevanda del diavolo". Comunque ai tempi era gia' in commercio in Europa (Specialmente tra Olanda e Italia) da circa 40 anni.
  
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