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Autore: _Lalli    12/04/2013    2 recensioni
Arya Dröttningu, ambasciatrice degli elfi, protegge l'unico uovo di drago in possesso alla resistenza; Durza lo Spettro attende da anni l'occasione di impossessarsene e finalmente pare esserci riuscito, ma l'elfa riesce a rovinare miseramente i suoi piani. Allo Spettro non rimane che un'unica soluzione: torturare la sua prigioniera senza pietà, fino a che non confessi il luogo in cui l'uovo è stato trasportato.
Ma se, durante la prigionia, qualcosa di inaspettato fosse accaduto ad Arya? Qualcosa di cui nessuno, a parte lei e Durza, è a conoscenza?
Costretta ad un viaggio avventato e ad un'improbabile alleanza, Arya scoprirà lati insospettabili del suo nemico e si lancerà in una ricerca che getterà i semi del suo destino. Coinvolta in segreti incredibili, finirà per svelare alcuni dei molti misteri che ancora oscurano la bellissima terra di Alagaësia.
Genere: Azione, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Altri, Arya, Durza
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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6. Mi stai corteggiando, Durza?

Barst rimase altri due giorni, giorni che spese totalmente sul mio corpo con uncini, lame, ferri, fruste e mezzi del genere.
Durza non mancò mai a nessuna delle sessioni, anche se si limitava a stare nell’ombra come una minaccia silenziosa. Mi diede comunque un senso di sicurezza saperlo pronto ad intervenire in mio favore, accompagnato da scrupoli che Barst sembrava non avere e che in effetti non mi sarei mai aspettata nemmeno da lui.
A tratti lo sentivo sussurrare incantesimi di guarigione che impedissero al funzionario del re di uccidermi. Perché in effetti mentre nelle torture lo Spettro era metodico e preciso, esperto, Lord Barst era rabbioso e violento. Durza si premurava di farmi sfiorare la morte, ma trattenendomi, lui colpiva a casaccio, sperando di procurarmi più dolore possibile e spingermi a parlare.
I due bisticciavano in continuazione, ma dato che quelle liti parevano avere come scopo quello di stabilire chi fosse il migliore, non mi toccavano e mi limitavo a godermi la scena.
L’ultimo giorno, poco prima di partire, Barst discese nella mia cella e mi fece legare al tavolo delle torture. Durza arrivò poco dopo e si ritirò silenziosamente in un angolo.
Sentii a malapena le mani dell’uomo che mi afferravano un piede -da quando non avevo più gli stivali il gelo mi faceva spesso perdere la sensibilità in quel punto del corpo- ma sentii chiaramente il dolore acuto che mi procurò quando mi strappò l’unghia dell’alluce con una pinza. Alluce, illice, trillice, pondolo e minolo. Poi passò all’altro piede. Il sangue che mi colò sulla pelle mi parve bollente.
«Consideralo un regalo d’addio» mi sibilò rabbiosamente. «Il tuo comportamento verrà riferito al re, Spettro» aggiunse ad alta voce.
Durza avanzò nel cono di luce creato dal braciere. «E allora mi auguro che farai presente la mia indiscussa abilità, Barst. Come avrai avuto modo di notare ho fatto tutto il necessario, ma senza risultati».
«Ti sei rifiutato di lasciarmi agire come volevo, com’era ordine del re e questo basterà a renderti colpevole di insubordinazione».
Lo Spettro inarcò un sopracciglio, per niente turbato. «Notevole».
«Fossi in te non riderei più di tanto. Galbatorix odia perdere tempo. Non esce mai dal suo castello perché deve concludere la sua ricerca, quindi lascia ai suoi luogotenenti il compito di fare il suo volere in Alagaësia. E tu ti sei dimostrato incapace anche di questo piccolo incarico. Ultimamente stai perdendo colpi, a lui non piacerà».
«Non sono il leccapiedi del mio re quanto te, questo è sicuro. Ma non osare svalutare i miei meriti, ti giuro che la mia natura potrebbe rivelarsi piuttosto spiacevole in questi casi».
«Non penserai veramente di spaventarmi così».
«Io non penso, so» ribatté Durza, aggiungendo un’ulteriore conferma alla mia ipotesi sulle sue capacità di lettore di anime.
Barst divenne paonazzo. «Non sei altro che uno schiavo delle ombre! Cosa si prova ad avere degli spiriti che ti comandano a bacchetta? Non so nemmeno se sto parlando con un essere solo o con altri cento adesso!»
Gli occhi di Durza divennero di ghiaccio. «Vattene» disse, parlando così lentamente da parere sul punto di scoppiare. «Vattene prima che ti dimostri quanto sono padrone della mia volontà e ricacci il consiglio dei miei spiriti, che mi suggeriscono di non inimicarmi il re».
L’uomo spinse orgogliosamente il mento in fuori. «Non finisce qui. Rivedrai presto la mia faccia, Durza».
Lo guardai andarsene impassibile. Io certamente non avrei dovuto rivederlo, probabilmente non avrei nemmeno mai più sentito parlare di lui.
Ancora non potevo sapere quanto mi stessi sbagliando e quanto il nome del conte avrebbe avuto effetto nella mia vita futura.
«Finalmente soli, Elfa».
Feci una smorfia. «Mi stai corteggiando, Durza?»
«Vedo che sentire altri offendermi ti rinvigorisce». Mi guardò maliziosamente. «Ma si possono fare cose interessanti rimanendo soli, Elfa, te lo assicuro».
«Taci» riuscii solo a dire, aspramente.
Annuì in direzione dei miei piedi. «Barst mi ha tolto il progetto che avevo intenzione di realizzare durante la prossima settimana».
Gettai un’occhiata alle mie dita grondanti di sangue e feci una smorfia disgustata. «Mi restano le mani».
Durza fece un sorrisetto. «Da quando mi dai suggerimenti? E poi non c’è nulla da strappare dalle tue unghie, ci pensi già abbastanza da sola, quando sei nervosa».
Accolsi con fastidio quell’osservazione. «Non pretendere di conoscermi».
Lo Spettro mi sciolse dalle catene sorridendo sinistramente. «Non so nemmeno il tuo nome, tanto per cominciare».
«E non lo saprai mai, tanto per concludere».
Appoggiai la punta del piede destro a terra, ma non appena ci feci pressione delle stilettate di dolore si diffusero per tutto l’arto.
Durza mi guardò con una luce giocosa negli occhi di sangue, le pupille assottigliate dalla luce del braciere «Potrei ridarti le unghie in cambio del tuo nome. Tanto cosa vuoi che ne sappia della vostra società elfica?»
«Perché mai vuoi saperlo con tanto interesse?»
«Conosco i nomi di tutti gli uomini e le donne che lavorano al mio servizio. Odio rivolgermi alla gente chiamandola “Tu”, “Soldato”, “Cameriera”, “Stalliere”, “Elfa..”»
Mi alzai in piedi con decisione, ignorando il dolore. «Tanto me le strapperesti di nuovo, le unghie».
Lo Spettro tormentò una catenella d’argento che teneva intorno al collo. «Vero. Ma sappi che verrò a sapere tutto prima o poi, che tu collabori o meno. Ho i miei mezzi. Intanto so cos’è il tatuaggio che hai sulla spalla. Si chiama Yawë ed è un simbolo di riconoscenza presso i vostri reali. Quanto bene hai fatto per meritare un simile onore da parte del vostro sovrano, piccola Elfa?»
L’ironia della situazione mi costrinse a ricacciare un sorriso. Se solo avesse saputo che ero la figlia della regina.. «Non sono piccola. E la nostra inutile conversazione si conclude qui».
Ridacchiò, afferrandomi per un polso mentre mi conduceva all’uscita. «Se voi Elfi siete tutti così algidi e noiosi non mi stupisce che Galbatorix abbia intenzione di sterminarvi».
«Barst pareva pronto a giurare che il re ammirasse profondamente il mio popolo».
A quel punto Durza scoppiò a ridere rovesciando il capo leggermente all’indietro, gonfiando i tendini del collo e spalancando la bocca irta di denti aguzzi. Uno spettacolo spaventoso, nonostante la risata fosse palesemente sincera, calda. Potevano gli Spettri ridere così?
«Potrei sentirmi ferito nei sentimenti. Hai creduto a lui e non a tutte le mie promesse di libertà!»
Bloccai i miei muscoli facciali prima che si distendessero in un sorriso. La sua allegria era stravagante. «Non gli ho creduto nemmeno un istante». Entrai nella mia cella e lo Spettro mi lasciò il polso. «Ma perché hai voluto che tacessi tutto a Barst?» chiesi, recuperando tutta la mia serietà. «Me ne sono accorta sai. Tu non volevi che io mi lasciassi sfuggire nemmeno una più piccola informazione di fronte a lui, eppure il vostro padrone è lo stesso. È così importante per te essere la persona che dirà a Galbatorix ciò che vuole sapere? Riceverai una ricompensa o cosa..?»
Durza mi posò un indice sulle labbra, bloccando le mie parole. «Vorrei tanto prolungare questa chiacchierata Elfa, ma ho da fare. Ti dico solo questo: non è detto che io riferirei direttamente al mio re come un cagnolino obbediente chiaro?»
Se ne andò, lasciandomi piuttosto basita. Misi insieme le sue ultime parole e quelle che mi aveva rivolto la settimana precedente.
«Non pretendo che un servo di Galbatorix capisca».
«Allora può darsi che con il tempo riuscirò a capire».
Mi sedetti sul mio giaciglio. Durza non pareva molto entusiasta di dichiararsi servitore di Galbatorix. Ma allora perché era al suo servizio? Quali erano le sue vere intenzioni?
Scossi la testa. Non l’avrei mai saputo e probabilmente non dovevo nemmeno interessarmene.
Lo Spettro parve voler dedicare il resto della giornata al risposo perché non si fece più vedere. Così sfruttai quella piccola tregua per immergere i piedi nell’acqua gelida del catino, che mi diede sollievo immediato. In effetti era così fredda che quasi non sentivo più i piedi.
Il comportamento del mio nemico degli ultimi giorni mi aveva colpita e non poco, anche se una parte di me rifiutava di ammetterlo. Non avrei mai creduto che potesse avere la decenza di muoversi in mio soccorso, che fosse solo per ripicca verso Barst o per impedirgli di racimolare informazioni che a quanto pareva non voleva che arrivassero al sovrano.
Grazie alla sgradevole visita del conte, ero io ad avevo raccattato informazioni interessanti: I sostenitori del re erano divisi tra loro e quindi vulnerabili; Galbatorix restava veramente chiuso nel suo castello a compiere chissà quali sacrileghi studi come si mormorava tra la mia gente; Durza sapeva leggere i sentimenti, a quel punto non c’erano più dubbi.
Riguardo all’ultimo punto potevo solo azzardare qualche ipotesi. Gli Spettri e gli Spiriti erano le creature più misteriose di Alagaësia insieme ai Draghi. Non si era mai sentito di uno Spettro che si fosse lasciato studiare. I loro segreti nascevano e morivano con loro, cose che avvenivano difficilmente entrambe; la maggior parte degli Spettri creati avveniva per errore, da maghi inesperti o troppo ambiziosi e gli spiriti prendevano il sopravvento sulla loro coscienza. Ucciderli era ancora più difficile, anche se Ajihad vantava la discendenza diretta da un uomo delle tribù desertiche che era riuscito a sterminare l’intera famiglia di uno Spettro e a sconfiggere e fare sparire lo Spettro stesso. Ma nei suoi racconti leggenda e realtà si intrecciavano con evidente trasporto, al punto che era impossibile distinguere quanto di ciò che narrava fosse vero.
Mi resi conto di essere probabilmente la creatura con più conoscenze sugli Spettri in tutta Alagaësia.
Chissà come aveva fatto a diventare uno Spettro. In effetti prima di diventare il Durza che conoscevo io doveva essere stato un comunissimo mago umano..
Mi concessi di gioire per tutte le informazioni che erano finite in mio possesso.
Sarei sopravvissuta a tutto quello e le avrei riferite ai miei alleati. Se solo avessi trovato un punto debole in Durza avrei potuto dare suggerimenti per come riuscire ad ucciderlo. Non sapevo da quanto la sua presenza inquinasse la terra di Alagaësia, ma doveva essere da parecchio dato che si diceva che fosse già un mago esperto quando aveva sostenuto il re nella sua ascesa al trono.
Ce l’avrei fatta! Qualcuno sarebbe venuto a salvarmi. Ero comunque un anello abbastanza importante nella catena delle forze della resistenza, non potevano essersi semplicemente rassegnati alla mia morte.
Poi un pensiero viscido e triste si insinuò nella mia mente e la mia flebile felicità si incrinò all’improvviso, come una casa dalle deboli fondamenta.
Non sapevo esattamente cosa stesse succedendo fuori da quelle mura ammuffite, ma la verità era che vita in Alagaësia stava sicuramente proseguendo a ritmi vertiginosi anche senza di me.
Anche senza la gentilezza di Glenwing. Anche senza il sorriso di Fäolin.
La vita era profondamente ingiusta.
Un male che non aveva nulla a che fare con i dolori delle torture mi dilaniò il petto.
Fäolin.
Fäolin..
Oh no! Non dovevo, non dovevo davvero. Eppure gli argini che ero riuscita a impormi per tutto quel tempo, si ruppero. Prima una lieve crepa e poi cedettero, di botto.
Fäolin.
Chiusi gli occhi e mi lasciai travolgere dal suo ricordo. I suoi capelli così biondi da sembrare d’argento, lisci e lunghi fino alle spalle, raccolti sempre in una coda bassa; la sua pelle delicata; i lineamenti aristocratici; i grandi occhi blu, profondi come solo l’oceano doveva essere; le labbra morbide come petali di rosa, capaci di dare vita a stupende melodie; le mani gentili e lisce, che riuscivano ad intrecciare una ghirlanda di fiori nello spazio di tempo di pochi battiti di cuore. Fäolin che mi baciava, Fäolin che mi abbracciava, Fäolin che mi ascoltava, che mi capiva, che mi accettava, che mi voleva bene.
Poi rividi il suo corpo disteso a terra, le palpebre serrate, la bocca aperta in una muta richiesta di aiuto, la freccia nera stregata dalla magia dello Spettro conficcata nella sua gola.
La morte se l’era portato via e io non lo avrei rivisto mai più. Mi aveva promesso che ci sarebbe stato. Sempre.
Ma non aveva potuto mantenere la parola e la sua assenza mi bruciava come un continuo ed eterno groppo alla gola. Ispirai profondamente per trattenere le lacrime e i singhiozzi.
Forse era così che si era sentita mia madre alla morte del re Evandar. Era un dolore così profondo da cancellare ogni pensiero ed ogni speranza.
Io stavo cercando di combattere, era vero. Ma per cosa? Per un futuro? Come potevo pensare ad un futuro se anche solo l’idea di viverlo senza Fäolin mi pareva insostenibile? Come potevo guardare avanti e continuare a sperare, quando il mio più forte pilastro si trovava nel passato?
Così smisi di pensare, semplicemente. Mi abbandonai al dolore e mi lasciai cullare dalla sua forza distruttiva. Lo avevo rifiutato e ricacciato per troppo tempo e mi ero illusa di poterlo sconfiggere semplicemente spingendolo nell’angolo più recondito della mia mente. Ma come il fiume che restituisce sempre le sue vittime prima o poi, così aveva fatto il mio cervello. E il dolore non si era placato, no. Era marcito e si era accumulato. Dolore su dolore, cataste su cataste di materiale in putrefazione. Non ero in grado di contrastarlo, ero troppo, troppo debole.
Mi arresi.
Affondai il viso nella coperta di lana del mio giaciglio e cercai disperatamente il sonno. Quello era l’unico luogo dove i pensieri sbiadivano, fuori dal mio controllo, e i morti vivevano.
Fuggii da me stessa, debole e vulnerabile come mai in vita mia ero stata.
Mi venne la febbre. Un attacco feroce dal quale non seppi difendermi e che mi confuse la mente al punto che, nei miei vaneggiamenti e confuse visioni, mi parve di vedere per l’ennesima volta l’occhio bianco dallo spioncino della porta.
Biascicai una serie di parole, inutili minacce ed esortazioni a sparire.
Alla fine cedetti e mi addormentai.
Sognai mille morti. Volti di uomini che avevo ucciso, che ritornavano dalle ombre per sussurrare minacciosamente il mio nome, invitandomi a raggiungerli, minacciando di venire loro stessi a prendermi.
Mi svegliai più volte, fradicia di sudore e tremante.


[Durza]
Il sole non aveva ancora sfiorato lo Zenit e Durza avrebbe avuto ancora un bel po’ di questioni da sbrigare prima di potersi concedere un po’ di pace.
Lord Barst se n’era finalmente andato, doveva smettere di preoccuparsi. Ma la minaccia che gli aveva lanciato quel maledetto prima di partire continuava a tormentarlo.
Se avesse riferito al re che le sue torture non erano sufficienti, Galbatorix avrebbe potuto pretendere che l’Elfa fosse portata al suo cospetto per occuparsene lui stesso. E quello avrebbe rovinato tutti i suoi piani.
Si sedette stancamente alla massiccia scrivania di legno, afferrando di malavoglia il pacco di pergamene, che conteneva i rapporti dei propri uomini sul territorio intorno a Gil’ead, che lui governava e gestiva per conto di Galbatorix.
Era stato quello il premio che il sovrano gli aveva riservato per averlo aiutato ad assumere il potere. Durza pensava di meritarsi come minimo di regnare su una buona metà di Alagaësia, visto che senza di lui Galbatorix sarebbe rimasto solo un pazzo senza speranza. Lui lo aveva guidato nel sottomettere il suo nuovo drago nero, senza di lui non sarebbe mai riuscito a piegare al suo volere nemmeno uno dei cuori dei cuori di drago che erano in suo possesso. Lui ci sapeva fare con le anime degli esseri, era un potere che gli avevano dato gli Spiriti che avevano fuso la loro coscienza con la sua, lo stesso potere che gli permetteva di controllare il volere degli Urgali.
Già, anche senza i suoi Urgali il re si sarebbe trovato parecchio in difficoltà.
Meritava decisamente più della metà di Alagaësia.
Unì le mani davanti al volto e tornò col pensiero al giorno in cui il re era riuscito a strappargli il giuramento che ancora lo teneva vincolato a lui.
«Io so che stai cercando disperatamente qualcuno che odi e che il tuo cuore gronda vendetta. Una volta diventato re di queste terre, io potrò offrirti ciò che desideri su un piatto d’argento».
«E perché non subito?» aveva chiesto lui, impaziente.
«Dovrai fidarti di me» era stata la risposta. «Però ho bisogno di un paio di garanzie..»

Le garanzie si erano rivelate essere dei giuramenti di obbedienza che lui, accecato dalla prospettiva di poter avere immediatamente la propria vendetta, aveva impulsivamente accettato e pronunciato.
Ovviamente il re non aveva tra le mani l’uomo che lui stava cercando, aveva semplicemente sfruttato la sua debolezza, lasciandogli la garanzia futura che, finita la guerra, lo avrebbe certamente catturato.
Aveva trovato lui stesso l’uomo che gli interessava, diversi decenni più tardi. Ma purtroppo si era reso conto della sua vera identità quando quello gli era ormai sfuggito. Lo aveva inseguito ed era riuscito solo ad ottenere una delle più cocenti sconfitte della sua vita, oltre che un graffio sulla sua spada. Non aveva fatto nulla per eliminarlo dalla lama, lo teneva lì, in bella mostra, come monito alle sue azioni passate.
L’uomo in questione non ce l’avrebbe mai fatta da solo, e in effetti era stata una donna misteriosa a favorirgli la fuga con la magia, tenendo impegnato Durza. Aveva impiegato decenni per scoprire infine l’identità di quella maga maledetta. Ma nel frattempo il suo uomo era riuscito a riparare presso i Varden e lì ancora viveva, addirittura in vece di loro capo.
Durza pensò con disgusto che il mondo non era nemmeno in grado di distinguere i cattivi, quando quelli si nascondevano tra loro. E Ajihad e la sua famiglia erano colpevoli di crimini orrendi, almeno quanto i suoi.
Sapeva di essere spietato, ma tutto era sacrificabile per lui. La sua vendetta veniva prima della sua stessa vita, lo doveva a se stesso. E a tante altre persone.
I muscoli delle spalle e del collo furono percorsi da uno spasmo. Quanto? Quanto avrebbe dovuto aspettare ancora?
Se all’inizio aveva accettato il comando del re nella speranza di poter raggiungere con facilità i propri obiettivi, ormai aveva perduto totalmente fiducia nelle sue vuote promesse.
Doveva essere cauto. Prima di tutto avrebbe dovuto assicurarsi la fedeltà del cavaliere dei draghi che sarebbe nato dall’uovo azzurro che purtroppo non era riuscito ad intercettare. Complottava da anni per riuscire a prendere il potere che era in possesso di Galbatorix e non appena avesse trovato il modo di svincolare dal suo giuramento, cambiando il suo vero nome, avrebbe rovesciato il suo regno e si sarebbe lui stesso impadronito del trono.
Era stanco di essere sempre secondo ed inferiore a qualcuno. Il gusto dolce-amaro del potere era troppo allettante per potervi rinunciare.
E se pensava che era stato lui stesso a rendere il sovrano così forte rischiava di impazzire per la frustrazione!
Hillr bussò alla porta e lo Spettro fu riscosso brutalmente dai suoi pensieri.
«Entra» comandò brusco.
L’uomo era uno dei pochi bifolchi che lo circondavano capace di leggere e scrivere, era lui che raccoglieva i rapporti su pergamena, lui che lo sostituiva durante i periodi di assenza. Era intelligente, capace e silenzioso, caratteristiche che Durza stimava parecchio nei suoi servitori.
«Mio signore, ho qui un altro rapporto».
«Di chi?»
Hillr gli porse un foglio di carta piegato in quattro. «Dell’unica persona che utilizza la carta invece della pergamena, signore».
Lo Spettro fece un mezzo sorriso. «Grazie».
L’uomo fece un rapido inchino e se ne andò.
Durza si dedicò alla lettura di quell’ultimo rapporto, decifrando agilmente la grafia graziosa e minuta, scritta in un codice noto solo a lui e al mandante, che avevano inventato tempo addietro per potersi scambiare messaggi con la certezza che nessun altro nel palazzo li avrebbe intercettati.
Durza,
Come mi avevi chiesto ho interpellato il nostro ospite. Ho fatto più fatica del previsto a riuscire a farmi dire ciò che volevo, è più astuto di quanto credessi. Devo confermare i tuoi timori, il tuo amico fraterno ha proprio intenzione di cercare di privarti di tutto il potere che hai e di sminuirti di fronte al suo re.

Lo Spettro sorrise del modo che utilizzava la sua spia per indicare Lord Barst, che certamente suo amico fraterno non era, dato che si odiavano cordialmente da quando si erano conosciuti. Aveva chiesto alla sua spia di trovare un modo per estorcergli più informazioni possibili sulle sue future intenzioni, e lei c’era riuscita benissimo. Era un’esperta in quello.
Non ti sopporta proprio e ha intenzione di fare ricadere tutte le colpe su di te, affermando che sei di polso troppo leggero e che non ti sei impegnato a sufficienza nel trattamento dell’altra tua ospite. Sta’ attento a ciò che fai.
Beh, l’avvertimento era giunto un po’ tardi dato che Lord Barst aveva appena abbandonato Gil’ead furioso come un calabrone stuzzicato. E riguardo “l’altra tua ospite”, cioè l’Elfa, stava cominciando a rassegnarsi. Era testarda, terribilmente testarda. E non avrebbe ceduto mai, ne era certo.
Se il re lo avesse ordinato, avrebbe dovuto portarla al suo cospetto e lasciare che se ne occupasse lui, con la forza infinita che i suoi Eldunarí gli fornivano e la sua indiscussa abilità nell’impossessarsi delle menti altrui.
No, l’Elfa doveva dare a lui le informazioni che custodiva come un’amante gelosa.
Gli era venuto un mezzo accidente quando Barst si era dimostrato disponibile ad approfittarsi di lei pur di riuscire a convincerla a parlare. Non era certo che la volontà di lei avrebbe retto fino a quel punto, e se le informazioni fossero passate al conte, era come se fossero già nelle mani del re.
Per quello si era affrettato ad intervenire. Per quello e perché non riusciva a tollerare un’azione simile. Poteva anche essere la creatura più spietata e priva di scrupoli di Alagaësia, ma le urla di sua madre quando i predoni li avevano catturati le ricordava benissimo. E non si era mai sentito in grado di poter compiere la stessa azione su una donna. Sapeva però che, se si fosse abbandonato alle voci grondanti di odio dei suoi spiriti, sarebbe stato capace di fare qualsiasi cosa.
Durza serrò la mascella, cercando di dominare la rabbia e l’impotenza.
Perché i suoi piani parevano sempre destinati a fallire?
Doveva assolutamente riuscire a muovere dei passi avanti dalla sua situazione. E il primo e necessario era convincere l’Elfa a vuotare il sacco. E dato che né le parole melliflue né la tortura erano serviti a granché, avrebbe cercato di conquistarsi la sua fiducia.
Rise piano di se stesso. Non sarebbe stato facile per niente, lei lo odiava con tutte le sue forze e non sarebbe mai stata disposta a cambiare la sua posizione. Doveva essere l’uomo che le aveva fatto più male al mondo.
Quella non era l’unica soluzione. Avrebbe sempre potuto cercare di entrare nella sua mente, ma era restio a farlo perché le sue difese gli sembravano molto forti e perché lui, nonostante l’assistenza delle coscienze dei tre spiriti che abitavano in lui, non era molto abile in quei giochetti. La sua coscienza era piuttosto controversa: una continua lotta tra lui e i suoi ospiti, che al momento sbagliato potevano cedere per capriccio e eludere il suo controllo. Era diventato molto abile a dominarli, ma talvolta sfuggivano ancora al suo dominio, anche se lo avevano aiutato parecchio ai tempi in cui aveva piegato le menti degli Eldunarí per il suo re.
Non voleva rischiare di attaccare la mente dell'elfa.
Eppure fu proprio ciò che si ritrovò a fare. Ma non subito e neppure quello stesso giorno.
Prima si perse a ricordare i rari e brevi momenti in cui il viso di granito della sua prigioniera assumeva qualche espressione, ricordandogli che in fondo era una donna, viva, reale.
E poi pensò al momento in cui lei aveva appoggiato il viso contro di lui -il naso freddo contro il suo collo- subito dopo averla salvata dall’intento di Barst, solo pochi giorni prima, come se lui potesse nasconderla da tutti i mali del mondo, lui che era la causa dei suoi. L’aveva sentita tremare tra le sue braccia, fragile come una foglia al vento. Per un assurdo istante aveva desiderato veramente proteggerla da tutti i mali del mondo. Più tardi aveva riso di se stesso e dei suoi stupidi sentimentalismi. Lui e l’Elfa non potevano fare altro che odiarsi e lui sarebbe stato costretto ad ucciderla se lei si fosse rifiutata di parlare. Anzi, per essere specifici avrebbe dovuto ucciderla anche dopo che avesse parlato.
Ma in fondo a lui non importava nulla. Non gli piaceva quella donna. Era l’esatta antitesi di ciò che era lui, rappresentava gli ideali che lui non avrebbe mai seguito, l’altruismo che lui non avrebbe mai avuto.
Tutto ciò da cui si era allontanato da lungo tempo.
Forse era per quello che non riusciva a non provare una certa curiosità nei suoi confronti.
Non andò a torturarla quel giorno, non se la sentiva. I suoi spiriti invocavano sangue e dolore, ma Durza si chiuse in se stesso, allontanando il fastidioso vociare delle creature.
Pensò che sia lui che l’Elfa avessero diritto ad una pausa dopo la liberazione della funesta presenza di Lord Barst.
Tornò nella sua cella la mattina dopo.
E la condizione in cui trovò la sua prigioniera ebbe il potere di mandarlo nel panico più totale.


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Ciao a tutti e bentornati! :D
Allora, vi è piaciuta la narrazione con un po’ di pensieri di Durza? Spero di non aver fatto troppa confusione in quel punto, vi ho imbottiti di nuove informazioni.
Se c’è qualcosa di poco chiaro fatemelo presente, grazie ;)
Baci,
Lalli
  
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