Io dovrei essere a studiare, ora, ma chissenefrega. Sapevo di dover
scrivere questa Bakuryu,
quindi neanche la genetica è stata capace di fermarmi. Eh, io mica voglio
deludere i miei lettori. E poi questa raccolta mi sta particolarmente a cuore, data la coppia amorevole. ♥
Inizialmente
avevo intenzione di fare qualcosa di fluff-comico
ma, siccome la mia testa bacata fa il contrario di ciò che voglio, sono
arrivata a scrivere qualcosa di introspettivo
(angst?). E vabbè, accontentatevi. Ultimamente
sono così tanto incasinata che non so neppure da che parte sono girata. Wow.
La
prima parte della storia riguarda un flashback,
quindi ecco spiegato perché nell’icon qui a fianco
compare Sandra bambina. Finalmente
voi lettori conoscerete i genitori di
Sandra (tranquilli, non sono schizzati come la figlia) o, per meglio
dire, almeno verranno introdotti. Diciamo che avranno un ruolo di rilevante
importanza nella raccolta, ecco. ♥
Io
li immagino così e così. Ovviamente queste sono immagini di come sarebbero da
giovani, ancora prima della nascita di
Sandra. Però almeno vi fate un’idea di come sono, no? Inoltre, ho scritto
questo capitolo mentre ascoltavo questa canzone, che ho individuato come
tematica per la famiglia di Sandra. Non so, per me è perfetta per loro. ♥
Ci
tenevo a dedicare questo capitolo alla mia Famiglia,
in particolare a Aki, Cre e
Koh! Buona lettura a tutti! ♥
Ottava Settimana:
Ricordi
La bambina dai
capelli azzurri gonfiò le guance a palloncino, mentre una smorfia di disappunto
si dipingeva sul suo volto latteo. Scoccò un’occhiata di fuoco nei confronti
dell’uomo che le stava di fronte, puntando i suoi occhi ghiacciati in quelli
smeraldini dell’altro.
«Perché non
posso venire con te, papà?» protestò la piccola, per poi afferrare il mantello
del padre e strattonarlo più volte con forza – un gesto infantile e buffo che
suscitò una certa ilarità nell’adulto, che a stento soffocò una risatina
divertita. «Voglio partecipare anche io alla missione!».
Il Capopalestra di Ebanopoli si
chinò all’altezza della figlia e curvò le labbra in un sorriso carico di
dolcezza, quando le scompigliò i capelli con affettuosa giocosità. Il volto
della sua piccola era rosso e iroso, contratto in un’espressione di profonda
rabbia. Per quanto il suo carattere fosse piuttosto indomabile, specie quando
faceva i capricci, la trovava a dir poco adorabile. «San, è troppo pericoloso. Non
voglio che ti faccia male».
«Ma io non
voglio restare qui» sbuffò Sandra, rifiutando le carezze gentili del genitore.
Strinse le piccole mani in due pugnetti, furibonda come non mai. «Voglio venire
con te!».
Edgar scosse la
testa, mentre dalle sue labbra sfuggiva un sospiro esasperato. Per quanto
adorasse il carattere determinato e irruente della pargola, in quel frangente
lo considerò come un ostacolo fastidioso e difficile da superare. Conosceva
bene il sangue del suo sangue e sapeva benissimo che difficilmente avrebbe
retrocesso: pur di ottenere ciò che desiderava per capriccio, non avrebbe
esitato a seguirlo anche senza il suo permesso. Sebbene fosse un’infante di
pochi anni di vita, aveva già dimostrato in passato di essere in grado di
compiere simili gesti – cosa che aveva suscitato lo stupore e al contempo l’ira
del suddetto papà.
«Non puoi
lasciare sola la mamma» le ricordò, giocando la carta del sentimentalismo e del
legame che correva tra madre e figlia. Toccando quel punto sensibile del suo
animo, forse l’avrebbe convinta a restare a Ebanopoli
e attendere il suo ritorno. «E poi qualcuno deve pur proteggere il paese, no? E
tu sei l’unica in grado di farlo».
L’orgoglio della
bambina crebbe a dismisura, come da previsione del Domadraghi.
Con gli occhi luccicanti di gioia e di entusiasmo, annuì con vigore,
mostrandosi combattiva come non mai. Suo padre stava riponendo enorme fiducia
in lei, affidandole perfino famiglia e cittadini! Non avrebbe potuto desiderare
di meglio.
«E va bene, lo
farò» esclamò la piccola, mostrandosi però ancora insoddisfatta. L’idea di
dover trascorrere le giornate al fianco della madre Draigen
senza potersi allenare con il suo Maestro la disturbava alquanto. Ammiccò con
un cenno di capo al piccolo Pokémon al suo fianco,
mentre le sue labbra si curvavano nell’accenno di un sorrisetto beffardo. «Horsea ed io proteggeremo il villaggio, ma solo perché ti
voglio bene».
Ed entrambi
scoppiarono a ridere fragorosamente, prima di abbracciarsi un’ultima volta con
calore e affetto.
«Che
cosa stai guardando, San?».
La
giovane donna sobbalzò per lo stupore, colta alla sprovvista da quella domanda
inaspettata. Volse il capo verso la porta, dove sulla soglia si trovava un Gold
sorridente e felice come non mai. A quanto pareva, non aveva sentito il suo
arrivo. Magari aveva perfino bussato alla porta, eppure lei era stata troppo
concentrata sui suoi ricordi da isolarsi da tutto ciò che la circondava.
Il
suo volto si dipinse di un’espressione radiosa, mentre il suo sguardo si
fondeva con quello carico d’affetto dell’altro. Scrutò quegli occhi color miele
con una certa curiosità, per poi confrontarli con quelli smeraldini dell’uomo
che compariva in un’immagine dell’album fotografico che ancora reggeva tra le
mani. Non si mostrò stupita, quando constatò come il suo ragazzo e suo padre
fossero così simili tra loro. Seppur fieri e di animo nobile, erano dotati di
un’innata sensibilità e di grande dolcezza – caratteristiche che l’avevano
sempre attratta e che amava con tutto il cuore, sebbene lo avesse sempre omesso
per orgoglio.
«Sembra
un album dei ricordi, a giudicare dalla copertina» dedusse l’Allenatore, non
udendo alcuna risposta dalla parte della Capopalestra.
Una volta avvicinatosi a lei, aguzzò la vista, per poter scorgere ciò che la
sua fidanzata osservava con tanto interesse. La sua espressione, per quanto
assorta e beata fosse, tradiva una certa tristezza.
«Stavo
pensando di aggiornarlo con nuove fotografie» confessò lei, riscuotendosi dai
suoi pensieri. Cominciò a sfogliare le pagine sottili e ingiallite di quel
libro prezioso, osservando di sfuggita quelle immagini ormai antiche
raffiguranti frammenti del suo passato. «E ho cominciato a riguardare le
vecchie, così, per curiosità».
Mai
avrebbe ammesso davanti al suo caro che, invece, a spingerla a rievocare gli
anni trascorsi era stata la malinconia. Per quanto alcuni scatti suscitassero
il suo divertimento, in quanto buffi ed esilaranti, un’ombra di tristezza era
calata sul suo cuore. Senza farsi cogliere in flagrante dal suo amato,
accarezzò il volto di suo padre con un dito, ammirando la determinazione che si
leggeva in ogni suo gesto, in ogni sua posa, in ogni sua espressione.
«Quelli
sono i tuoi genitori?» domandò ingenuamente Gold, ammiccando con un gesto del
capo alle figure giovani di Edgar e Draigen. «Somigli
tanto a loro».
Sandra
sondò l’espressione dell’Allenatore, in quel momento assorto nello studio di
tutti quelle fotografie che si presentavano davanti a lui. Annuì
impercettibilmente, dopo aver scorto gioia e curiosità dipinte sul suo volto.
«Un
giorno mi piacerebbe conoscerli» esclamò di conseguenza lui, per poi invitarla
a sedersi al suo fianco sul divano. «Non li ho mai visti, fino ad ora, e non mi
hai mai parlato di loro».
Effettivamente,
lei non lo aveva mai fatto, per riservatezza. L’idea di parlare a Gold dei suoi
genitori non le aveva mai sfiorato la mente neanche per un secondo. Tuttavia,
non si mostrò affatto stupita di fronte a quella legittima curiosità. Dopotutto,
era diritto del ragazzo conoscere quelli che – con tutti i se e i ma di rito –
forse un giorno sarebbero diventati i suoi suoceri.
«Un
giorno ti farò conoscere mia madre, allora» ridacchiò la giovane donna, mentre
nella sua mente già si formava la prima fantasia di un ipotetico incontro con
tra le genitrice e il ragazzo. «Ti piacerà, vedrai. Sarebbe felice di fare la
tua conoscenza».
Draigen avrebbe gradito sicuramente l’idea di
incontrare e confrontarsi con colui che aveva preso possesso del cuore di sua
figlia. Dato il carattere del suo compagno, poi, la Domadraghi
dava quasi per certo che sarebbe piaciuto alla madre. Forse lo avrebbe messo
inizialmente in soggezione, ma tutto si sarebbe risolto con una risata e la
tensione sarebbe svanita come d’incanto.
«E
tuo padre, invece?» chiese ingenuamente lui, urtando – seppur non volendolo – l’animo
della futura Maestra Drago.
Lo
sguardo della ragazza tornò a posarsi sul volto di quell’uomo che un tempo era
stato il suo modello. Un’ombra di tristezza opacizzò le sue iridi color
ghiaccio, tramutando immediatamente la sua gioia in antico dolore. Le sue
labbra curve in un mesto sorriso preoccuparono alquanto il giovane, che temette
di aver compiuto un atroce errore ponendo quella domanda.
Prima
che lui potesse scusarsi e farsi perdonare, la Capopalestra
posò un dito sulle sue labbra morbide, costringendolo a non fiatare. «Il fatto
che non sia qui e non possa presentartelo non significa necessariamente che sia
morto» mormorò tutt’un fiato, mostrandosi improvvisamente fiera e seriosa come
non mai. Incrociò le braccia al petto e sollevò lo sguardo verso il soffitto, come
per non permettere al fidanzato di leggere ciò che traspariva dai suoi occhi mentre
parole tristi sgorgavano a fiotti dalla sua bocca. «Manca a Ebanopoli da un bel po’ di tempo, ormai. È partito per una
missione quando io avevo solo undici anni circa. Nonostante avesse promesso a
me e a mia madre che sarebbe tornato presto, fino ad ora non l’abbiamo visto. C’era
perfino stato un momento in cui avevamo pensato che fosse morto».
Edgar
aveva anteposto la sicurezza del suo paese a ogni cosa. Quando era piccola, Sandra
aveva più volte ascoltato i suoi discorsi di pace e speranza con una certa
ammirazione, incantata dalle sue parole toccanti. Eppure, mai avrebbe pensato
che quell’ideale di benessere sarebbe stata la rovina della sua famiglia. Sua madre
e lei erano persone forti e erano state in grado di cavarsela perfettamente da
sole, ovviamente, però la mancanza di quell’uomo, di quella guida e del suo
sorriso era impossibile da ignorare.
«Per
fortuna un giorno mia madre ha ricevuto una chiamata da parte sua, così abbiamo
saputo che non avrebbe mai più fatto ritorno da noi. Anche adesso sta facendo
il guardiano a non voglio sapere cosa. In questi dodici anni non mi sono
minimamente interessata agli sviluppi della loro missione e ho lasciato che
fosse mio nonno a farlo» proseguì, alzandosi
poi dal divano ove era seduta e avviandosi verso la finestra, per guardare il
panorama primaverile che si stagliava davanti ai suoi occhi. «So che i miei
genitori si tengono sempre in contatto via telefono, però mi sono rifiutata
categoricamente di parlare con lui. Io sto ancora aspettando il suo ritorno e
non intendo accettare l’idea che forse lui rimarrà lì dov’è per sempre».
Le
braccia di Gold avvolsero inaspettatamente il suo corpo, stringendolo con
dolcezza. Lacrime calde accennarono a sgorgare dagli occhi della Domadraghi, mentre il suo ragazzo la cullava e cercava di lenire
il forte dolore che avvertiva nel petto. Ricambiò quel contatto con un certo
vigore, sentendo l’urgenza di averlo al suo fianco, di essere certa che almeno
lui fosse lì e che non se ne sarebbe mai andato. Non te ne andare, avrebbe voluto sussurrargli, se solo non avesse
temuto di singhiozzare da un momento all’altro.
Le
labbra dell’Allenatore cercarono le sue, intrappolandole in un bacio lieve e
carico di promesse taciute. Quel contatto intimo bastò per sugellare quel
giuramento silenzioso, che testimoniava la loro eterna unione. Lui non sarebbe
mai partito, non sarebbe mai svanito nel nulla, a differenza di come aveva
fatto suo padre. Bastò questa certezza per permettere alla Capopalestra
di scacciare ogni pensiero oscuro e di dedicarsi solo al suo grande amore.
«Giusto
per cambiare argomento» mormorò il ragazzo sulle sue labbra, ridacchiando
divertito tra sé e sé. «Eri già bellissima da piccola. E molto buffa, anche. Un
amore».
«Smettila
di dire ovvietà» replicò l’altra, tra una carezza e l’altra, mostrandosi
leggermente scocciata di fronte a quell’affermazione. «È ovvio che io fossi divina
anche da piccola, no? Si nasce così, non lo si diventa. Comunque sia, ora
abbiamo molto da fare».
«Che
cosa?» domandò l’altro, facendosi curioso. Mai si sarebbe aspettato una simile
affermazione da parte della sua bella, o almeno non in quel momento. «Vuoi
combattere proprio ora?».
Sandra
sospirò, portandosi una mano al viso e scuotendo il capo con vigore. «Ma no,
idiota» mugugnò, per poi afferrare la macchina fotografica dal tavolo e
sbattergliela praticamente in faccia. «Abbiamo un album di ricordi da riempire
con la nostra storia».
«Ci
sto. Basta solo che non cominci a metterti in pose provocanti e invitanti» - altrimenti potrei saltarti addosso, avrebbe
voluto aggiungere, ma optò per il silenzio.
E,
dopo avergli assestato un leggero schiaffo sulla nuca, la futura Maestra Drago
si unì alla sua fragorosa risata.