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Autore: Fea91    02/11/2007    1 recensioni
Serse, re di Persia, attacca la Grecia con un esercito passato alla storia come uno dei più grandi che si siano mai visti: a difendere quel lembo di terra, culla della cultura e di ogni arte, resta solo un manipolo di disperati, capeggiati dal comandante Leonida. Ma essi non sono soldati qualunque; sono Spartani, e combatteranno fino alla morte per difendere la loro terra.
Dienecene x Astinos, Slash, One-shot
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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480 a.C. - Battaglia delle Termopili

Serse, re di Persia, attacca la Grecia con un esercito passato alla storia come uno dei più grandi che si siano mai visti: a difendere quel lembo di terra, culla della cultura e di ogni arte, resta solo un manipolo di disperati, capeggiati dal comandante Leonida. Ma essi non sono soldati qualunque; sono Spartani, e combatteranno fino alla morte per difendere la loro terra.



+Dienece e Astinos+




Era notte.
La quiete tutt'attorno, tra le nude e scoscese pareti di roccia divenute ormai familiari, era per Astinos preziosa quanto rara.
Solo quando il sole era calato da un pezzo e la luna splendeva alta nel cielo, infatti, gli attacchi dell'esercito persiano cessavano per qualche ora, lasciando agli uomini sfiniti il tempo di riposare le membra e riprendere fiato.
Era allora che il ragazzo posava finalmente la lunga lancia e il grande scudo a terra, imbracciati al sorgere del sole e mai tolti per tutto il corso della giornata. Le truppe di Serse infatti, si succedevano l'una all'altra senza tregua, martellando la tenace ma esigua resistenza spartana come cavalloni che si infrangono furiosamente sugli scogli.

Etiopi, vestiti di leopardo, che colpivano da lontano con freccie dalla punta in pietra tagliente.
Asiatici, coperti da pelli di capra e armati di bastoni, pugnali e micidiali lacci, con i quali stroncavano il fiato di un uomo in gola in pochi istanti.
Traci delle steppe, coronati di copricapi in pelo di volpe, Indiani dalle lunghe tuniche di cotone, Persiani stessi, vestiti di lamine e cotte in maglia.
Astinos aveva visto più meraviglie in quei pochi giorni che in tutta la sua giovane vita.
Persino i leggendari Immortali, guidati dal comandante Idarne e temibili più ogni altra schiera, li avevano attaccati. Diecimila soldati d'èlite, scelti fra tutti per formare la guardia personale del grande Serse.
Ma i figli di Sparta, sostenuti dalle parole e dal coraggio di Leonida, non si erano arresi: con la forza del loro sangue e delle loro spade li avevano ricacciati indietro, umiliati e sconfitti dinanzi al loro Re.
Mai prima d'allora un simile affronto era stato inflitto a colui che veniva adorato come dio tra gli uomini.

Le perdite però avevano coplito gravemente anche i lecedemoni ; suo padre, il grande Artemis, guerriero esperto e capitano fidato dello stesso Leonida, era morto gloriosamente, ponendosi sulla traiettoria di una una lancia diretta al ragazzo.
Nonostante Astinos sapesse che ora suo padre sedeva assieme ai grandi eroi spartiati di ogni tempo, caduti come lui della morte più nobile, non poteva fare a meno di provare una fitta straziante al pensiero di esserne stato lui la causa: continuava a ripensare al corpo freddo del padre fra le sue braccia, e alle ultime parole che egli gli aveva sussurato tra gli spasmi di dolore:

-A presto, figlio mio.-


Già, a presto.
Sarebbero morti tutti alla fine, lo sapevano da quando erano partiti giorni e giorni prima, abbandonado per sempre le amate e brulle colline spartane e il fiume Eurota: quello era un viaggio senza ritorno, era un viaggio verso l'Ade.
Eppure, quando Leonida li aveva chiamati a sè, avevano risposto tutti senza esitazioni, seguendo il loro re verso la morte. Il sacrificio in battaglia, per difendere la Grecia intera, era l'unica morte che un vero spartano potesse accettare, e desiderare.
Guardò il grande scudo posato al suo fianco, sui cui erano incise le effigi dei suoi avi, lo scudo che lo aveva protetto e riparato per tutto il giorno, e ripensò alle parole della madre Eritre quando alla sua partenza glielo aveva consegnato tra le mani:

-Va' figlio mio, e torna da me o con questo, o sopra di questo.-

Torna a Sparta o vincitore o morto.
Ma il disonore della sconfitta, quello no.


Astinos continuò a fissare il cerchio concavo di metallo, grande abbastanza da contenere il corpo di un uomo, mentre un sorriso gli si disegnava sulle labbra e una sola, singola lacrima, sfuggiva dai suoi occhi e scendeva lenta a bagnare il giovane viso. Suo padre era morto, e presto l'avrebbe raggiunto anche lui: non sarebbe mai tornato da Eritre, nè avrebbe mai rivisto la città per cui stava andando a morire.
Avrebbe semplicemente lottato fino alla fine insieme ai suoi compagni, per il suo re, per la gloria eterna.
Così doveva essere.

Però, prima che sorgesse il sole ad illuminare quella che sarebbe stato il suo ultimo giorno, c'era un'ultima cosa che doveva fare.

Raccolse lo scudo e le armi, e stancamente si sollevò.
Iniziò a cercare, in mezzo ai corpi stesi e rannicchiati dei guerrieri che si mescolavano con i cadaveri dei morti, la figura che in quel momento accupava con ansia la sua mente. Non sapeva nemmeno se lui fosse ancora vivo o morto, perchè dopo la battaglia con gli Immortali nessuno aveva avuto ancora il tempo di stimare le perdite: si ritrovò a pregare Afrodite, la dea dell'amore, di concedergli un'ultima volta insieme.
Poi sarebbe morto da uomo felice.

Giunse fino all'entrata dell grande spaccatura che era il Passo delle Termopili, e che presto sarebbe divenuta la loro tomba.
Qui, poggiato al limitare del passo, la schiena alla Grecia e lo sguardo rivolto al mare e all'esercito si Serse, trovò finalmente ciò che stava cercando.
La figura di Dienece, alta e muscolosa, si stagliava contro la roccia nell'oscurità rischiarata dalla luna. I capelli, lunghi e in parte raccolti in trecce come quelli di ogni spartano, ricadevano sporchi ma comunque bellissimi sulla larga schiena e sulle spalle coperte di cicatrici vecchie e recenti.
Astinos ringraziò dentro di sè gli dei per avergli permesso di trovarlo ancora vivo, e si avvicinò alla figura silenziosa.

-Astinos- disse quello, senza nemmeno voltarsi.

Il ragazzo sorrise. -Come hai capito che ero io, Dienece?-

-So sempre dove sei, lo sai.- Si voltò, fissandolo con un'espressione che spinse l'altro ad avvicinarsi ancora. -E poi ti aspettavo.-

Astinos sorrise.

Lo raggiunse e posò le armi a terra. In quel momento, anche se per poco, non esisteva più nè la guerra, nè Serse, nè il suo dannato esercito; esistevano solo loro due. Si guardarono negli occhi per qualche istante, consapevoli entrambi che quella era la loro ultima notte insieme.
Poi Dienece allungò le braccia e strinse Astinos a sè, come tante volte prima d'allora aveva fatto, e l'altro lo ricambiò con altrettanto ardore e disperazione; mai come in quel momento quel gesto tra loro aveva voluto significare così tante cose.

-Sai che tu sei l'amico, fra tutti, a cui tengo di più, vero Astinos?-

-Si, lo so..-

-E che mai ho amato nessuno quanto te?-

-Si.-

-Bene.- Dienece sorrise, il viso affondato nei capelli dell'altro -Ora Serse può anche venire ad uccidermi, se vuole.-

-Non dire così, ti prego.- Astinos strinse il proprio amato più forte tra le braccia, carezzandogli lentamente la schiena e il capo con le mani forti e ruvide, allenate al combattimento e non alla dolcezza. Dienece era l'unico con cui avesse scoperto cosa significava desiderare di essere gentili e delicati, desiderare di donare all'altro tutto il piacere e l'amore possibili.
Essi avevano trovato l'uno nell'altro tutto quello che non avevano mai avuto: l'affetto di una famiglia, la complicità di un fratello, la passione di un amante e il lealtà di un compagno d'armi, pronto a dare la vita per proteggere la tua. Erano rimasti fianco a fianco per anni, sin da quando, ancora bambini, li avevano separati come ogni altro giovane spartano dalle rispettive madri per iniziarli all'addestramento militare, che si sarebbe concluso solo al compimento del loro ventesimo anno.
Mancavano ancora tre anni a quella data, eppure ora loro erano lì a combattere con la vita per quella terra che amavano.


In qull'abbraccio erano racchiusi tutti questi sentimenti, che avevano condiviso in quei lunghi dieci anni insieme, durante i quali il legame che li univa si era evoluto e rafforzato, fino a portarli davanti alla morte ancora fianco a fianco.
Si scambiarono un bacio, sfiorandosi appena le labbra. Poi un'altro, e un'altro ancora, una serie infinita che pure non pareva ancora sufficiente, mentre lentamente si adagiavano sulla nuda terra, che aveva visto il loro sudore e il loro sangue; si strinsero l'uno all'altro come a volersi fondere in un'unico essere, quella notte, pregando che l'alba non arrivasse mai.
Eppure le loro preghiere non furono ascoltate.


Un sole freddo e distante sorse ad illuminare il terzo giorno di combattimento.
I suoi raggi implacabili mostrarono agli uomini, sfiancati dalle armi e dalla fatica, una verità terribile: nella notte, guidati dal traditore Efialte, i persiani avevano percorso il sentiero di capre che aggirava il Passo, sbaragliando le poche truppe focesi che Leonida aveva incaricato di presidiarlo e giungendo così alle loro spalle.
Erano finiti. Ben presto sarebbero stati attaccati su due fronti ed inevitabilemente sbaragliati.
Eppure, sui volti laceri e sfregiati, non si leggeva la disperazione, bensì la rabbia e l'orgoglio: sarebbero morti gloriosamente, da veri figli di Sparta, fissando i nemici dritti negli occhi e portandone quanti più possibile nella tomba con sè.

I corni persiani suonarono.
Astios e Dienece si schierarono fianco a fianco, le armi in pugno e i grandi scudi fieramente sollevati, pronti a portare per l'ultima volta la formazione oplitica all'attacco. Quello era il loro addio: si erano già detti tutto ciò c'era di importante, ora entrambi speravano solo di morire per primi, così da non dover assistere alla morte dell'altro.

Un messaggero di Serse di fece avanti, in groppa ad un magnifico cavallo dal manto candido, e parlò in un greco dall'accento terribile:

-Il Gande Re vi dimostra ancora una volta la sua divina generosità, spartani, concedendovi il privilegio di un'ultima possibilità! Arrendetevi ora e sottomettetevi a lui. Solo così potete sperare di salvare le vostre vite!-

Nessuno dei guerrieri si mosse, simili a grandi statue di eroi antichi. Nessuno parlò.

-Allora? Accettate di consegnare le armi?- chiese il messaggero spazientito, faticando a tenere a freno il cavallo, probabilmente non abituato all'odore del sangue e della battaglia, ma solo a quello delle lussuose scuderie reali.

Solo allora uno dei guerrieri in prima linea, cinto da un grande elmo crestato e possente più di ogni altro, si fece avanti e parlò:
-Io sono Leonida, inviato di Serse, re degli spartani e uomo libero. Nessuno costringerà mai un libero greco che sia realmente tale ad inchinarsi di fronte ad un altro uomo, nemmeno se esso è il grande Re dei re in persona. Quindi torna dal tuo Serse e riferiscigli ciò: mi chiede di consegnare le armi? Ebbene, che venga a prendersele!-
E detto questo, si riposiziono in formazione, tornando così a creare un muro di scudi apparentemente impenetrabile.

-Non siate sciocchi. Siete circondati ormai! Leonida! Pensa alla vita dei tuoi uomini...pensa che puoi salvarli da una morte inutile!-
Silenzio.
-Leonida!- Non ricevendo ancora alcuna risposta, il messo scosse la testa e girò il cavallo.
Tanto peggio per quegli stupidi se desideravano morire! Nessuno poteva resistere alla potenza del Supremo tra i re...e Leonida non si rendeva conto di non essere altro che un misero granellino insignificante per Serse. Il suo sacrificio sarebbe stato perfettamente inutile.


Di lì a poco l'attacco ebbe inizio.
Fu terribile: migliaia di guerrieri, simili ad un fiume in piena, si abbatterono con violenza sul piccolo gruppo di Spartiati rimasti. Essi ressero l'assalto per qualche tempo, finchè i guerrieri ancora in piedi furono un numero troppo esiguo per mantenere il muro oplitico.
La barriera di lance appuntite iniziò a cedere in più punti, fino a quando, sotto l'irruenza di un'ultima decisiva ondata, essa crollò completamente. Ogni guerriero si ritrovò ben presto isolato dagli altri, accerchiato da un muro di nemici e costretto ad un corpo a corpo impari.
Ad uno ad uno caddero tutti, combattendo fino allo stremo, trafitti da ogni lato dalle spade avversarie.

Dienece e Astios lottarono schiena a schiena fino alla fine, morendo trapassati dal medesimo giavellotto, che li colpì tanto violentemente da passare da parte a parte entrambi. In questo modo, come avevano sperato, nessuno dei due ebbe il tempo di accorgersi della morte dell'altro.
Essi crollarono al suolo, le schiene poggiate l'una all'altra, sostenendosi ancora una volta nella morte come avevano sempre fatto nella vita.
Infine, almeno l'ultima delle loro preghiere era stata ascoltata.


-Oh Viandante, di pure a Sparta
che qui siamo morti,
per non venir meno ai suoi ordini-
Simonide
  
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