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Autore: xEsterx    13/04/2013    3 recensioni
Los Angeles.
La los Angeles delle corse clandestine, delle notti illuminate a giorno.
La los Angeles dove anche al destino piace giocare, unendo fuoco e ghiaccio senza che il fuoco si estingua o il ghiaccio si sciolga.
Ma addirittura si diverte nel vedere come i due riescano a compensarsi, uno alleviando l’eccesso dell’altro. Perché alla fine il fuoco capisce che bruciare e distruggere non è l’unica cosa di cui è capace, e il ghiaccio scopre che sotto di sé, come protetta, la vita riposa silente e indisturbata, per rinascere rigogliosa, ogni anno e per sempre.
Genere: Azione, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Aquarius Degel, Scorpion Kardia
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Razionalmente parlando, quella che si presentava dinanzi a Degel in quel momento era una situazione che non lasciava spazio a scelta alcuna. Perchè non c'era da scegliere tra l'andar via di lì o fare qualsiasi altra cosa che in confronto alla prima sarebbe stata dannatamente stupida e insensata: doveva solo gioire per l'immenso colpo di fortuna, aprire la saracinesca e darsela a gambe, senza valutare altre opzioni. Per questo non riusciva a spiegarsi il motivo per cui stesse ancora lì in piedi a fissare come un idiota quel ragazzo che sembrava soffrire le pene dell'Inferno.
Muovetevi, dannazione... Muovetevi... Ripeteva alle proprie gambe per indurle a vincere quella forza invisibile che le stava inspiegabilmente tenendo immobili.
Sebbene impegnato da questa lotta interiore, Degel non potè fare a meno di interessarsi al ragazzo che aveva davanti, e vide che, nei suoi rantoli, Cardia stringeva la canottiera in corrispondenza del cuore: doveva sicuramente trattarsi di un attacco cardiaco. La mente stanca, ma ora stimolata, dello studente trovò così un barlume di lucidità e cominciò a lavorare a pieno ritmo, cercando e smistando le informazioni nei cataloghi del proprio cervello, per analizzare tutti gli indizi che riusciva a ricavare da un'analisi superficiale dei sintomi di Cardia.
L'agonia del ragazzo non durò più di cinque o sei secondi, che perse conoscenza cadendo con la faccia a terra. A quel punto, quella che un attimo prima non era da considerarsi nemmeno una scelta, ora era diventata un vero e proprio dissidio interiore: il Degel ragionevole e a cui era cara la propria pelle gli stava intimando di cogliere l'occasione e allontanarsi da quel ragazzo il prima possibile, mentre il futuro medico lo persuadeva che se non lo avesse aiutato subito avrebbe mancato al suo dovere, e con un peso sulla coscenza così avrebbe fatto meglio a trovarsi un'altra strada per il futuro.
Ma la sua vocazione per la medicina e per la figura professionale che sognava di diventare, riempiva la maggior parte del suo essere, e così, senza aspettare un secondo di più, si fiondò verso l'Americano disteso a terra e, per quanto i polsi ancora ammanettati e l'ingente peso di Cardia glielo rendessero difficile, cercò di girarlo supino.  
Però, non appena gli toccò la pelle con le mani, l'istinto fu quello di ritrarle subito, perchè gli sembrò quasi di scottarsi. Così, dopo averlo toccato nuovamente ed essersi accertato che non era stata solo un'impressione, rimase per un attimo interdetto dalla quella stranezza, sicuro di non aver mai visto nè letto di una patologia simile. Quella temperatura superava di sicuro i quaranta gradi e non capiva come questo potesse collegarsi al palese attacco cardiaco che aveva fatto perdere i sensi a Cardia. Ma, consapevole che ogni secondo poteva essere fatale, smise di pensare e si affrettò a premere le dita sulla carotide del ragazzo per accertarsi dell'effettivo arresto del cuore. L'assenza di pulsazioni della vena gli diede il via libera di agire, e così poggiò i palmi, uno sopra l'altro, sul punto esatto del torace per effettuare il massaggio cardiaco. Gli odori di benzina e olio del garage si mescolarono a quello non meno acuto delle carni di Cardia, solleticandogli le narici e provocandogli un brivido lungo la schiena.
Respirò a fondo, preparandosi ad iniziare la manovra.

Uno, due, tre, quattro...

Contava e comprimeva senza perdere il ritmo, scaricando il proprio peso, tramite le spalle e le braccia tese, sul corpo del ragazzo, proprio come aveva imparato.
...Cinque, sei, sette...
Si morse le labbra. Inconsciamente sperava che Cardia si svegliasse prima della fine delle quidici compressioni, così da non dover essere costretto ad eseguire, prima del secondo ciclo, la respirazione bocca a bocca.
Avvampò alla sola idea.
Non aveva mai avuto problemi con nessuno quando si trattava di salvare una vita, ovvio, nemmeno con il più bavoso dei vecchietti, per cui non si trattava di ribrezzo, ma non aveva tempo per starci a pensare.
...Otto, nove, dieci, undici...
Ancora nessun segno di conoscenza. In compenso, il proprio cuore stava lavorando per entrambi, tanto i battiti erano frenetici.
...Dodici, tredici, quattordici...
Il cuore riprese a battere sotto i suoi palmi.

Degel si arrestò di colpo, per evitare possibili danni, e con le mani ancora sul petto di Cardia, sentì che la temperatura del ragazzo stava diminuendo di parecchio, tanto da non costituire più una seria minaccia per la sua salute. Sebbene confuso da quella che era a tutti gli effetti una patologia a lui sconosciuta, liberò un lungo e profondo sospiro, sollevato e tremendamente stanco, mentre Cardia schiudeva le palpebre.
Avrebbe voluto stendersi, addormentarsi e dimenticare tutto, dall'arresto dei poliziotti alla corsa in auto, ma gli occhi interrogativi di Cardia, ora spalancati, lo distolsero dai suoi assurdi propositi.
-Cosa è successo?- chiese lui con voce flebile, mentre si sforzava di rizzare la schiena.
Degel si ritrasse un poco, ma mantenne un cipiglio determinato nello sguardo. In quel momento, per la prima volta da quando si era visto costretto a subire la presenza di quell'americano, sentiva di poter avere qualche possibilità di prendere il controllo della situazione: Cardia era lì a terra, debole, e aveva scampato la morte solo grazie al suo intervento. Era come avesse una sorta di potere su l'americano, adesso, cosa che lo aveva portato a salire qualche gradino e mettersi al suo stesso livello.
Quindi rispose con fermezza, non nascondendo un certo compiacimento nel farlo: -Ti ho appena salvato la vita.-.
Cardia strabuzzò gli occhi, e si mise a sedere aiutandosi con il braccio -...E' successo di nuovo.- mormorò poi tra sè e sè mentre si massaggiava il viso con le mani.
-Forse è meglio che torni a stenderti, Cardia...-.
-Quanto tempo sono stato... senza sensi?-.
Degel ci pensò su un attimo, scuotendo la testa -...Uno o due minuti, non di più.-.
Cardia lasciò andare l'aria che aveva trattenuto mentre attendeva la risposta, sollevato da quello che aveva appena sentito, e, ignorando l'avvertimento ricevuto un attimo prima, si alzò in piedi.
Degel lo imitò, prendendo poi a fissarlo con occhi indagatori, e vedendo che quello gli voltava le spalle per trascinare i suoi passi verso la Crysler, sbuffò irritato.
-Ce connard!*-. Cercò di incrociare le braccia al petto, ma le manette glielo impedirono e la cosa lo mandò ancora più in bestia.
Cardia si voltò, storcendo il naso a quelle parole di cui evidentemente non aveva capito il significato ma poteva intendere il senso, e prese a muovere passi lenti ma minacciosi verso lo studente.
Questo non indietreggiò neanche di un passo, per niente spaventato. L'ingratitudine di Cardia lo stava mandando su tutte le furie; perchè una cosa era certa: se lui non fosse intervenuto, con un attacco di cuore di quell'intensità Cardia non avrebbe scampato una carenza d'ossigeno che gli sarebbe stata di sicuro fatale. D'accordo, un medico dovrebbe fare il suo dovere per semplice obbligo morale e professionale e non per pretendere gratitudine, ma lui la laurea non l'aveva ancora presa e, diamine, a tutto c'era un limite.
-Un 'grazie' non sarebbe troppo sgradito...-.
Cardia allora ridacchiò, soffiando aria dal naso, mentre arrestava il proprio incedere ad un passo dal suo impertinetente interlocutore. Non ribattè, o almeno, non ancora.
L'altro, motivato dal suo silenzio, riprese e con ancora più fervore, sbraitando senza controllo: -Diamine! Invece di cogliere l'occasione e andarmene, sono rimasto a respirare la tua puzza e ho evitato che morissi in uno squallido garage! Je ne peux pas croire que tu es tellement ingrat et merde!**-.

Quello che poi seguì le proprie parole, lasciò Degel di stucco. E non tanto per la cosa in sè, quanto per la tranquillità e calcolata freddezza con cui Cardia parlò e agì. Solamente un lampo strano nello sguardo fece da eco al suo essere infiammato, che ora però sembrava essere quasi del tutto inghiottito da un buco nero di sentimento. Gli si fiondò contro investendolo con il suo odore e la sua imponenza, quindi gli afferrò la catenella delle manette e la tirò in alto fino a che le braccia magre di Degel glielo consentirono. E lui, con le braccia tese sopra la propria testa che non gli davano modo di difendersi e il fiato corto per la precedente sfuriata, si ritrovò il viso di Cardia ad un ansito dal suo. Sentì le guance andargli a fuoco, ma diede testardamente la colpa alla collera di poco prima.
-Credimi...- gli soffiò lui con'intensità che gli raggelò il sangue -... E' il posto meno squallido in cui potrei morire.-.
Le labbra di Degel fremettero, cercando di formulare qualcosa di sensato, ma l'unica cosa che ne fuoriuscì fu un gemito strozzato.
Spiazzato da quelle parole, vomitate come veleno, desiderava con tutto il cuore che Cardia si allontanasse da lui il prima possibile, così da non essere costretto a sostenere ancora quella strana espressione e quegli occhi foschi, finestre dell'inferno.
Cardia respirava lentamente e solo dopo qualche secondo che a Degel sembrò durare un'eternità si decise ad allontanarsi un poco dal suo viso; smise pure di tirargli al limite le braccia, che avevano già cominciato a formicolare, ma non lasciò ancora la catena delle manette. Degel era troppo preso dal fissargli la faccia per notare che l'americano aveva portato la mano ad estrarre la pistola dai pantaloni, e realizzò le sue intenzioni solo quando gliela puntò sopra la testa. Sobbalzò per lo sparo, che data la vicinanza gli fece fischiare le orecchie, e subito le mani gli caddero indolenzite lungo i fianchi. Non appena riuscì a smaltire un poco lo sgomento così da cominciare a realizzare che il proiettile aveva colpito e rotto la catena, Cardia gli aveva già voltato le spalle per raggiungere velocemente la Crysler.
-...Merci.- Fu poco più di un sussurro, per lo più non tradotto, mormorato con lo sguardo basso e la voce tremolante.
Per un paio di secondi, Cardia restò immobile davanti allo sportello dell'auto, la mano sulla maniglia. Poi la fece scattare con forza, e aprì. -Sparisci e non farti più vedere.-.
Con queste parole, sputate con una freddezza che pareva inconciliabile con la passione del suo carattere, si congedò da Degel, il quale stette immobile dov'era a fissarlo mentre entrava in macchina e faceva retromarcia verso la saracinesca che si stava alzando, diffondendo nella stanza il suo rumore metallico. Mosse solo due passi strascicati per togliersi dalla traiettoria dell'auto e lasciarlo uscire dal garage. Una volta fuori, la macchina accelerò di botto e con una sgommata sparì dalla sua vista.
Degel si sentì piombare nello smarrimento, sconcertato da come erano andate le cose e dalla velocità con cui si erano concluse, lasciandolo lì con un palmo naso, e ci mise qualche secondo di troppo per accorgersi che la saracinesca aveva cominciato ad abbassarsi e che doveva muoversi se non voleva rimanere intrappolato lì dentro.
Corse fuori chinando la testa per non sbatterla contro il metallo, ma una volta nel vicolo fu investito in pieno da una strana e dirompente sensazione.
All'improvviso, e per la prima volta da quando aveva messo piede in quella città, Degel sentì di avere freddo.

***

Ignorando quella che da debole sensazione si era tramutata prima in inquietudine e poi in pieno malessere fisico e mentale, nascose alla bell'e meglio i bracciali delle manette sotto le maniche della giacca e si affrettò ad allontanarsi da lì. Così prese a camminare velocemente per uscire il prima possibile da quel vicolo angusto e maleodorante, ripercorrendo la strada fatta poco prima con l'auto. Non appena fu illuminato dalle luci aranciate dei lampioni e vide aprirsi davanti agli occhi una larga strada e un ampiò sprazzo di cielo, notò che stava sorgendo l'alba.
Era diversa, l'alba di Los Angeles, da quella della sua Parigi, rosea e delicata nonostante lo smog. E nel fissare il cielo, ebbe la certezza che il Fuoco si stava proprio divertendo a non dargli tregua: prima avviluppandosi all'animo di Cardia, ed ora palesandosi in quell'alba così simile ad un incendio rovente. Non ricordava di aver mai visto qualcosa di simile in nessun posto che aveva visitato, se non al tramonto: nel basso orizzonte (dove palazzi più radi, confinanti con il deserto fuori città, gli permettevano di vedere) si dispiegava una sottile ma densa coltre marrone scuro, avvolta da un intenso alone cremisi. Sopra di questo, si diffondevano in strati tutte le gradazioni del rosso e dell'arancio, dalla più scura alla più chiara, fino a sciogliersi nell'azzurro ancora scuro del resto del cielo. Il sole non riusciva a vederlo, probabilmente coperto da qualche edificio o ancora nascosto sotto l'orizzonte, ma il veloce mutare dei colori gli suggeriva che si stava muovendo abbastanza in fretta, e che tra non molto, forse un paio d'ore, si sarebbe fatto giorno.
Ma osservare scorci pittoreschi non giovava per niente alla situazione in cui si trovava, che giudicò presto pessima: da solo, in un quartiere di periferia semideserto, senza un soldo e senza la più pallida idea di dove andare. Si guardò intorno per cercare di orientarsi, ma la tensione durante la corsa in auto non gli aveva dato modo di memorizzare o anche solo prestare attenzione alla strada che Cardia stava percorrendo. Pieno di sfiducia e inzuppato di pessimismo, l'unica cosa che potè fare fu incamminarsi nella direzione dalla quale credeva fossero arrivati.
In lontananza, udiva le sirene delle volanti della polizia, molto probabilmente ancora intente nella loro caccia all'uomo, ma erano troppo distanti per raggiungerle.

Camminava circospetto e timoroso e man mano che avanzava aveva l'impressione di stare addentrandosi sempre più in quel quartiere anzichè allontanarvisi. Le strade si facevano più strette, e i palazzi -quasi tutti bassi e di colori chiari- più numerosi e vicini tra loro. Ben presto alla desolazione più totale si sostituirono qua e là, per lo più agli angoli delle strade ancora immerse nel buio, figure per niente edificanti di uomini ubriachi o senza tetto,  accompagnate da brusii in quella lingua che oramai era in grado di riconoscere come messicano. Più volte si sentì osservato da cupi sguardi indagatori che gli misero i brividi, come quando, senza volerlo, si soffermò un secondo di troppo vicino a due tizi che avevano tutta l'aria di scambiarsi qualcosa che nascondevano nelle tasche dei propri giacchetti logori.

Trascinava un passo dopo l'altro, stanco e abbattuto, cercando di rimanere in strade spaziose e di non inoltrarsi in vicoletti angusti, ma più svoltava angoli e più il malumore cresceva: si sentiva tremendamente in pericolo, avendo da sempre saputo che a Los Angeles, nelle ore notturne, persino il centro città era un posto da evitare, figurarsi quartieri dismessi come quello. E non potè fare a meno di maledire il giorno che tardava a fare il suo ingresso, perchè era sicuro che la situazione sarebbe volta per il meglio con l'apertura dei negozi e il trafficarsi delle strade ora deserte.
Per di più, non ricordava di aver mai desiderato come il quel momento una bella doccia fresca ed un letto comodo in cui stendersi e dormire. Era distrutto e reso ancora più debole dalla fame; forse riusciva a tenersi ancora in piedi unicamente per istinto di sopravvivenza, ora che oltre alla stanchezza fisica, gli era crollato addosso tutto il peso psicologico delle emozioni e dello stress accumulati in quella notte, non più sostenuto dall'adrenalina della tensione.

Qualche minuto più tardi, un forte e sgradevole odore di cucinato, probabilmente cipolle, che fuoriusciva dallo scantinato di un edificio arrivò ad invadergli le narici. Soffocò un conato, disgustato, e si accorse di essere giunto in una zona residenziale poco illuminata. Convenì che l'essersi affidato all'istinto per ritrovare la strada non era stata una buona scelta, così arrestò i passi, appoggiandosi con la schiena al muro per cercare di conservare le poche forze rimaste, mentre chiedeva al proprio cervello un ultimo, disperato sforzo.
Di chiedere informazioni non se ne parlava: il suo buon senso gli raccomandava addirittura di non incrociare gli sguardi lugubri delle persone che lo fissavano, figuriamoci chiedere loro aiuto. Gli squallidi locali che aveva visto erano tutti ancora chiusi, a parte un paio di night club che però aveva superato da un bel po', e servirsi di una cabina telefonica era impossibile, dato che durante la perquisizione lo avevano privato di ogni centesimo.
Affidò all'aria numerose imprecazioni dirette a Cardia, perchè la colpa di quella dannata situazione era unicamente la sua. Se la sfortuna, infatti, non avesse condotto quel ragazzo nella sua stessa cella, a quest'ora Degel sarebbe al sicuro dentro il letto di un dormitorio, dopo aver passato parecchio tempo a ridere assieme al dottor Ackroyd sul grancio preso dalla polizia.

Quasi si era sentito più al sicuro nell'auto in corsa guidata da Cardia che nelle strade di quel quartiere, ma non ebbe il tempo di ammetterlo a se stesso che la sua attenzione venne richiamata da una voce alle sue spalle.

Degel allora si voltò di scatto e si ritrovò davanti agli occhi un uomo sulla quarantina dalla barba incolta e con addosso una logora tuta sportiva. Puzzava tremendamente di alcool e fissava Degel con occhi vacui e lucidi. A tale vista, il ragazzo trasalì ed indietreggiò di qualche passo.
-Oye... Tienes un cigarrillo?***- biascicò quello, avanzando verso di lui.
Degel perse uno o due battiti cardiaci, immaginando chissà quale minaccia si nascondesse in quelle parole: l'incredibile debolezza fisica e mentale lo rendeva terreno fertile per attacchi di panico.
-Non... non capisco, scusa...- balbettò in inglese, e non passò un secondo che già aveva preso a correre senza prestare attenzione a dove si stava dirigendo, deciso solo a mettere più distanza possibile tra lui e quel messicano ubriaco.

Quando il fiato cominciò a mancargli tanto da costringerlo a fermarsi, il sole aveva finalmente cominciato a percorrere il suo viaggio nel cielo.
Le tinte fosche e cupe avevano lasciato posto ad un biancore soffuso, ovattato dallo smog cittadino, e la cosa non potè non strappare al ragazzo un sospiro di sollievo, anche per il rumore di alcune auto che avevano cominciato a circolare nelle vicinanze.
Passato lo spavento, tornò in sè armandosi di speranza, e addirittura esultò di gioia quando si accorse che, dall'altra parte della strada, un tizio aveva appena aperto un negozio di materiale elettrico. Così Degel attraversò di corsa la strada con l'intenzione di fiondarsi all'interno del negozio per chiedere aiuto a quella che pareva una persona umile ma rispettabilissima.
Se solo non fosse stato per... quel riflesso.

Il buio all'interno della vetrina del negozio faceva sì che le immagini fuori vi si riflettessero come in uno specchio.
Si arrestò a guardare se stesso e non potè non storcere il naso a quel ragazzo che pareva essere nella stessa situazione di uno straccio consunto. I suoi bei vestiti sembravano essere appena usciti da un cassonetto, tutti stropicciati, puzzolenti, e con quella grande macchia violacea di succo al mirtillo sulla camicia; il carico di stress accumulato, poi, non gli aveva dato certamente la migliore delle cere.
Aggrottò le sopracciglia, stupito da quella figura in cui non riusciva a riconoscersi, e non era per le occhiaie violacee e il colorito pallido che gli davano un aspetto cadaverico, ma per qualcosa più in profondità, invisibile ad un'occhiata veloce o superficiale.
Si avvicinò ancora di più al vetro, concentrandosi prima sul viso, per poi focalizzarsi sugli occhi, isolandoli dal resto, conscio che era proprio lì che c'era qualcosa che non andava.
Infatti, gli occhi che erano riflessi nella vetrina erano ben diversi da quelli che conosceva. Si trattava poco più di un baluginìo, di una scintilla che vibrava dietro una spessa coltre di ghiaccio. Era come se, reduci dalla notte più emozionante di tutta la loro vita, avessero vissuto finalmente e veramente per la prima volta, abituati da sempre a guardare quello che era solo un pallido riflesso della vita.
Ora, in quel blu sempre così inanimatamente freddo, poteva vederci una vibrazione liquida dal sapore tiepido, e fortunatamente riuscì a scacciare dalla propria mente, prima che prendesse forma, l'idea che l'essere investito da tutte le dirompenti fiamme di un ragazzo conosciuto poche ore prima, avesse lasciato un segno indelebile nel suo animo.








*Ce connard! = Che stronzo!
**Je ne peux pas croire que tu es tellement ingrat et merde! = Non posso credere che tu sia così ingrato e stronzo!
***Oye... Tienes un cigarrillo? = Ehi, hai una sigaretta?

... Chiacchiere...
Lo so, lo so, è un capitolo un tantino noioso, ma ogni tanto quelli di transizione servono. :)
Cardia non lo vedremo per un pochino, chissà cosa starà combinando, quel ragazzaccio! Vi lascio pensare al riguardo e vi dico che l'attesa sarà premiata, ecco. u.u (o almeno lo spero xD) Come sempre ringrazio tutti quelli che ancora leggono, facendomi tanto felice <3 Ma soprattutto ringrazio quelle care ragazze che continuano a commentare, nonostante tutto, e mi incoraggiano a continuare: se non fosse stato per voi avrei smesso da un bel pezzo, dico sul serio! Leggere le belle cose che mi scrivete e sapervi così appassionate da questa fic fa tanto piacere, grazie! Ogni volta che vedo un commentino mi si apre il cuore <3 (allora forse dovrebbe essere così   <   3 *viene presa a calci per il discutibile umorismo*).
Poi, beh, sono consapevole di aver perso tanti lettori a causa dei miei tempi lunghissimi nell'aggiornare, perchè capisco che è frustrante starmi dietro, ma faccio il massimo, sul serio, per cui scusatemi!
Tra l'altro, mi sono accorta solo qualche giorno fa dei lettori che hanno aggiunto la storia nelle preferite e nelle seguite, per cui ringrazio di cuore anche voi, e mi scuso di essermene accorta solo adesso e non avervi ringraziato prima tramite messaggio privato! No, perchè a 'ste cose ci tengo! :)
Bacini.




  
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