Ultimo aggiornamento? 31/01/13.
SONO UN MOSTRO UGGHH. E questo capitolo è assolutamente un orrore e io… io… io…
vado. *striscia in un buco e ci rimane a piangere*
XII: Un accordo, un
aggressione e un piccolo mistero
Erano
passati quattro giorni dal risveglio di
Pitch e dal suo interrogatorio.
I
Guardiani, di fronte alla ferma decisione di North, avevano desistito
dall’intenzione di torchiare l’Uomo Nero e strappargli con le cattive maniere
quante più informazioni possibili, lasciando il compito al Guardiano della
Meraviglia.
Dopo quella
decisione nessuno dei Guardiani si era più fatto rivedere al Polo Nord, e la
cosa aveva sconfortato North: comprendeva benissimo quanto fossero tutti
impegnati e, ancor più di quello, quanto fossero arrabbiati con lui e lo strano
trattamento di riguardo che aveva riservato a Pitch. Il Guardiano sapeva
benissimo che la soluzione in quel caso era una sola: lasciar sbollire la
rabbia. Tuttavia, c’era una situazione spinosa da risolvere, e riguardava
proprio Pitch.
L’Uomo
Nero era vivo per una ragione. L’Uomo sulla Luna gli aveva salvato la vita, il
che voleva dire che il suo acerrimo nemico doveva avere un’utilità per i
Guardiani, per i bambini di tutto il mondo, un’utilità che non poteva
consistere soltanto nell’essere una fonte di informazioni, era una cosa di cui
North era sicuro.
Ma i
segnali di Manny, i dubbi degli altri Guardiani e le sue stesse supposizioni
non potevano risolvere la strana situazione di stallo in cui North si trovava:
voleva parlare con Pitch, e soprattutto voleva che l’altro lo ascoltasse, e lo
considerasse non come un Guardiano né come un nemico, ma come un suo pari. Ma
era pur sempre Pitch, e prenderlo per il verso giusto sembrava impossibile.
Serviva un
idea.
E in
quei quattro giorni North ne aveva maturata una, una potenziale soluzione a una
buona parte dei problemi dei Guardiani, che possedeva tuttavia una vistosa
pecca: poteva benissimo non funzionare. Tuttavia, non aveva nulla da perdere
nel provare a metterla in pratica.
North si
alzò dalla grande poltrona del suo ufficio, impugnò le sue due fidate sciabole,
una per mano, e uscì dal suo ufficio.
Gli yeti
che lo incrociarono strada facendo si scansarono rapidamente alla vista della
sua espressione, né fecero domande su dove andasse così armato e minaccioso: lo
intuivano.
Una
volta arrivato di fronte alla camera degli ospiti che fungeva da prigione,
ordinò agli yeti di guardia di aprire. Gli Abominevoli Uomini delle Nevi, di
fonte alle sciabole sfoderate ed impugnate e all’espressione battagliera di
North si scambiarono delle occhiate ansiose, ma ubbidirono senza fiatare e
aprirono la porta.
Oltre la
soglia, nonostante l’abbondanza di luce esterna, la camera era immersa in una
penombra fitta, sebbene non abbastanza da permettere la fuga al suo prigioniero.
North esaminò attentamente la camera apparentemente vuota e, nonostante i
richiami preoccupati degli yeti, azzardò qualche passo all’interno.
- Vedo
che hai dato un tocco di personalità alla tua nuova dimora eh, Pitch? – chiese,
e un vago sorriso gli solcò le labbra. Inizialmente, ad accogliere la domanda
vi fu solo il silenzio. Poi, una voce parlò:
- La tua
mancanza di gusto in fatto di arredamento è un autentica tortura per i miei
occhi, North. Il non fare qualcosa al riguardo mi avrebbe ucciso. Almeno per
quel che riguarda l’illuminazione… – North
si voltò, e il suo sguardo incontrò quello irritato dell’Uomo Nero, nascosto
dietro la porta, a pochi passi dietro di lui. - …Hai scelto il peggio del
peggio per apposta per me, immagino. –
Pitch
era riuscito a sbarazzarsi del maglione natalizio. Al suo posto, indossava una
tunica nera, simile a quella che indossava di solito ma meno scollata, in modo
da nascondere le fasciature che ancora portava. Gli yeti dovevano aver sudato
sette camice prima di riuscire a trovarne una così simile, pensò North. Gli
abiti che Pitch indossava quando Jack l’aveva portato al Polo Nord avevano
degli squarci così ampi da non risultare riparabili e trovare qualcosa di
rassomigliante si era rivelata un impresa molto ardua per i pelosi aiutanti di
Babbo Natale.
- Cosa
vuoi, North? – chiese Pitch con fare sospettoso, allontanandosi di poco dal suo
aguzzino, gli occhi che guizzavano dal suo viso barbuto alle sciabole
impugnate, e un’espressione sospettosa dipinta sul volto magro.
- Sono
venuto a fare due chiacchiere. Solo questo. – disse North in tono tranquillo,
avanzando ancora nell’oscurità, le sciabole impugnate solo con i pollici, come
a dimostrare all’altro che, nonostante fosse armato, non era venuto con cattive
intenzioni. Pitch assottigliò gli occhi, notando l’impugnatura sulle sciabole
ed intuendo un ‘ma’ nel discorso.
- Anzi…
- con un movimento fulmineo, North serrò la presa sull’impugnatura di una delle
spade, e puntò la lama contro Pitch che indietreggiò con la stessa rapidità,
gli occhi sbarrati dalla sorpresa e un po’ dalla paura, la punta dell’arma a
pochi centimetri dal suo naso – …Sono venuto a fare molte chiacchiere, Pitch. – disse, deciso.
-
Mettiti comodo. Abbiamo un bel po’ di argomenti su cui discutere. –
*
Silenzio.
Dopo
aver pronunciato quella parola, nella stanza avvolta nella semioscurità era
calato il silenzio più assoluto. Dopo aver pronunciato quella fatidica parola
che da cinque giorni gli frullava nella testa, North si era ritrovato a
trattenere il fiato.
Alleanza.
Lui,
Nicholas St. North, aveva appena chiesto alleanza a Pitch Black.
Devo essere fuori di testa. Si disse in quell’interminabile
istante …Forse.
Proprio
in quel momento si ritrovò a pensare che forse la sua idea non era poi così
geniale come credeva. Come a conferma del suo sospetto, Pitch era rimasto in
silenzio, un espressione imperscrutabile a nascondere possibili emozioni, lo
sguardo che continuava ad andare dal volto ansioso di North alla sua mano tesa,
desiderosa di suggellare l’accordo. North aveva decine di argomenti a suo
favore. In quei cinque giorni ci aveva pensato e ripensato, li aveva formulati
sotto forma di discorsi centinaia di volte, cercando di immaginare le possibili
reazioni di Pitch, ogni sua possibile obiezione, e si era preparato ad
aggirarle tutte, a convincerlo.
Ma non
aveva calcolato quel silenzio. In quell’istante, tutti i suoi argomenti più
forti gli sembrarono meno validi di una scusa infantile.
Non accetterà mai. Pensò di nuovo, sconfortato.
Gli
occhi di Pitch continuarono ad andare da quella mano tesa a quel volto tanto
odiato, ed infine si fermarono su quest’ultimo. Ispirò impercettibilmente.
- Che
ragioni avrei per allearmi con voi? – chiese a mezza voce. North non riuscì a
percepire sarcasmo, o astio, o qualunque altro sentimento celato dietro quella
domanda. Pitch l’aveva posta senza alcuna inflessione nella voce, inespressiva
come il suo volto.
Come se
non si aspettasse nulla.
North
abbassò la mano, gli occhi ancora fissi su quelli del suo prigioniero, un
espressione grave sul volto. Di argomenti ne aveva a palate, ma in quell’esatto
istante, di nuovo, non sembrarono abbastanza.
Perché abbiamo un nemico in
comune. Perché Manny ti ha lasciato vivere, e Manny sa sempre cosa fa. Perché
sei debole, e non ce la farai mai senza di noi. Perché per quanto forti e
determinati, siamo ancora impreparati. Perché non siamo coscienti di cosa
stiamo affrontando, ma tu forse si.
Perché puoi sicuramente aiutarci.
Perché voglio sapere cosa ti ha
realmente spinto a tradire Crysis. Cosa ti ha spinto a fare qualcosa che non
avresti mai fatto.
Perché…
Perché voglio credere che ci sia
ancora del bene nel tuo cuore. E lo voglio trovare.
- ‘Il
nemico del mio nemico è mio amico’, dicono. – disse
North lentamente. Fece una pausa, e abbassò per un istante lo sguardo sulla
mano destra, intenta a giocherellare nervosamente con l’impugnatura intarsiata
della sciabola, che dal ruolo di arma era passata a quello di giocattolo
antistress – Non posso dire di poter vedere le cose dal tuo punto di vista, né
di sapere le tue ragioni, ma credo di poter immaginare i tuoi sentimenti. – non
rialzò gli occhi, ma sapeva che Pitch lo stava ancora osservando con quello
sguardo inespressivo.
- Hai
scelto un nemico. Ti sei schierato contro Crysis, e, come ha detto tu, lei te
l’ha fatta pagare. Non voglio suonare arrogante, ma… posso immaginare come la
cosa ti faccia sentire. Posso immaginare che tu… desideri vendetta. –
L’omone
rialzò lo sguardo, incontrando nuovamente quello dell’Uomo Nero: - Giusto? –
-
Vendetta?... – la voce di Pitch tremò nel pronunciare quella parola.
Vendetta.
North
vide le sottili labbra dell’uomo stirarsi in un sorriso forzato. Pitch rimase a
fissare l’uomo di fronte a sé per qualche altro istante, senza muoversi. Poi
distolse lo sguardo e con un gesto nervoso si passò una mano tremante sul
volto, prorompendo in una risatina acida.
- Sei
divertente, North. – disse, e quel sorriso forzato si allargò, diventando un
ghigno inquietante. North rimase in silenzio, incerto. Pitch continuò: –
Davvero. Sei divertente. Adesso ti interessa se io voglia vendicarmi o meno.
Fammi indovinare, volete aiutarmi? –
disse, allargando appena le braccia.
North alzò
un sopracciglio: - Si? – azzardò con una nota di speranza nella voce.
Per
tutta risposta Pitch scoppiò a ridere: gli ci volle un po’ a calmarsi, ma il
Guardiano non fece una piega. - Oh, e come mai tutto questo interesse? –
continuò, continuando a sghignazzare. North finse di riflettere, accarezzandosi
la barba candida.
- Perché
abbiamo un nemico in comune, ora. – cominciò, cercando di scegliere le parole
migliori. Non era la più facile delle imprese: - Onestamente, ti conosco da
diverse centinaia di anni, non mi sei mai sembrato il tipo che ignora le offese,
e né mi sei mai sembrato particolarmente pacifico. E poi Crysis ti ha portato
via i tuoi Incubi. Quindi perché no? – mentre parlava, le labbra di Pitch si
erano stirate in un sorriso ancor più largo. Non sicuro se quella fosse una
reazione positiva o negativa, North sorrise speranzoso in risposta.
- E
perché si? –
- …Cosa?
– North rimase interdetto.
- Ho
chiesto, perché si? – ripeté Pitch,
continuando a sorridere in modo irritante: - Perché allearmi con voi? Io voglio
la vostra distruzione. Oh, certo, vorrei farlo con le mie mani, ma sai, sono
tempi duri per me e mi devo arrangiare come posso, quindi va bene che sia
Discordia a farlo al posto mio. Lei ha un potere immenso, molto più grande di
quanto possiate immaginare, e vi vuole abbattere. L’unica cosa che ho da fare è
rimanere qui nel mio angolino e guardarvi cadere uno dopo l’altro. –
La
risposta lasciò North a bocca aperta. Aveva considerato quella reazione. Aveva
anche sperato che l’ostinatezza e la voglia di rivalsa avrebbero sopraffatto
quel lato del suo carattere. Forse, si disse, maledicendosi per la sua
ingenuità, era stato troppo ottimista nel sperare che le cose avrebbero preso
la strada migliore per i Guardiani.
Strinse
le grandi mani in pugni: - E se noi le dicessimo che sei ancora vivo? Vorrà sicuramente finire il
lavoro, non credi? –
La
minaccia non sembrò sfiorare Pitch quanto North aveva sperato. Ma forse quella,
si disse il Guardiano, era solo una facciata. L’Uomo Nero si limitò ad alzare
le spalle ed incrociare le braccia: - Oh, certo. Mai lasciare le cose a metà, è
una regola d’oro per andare avanti. –
Tra i
due calò un silenzio che durò diversi istanti, istanti che North cercò di
impiegare al meglio per cercare di raccogliere altri argomenti a suo favore.
Certo, poteva ancora cercare di costringerlo. In fondo, l’Uomo Nero era suo
prigioniero…
Poi
Pitch, dopo un attimo di riflessione, disse:
- Dì la
verità, tu e i tuoi compagni non avete idea di cosa state affrontando, eh? –
North
corrugò le sopracciglia folte: - Dì la verità, non te l’aspettavi, eh? –
scherzò, sentendo un moto di nervosismo sul fondo dello stomaco. L’altro non
aveva idea di quanto perfettamente avesse colpito nel segno.
-
L’informazione non mi sa di nuovo. – disse l’Uomo Nero in tono sarcastico,
esaminandosi le unghie: - Ho saputo che l’Uomo sulla Luna ha nominato il quinto
Guardiano praticamente subito dopo aver saputo del mio ritorno. E il vostro caro,
prezioso Frost non mi è proprio
sembrato mister professionalità. A volte mi domando dove trova voi svitati,
perché sembrate venire tutti dallo stesso posto. –
Sorrise
quando North ribatté, offeso: - Non siamo noi gli svitati, lo sei tu! –
-
Indubbiamente. – asserì l’altro, atono.
Di nuovo
silenzio, più lungo e pesante di prima. La cosa cominciò ad irritare North.
Sapeva di dover essere cauto, ma…
-
Allora, vuoi allearti con noi o no? – sbottò, riportando l’attenzione
dell’altro su di sé.
Pitch corrugò
le sopracciglia: - …No. –
North,
che in un rinnovato moto di speranza aveva nuovamente teso la mano, lasciò
cadere il braccio, e tutta la delusione che provava e che finora aveva cercato
di reprimere trasparì di colpo dal suo viso. Si concesse qualche altro secondo
di pausa, nella disperata speranza che l’Uomo Nero cambi idea all’ultimo
istante, ma non ottenne nulla.
Avvilito,
si voltò e fece per andarsene, quando la voce di Pitch lo bloccò sul posto.
- No,
non voglio allearmi con voi. No, non
voglio neanche lontanamente considerare l’idea di potervi fornire una
qualsivoglia forma di sostegno, né che voi possiate fare altrettanto. Non
voglio neanche starvi vicino, e ovviamente aiutarvi in una battaglia da cui spero usciate sconfitti è l’ultimo dei miei pensieri. Ma. –
North lo
sentì prendere fiato, come stesse per dire qualcosa di incredibilmente
imbarazzante e avesse bisogno di un momento per prepararsi mentalmente: - Ma
Crysis è la fuori, e ha il controllo su ciò che fino a poco fa era il mio
esercito. L’ha reso più potente, e ti assicuro che quello che vedi adesso non
sarà comparabile a quello che vedrai tra poco. E non mi importa assolutamente niente
se le dici che sono vivo perché tanto, presto o tardi, lo scoprirà lo stesso, e
si muoverà per finire il lavoro. – Forse
penserà che ho rivelato ai Guardiani delle Creature senza Nome… non che
quell’informazione sia essenziale. Niente può distruggerle. - E ovviamente
vi schiaccerà come delle formiche. –
A
quell’ultima affermazione North si voltò, un’espressione decisa negli occhi
chiari: - Siamo formiche rosse,
Pitch. I nostri morsi sanno fare male. Noi non ci arrenderemo, non importa
quanto grande sia il nemico. –
- Ha.
Ha. Ha. Che bei paroloni, North. – Pitch alzò gli occhi al cielo con fare
irritato: - Degni di un Guardiano. –
North strinse
i pugni, studiando l’altro con un’espressione irritata. Dove voleva arrivare
Pitch con quelle provocazioni?
- Oh non
mi guardare così, mi fai paura. – disse l’Uomo Nero, fingendosi spaventato e mettendo
le mani avanti a mo’ di difesa. Poi tornò serio, e intrecciò le dita dietro la
schiena. Sempre seguito dallo sguardo di North, fece qualche passo, poi
continuò: - Normalmente la scelta migliore da fare per me sarebbe rimanermene
qui buono e tranquillo e aspettare l’inevitabile. È la soluzione più semplice,
magari anche la meno dolorosa. E si, so benissimo perché mi tenete prigioniero qui,
e francamente considerando il caratteraccio di quel sacco di pulci di
Calmoniglio non fatico a immaginare cosa teniate in serbo per me. È per questo
che lo dico. Ma ci sono due problemi. Primo: io non ho intenzione di morire
senza fare niente per evitarlo. –
La
durezza che Pitch mise in quell’ultima affermazione colpì North. Forse era la
sua immaginazione, ma ebbe l’impressione che fosse ben più di quello.
-
Secondo: ho delle faccende rimaste in sospeso con Crysis, e non sto parlando
soltanto di vendetta. Faccende che voglio sistemare il prima possibile. –
- Ma
senza i tuoi Incubi e con i poteri indeboliti, non ce la puoi fare giusto? –
continuò North. Forse non avrebbe dovuto sorridere considerando l’occhiata
truce con cui Pitch lo ricambiò, ma non riuscì a farne a meno.
- …E al
momento non riesco a pensare a un modo ottimale per raggiungere i miei obiettivi,
giusto. – completò l’altro.
- E
quindi?... – Pitch storse il naso. Avrebbe voluto tagliarsi la lingua per
quello che stava per dire.
-
Chiamala tregua, chiamala patto di non aggressione, chiamala ‘momentanea svista
da parte di entrambi visto che siamo nemici giurati e lo saremo sempre’, o quello che ti pare, ma non
chiamarla alleanza. Non siamo
alleati. Abbiamo un obiettivo comune, tutto qui. –
North
non trattenne un sorriso: - D’accordo. Non è un’alleanza. ‘Accordo’ va bene? –
-
Accordo di non intralciarsi- -
-
…Aiutarsi. – lo corresse North. Pitch alzò gli occhi al cielo.
- …Va bene. Aiutarsi a vicenda. Se
strettamente necessario. – per tutta
risposta, North sfoderò il migliore dei suoi sorrisi.
- Anche
in battaglia. Se noi ti aiuteremo, tu combatterai al nostro fianco. – North
vide Pitch storcere gli angoli della bocca in un’espressione di disgusto, ma
non denegare: - Se ci ritroveremo coinvolti in uno scontro con Crysis non penso
che riuscirò a sgattaiolare via tanto facilmente, quindi non credo di avere
scelta. –
- E
quindi… - per la terza volta quel giorno, North tese la mano verso Pitch.
L’Uomo Nero la fissò con un’espressione fra l’inquieto e il dubbioso, come se
si aspettasse di vederla trasformarsi in una tagliola se l’avesse afferrata.
Timore non infondato, considerando l’energia con cui North gli afferrò e gli
scosse la destra esitante in una stretta decisamente energica.
-
Suppongo che possiamo definirci d’accordo
ora? – sorrise l’omone, entusiasta.
-
Suppongo di si... – disse Pitch, cercando di mascherare la nota d’incertezza
nella voce. Un accordo verbale poteva anche andare, per il momento.
North,
dal canto suo, non si pose dubbi né si fece domande. Forse non era il caso di
sentirsi così su di morale, pensò, considerando che aveva appena stretto alleanza con qualcuno che avrebbe
probabilmente tradito lui e i suoi compagni alla prima buona occasione, ma non
riuscì a soffocare l’ottimismo.
Pitch
distolse lo sguardo: - Può andare. – concluse semplicemente, nascondendo la
vaga sensazione di disagio che provò nel sentirsi quello sguardo fin troppo
speranzoso puntato addosso. In fondo, era abituato ad essere guardato con paura
o riverenza, non con entusiastica aspettativa.
North
avrebbe voluto abbracciarlo. Rimase in silenzio per qualche secondo, stavolta
troppo eccitato per rimanere serio ed immobile, spostando il peso da un piede
all’altro e guardandosi attorno con finta curiosità. Pitch alzò gli occhi al
cielo: evidentemente l’omone di fronte a lui voleva qualcos’altro.
- Hai qualcosa da aggiungere? – chiese, senza
nascondere la sua irritazione di fronte a quell’atteggiamento tanto infantile.
North
smise di dondolare sul posto, ma non smise di sorridere.
- Uh… in
verità si. – disse in tono improvvisamente leggero, strofinandosi energicamente
i palmi delle mani. – Ho un favore da chiederti. Se ti va di ascoltarmi,
ovviamente. –
Pitch
alzò un sopracciglio, annuendo sospettoso. Forse, pensò, la sua idea di
accettare quell’accordo non era stata
poi così brillante come credeva, ma almeno adesso aveva la certezza di non
essere tenuto prigioniero per essere torturato –o peggio- soltanto per ottenere
informazioni.
Forse.
*
In
quattro giorni passati lontano dal palazzo di North, Jack aveva alacremente
svolto il suo doppio lavoro di combinadisastri e di Guardiano.
Aveva
speso la maggior parte del suo tempo in Europa e dintorni, approfittandone per
farsi sporadicamente vedere dai bambini, perché nel vecchio continente erano
ancora davvero in pochi a credere nella sua esistenza. Ovunque era andato, neve
e correnti fredde l’avevano accompagnato come amici fidati, coprendo di bianco
interi paesi come la Germania, la Francia e la Spagna.
Nonostante
la tentazione onnipresente, Jack non era più tornato al palazzo di North,
nemmeno per sapere come vanno le cose. Qualcosa gli diceva continuamente di non
avvicinarsi a quel luogo, e di rimanere fuori dai piedi finché la sua presenza
non fosse stata richiesta. Non era sicuro se era il caso di ascoltare quella strana
vocina nella sua testa che continuava a ripetergli quel concetto come un
mantra, ma aveva ubbidito. In fondo, aveva trovato anche delle ragioni per
farlo.
Il divertimento dei bambini prima
di tutto, no?
Alla
fine, si era sforzato di convincersi del fatto che non era necessario
preoccuparsi di nulla che non fosse un problema visibile e materiale, anche se
Pitch era un ‘problema’ che rientrava benissimo in entrambe le categorie. Nonostante
ciò, Jack si era ostinato ad ignorare al situazione, segretamente fiducioso del
fatto che le cose si sarebbero sistemate per il meglio in sua assenza. Insomma, stiamo parlando di North, no? E’ un
Guardiano, e lo è da molto, molto più di me. Sa cosa sta facendo. Anche se non
sempre sembra che sia così. O forse dovrei davvero smetterla di perdere tempo e
rendermi utile…
Tuttavia,
nessuna delle sue congetture risultò sufficiente a convincerlo a tornare al
Polo Nord.
Nei suoi
raid di neve e gelo, Jack si spinse fino al sud Italia, arrivando fino in
Sicilia, territorio in cui sapeva che non doveva mettere piede in quel periodo
dell’anno per evitare incontri spiacevoli con un certo petulante Spirito
dell’Estate che aveva l’abitudine di prendersela comoda nell’andarsene dai
territori che presiedeva. Tuttavia, quel giorno si sentiva abbastanza fortunato
da tentare.
Fu solo
dalle parti di Siracusa che si accorse di quanto disgraziata era stata la sua
scelta.
- Jaaaack… -
Il
Guardiano del Divertimento sentì un brivido gelido risalirgli su per la
schiena. C’era un solo essere capace di farglielo provare, escludendo Pitch e i
suoi Incubi. Si voltò lentamente e sorrise nervoso ad una ragazzina poco più
che tredicenne che sedeva su un grosso ramo di un albero secco, pochi metri
dietro di lui. Dietro di loro si estendeva una spiaggia di sabbia bianchissima
bagnata dalle deboli onde di un mare color acquamarina. Il cielo, che fino a
poche ore prima era stato terso e illuminato dal bel sole di metà novembre ora
era più scuro, ingrigito da lontane nuvole che promettevano pioggia, freddo e,
da lì a qualche settimana, neve.
June era
sempre la stessa. Piccola, bionda e riccioluta, abbronzata dal quel sole che
picchiava forte ovunque lei andasse, portava sempre lo stesso abitino di cotone
bianco, la solita coroncina di spighe di grano in testa, la solita faretra di
frecce e il micidiale arco allacciati sulla schiena e il solito, inquietante
–almeno per Jack-, sorrisino sul volto lentigginoso.
- Ehilà,
June… - Jack deglutì. Ma guarda chi si
vede…
Il
sorriso di June si allargò, svelando due file di denti bianchissimi e un
piccolo diastema al centro: - Ti stavo cercando! – esclamò entusiasta: - Ho
sentito il vento raffreddarsi un sacco e tutti quei nuvoloni e ho pensato: il Ghiacciolino si degna di farmi visita! E ho visto giusto! –
rise, saltando giù dall’albero e avvicinandosi a saltelli al Guardiano, che
rimase immobile, irrigidendosi.
- Behhh… - iniziò Jack per poi interrompersi, cercando di
riflettere. Oh cavoli, ma perché mi sono
dimenticato che lei è qui?! - …Non è che sono venuto proprio a fare visita. Diciamo che è per lavoro. Sai, è ora di
prepararsi per l’autunno! – In realtà
sarebbe ora di prepararsi per l’inverno, ma fa niente…
Fu un
solo istante, ma lo Spirito del Gelo comprese immediatamente di aver fatto un
passo falso quando vide il sorrisino della ragazzina affievolirsi. A June non
piaceva il cosiddetto ‘autunno’. Ella infatti ci teneva parecchio a quelli che
amava definire ‘gli ultimi malinconici giorni d’estate’ durante i quali
influenzava il tempo con tutto il potere di cui era capace, donando gli ultimi
sprazzi di luce e calore alle terre che visitava prima di lasciare spazio al
freddo, rigido inverno. Difficilmente perdonava coloro che rovinavano quei
momenti.
- Aha. In effetti quei nuvoloni… – asserì June e sollevò lo
sguardo al cielo, gli occhi chiari rivolti verso le grandi, scure nubi in
lontananza, un sorriso dubbioso sul viso tondo. – Jack? –
- Si? –
- Lo sai
dove siamo ora? – Jack parve rifletterci seriamente: - Vicino ad una spiaggia?
– azzardò. June abbassò lo sguardo.
-
Intendo geograficamente. Sai, città, regione, Stato, posizione rispetto
all’Equatore? – Lo Spirito dell’Inverno già conosceva la risposta.
- …’Non è il mio territorio, non adesso’,
d’accordo. – Alzò le mani in segno di resa: - Scusa, non lo faccio più. –
- In
verità non l’hai fatto più neanche tre anni fa. – lo corresse June, una nota
pericolosa nella voce. – E ne abbiamo parlato a proposito, all’epoca. –
- Uuuh, davvero? – chiese Jack. Poi, senza pensare, aggiunse:
- Non sapevo che le tue frecce sapessero parlare.
–
- Oh,
cantano come degli usignoli, Gelatino. –
Sarebbe meglio dire che
fischiano. Ma se preferisci dire così, cara la mia assassina nata, d’accordo...
Jack vide la
piccola mano dello Spirito dell’Estate spostarsi casualmente sulla nuca,
pericolosamente vicino al bottoncino che teneva l’arco allacciato alla sua
schiena. Cominciò a richiamare mentalmente il vento.
Tre…
-
…Scommetto che ti sono mancate, perché altrimenti non saresti qui. –
…Due... uno…
Un forte
vento freddo prese a spirare, scompigliando energicamente i capelli di entrambi
e agitando l’orlo dell’abito della ragazzina. Ciò che seguì avvenne in poco più
di un batter d’occhio.
…Via!
- D’accordo,
ciao! – disse Jack sollevandosi da terra e lasciandosi trasportare in alto,
sempre più veloce, sospinto dal vento che ringhiava furioso nelle sue orecchie
e affievoliva lo strillo arrabbiato che June gli lanciò: - JACKSON OVERLAND
FROST, STAVOLTA SEI FINITO! –
Una
freccia dalle penne rossastre gli passò pericolosamente vicino all’orecchio
sinistro, e una strana ondata d’aria tiepida gli sfiorò i piedi, informandolo
che lo Spirito dell’Estate era partito al suo inseguimento.
- QUESTO
L’HAI DETTO ANCHE TRE ANNI FA! – gridò Jack in risposta, accelerando. Quel
pomeriggio prometteva di essere parecchio movimentato, si disse.
*
L’assurda
caccia allo Spirito del Gelo si era estesa per tutto il continente europeo, per
poi spostarsi lentamente verso est. Più di una volta Jack aveva rischiato di
essere colpito (- Oh avanti, Frosty! Sto solo cercando di farti provare l’ebbrezza
dell’amore a prima vista! – aveva gridato June in una di quelle occasioni.) e
aveva colto ogni buona occasione per scagliarle contro correnti gelide e neve
per distrarla, riuscendo così a farsi perdere di vista diverse volte (- Mi
dispiace davvero, ma non mi sono mai piaciute le piovre! –). Ma, sfortunatamente per Jack, June era sempre riuscita
a scovarlo prima che il giovane avesse il tempo di dileguarsi.
Nella
sua fuga Jack aveva finito col trascinare lo Spirito dell’Estate su un terreno
a lei sfavorevole: la Russia, terra di cui l’inverno e il gelo erano i sovrani
incontrastati in quel periodo dell’anno.
Tuttavia,
nonostante il clima avverso June non si era arresa, e l’inseguimento era
continuato sempre più in direzione nord-est.
Ed era
solo verso pomeriggio, e solo in Siberia, che aveva finalmente ceduto.
Jack lo
capì subito quando, dopo essere riuscito a farsi perdere di vista ed essersi
letteralmente buttato nella neve della foresta che stavano attraversando nel
disperato tentativo di non farsi trovare, aveva udito un improvviso, sonoro
starnuto da parte della ragazzina.
June
tirò su col naso, borbottando tra sé qualcosa che Jack non riuscì a sentire
nonostante fosse a pochi alberi di distanza, e si guardò intorno con
un’espressione indispettita. Poi, dopo una pausa che a Jack sembrò un’eternità,
rimise le frecce nella faretra, riallacciò l’arco sulla schiena e volò via.
Jack
esalò un lungo, lento sospiro di sollievo.
Salvo. Scivolò lentamente a terra e affondò nella neve candida, assaporando
la gioia di non avere più marmocchi armati alle calcagna.
Almeno per il momento.
Rimase
immobile per molti minuti, godendosi il silenzio assoluto di quel luogo e
scrutando attentamente il cielo e gli alberi attorno a lui in cerca di altre
forme di vita. Non era sicuro se June avesse effettivamente abbandonato il
proposito di dargli la caccia, perciò aveva preferito essere prudente e non
muoversi dall’improvvisato nascondiglio per un po’.
Fu
allora che si accorse della fitta oscurità in cui era avvolta la foresta, rischiarata
a malapena da un fiume di stelle che splendevano nel cielo terso. Anche la neve
col suo candore aiutava a scacciare un po’ di quelle ombre.
Cavoli, mi hai tenuto occupato
per tutto il giorno, eh?
Si disse, rivolto a June. Chissà dov’era in quel momento. Jack sperò
ardentemente che se ne fosse tornata nel suo amato Brasile.
Corrugò
la fronte osservando quel paesaggio: era bellissimo, ma gli aveva fatto tornare
in mente qualcos’altro. Qualcosa che si era ripromesso di fare quel giorno,
prima che i suoi piani fossero sconvolti. Qualcosa di veramente importante.
Era la
neve. Ah!
Si passò
una mano sul volto, maledicendosi per la sua stupidità. Non ci aveva più
pensato…
Chiuso per neve.
Si era
ripromesso di andare a trovare un amico importante, quel giorno.
Chissà come sta Jamie.
*
Era già
sera quando Jack arrivò a Burgess. Il giovane Guardiano aveva sperato di
arrivare prima, magari di pomeriggio, per poter parlare con Jamie e magari
uscire con lui e i suoi amici a fare a palle di neve. Ma a quell’ora
probabilmente il ragazzino era già a letto.
Jack
atterrò con un movimento fluido sul tetto coperto di neve di casa Bennett.
Era
passato circa un anno da quando tutti i bambini del mondo erano tornati a
credere nei Guardiani: un anno molto freddo in cui, sebbene fosse soltanto metà
novembre, uno spesso strato di neve e ghiaccio già campeggiava sui tetti e
sulle strade della cittadina, rifiutandosi di andarsene per settimane e
causando così disagi e, per la gioia dei più piccoli, chiusura precauzionale
delle scuole della zona.
Jack si
avvicinò a passi felpati alla finestra della cameretta di Jamie, e si chinò a
testa in giù a guardare oltre i vetri. Come si aspettava, le luci erano spente,
e la camera era avvolta nel buio. Jack si sporse un po’ di più, cercando con lo
sguardo la piccola figura del suo amico addormentato nel letto.
- Jack!
– senza preavviso, la spettinata testa di Jamie sbucò dalla montagnola di
piumini e coperte di lana, rivolgendo uno sguardo sorpreso verso la finestra.
Il ragazzino saltò giù dal letto e si avvicinò alla finestra, emergendo dalla
fitta penombra. Jack, sorpreso dal fatto che il bambino fosse sveglio, si
limitò ad alzare entrambe le sopracciglia mentre Jamie armeggiava con la
maniglia della finestra e aprirla per lasciar entrare il Guardiano.
- Hey, ancora sveglio a quest’ora? – Jack sorrise: - E’
tardi, sai? –
- Qui ha
nevicato un sacco ultimamente, ti stavo aspettando. Entra! – rispose Jamie con
un sorriso, e si fece da parte. Jack entrò nella stanza e si guardò intorno:
non era cambiato niente dall’ultima volta che era stato lì. La cameretta era
ancora piccola e accogliente come sempre, col soffitto basso, i poster sulle
pareti e il fido robot giocattolo che faceva la guardia sul comodino accanto al
letto.
- Sei
sparito per settimane. – continuò Jamie, tentando di metter su un broncio
offeso senza riuscirci: - Sei mancato a tutti, dov’eri finito? –
Jack si
sentì un po’ in colpa: erano settimane che non si faceva vedere a Burgess e
dintorni, anche se aveva inviato il freddo in sua vece.
- Mi
dispiace tantissimo, è che abbiamo avuto un po’ di problemi. Niente di che. –
mentì Jack con un’alzata di spalle. Il sorriso di Jamie si spense di colpo, e
il bambino corrugò la fronte.
- Pitch?
– chiese preoccupato. Il sorriso di Jack si fece un po’ incerto.
Colpito e quasi affondato. Pensò.
Jack si
passò una mano sulla nuca, imbarazzato: non sapeva come spiegare la strana
situazione in cui lui e i Guardiani si erano ritrovati. – Si, anche lui. – rispose lentamente con un
mezzo sorriso, e alzò le mani quando vide lo sguardo di Jamie farsi più
preoccupato: - Ma, ti dico, non è niente di che. Ci sono solo un mucchio di
grattacapi da risolvere. – fece una pausa, poi scosse la testa: - Sarò onesto,
quel tipo non smetterà mai di essere una fonte di guai. –
- Ma… è
tornato? –
Jack
scosse la testa: - No. –
Per un
terribile istante Jack temette che il bambino non aveva creduto alla bugia. Più
di una volta Jamie si era dimostrato incredibilmente bravo a capire quando
qualcuno mentiva.
Perlomeno,
questo valeva ogni qualvolta era Jack a mentire.
Per la
gioia del Guardiano, Jamie sospirò di sollievo, poi continuò: - Senti, io e gli
altri ci siamo messi d’accordo di uscire a fare a palle di neve quando saresti
tornato. Vogliamo te come ospite d’onore. Hai abbastanza tempo anche per noi? –
sorrise innocente, sfoderando i suoi migliori occhi dolci per cercare di
convincerlo. Jack scosse appena le testa, ridendo: - Ovvio, che domande. Dimmi
solo che abito devo indossare per l’occasione. –
Jamie
rise, e si ributtò sul letto: - Oh, quello che hai addosso va benissimo. O
qualunque altra cosa deciderai di mettere. – sorrise al soffitto.
I due
rimasero in silenzio per qualche istante, ognuno sorridendo per conto suo,
entrambi felici di essersi rivisti dopo tanto tempo. Poi Jack rialzò lo
sguardo: non gli aveva ancora chiesto come stava. In fondo, era venuto lì
soprattutto per quello.
- Tu,
piuttosto. È quasi un mese che non ti vedo. Come te la passi? – il sorriso entusiasta
di Jamie durò per qualche altro istante, prima di spegnersi di colpo. Con lo
sguardo ancora fisso sul soffitto, convinto che il Guardiano non lo stesse
guardando, Jamie corrugò leggermente le sopracciglia.
- Bene.
– disse semplicemente. Rimase in silenzio per qualche istante, prima di
risollevarsi ed accorgersi del fatto che Jack in realtà lo stava osservando
attentamente, e che anche la sua espressione era cambiata, assumendo una
sfumatura preoccupata.
Cercò di
tornare a sorridere, ma la facciata non servì a nulla.
- Jamie…
è successo qualcosa ultimamente? – chiese Jack con la fronte corrugata,
alzandosi dal comodino su cui si era seduto e si avvicinò al bambino, sedendosi
sul letto con lui. Jamie scosse la testa: - No, nulla. –
- Brutti
voti a scuola? Qualche insegnante ti ha sgridato? – Jamie scosse di nuovo la
testa – Hai litigato con qualcuno? –
Jack serrò
le labbra, poi continuò: - Qualcuno ti maltratta?... –
A quella
domanda spalancò leggermente gli occhi e si tirò indietro, scuotendo la testa
con un’espressione di sconcerto così sincera che Jack si tranquillizzò un poco.
Tuttavia,
ancora non capiva cosa non andava. Jamie parve capire i sentimenti contrastanti
dell’amico, perché si affrettò a tranquillizzarlo: - Jack, non ti preoccupare.
Non c’è nulla che non va. – esitò un attimo, poi alla vista dell’espressione un
po’ dubbiosa dell’amico gli mise una mano sul braccio. – Davvero. – Insisté.
- E
allora perché…? – Jamie sorrise, scuotendo appena la testa.
- Mi sei
mancato, tutto qui. Avevo paura che ti fossi dimenticato di me! – scherzò. Jack
sorrise: - Ah! Impossibile. –
Di nuovo
silenzio.
- Jack.
–
- Si,
Jamie? –
Il
ragazzino distolse lo sguardo dall’amico, esitando: - Senti… so che ora che sei
un Guardiano sei sempre impegnato con tutti gli affari da Guardiani e col
chiudere tutte le scuole per neve ma… posso chiederti un favore? –
Prima che
il Guardiano avesse anche soltanto il tempo di rispondere, Jamie continuò: -
Puoi rimanere qui per stanotte? –
Jack si
bloccò.
- Ma
certo. – sorrise.
Chissà
cos’aveva Jamie, al punto da non volerlo confessare nemmeno a Jack, che era uno
dei suoi migliori amici.
*
La notte
era fredda a Burgess, e l’umidità proveniente dal bosco vicino la rendeva
nebbiosa. Persino il vento, che per Jack era un amico, fischiava sinistro.
Quella notte, le ombre nella cameretta di Jamie erano talmente dense da
sembrare solide, quasi serpeggianti, come dotate di vita propria.
Quella
notte Jack aveva paura. Aveva paura persino a chiudere gli occhi, nel timore
irrazionale che una volta riaperti si sarebbe ritrovato di fronte a qualcosa di
orribile.
Il
giovane alzò lo sguardo e lo puntò oltre la finestra. Là, oltre la nebbia, il
cielo nero era coperto di grandi nubi grigie, compatte e pesanti come una
coperta di lana.
La notte
era buia e là fuori, nascosti alla sua vista, gli parve di sentire le grida
inumane degli Incubi che correvano liberi.
*
Ogni
giorno al palazzo di Dentolina era un giorno di duro ed incessante lavoro.
Era
impossibile trovare un istante di pace o silenzio tra le incantevoli mura
dorate e gli ampi spazi ariosi del complesso di edifici che formava la dimora
della Regina delle Fate. In ogni istante ogni camera, sala e corridoio erano
percorsi da centinaia di minuscole fatine dei dentini indaffarate nel portare
monete ai bambini e riportare indietro canini, incisivi e molari da catalogare
e mettere accuratamente nel posto che gli spetta, in modo da trasformarli da
semplici denti in preziosi custodi dei ricordi dei bimbi che li hanno persi.
Era un lavoro molto importante, a cui Dentolina e tutte le sue fate avevano dedicato
ogni istante della loro esistenza. Eccezion fatta per gli straordinari
avvenimenti che hanno sconvolto il costante lavoro delle fate durante il più recente
tentativo di conquista del mondo da parte dell’Uomo Nero, nessuna fatina aveva
mai fatto errori, mancanze o ritardi sulla raccolta dei denti.
Mai,
fino a quel giorno.
Quel
pomeriggio, Dente da Latte era tornata in ritardo, portando con sé brutte notizie:
aveva perso Molare Sinistro, con cui era uscita a prelevare i dentini. Era
rimasta ad aspettarla per interminabili minuti prima di essere andata a
cercarla, ma era già in ritardo e, sperando che la piccola amica in un vuoto di
memoria si fosse semplicemente dimenticata dell’appuntamento che le due si
erano fissate, che fosse tornata a palazzo senza di lei. Ad accoglierla aveva
trovato una Dentolina con un’espressione ansiosa, che tuttavia aveva cercato di
rassicurarla dicendo che era sicuramente in ritardo, e consigliandole di
rimanere a palazzo senza tuttavia spiegarle la ragione. Preoccupata dallo
strano comportamento di Dentolina, Dente da Latte si era limitata ad ubbidire.
La
notizia di Dente da Latte non era stata l’unica di quel giorno per Dentolina.
Ne aveva ricevute altre, portate da altre fatine che avevano notato
l’inspiegabile assenza di alcune compagne.
Una,
due, tre, quattro… dodici. Dodici fatine, forse di più, assenti da ore,
scomparse nel nulla.
Il
ricordo del loro rapimento, quello ad opera di Pitch, aleggiava ancora nitido
nella memoria di Dentolina. Le loro grida terrorizzate ancora infestavano i
suoi sogni le rare volte che si addormentava.
Dentolina
si tormentò nervosamente le belle mani e le sottili braccia piumate, cercando
di contenere l’ansia che saliva incontrollabile.
Sono in ritardo. Sono soltanto in
ritardo. Magari si sono perse. Cercò
di zittire i suoi stessi pensieri, perché quel ‘magari si sono perse’ aveva
immediatamente seguito altre ipotesi, una più macabra dell’altra.
Torneranno. Ma in cuor suo sentiva che non
era così.
Forse
doveva calmarsi, ragionare, forse il suo presentimento non era altro che
un’inutile preoccupazione. Forse era meglio concentrarsi sul suo lavoro. O forse
era meglio fare qualcos’altro.
Avvisare
gli altri.
Si.
Avrebbe
causato dell’agitazione inutile, lo sapeva, ma il pensiero non era abbastanza
da costringerla a fermarsi e cercare di calmarsi. All’improvviso sussultò, e gonfiò
tutte le piume.
Aveva
sentito qualcosa.
Trattenne
il respiro, e gli occhi ametista saettarono in alto, soffermandosi sulle belle
cupole d’oro e madreperla che formavano i tetti del suo palazzo e poi più in
alto, verso la spoglia pietra della grande caverna aperta che ospitava il suo
palazzo.
Quella
era l’unica parte della sua dimora dove la luce del tardo pomeriggio non
arrivava, tuttavia l’oro delle cupole ne rifletteva abbastanza da illuminare a
sufficienza anche quella zona.
Dentolina
esaminò nervosamente le vaghe ombre che venavano il soffitto e si intersecavano
con la luce riflessa che le sbiadiva, ma non notò nulla di sospetto.
Forse è solo una mia impressione.
Mi sto immaginando le cose, si.
Si disse, ma quel pensiero non riuscì a convincerla. Aveva ancora la pelle
d’oca.
All’improvviso
qualcos’altro si mosse appena fuori dalla sua visuale, costringendola a
guardarsi di nuovo nervosamente intorno. Sopra di lei non c’era nulla. Ma c’era
qualcosa sotto.
Abbassò
lo sguardo.
Diversi
metri sotto i suoi piedi, sotto i basamenti degli edifici dorati, in
corrispondenza del lago con la parete affrescata che rappresentava la Regina
delle Fate e le sue piccole assistenti intente a raccogliere i dentini di tutti
i bimbi della terra, le parve di vedere qualcosa di insolitamente scuro che si
muoveva. Decise di scendere a controllare.
Il sole
del tardo pomeriggio inondava di calda luce dorata quel piccolo angolo di
paradiso che era il giardino del palazzo. I raggi illuminavano l’aria resa
polverosa dalla polline dei grandi e coloratissimi fiori del posto, donando al
luogo un’aria calda ed accogliente, poi rimbalzavano sulle verdi foglie degli
alberi e si tuffavano nell’acqua cristallina del laghetto, andando infine ad
illuminare, dal basso, il grande affresco sulla parete di granito giallastro
con chiari riflessi azzurrognoli.
Dentolina,
sollevata in aria a una decina di centimetri dall’acqua, si guardò attentamente
attorno: non c’era nulla nemmeno lì. Forse si era davvero immaginata tutto.
- Buon
pomeriggio, Guardiana. – disse una voce femminile.
Dentolina
si bloccò, e si voltò di colpo.
A pochi
metri da lei, sulla sponda del laghetto, una donna dal viso pallido e i lunghi
capelli color cenere la osservava con pacifico, genuino interesse.
Sebbene
l’avesse incontrata una sola volta nella sua vita, e per giunta in circostanze
tutt’altro che tranquille, Dentolina la riconobbe all’istante.
Crysis.
La fata
serrò le mani, pronta ad evocare le sue spade cariche di magia, ma alla vista
del suo atteggiamento improvvisamente ostile Discordia si limitò a scuotere
appena le testa e sorridere leggermente: - Non sono venuta per combattere,
Guardiana. Solo per chiedere il tuo aiuto. –
Dentolina
strinse gli occhi, evocando le sue spade: - E cosa ti fa credere che io te lo
voglia dare? –
- Perché è il tuo compito aiutare le persone
quando devono fare delle scelte difficili. – prima di dare alla Fata del
Dentino il tempo di fare alcunché, Crysis indicò con un vago gesto sopra di sé.
In alto,
molti metri sopra le loro teste, qualcosa esplose. Dentolina sentì una serie di
boati avvolgere in pochi istanti il palazzo e, con esso, le lontane grida
terrorizzate delle sue fatine. Il rumore si fece più intenso, talmente forte da
costringere la fata a portarsi entrambe le mani alle orecchie per evitare danni
all’udito, e guardarsi attorno spaventata.
Il tutto
durò pochi secondi. Il rumore scemò di poco, trasformandosi nelle urla degli
Incubi, e tutta la calda, bella luce solare venne risucchiata da un’orda di
esseri mostruosi dai luminescenti, piccoli occhi rossi.
E sul
bel giardino del palazzo, che fino ad un istante prima era illuminato dalla
calda ed accogliente luce del tardo pomeriggio, calò improvvisamente una notte
illuminata da inquietanti stelle color cremisi. Ad un cenno di Crysis gli
strilli acuti delle creature scemarono rapidamente, lasciando solo un fioco
fruscio di sottofondo.
La fata
abbassò lentamente le mani armate, e si guardò attorno, spaventata e confusa. Il
suo primo pensiero andò alle sue fatine.
Per favore per favore per favore,
ditemi che state tutte bene…
- Che
cosa hai fatto?! –
- Nulla
di particolare. – rispose Crysis: - Ho ordinato di isolare la tua dimora e di
catturare eventuali fuggiaschi. Voglio parlare con calma e, se possibile, farlo
a quattr’occhi. Senza l’intervento degli altri Guardiani. –
La fata
non impiegò molto a capire che era in trappola. In trappola e –almeno a
giudicare dal numero di Incubi che presenziava quel loro colloquio, abbastanza
da arrivare ad oscurare la luce del sole-
in netta inferiorità numerica e senza nemmeno la possibilità di lanciare
l’allarme, anche se forse l’ultima opzione non era da escludere. Il problema
restava come riuscirci senza far andare il tentativo a vuoto ed esporsi –lei e
tutte le sue piccole aiutanti- ad un pericolo maggiore.
Dentolina
ispirò e chiuse per un istante gli occhi, cercando di ritrovare la calma.
Crysis non voleva combattere. Non si doveva arrivare a uno scontro. Ma non si
poteva nemmeno lasciar correre. Impiegò quel poco tempo a disposizione per
cercare di percepire tutte le presenze delle fatine intrappolate nel palazzo:
nonostante la paura che provavano in quel momento, erano tutte sane e salve.
Riaprì gli occhi, tornando a concentrarsi sull’avversaria.
- Che
cosa vuoi da me? –
Ad un
cenno impercettibile di Crysis, uno degli Incubi si staccò dall’orda che
serpeggiava nell’aria e si posò accanto a lei: era grosso, e somigliava
vagamente ad un varano gigante. Aveva una testa larga e piatta e il lungo collo
presentava un enorme gozzo semitrasparente, attraverso la cui pelle smagliata e
parzialmente coperta di scaglie si intravedeva un gran numero di puntini color
acquamarina che si agitavano disperati, emettendo degli squittii familiari.
Dentolina
sbarrò gli occhi.
Quelle erano le sue fatine
scomparse.
Crysis
sorrise di fronte alla reazione della fata: - Le avevo prese come assicurazione,
nel caso la mia visita non fosse andata a buon fine. Ovviamente, se mi
ascolterai e farai ciò che ti dico, farò la brava e ti restituirò le tue
aiutanti, vive e vegete. –
Certo, come no. avrebbe voluto urlare Dentolina.
Voleva lanciarsi sulla donna, farle più male possibile.
Ma non
poteva. Aumentò la stretta sull’impugnatura delle sue spade, sforzandosi di
apparire più calma possibile.
- Voglio
le mie memorie. –
Dentolina
strinse gli occhi: - Perché? –
L’altra
inclinò di poco la testa, e mosse qualche passo verso la sponda del laghetto: -
Ci sono cose che devo sapere. – rispose semplicemente.
Non ricordi il tuo passato? Dentolina non si azzardò a fare
quella domanda. Tuttavia quella era l’ipotesi più probabile.
Il
compito di Dentolina era conservare i ricordi più felici dell’infanzia. Quei
ricordi che permettevano, da adulti, di fare le scelte migliori.
Che significa?...
Ma la
fata al momento non aveva altra scelta che ubbidire, e così fece. Seguita dallo
sguardo attento di Crysis e degli Incubi, si alzò in volo diretta verso una
della zone del palazzo in cui custodiva gli scrigni. Nel breve tragitto si
assicurò che ogni fatina che incontrava fosse effettivamente sana e salva, e
rispose con uno sguardo di avvertimento ai loro fiochi cinguettii e alle loro
domande inespresse.
State buone, non date a nessuno
una scusa sufficientemente valida per attaccare, tenetevi pronte ad
un’eventuale fuga appena trovate il modo. Dobbiamo assolutamente avvertire gli
altri.
Seguita
anche dagli sguardi delle sue piccole aiutanti, si diresse verso la parte
inferiore di uno degli edifici, dove venivano custoditi alcuni degli scrigni
più vecchi e, dopo una breve ricerca, ne estrasse uno. Al suo ritorno nessuna
fata vide a chi apparteneva quella piccola scatolina dorata che Dentolina
teneva stretta al petto, ma il mistero venne risolto quando la videro porgere
con mani esitanti a Crysis.
Discordia
prese il piccolo manufatto contenete i suoi dentini e lo osservò attentamente. Dentolina
rimase rigida ed immobile di fronte alla donna, le labbra strette in una
sottile linea preoccupata.
Ti prego vai via, vai via vai
via!
- Hai le
tue memorie, ora. – disse, trattenendo a stento un tremito nella voce e
lanciando l’ennesima occhiata preoccupata alle fatine intrappolate nel gozzo
dell’Incubo, che ora sedeva tranquillo accanto a Crysis: - Ora libera le mie
fate e vattene. -
Crysis alzò
lo sguardo sulla Guardiana.
- Oh,
non credo proprio. – mormorò a mezza voce.
- Cos...?
– ma Dentolina non ebbe il tempo di reagire che l’Incubo con il gozzo emise un
basso ululato stonato, causando così la reazione di tutti gli altri. Centinaia
di mostri fatti d’ombra e fumo emersero dal muro nero che isolava il palazzo
dal resto del mondo, e molti di essi si gettarono su Dentolina.
- NO! – prima ancora di rendersi conto di
ciò che stava succedendo la fata si ritrovò spinta indietro, il braccio armato -aveva
a malapena avuto il tempo di richiamare nuovamente le sue spade- teso in avanti
e la sottile spada magica affondata fino all’elsa nella gola del primo Incubo
che si era gettato contro di lei, e che nonostante ciò la spinse in avanti di
diversi metri prima di indebolirsi, permettendo a Dentolina di estrarre la lama
e sfuggire dalla presa dell’essere prima che questi si schiantasse contro il
muro affrescato, dissolvendosi.
Dentolina
non ebbe il tempo di vedere cos’era successo all’Incubo che già un altro
l’aveva attaccata con successo, graffiandole il braccio e costringendola alla
difesa.
Ma non
era il solo. Un’altra ventina di mostri circondarono la fata, costringendola a
formare uno scudo di energia magica attorno a sé. Era un tipo di magia che
richiedeva molta forza, e Dentolina sapeva benissimo che non poteva usarla
spesso. Approfittando della capacità elettrificanti dello scudo sfuggì
dall’orda che l’aveva circondata, ma questa la seguì senza darle tregua.
Dentolina sapeva che combatterli era una follia: l’avrebbero sopraffatta.
Doveva trovare Crysis, e ingaggiare battaglia direttamente con lei. Se avesse
costretto il capo alla ritirata, gli altri l’avrebbero seguita.
Ma
Discordia era sparita.
Dove sei?
Nella
sua testa, mescolate alle urla degli Incubi, al cuore che sembrava pulsarle
direttamente nelle orecchie e il suo stesso panico, sentiva anche le grida e la
paura delle sue fatine, impegnate a sfuggire o contrastare l’esercito di mostri
che le aveva attaccate senza preavviso. Molte erano già sfuggite dal suo radar
mentale.
Le stanno catturando?! Pregò che fosse solo quello. Il
pensiero che la loro improvvisa scomparsa significasse qualcos’altro la
terrorizzava. Doveva trovare un modo per salvarle, e doveva farlo in fretta.
Non poté
distrarsi ulteriormente: lo scudo esaurì il suo effetto protettivo e si
dissolse, e Dentolina si ritrovò di nuovo indifesa.
Stavolta
non ebbe nemmeno il tempo di alzare la guardia che una delle creature le era
già addosso con le fauci spalancate, e strinse le mascelle d’acciaio sul suo
esile braccio. Dentolina urlò di dolore, e cercò di liberarsi affondando la
spada libera nel corpo d’ombra e fumo della creatura. Non seppe dire se
l’attacco fosse andato a buon fine o meno: nel giro di quei pochi secondi di
distrazione venne sopraffatta da un’altra decina di Incubi che la
immobilizzarono completamente con le loro forti zampe e i loro corpi roventi,
accecandola con quello che sembrava essere un velo d’ombra.
Dentolina
si accorse con qualche secondo di ritardo di essere completamente immobilizzata
e privata della vista, e che da quel momento l’unica cosa rimasta a dirle che
era ancora nel suo palazzo e non in qualche anfratto del mondo delle tenebre
era l’udito, che le rimandava gli echi del caos della battaglia che infuriava.
Dopo un
istante, la fata si lasciò sopraffare dal panico.
Calmati. Cerca di calmarti. Devi
pensare. Ma non
si riusciva. Non nella situazione in cui si trovava.
- CHE
COSA HAI FATTO? – urlò al buio che la circondava, senza riuscire a reprimere il
panico. Gli Incubi fremettero al suono della sua voce tremante, e strinsero
Dentolina in una presa ancora più soffocante, sentendo in risposta il suo
panico aumentare ulteriormente.
Sebbene
appena sussurrata, la voce di Crysis arrivò chiara alle sue orecchie. Non
riuscì a capire esattamente da dove provenisse, probabilmente dal basso, forse
esattamente dove Dentolina l’aveva lasciata.
- Mi
servi anche tu, Guardiana. – disse Discordia. - Il tuo potere è pericoloso. Non
posso lasciarti libera. –
Dentolina
tentò di divincolarsi, ma non riuscì a muoversi di un millimetro. La forza
della presa degli Incubi aumentò. E all’improvviso, nonostante l’adrenalina, il
panico e i muscoli tesi, si sentì mancare le forze. Il suo corpo si afflosciò contro
la sua volontà contro i mostri che la tenevano ferma, mentre uno strano dolore
sordo si insinuò nel suo petto. Anche l’udito si affievolì rapidamente,
trascinandola nel silenzio. L’ultima cosa che sentì fu la gentile, rassicurante
carezza di una mano calda.
Poi la
sua coscienza venne trascinata in un abisso nero.
*
Akron,
Ohio.
Il
lavoro di Sandman era cominciato da poche ore in quella zona. Centinaia di scie
di sabbia magica percorrevano i cieli della città portando bei sogni a tutti i
bambini, o almeno tutti quelli i cui Sogni non sono ancora stati Maledetti.
Sottili,
lunghissime scie di scintillante sabbia magica ondeggiavano lentamente simili a
giganteschi, pacifici serpenti. Alcune erano larghe e lunghe, altre più
sottili, altre ancora si biforcavano o contorcevano in mille spirali, e tutte
insieme tracciavano infiniti disegni, ghirigori ed arabeschi sullo sfondo del
cielo nero, punteggiato qui e là da rade nuvolette e minuscole stelle della notte
senza luna.
Quella
sera Sandy non era solo. Si era ritrovato a svolgere il suo lavoro in compagnia
dell’essere più improbabile di quella metà di globo, considerando lo spesso
strato di candida neve che copriva la città: June Warmwind. La giovane aveva
indossato un piumino azzurro sopra il solito abito estivo per coprirsi dalle
temperature quasi polari, aggiungendovi dei leggings
di lana rossa e degli stivaletti pelosi. A giudicare dall’abbigliamento, pensò
Sandy, era un po’ che girava da quelle parti.
Guarda che se cerchi Jack,
Burgess è nello Stato accanto. Aveva
detto all’improvviso il Guardiano, intuendo la ragione per cui June si era
avventurata in un luogo del genere in un periodo che non fosse estate.
Per
tutta risposta, lo Spirito aveva alzato le spalle: - Oh, lo so. L’ho cercato lì
infatti. Ma dopo la Siberia Ghiacciolo-Man
è letteralmente evaporato e io mi sono stancata di giocare ad acchiapparello. –
aveva poi distolto lo sguardo, improvvisamente interessata alle luci della
città dormiente e le eleganti scie di sabbia magica ed evitando così l’occhiata
tra il rimprovero e l’interesse che Sandy gli lanciò, combattuto tra il Ah, quindi sei davvero tornata a tormentare
quel poveretto? E il Che c’entra la
Siberia adesso?
I due
non si dissero molto. June sembrava stranamente pensierosa, e si limitò a
seguire Sandy e osservarlo svolgere il proprio lavoro. Ma, dopo un’ora e mezza
di silenzio, qualcosa giù in città catturò l’attenzione del giovane Spirito.
- Sandy.
Hey, Sandy! – Sandman distolse lo sguardo dalle sue
scie e, seguendo il gesticolare agitato di June, aveva abbassato lo sguardo
verso gli edifici, diversi metri sotto di loro. All’inizio non notò nulla di
particolare, ma poi li vide. Due figure scure, così tanto da potere essere
scambiate per ombre. Si muovevano rapide e leggere, come se non avessero un
corpo solido.
Incubi.
- Che…
che dici, li seguiamo? – chiese June titubante, seguendo con lo sguardo gli
esseri che apparivano e scomparivano nel buio delle strade, strisciando sui
muri. Eccoli, si disse Sandy, sempre a rovinare il mio lavoro. Corrugò la
fronte, arrabbiato. Ovvio che li
seguiamo. disse e, prima di dare a June il tempo di comprendere il
messaggio, scese con la sua nuvoletta, fruste pronte per ogni evenienza.
Nonostante
l’illuminazione dei lampioni, l’oscurità sembrava più fitta del normale. Era un
effetto secondario dato dal passaggio degli ex scagnozzi di Pitch, Sandy lo
sapeva bene. Ma i due Incubi erano scomparsi, e Sandy non sapeva nemmeno dove
fossero andati. June era a pochi passi dietro di lui, e aveva sfoderato arco e
frecce e si guardava nervosamente attorno.
Tuttavia,
nulla emerse dal buio per attaccarli.
- Forse
se ne sono andati? – disse la ragazzina, rilassandosi appena. Sandy non sapeva
come risponderle. Poteva essere vero, poteva non esserlo.
Ma i
nemici erano comunque spariti. Forse avevano semplicemente finito il loro
lavoro.
Sandman
fece un cenno a June. Vieni con me.
I due si
ritrovarono ad entrare in diverse case, controllando che i sogni di tutti
fossero a posto, e Sandy scoprì che non c’erano incubi in quella zona. Strano,
si disse, che ragione avevano degli Incubi per girare furtivi in mezzo alle
case se non per portare paura e brutti sogni?
Entrarono
in un’ultima casa per accertarsi che fosse veramente tutto a posto, e fu lì che
Sandy si accorse di qualcosa di insolito.
- Wow,
guarda che roba. Scommetto che questo qui crede nell’esistenza di mister
Pipistrello. – disse June, chinandosi ad osservare un’enorme tarantola
rinchiusa in una teca di vetro, comodamente seppellita sotto un sottile strato
di ghiaia, con le sole quattro paia di occhietti neri a segnalarne la presenza.
Poi si rialzò, e rivolse lo sguardo al letto occupato da un ragazzino da corti
capelli castani e le lentiggini che non dimostrava più di quattordici anni, e
infine lo spostò sulla stanza: - Voglio dire, guarda un po’ questa stanza.
Sembra gridare ‘Hey, Pitch, sono qui. Se ti capita di
passare da queste parti fermati da me che ci facciamo una partitina a Dead
Space e magari mi chiarisci una volta per tutte se i marziani stanno veramente preparando
un piano per la distruzione della terra perché sai, col mio mini telescopio da
qui non riesco a capirlo. E lasciami un incubo di quelli tosti, magari sugli
alieni, così ho qualcosa di superspaventoso da
raccontare domani ai miei amici’. No? – si mise le mani sui fianchi e alzò un
sopracciglio, percorrendo la cameretta con lo sguardo.
Era
tappezzata di poster di film su alieni, zombie, Godzilla e altri mostri,
interrotti qui e là da disegni di costellazioni, ufo e simboli che June non
comprese. I tre alti scaffali di legno scuro erano pieni di quaderni, libri di
scuola scarabocchiati e alte pile di fumetti e videogiochi. Non tutti però
avevano come protagonisti gli alieni, notò la ragazzina.
- …Ma
Alien VS Predator non è un film vietato ai minori di diciotto anni? – chiese
June, notando un poster nascosto dietro una pila di libri: - Sandy? –
Ma il
Guardiano non la ascoltava. Sembrava stranamente interessato al sogno che il
piccolo stava facendo. June si chinò ad osservare: nemmeno quello aveva a che
fare con gli alieni. Volteggiava e si contorceva in spirali incomprensibili,
per poi trasformarsi in draghi e cavalieri in armatura e mantello e castelli e
sconfinate terre di sabbia dorata.
- Hey Sandy, qua sembra tutto a posto. – insisté June,
facendo sussultare l’altro. Per una qualche ragione che la ragazzina non
comprese, Sandy si voltò e la fissò per un istante, poi sul suo viso paffuto si
allargò un sorriso radioso e lo Spirito dei Sogni strinse June in un abbraccio
spaccaossa. – Whoa! – esclamò lei senza comprendere,
sentendo tutta l’aria uscire dai polmoni compressi: - Calmo, calmino. Non è poi
un sogno così speciale, eh. – ma Sandy scosse la testa, cercando di spiegare.
Quel sogno era speciale, eccome. Era uno dei sogni Maledetti, ma non era più
pallido e spento come al solito. Era luminoso, pieno di energia, e ubbidiva
alla volontà del Guardiano. Era tornato normale.
La domanda ora era scoprire come era
tornato normale, ma sentiva che avrebbe trovato la risposta presto. Ne era
certo.
June osservò
il susseguirsi di forme di sabbia sulla testa di Sandy senza capire né la
spiegazione né il suo improvviso entusiasmo. Ma, intuì, forse la cosa aveva a
che fare con lo strano problema con cui i Guardiani sembravano avere a che fare
da un po’ di tempo a questa parte.
- Uuh, c’entrano gli Incubi Grigi? – azzardò, una volta
libera dalla presa di Sandy. L’altro corrugò le sopracciglia, formando un punto
interrogativo sopra la sua testa: come lo sapeva?
-
Dentolina. E il Ghiacciolino. Mi avete chiesto informazioni
su certe anomalie che avete incrociato ultimamente, ricordate? – Sandy annuì:
già, ricordava che Dentolina aveva nominato June l’ultima volta che avevano
deciso di andare a caccia di informazioni presso gli Spiriti Minori.
- Ma
alla fine l’Uomo Pipistrello centra qualcosa? – aveva continuato lei con un
cenno della testa, riferendosi a Pitch.
Sandy
annuì. Abbastanza.
June
annuì: - Hm. Beh, qualunque cosa abbia scoperto, meglio avvertire i Guardiani,
giusto? – sorrise.
Giusto.
Uscirono
insieme dalla casa, e lì trovarono una nuova, assai meno piacevole sorpresa: il
cielo stellato era percorso la lunghissime scie di eterea luce verde, dalle
belle sfumature cangianti, che solcavano l’aria simili a onde spettrali.
Era
l’Aurora Boreale.
Emergenza.
Senza
riflettere, Sandy richiamò una gran quantità di sabbia attorno a sé e, con
pochi fluidi gesti, formò un ufo dorato e saltò a bordo.
- Posso
venire anch’io? – chiese June, eccitata dall’improvvisa iperattività del
Custode dei Sogni. Ma, con sua immensa delusione, Sandy scosse la testa con
espressione grave.
No. disse. È meglio che torni a casa, e ti metti al sicuro. È la cosa migliore da
fare.
- Uffa.
– Il Brasile era sicuramente un posto più tranquillo del Polo Nord. Troppo, per
i gusti di June.
La
ragazzina vide Sandy chiudere il portellone del mini-ufo e partire, più
silenzioso e rapido di qualunque altro oggetto volante non identificato, sparendo
in breve tempo oltre la linea dell’orizzonte.
June rimase
per qualche secondo sospesa a mezz’aria, con lo stesso broncio offeso con cui
Sandy l’aveva lasciata.
Poi
sorrise.
Certo
che i Guardiani avevano una gran faccia tosta a chiedere il suo aiuto e poi non
permetterle di renderla partecipe di qualunque cosa stesse succedendo in quel
momento. Seppur in minima parte, la giovane era stata coinvolta, e aveva il
diritto di sapere.
Richiamò
i venti più potenti che era capace di comandare.
Hah.
Non mi lasci certo qui, caro il mio Omino dei Sogni.
*
Jack si
ritrovò ad osservare il lento oscillare della spettrale luce dell’Aurora
Boreale con le mani poggiate sui vetri della finestra della cameretta di Jamie,
le dita leggermente tremanti e un nodo alla gola che non riusciva a sciogliere.
Era successo qualcosa.
Piegò le
dita e le strinse in pugni, combattuto. Non voleva andarsene. Jamie dormiva
tranquillo, e apparentemente –nonostante
i presentimenti di Jack- a Burgess era tutto a posto. Non c’erano Incubi in
città.
Ma aveva
anche promesso a Jamie di rimanere per la notte, e anche il giorno dopo. Si era
promesso di rimanere e giocare a palle di neve con lui e i suoi amici, e anche
di scoprire perché Jamie era così giù.
Strinse
le labbra in una linea sottile.
Non
poteva certo ignorare il suo dovere di Guardiano, soprattutto quando questo
chiamava. Poi, senza realmente comprendere cosa stava facendo, aprì piano la
finestra e uscì. Rimase ancora un secondo ad osservare il bambino che dormiva serenamente
nel suo letto, ignaro di ciò che stava succedendo.
-
Tranquillo, Jamie. Tornerò prima dell’alba. –
Poi, con
un movimento fluido di buttò nel vuoto e si lasciò prendere dal vento, che lo
trasportò in alto, leggero come una foglia, diretto verso il Polo Nord.
-+-
HOLD ON RIGHT THERE SON *modalità
coach
Oleander attivata. Possibili cambiamenti di personalità inclusi* Ehm. In
teoria dovrei scusarmi di esistere prima, ma a quello ci pensiamo dopo, yes?
GUARDATE QUESTI:
http://lombaxlover.deviantart.com/art/Dance-with-the-Devil-351665067
http://lombaxlover.deviantart.com/art/Echoes-364141589
LI HA FATTI
LOMBAXLOVER. DELLE FANART DI CRYSIS. PER ME. DELLE FANART DI CRYSIS.
OMG. *muore di nuovo*
donna, io non merito così tanto. No sul serio. No, non io.
SE AVERE UN ACCOUNT SU
DEVIANTART, ANDATELA AD ADORARE, OKIE? E anche se non ce l’avete, andatela ad adorare un casino lo stesso. Non me ne frega. AASKANDSNFAKMISENTOTROPPOAMATANONMERITOTUTTAQUESTAFELICITAAAA*delirio
totale*
Uhm.
Tornando sul mio
pentimento di essere nata, si. Torno nella mia buca della vergogna. Se avete
una pala e passate dalle mie parti seppellitemi pure, se vi va.
Ecco, ho finito. Adieu! *sighsobsniff*