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Autore: DarkshielD    13/04/2013    7 recensioni
Dopo la sconfitta da parte dei Guardiani, Pitch sembra essere destinato a scomparire, dimenticato da tutti, temuto da nessuno. In effetti, al risveglio da un brutto sogno, all’arrivo dell’alba, un incubo può scomparire.
Ma la paura rimane. E spesso, troppo spesso, va ben oltre il timore di trovare un mostro chiuso nell’armadio o sotto il letto, pronto a ghermirci se siamo così ficcanaso da dare un’occhiata.
La paura evolve. Diventa più potente.
Talmente potente da non poter essere più definita semplice paura.
E sarà allora che toccherà ai Guardiani tornare in azione.
Genere: Angst, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: I Cinque Guardiani, Nuovo personaggio, Pitch
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ultimo aggiornamento? 31/01/13. SONO UN MOSTRO UGGHH. E questo capitolo è assolutamente un orrore e io… io… io… vado. *striscia in un buco e ci rimane a piangere*

 

XII: Un accordo, un aggressione e un piccolo mistero

 

 

Erano passati quattro  giorni dal risveglio di Pitch e dal suo interrogatorio.

I Guardiani, di fronte alla ferma decisione di North, avevano desistito dall’intenzione di torchiare l’Uomo Nero e strappargli con le cattive maniere quante più informazioni possibili, lasciando il compito al Guardiano della Meraviglia.

Dopo quella decisione nessuno dei Guardiani si era più fatto rivedere al Polo Nord, e la cosa aveva sconfortato North: comprendeva benissimo quanto fossero tutti impegnati e, ancor più di quello, quanto fossero arrabbiati con lui e lo strano trattamento di riguardo che aveva riservato a Pitch. Il Guardiano sapeva benissimo che la soluzione in quel caso era una sola: lasciar sbollire la rabbia. Tuttavia, c’era una situazione spinosa da risolvere, e riguardava proprio Pitch.

L’Uomo Nero era vivo per una ragione. L’Uomo sulla Luna gli aveva salvato la vita, il che voleva dire che il suo acerrimo nemico doveva avere un’utilità per i Guardiani, per i bambini di tutto il mondo, un’utilità che non poteva consistere soltanto nell’essere una fonte di informazioni, era una cosa di cui North era sicuro.

Ma i segnali di Manny, i dubbi degli altri Guardiani e le sue stesse supposizioni non potevano risolvere la strana situazione di stallo in cui North si trovava: voleva parlare con Pitch, e soprattutto voleva che l’altro lo ascoltasse, e lo considerasse non come un Guardiano né come un nemico, ma come un suo pari. Ma era pur sempre Pitch, e prenderlo per il verso giusto sembrava impossibile.

Serviva un idea.

E in quei quattro giorni North ne aveva maturata una, una potenziale soluzione a una buona parte dei problemi dei Guardiani, che possedeva tuttavia una vistosa pecca: poteva benissimo non funzionare. Tuttavia, non aveva nulla da perdere nel provare a metterla in pratica.

North si alzò dalla grande poltrona del suo ufficio, impugnò le sue due fidate sciabole, una per mano, e uscì dal suo ufficio.

Gli yeti che lo incrociarono strada facendo si scansarono rapidamente alla vista della sua espressione, né fecero domande su dove andasse così armato e minaccioso: lo intuivano.

Una volta arrivato di fronte alla camera degli ospiti che fungeva da prigione, ordinò agli yeti di guardia di aprire. Gli Abominevoli Uomini delle Nevi, di fonte alle sciabole sfoderate ed impugnate e all’espressione battagliera di North si scambiarono delle occhiate ansiose, ma ubbidirono senza fiatare e aprirono la porta.

Oltre la soglia, nonostante l’abbondanza di luce esterna, la camera era immersa in una penombra fitta, sebbene non abbastanza da permettere la fuga al suo prigioniero. North esaminò attentamente la camera apparentemente vuota e, nonostante i richiami preoccupati degli yeti, azzardò qualche passo all’interno.

- Vedo che hai dato un tocco di personalità alla tua nuova dimora eh, Pitch? – chiese, e un vago sorriso gli solcò le labbra. Inizialmente, ad accogliere la domanda vi fu solo il silenzio. Poi, una voce parlò:

- La tua mancanza di gusto in fatto di arredamento è un autentica tortura per i miei occhi, North. Il non fare qualcosa al riguardo mi avrebbe ucciso. Almeno per quel che riguarda l’illuminazione… – North si voltò, e il suo sguardo incontrò quello irritato dell’Uomo Nero, nascosto dietro la porta, a pochi passi dietro di lui. - …Hai scelto il peggio del peggio per apposta per me, immagino. –

Pitch era riuscito a sbarazzarsi del maglione natalizio. Al suo posto, indossava una tunica nera, simile a quella che indossava di solito ma meno scollata, in modo da nascondere le fasciature che ancora portava. Gli yeti dovevano aver sudato sette camice prima di riuscire a trovarne una così simile, pensò North. Gli abiti che Pitch indossava quando Jack l’aveva portato al Polo Nord avevano degli squarci così ampi da non risultare riparabili e trovare qualcosa di rassomigliante si era rivelata un impresa molto ardua per i pelosi aiutanti di Babbo Natale.

- Cosa vuoi, North? – chiese Pitch con fare sospettoso, allontanandosi di poco dal suo aguzzino, gli occhi che guizzavano dal suo viso barbuto alle sciabole impugnate, e un’espressione sospettosa dipinta sul volto magro.

- Sono venuto a fare due chiacchiere. Solo questo. – disse North in tono tranquillo, avanzando ancora nell’oscurità, le sciabole impugnate solo con i pollici, come a dimostrare all’altro che, nonostante fosse armato, non era venuto con cattive intenzioni. Pitch assottigliò gli occhi, notando l’impugnatura sulle sciabole ed intuendo un ‘ma’ nel discorso.

- Anzi… - con un movimento fulmineo, North serrò la presa sull’impugnatura di una delle spade, e puntò la lama contro Pitch che indietreggiò con la stessa rapidità, gli occhi sbarrati dalla sorpresa e un po’ dalla paura, la punta dell’arma a pochi centimetri dal suo naso – …Sono venuto a fare molte chiacchiere, Pitch. – disse, deciso.

- Mettiti comodo. Abbiamo un bel po’ di argomenti su cui discutere. –

*

Silenzio.

Dopo aver pronunciato quella parola, nella stanza avvolta nella semioscurità era calato il silenzio più assoluto. Dopo aver pronunciato quella fatidica parola che da cinque giorni gli frullava nella testa, North si era ritrovato a trattenere il fiato.

Alleanza.

Lui, Nicholas St. North, aveva appena chiesto alleanza a Pitch Black.

Devo essere fuori di testa. Si disse in quell’interminabile istante …Forse.

Proprio in quel momento si ritrovò a pensare che forse la sua idea non era poi così geniale come credeva. Come a conferma del suo sospetto, Pitch era rimasto in silenzio, un espressione imperscrutabile a nascondere possibili emozioni, lo sguardo che continuava ad andare dal volto ansioso di North alla sua mano tesa, desiderosa di suggellare l’accordo. North aveva decine di argomenti a suo favore. In quei cinque giorni ci aveva pensato e ripensato, li aveva formulati sotto forma di discorsi centinaia di volte, cercando di immaginare le possibili reazioni di Pitch, ogni sua possibile obiezione, e si era preparato ad aggirarle tutte, a convincerlo.

Ma non aveva calcolato quel silenzio. In quell’istante, tutti i suoi argomenti più forti gli sembrarono meno validi di una scusa infantile.

Non accetterà mai. Pensò di nuovo, sconfortato.

Gli occhi di Pitch continuarono ad andare da quella mano tesa a quel volto tanto odiato, ed infine si fermarono su quest’ultimo. Ispirò impercettibilmente.

- Che ragioni avrei per allearmi con voi? – chiese a mezza voce. North non riuscì a percepire sarcasmo, o astio, o qualunque altro sentimento celato dietro quella domanda. Pitch l’aveva posta senza alcuna inflessione nella voce, inespressiva come il suo volto.

Come se non si aspettasse nulla.

North abbassò la mano, gli occhi ancora fissi su quelli del suo prigioniero, un espressione grave sul volto. Di argomenti ne aveva a palate, ma in quell’esatto istante, di nuovo, non sembrarono abbastanza.

Perché abbiamo un nemico in comune. Perché Manny ti ha lasciato vivere, e Manny sa sempre cosa fa. Perché sei debole, e non ce la farai mai senza di noi. Perché per quanto forti e determinati, siamo ancora impreparati. Perché non siamo coscienti di cosa stiamo affrontando, ma tu forse si. 

Perché puoi sicuramente aiutarci.

Perché voglio sapere cosa ti ha realmente spinto a tradire Crysis. Cosa ti ha spinto a fare qualcosa che non avresti mai fatto.

Perché…

Perché voglio credere che ci sia ancora del bene nel tuo cuore. E lo voglio trovare.

- ‘Il nemico del mio nemico è mio amico’, dicono. – disse North lentamente. Fece una pausa, e abbassò per un istante lo sguardo sulla mano destra, intenta a giocherellare nervosamente con l’impugnatura intarsiata della sciabola, che dal ruolo di arma era passata a quello di giocattolo antistress – Non posso dire di poter vedere le cose dal tuo punto di vista, né di sapere le tue ragioni, ma credo di poter immaginare i tuoi sentimenti. – non rialzò gli occhi, ma sapeva che Pitch lo stava ancora osservando con quello sguardo inespressivo.

- Hai scelto un nemico. Ti sei schierato contro Crysis, e, come ha detto tu, lei te l’ha fatta pagare. Non voglio suonare arrogante, ma… posso immaginare come la cosa ti faccia sentire. Posso immaginare che tu… desideri vendetta. –

L’omone rialzò lo sguardo, incontrando nuovamente quello dell’Uomo Nero: - Giusto? –

- Vendetta?... – la voce di Pitch tremò nel pronunciare quella parola.

Vendetta.

North vide le sottili labbra dell’uomo stirarsi in un sorriso forzato. Pitch rimase a fissare l’uomo di fronte a sé per qualche altro istante, senza muoversi. Poi distolse lo sguardo e con un gesto nervoso si passò una mano tremante sul volto, prorompendo in una risatina acida.

- Sei divertente, North. – disse, e quel sorriso forzato si allargò, diventando un ghigno inquietante. North rimase in silenzio, incerto. Pitch continuò: – Davvero. Sei divertente. Adesso ti interessa se io voglia vendicarmi o meno. Fammi indovinare, volete aiutarmi? – disse, allargando appena le braccia.

North alzò un sopracciglio: - Si? – azzardò con una nota di speranza nella voce.

Per tutta risposta Pitch scoppiò a ridere: gli ci volle un po’ a calmarsi, ma il Guardiano non fece una piega. - Oh, e come mai tutto questo interesse? – continuò, continuando a sghignazzare. North finse di riflettere, accarezzandosi la barba candida.

- Perché abbiamo un nemico in comune, ora. – cominciò, cercando di scegliere le parole migliori. Non era la più facile delle imprese: - Onestamente, ti conosco da diverse centinaia di anni, non mi sei mai sembrato il tipo che ignora le offese, e né mi sei mai sembrato particolarmente pacifico. E poi Crysis ti ha portato via i tuoi Incubi. Quindi perché no? – mentre parlava, le labbra di Pitch si erano stirate in un sorriso ancor più largo. Non sicuro se quella fosse una reazione positiva o negativa, North sorrise speranzoso in risposta.

- E perché si? –

- …Cosa? – North rimase interdetto.

- Ho chiesto, perché si? – ripeté Pitch, continuando a sorridere in modo irritante: - Perché allearmi con voi? Io voglio la vostra distruzione. Oh, certo, vorrei farlo con le mie mani, ma sai, sono tempi duri per me e mi devo arrangiare come posso, quindi va bene che sia Discordia a farlo al posto mio. Lei ha un potere immenso, molto più grande di quanto possiate immaginare, e vi vuole abbattere. L’unica cosa che ho da fare è rimanere qui nel mio angolino e guardarvi cadere uno dopo l’altro. –

La risposta lasciò North a bocca aperta. Aveva considerato quella reazione. Aveva anche sperato che l’ostinatezza e la voglia di rivalsa avrebbero sopraffatto quel lato del suo carattere. Forse, si disse, maledicendosi per la sua ingenuità, era stato troppo ottimista nel sperare che le cose avrebbero preso la strada migliore per i Guardiani.

Strinse le grandi mani in pugni: - E se noi le dicessimo che sei ancora vivo? Vorrà sicuramente finire il lavoro, non credi? –

La minaccia non sembrò sfiorare Pitch quanto North aveva sperato. Ma forse quella, si disse il Guardiano, era solo una facciata. L’Uomo Nero si limitò ad alzare le spalle ed incrociare le braccia: - Oh, certo. Mai lasciare le cose a metà, è una regola d’oro per andare avanti. –

Tra i due calò un silenzio che durò diversi istanti, istanti che North cercò di impiegare al meglio per cercare di raccogliere altri argomenti a suo favore. Certo, poteva ancora cercare di costringerlo. In fondo, l’Uomo Nero era suo prigioniero…

Poi Pitch, dopo un attimo di riflessione, disse:

- Dì la verità, tu e i tuoi compagni non avete idea di cosa state affrontando, eh? –

North corrugò le sopracciglia folte: - Dì la verità, non te l’aspettavi, eh? – scherzò, sentendo un moto di nervosismo sul fondo dello stomaco. L’altro non aveva idea di quanto perfettamente avesse colpito nel segno.

- L’informazione non mi sa di nuovo. – disse l’Uomo Nero in tono sarcastico, esaminandosi le unghie: - Ho saputo che l’Uomo sulla Luna ha nominato il quinto Guardiano praticamente subito dopo aver saputo del mio ritorno. E il vostro caro, prezioso Frost non mi è proprio sembrato mister professionalità. A volte mi domando dove trova voi svitati, perché sembrate venire tutti dallo stesso posto. –

Sorrise quando North ribatté, offeso: - Non siamo noi gli svitati, lo sei tu! –

- Indubbiamente. – asserì l’altro, atono.

Di nuovo silenzio, più lungo e pesante di prima. La cosa cominciò ad irritare North. Sapeva di dover essere cauto, ma…

- Allora, vuoi allearti con noi o no? – sbottò, riportando l’attenzione dell’altro su di sé.

Pitch corrugò le sopracciglia: - …No. –

North, che in un rinnovato moto di speranza aveva nuovamente teso la mano, lasciò cadere il braccio, e tutta la delusione che provava e che finora aveva cercato di reprimere trasparì di colpo dal suo viso. Si concesse qualche altro secondo di pausa, nella disperata speranza che l’Uomo Nero cambi idea all’ultimo istante, ma non ottenne nulla.

Avvilito, si voltò e fece per andarsene, quando la voce di Pitch lo bloccò sul posto.

- No, non voglio allearmi con voi. No, non voglio neanche lontanamente considerare l’idea di potervi fornire una qualsivoglia forma di sostegno, né che voi possiate fare altrettanto. Non voglio neanche starvi vicino, e ovviamente aiutarvi in una battaglia da cui spero usciate sconfitti è l’ultimo dei miei pensieri. Ma. –

North lo sentì prendere fiato, come stesse per dire qualcosa di incredibilmente imbarazzante e avesse bisogno di un momento per prepararsi mentalmente: - Ma Crysis è la fuori, e ha il controllo su ciò che fino a poco fa era il mio esercito. L’ha reso più potente, e ti assicuro che quello che vedi adesso non sarà comparabile a quello che vedrai tra poco. E non mi importa assolutamente niente se le dici che sono vivo perché tanto, presto o tardi, lo scoprirà lo stesso, e si muoverà per finire il lavoro. – Forse penserà che ho rivelato ai Guardiani delle Creature senza Nome… non che quell’informazione sia essenziale. Niente può distruggerle. - E ovviamente vi schiaccerà come delle formiche. –

A quell’ultima affermazione North si voltò, un’espressione decisa negli occhi chiari: - Siamo formiche rosse, Pitch. I nostri morsi sanno fare male. Noi non ci arrenderemo, non importa quanto grande sia il nemico. –

- Ha. Ha. Ha. Che bei paroloni, North. – Pitch alzò gli occhi al cielo con fare irritato: - Degni di un Guardiano. –

North strinse i pugni, studiando l’altro con un’espressione irritata. Dove voleva arrivare Pitch con quelle provocazioni?

- Oh non mi guardare così, mi fai paura. – disse l’Uomo Nero, fingendosi spaventato e mettendo le mani avanti a mo’ di difesa. Poi tornò serio, e intrecciò le dita dietro la schiena. Sempre seguito dallo sguardo di North, fece qualche passo, poi continuò: - Normalmente la scelta migliore da fare per me sarebbe rimanermene qui buono e tranquillo e aspettare l’inevitabile. È la soluzione più semplice, magari anche la meno dolorosa. E si, so benissimo perché mi tenete prigioniero qui, e francamente considerando il caratteraccio di quel sacco di pulci di Calmoniglio non fatico a immaginare cosa teniate in serbo per me. È per questo che lo dico. Ma ci sono due problemi. Primo: io non ho intenzione di morire senza fare niente per evitarlo. –

La durezza che Pitch mise in quell’ultima affermazione colpì North. Forse era la sua immaginazione, ma ebbe l’impressione che fosse ben più di quello.

- Secondo: ho delle faccende rimaste in sospeso con Crysis, e non sto parlando soltanto di vendetta. Faccende che voglio sistemare il prima possibile. –

- Ma senza i tuoi Incubi e con i poteri indeboliti, non ce la puoi fare giusto? – continuò North. Forse non avrebbe dovuto sorridere considerando l’occhiata truce con cui Pitch lo ricambiò, ma non riuscì a farne a meno.

- …E al momento non riesco a pensare a un modo ottimale per raggiungere i miei obiettivi, giusto. – completò l’altro.

- E quindi?... – Pitch storse il naso. Avrebbe voluto tagliarsi la lingua per quello che stava per dire.

- Chiamala tregua, chiamala patto di non aggressione, chiamala ‘momentanea svista da parte di entrambi visto che siamo nemici giurati e lo saremo sempre’, o quello che ti pare, ma non chiamarla alleanza. Non siamo alleati. Abbiamo un obiettivo comune, tutto qui. –

North non trattenne un sorriso: - D’accordo. Non è un’alleanza. ‘Accordo’ va bene? –

- Accordo di non intralciarsi- -

- …Aiutarsi. – lo corresse North. Pitch alzò gli occhi al cielo.

- …Va bene. Aiutarsi a vicenda. Se strettamente necessario. –  per tutta risposta, North sfoderò il migliore dei suoi sorrisi.

- Anche in battaglia. Se noi ti aiuteremo, tu combatterai al nostro fianco. – North vide Pitch storcere gli angoli della bocca in un’espressione di disgusto, ma non denegare: - Se ci ritroveremo coinvolti in uno scontro con Crysis non penso che riuscirò a sgattaiolare via tanto facilmente, quindi non credo di avere scelta. –

- E quindi… - per la terza volta quel giorno, North tese la mano verso Pitch. L’Uomo Nero la fissò con un’espressione fra l’inquieto e il dubbioso, come se si aspettasse di vederla trasformarsi in una tagliola se l’avesse afferrata. Timore non infondato, considerando l’energia con cui North gli afferrò e gli scosse la destra esitante in una stretta decisamente energica.

- Suppongo che possiamo definirci d’accordo ora? – sorrise l’omone, entusiasta.

- Suppongo di si... – disse Pitch, cercando di mascherare la nota d’incertezza nella voce. Un accordo verbale poteva anche andare, per il momento.

North, dal canto suo, non si pose dubbi né si fece domande. Forse non era il caso di sentirsi così su di morale, pensò, considerando che aveva appena stretto alleanza con qualcuno che avrebbe probabilmente tradito lui e i suoi compagni alla prima buona occasione, ma non riuscì a soffocare l’ottimismo.

Pitch distolse lo sguardo: - Può andare. – concluse semplicemente, nascondendo la vaga sensazione di disagio che provò nel sentirsi quello sguardo fin troppo speranzoso puntato addosso. In fondo, era abituato ad essere guardato con paura o riverenza, non con entusiastica aspettativa.

North avrebbe voluto abbracciarlo. Rimase in silenzio per qualche secondo, stavolta troppo eccitato per rimanere serio ed immobile, spostando il peso da un piede all’altro e guardandosi attorno con finta curiosità. Pitch alzò gli occhi al cielo: evidentemente l’omone di fronte a lui voleva qualcos’altro.

- Hai qualcosa da aggiungere? – chiese, senza nascondere la sua irritazione di fronte a quell’atteggiamento tanto infantile.

North smise di dondolare sul posto, ma non smise di sorridere.

- Uh… in verità si. – disse in tono improvvisamente leggero, strofinandosi energicamente i palmi delle mani. – Ho un favore da chiederti. Se ti va di ascoltarmi, ovviamente. –

Pitch alzò un sopracciglio, annuendo sospettoso. Forse, pensò, la sua idea di accettare quell’accordo non era stata poi così brillante come credeva, ma almeno adesso aveva la certezza di non essere tenuto prigioniero per essere torturato –o peggio- soltanto per ottenere informazioni.

Forse.

*

In quattro giorni passati lontano dal palazzo di North, Jack aveva alacremente svolto il suo doppio lavoro di combinadisastri e di Guardiano.

Aveva speso la maggior parte del suo tempo in Europa e dintorni, approfittandone per farsi sporadicamente vedere dai bambini, perché nel vecchio continente erano ancora davvero in pochi a credere nella sua esistenza. Ovunque era andato, neve e correnti fredde l’avevano accompagnato come amici fidati, coprendo di bianco interi paesi come la Germania, la Francia e la Spagna.

Nonostante la tentazione onnipresente, Jack non era più tornato al palazzo di North, nemmeno per sapere come vanno le cose. Qualcosa gli diceva continuamente di non avvicinarsi a quel luogo, e di rimanere fuori dai piedi finché la sua presenza non fosse stata richiesta. Non era sicuro se era il caso di ascoltare quella strana vocina nella sua testa che continuava a ripetergli quel concetto come un mantra, ma aveva ubbidito. In fondo, aveva trovato anche delle ragioni per farlo.

Il divertimento dei bambini prima di tutto, no?

Alla fine, si era sforzato di convincersi del fatto che non era necessario preoccuparsi di nulla che non fosse un problema visibile e materiale, anche se Pitch era un ‘problema’ che rientrava benissimo in entrambe le categorie. Nonostante ciò, Jack si era ostinato ad ignorare al situazione, segretamente fiducioso del fatto che le cose si sarebbero sistemate per il meglio in sua assenza. Insomma, stiamo parlando di North, no? E’ un Guardiano, e lo è da molto, molto più di me. Sa cosa sta facendo. Anche se non sempre sembra che sia così. O forse dovrei davvero smetterla di perdere tempo e rendermi utile…

Tuttavia, nessuna delle sue congetture risultò sufficiente a convincerlo a tornare al Polo Nord.

Nei suoi raid di neve e gelo, Jack si spinse fino al sud Italia, arrivando fino in Sicilia, territorio in cui sapeva che non doveva mettere piede in quel periodo dell’anno per evitare incontri spiacevoli con un certo petulante Spirito dell’Estate che aveva l’abitudine di prendersela comoda nell’andarsene dai territori che presiedeva. Tuttavia, quel giorno si sentiva abbastanza fortunato da tentare.

Fu solo dalle parti di Siracusa che si accorse di quanto disgraziata era stata la sua scelta.

- Jaaaack… -

Il Guardiano del Divertimento sentì un brivido gelido risalirgli su per la schiena. C’era un solo essere capace di farglielo provare, escludendo Pitch e i suoi Incubi. Si voltò lentamente e sorrise nervoso ad una ragazzina poco più che tredicenne che sedeva su un grosso ramo di un albero secco, pochi metri dietro di lui. Dietro di loro si estendeva una spiaggia di sabbia bianchissima bagnata dalle deboli onde di un mare color acquamarina. Il cielo, che fino a poche ore prima era stato terso e illuminato dal bel sole di metà novembre ora era più scuro, ingrigito da lontane nuvole che promettevano pioggia, freddo e, da lì a qualche settimana, neve.

June era sempre la stessa. Piccola, bionda e riccioluta, abbronzata dal quel sole che picchiava forte ovunque lei andasse, portava sempre lo stesso abitino di cotone bianco, la solita coroncina di spighe di grano in testa, la solita faretra di frecce e il micidiale arco allacciati sulla schiena e il solito, inquietante –almeno per Jack-, sorrisino sul volto lentigginoso.

- Ehilà, June… - Jack deglutì. Ma guarda chi si vede…

Il sorriso di June si allargò, svelando due file di denti bianchissimi e un piccolo diastema al centro: - Ti stavo cercando! – esclamò entusiasta: - Ho sentito il vento raffreddarsi un sacco e tutti quei nuvoloni e ho pensato: il Ghiacciolino si degna di farmi visita! E ho visto giusto! – rise, saltando giù dall’albero e avvicinandosi a saltelli al Guardiano, che rimase immobile, irrigidendosi.

- Behhh… - iniziò Jack per poi interrompersi, cercando di riflettere. Oh cavoli, ma perché mi sono dimenticato che lei è qui?! - …Non è che sono venuto proprio a fare visita. Diciamo che è per lavoro. Sai, è ora di prepararsi per l’autunno! – In realtà sarebbe ora di prepararsi per l’inverno, ma fa niente…

Fu un solo istante, ma lo Spirito del Gelo comprese immediatamente di aver fatto un passo falso quando vide il sorrisino della ragazzina affievolirsi. A June non piaceva il cosiddetto ‘autunno’. Ella infatti ci teneva parecchio a quelli che amava definire ‘gli ultimi malinconici giorni d’estate’ durante i quali influenzava il tempo con tutto il potere di cui era capace, donando gli ultimi sprazzi di luce e calore alle terre che visitava prima di lasciare spazio al freddo, rigido inverno. Difficilmente perdonava coloro che rovinavano quei momenti.

- Aha. In effetti quei nuvoloni… – asserì June e sollevò lo sguardo al cielo, gli occhi chiari rivolti verso le grandi, scure nubi in lontananza, un sorriso dubbioso sul viso tondo. – Jack? –

- Si? –

- Lo sai dove siamo ora? – Jack parve rifletterci seriamente: - Vicino ad una spiaggia? – azzardò. June abbassò lo sguardo.

- Intendo geograficamente. Sai, città, regione, Stato, posizione rispetto all’Equatore? – Lo Spirito dell’Inverno già conosceva la risposta.

- …’Non è il mio territorio, non adesso’, d’accordo. – Alzò le mani in segno di resa: - Scusa, non lo faccio più. –

- In verità non l’hai fatto più neanche tre anni fa. – lo corresse June, una nota pericolosa nella voce. – E ne abbiamo parlato a proposito, all’epoca. –

- Uuuh, davvero? – chiese Jack. Poi, senza pensare, aggiunse: - Non sapevo che le tue frecce sapessero parlare. –

- Oh, cantano come degli usignoli, Gelatino. –

Sarebbe meglio dire che fischiano. Ma se preferisci dire così, cara la mia assassina nata, d’accordo... Jack vide la piccola mano dello Spirito dell’Estate spostarsi casualmente sulla nuca, pericolosamente vicino al bottoncino che teneva l’arco allacciato alla sua schiena. Cominciò a richiamare mentalmente il vento.

Tre…

- …Scommetto che ti sono mancate, perché altrimenti non saresti qui. –

…Due... uno…

Un forte vento freddo prese a spirare, scompigliando energicamente i capelli di entrambi e agitando l’orlo dell’abito della ragazzina. Ciò che seguì avvenne in poco più di un batter d’occhio.

…Via!

- D’accordo, ciao! – disse Jack sollevandosi da terra e lasciandosi trasportare in alto, sempre più veloce, sospinto dal vento che ringhiava furioso nelle sue orecchie e affievoliva lo strillo arrabbiato che June gli lanciò: - JACKSON OVERLAND FROST, STAVOLTA SEI FINITO! –

Una freccia dalle penne rossastre gli passò pericolosamente vicino all’orecchio sinistro, e una strana ondata d’aria tiepida gli sfiorò i piedi, informandolo che lo Spirito dell’Estate era partito al suo inseguimento.

- QUESTO L’HAI DETTO ANCHE TRE ANNI FA! – gridò Jack in risposta, accelerando. Quel pomeriggio prometteva di essere parecchio movimentato, si disse.

*

L’assurda caccia allo Spirito del Gelo si era estesa per tutto il continente europeo, per poi spostarsi lentamente verso est. Più di una volta Jack aveva rischiato di essere colpito (- Oh avanti, Frosty! Sto solo cercando di farti provare l’ebbrezza dell’amore a prima vista! – aveva gridato June in una di quelle occasioni.) e aveva colto ogni buona occasione per scagliarle contro correnti gelide e neve per distrarla, riuscendo così a farsi perdere di vista diverse volte (- Mi dispiace davvero, ma non mi sono mai piaciute le piovre! –). Ma, sfortunatamente per Jack, June era sempre riuscita a scovarlo prima che il giovane avesse il tempo di dileguarsi.

Nella sua fuga Jack aveva finito col trascinare lo Spirito dell’Estate su un terreno a lei sfavorevole: la Russia, terra di cui l’inverno e il gelo erano i sovrani incontrastati in quel periodo dell’anno.

Tuttavia, nonostante il clima avverso June non si era arresa, e l’inseguimento era continuato sempre più in direzione nord-est.

Ed era solo verso pomeriggio, e solo in Siberia, che aveva finalmente ceduto.

Jack lo capì subito quando, dopo essere riuscito a farsi perdere di vista ed essersi letteralmente buttato nella neve della foresta che stavano attraversando nel disperato tentativo di non farsi trovare, aveva udito un improvviso, sonoro starnuto da parte della ragazzina.

June tirò su col naso, borbottando tra sé qualcosa che Jack non riuscì a sentire nonostante fosse a pochi alberi di distanza, e si guardò intorno con un’espressione indispettita. Poi, dopo una pausa che a Jack sembrò un’eternità, rimise le frecce nella faretra, riallacciò l’arco sulla schiena e volò via.

Jack esalò un lungo, lento sospiro di sollievo. Salvo. Scivolò lentamente a terra e affondò nella neve candida, assaporando la gioia di non avere più marmocchi armati alle calcagna.

Almeno per il momento.

Rimase immobile per molti minuti, godendosi il silenzio assoluto di quel luogo e scrutando attentamente il cielo e gli alberi attorno a lui in cerca di altre forme di vita. Non era sicuro se June avesse effettivamente abbandonato il proposito di dargli la caccia, perciò aveva preferito essere prudente e non muoversi dall’improvvisato nascondiglio per un po’.

Fu allora che si accorse della fitta oscurità in cui era avvolta la foresta, rischiarata a malapena da un fiume di stelle che splendevano nel cielo terso. Anche la neve col suo candore aiutava a scacciare un po’ di quelle ombre.

Cavoli, mi hai tenuto occupato per tutto il giorno, eh? Si disse, rivolto a June. Chissà dov’era in quel momento. Jack sperò ardentemente che se ne fosse tornata nel suo amato Brasile.

Corrugò la fronte osservando quel paesaggio: era bellissimo, ma gli aveva fatto tornare in mente qualcos’altro. Qualcosa che si era ripromesso di fare quel giorno, prima che i suoi piani fossero sconvolti. Qualcosa di veramente importante.

Era la neve. Ah!

Si passò una mano sul volto, maledicendosi per la sua stupidità. Non ci aveva più pensato…

Chiuso per neve.

Si era ripromesso di andare a trovare un amico importante, quel giorno.

Chissà come sta Jamie.

*

Era già sera quando Jack arrivò a Burgess. Il giovane Guardiano aveva sperato di arrivare prima, magari di pomeriggio, per poter parlare con Jamie e magari uscire con lui e i suoi amici a fare a palle di neve. Ma a quell’ora probabilmente il ragazzino era già a letto.

Jack atterrò con un movimento fluido sul tetto coperto di neve di casa Bennett.

Era passato circa un anno da quando tutti i bambini del mondo erano tornati a credere nei Guardiani: un anno molto freddo in cui, sebbene fosse soltanto metà novembre, uno spesso strato di neve e ghiaccio già campeggiava sui tetti e sulle strade della cittadina, rifiutandosi di andarsene per settimane e causando così disagi e, per la gioia dei più piccoli, chiusura precauzionale delle scuole della zona.

Jack si avvicinò a passi felpati alla finestra della cameretta di Jamie, e si chinò a testa in giù a guardare oltre i vetri. Come si aspettava, le luci erano spente, e la camera era avvolta nel buio. Jack si sporse un po’ di più, cercando con lo sguardo la piccola figura del suo amico addormentato nel letto.

- Jack! – senza preavviso, la spettinata testa di Jamie sbucò dalla montagnola di piumini e coperte di lana, rivolgendo uno sguardo sorpreso verso la finestra. Il ragazzino saltò giù dal letto e si avvicinò alla finestra, emergendo dalla fitta penombra. Jack, sorpreso dal fatto che il bambino fosse sveglio, si limitò ad alzare entrambe le sopracciglia mentre Jamie armeggiava con la maniglia della finestra e aprirla per lasciar entrare il Guardiano.

- Hey, ancora sveglio a quest’ora? – Jack sorrise: - E’ tardi, sai? –

- Qui ha nevicato un sacco ultimamente, ti stavo aspettando. Entra! – rispose Jamie con un sorriso, e si fece da parte. Jack entrò nella stanza e si guardò intorno: non era cambiato niente dall’ultima volta che era stato lì. La cameretta era ancora piccola e accogliente come sempre, col soffitto basso, i poster sulle pareti e il fido robot giocattolo che faceva la guardia sul comodino accanto al letto.

- Sei sparito per settimane. – continuò Jamie, tentando di metter su un broncio offeso senza riuscirci: - Sei mancato a tutti, dov’eri finito? –

Jack si sentì un po’ in colpa: erano settimane che non si faceva vedere a Burgess e dintorni, anche se aveva inviato il freddo in sua vece.

- Mi dispiace tantissimo, è che abbiamo avuto un po’ di problemi. Niente di che. – mentì Jack con un’alzata di spalle. Il sorriso di Jamie si spense di colpo, e il bambino corrugò la fronte.

- Pitch? – chiese preoccupato. Il sorriso di Jack si fece un po’ incerto.

Colpito e quasi affondato. Pensò.

Jack si passò una mano sulla nuca, imbarazzato: non sapeva come spiegare la strana situazione in cui lui e i Guardiani si erano ritrovati. – Si, anche lui. – rispose lentamente con un mezzo sorriso, e alzò le mani quando vide lo sguardo di Jamie farsi più preoccupato: - Ma, ti dico, non è niente di che. Ci sono solo un mucchio di grattacapi da risolvere. – fece una pausa, poi scosse la testa: - Sarò onesto, quel tipo non smetterà mai di essere una fonte di guai. –

- Ma… è tornato? –

Jack scosse la testa: - No. –

Per un terribile istante Jack temette che il bambino non aveva creduto alla bugia. Più di una volta Jamie si era dimostrato incredibilmente bravo a capire quando qualcuno mentiva.

Perlomeno, questo valeva ogni qualvolta era Jack a mentire.

Per la gioia del Guardiano, Jamie sospirò di sollievo, poi continuò: - Senti, io e gli altri ci siamo messi d’accordo di uscire a fare a palle di neve quando saresti tornato. Vogliamo te come ospite d’onore. Hai abbastanza tempo anche per noi? – sorrise innocente, sfoderando i suoi migliori occhi dolci per cercare di convincerlo. Jack scosse appena le testa, ridendo: - Ovvio, che domande. Dimmi solo che abito devo indossare per l’occasione. –

Jamie rise, e si ributtò sul letto: - Oh, quello che hai addosso va benissimo. O qualunque altra cosa deciderai di mettere. – sorrise al soffitto.

I due rimasero in silenzio per qualche istante, ognuno sorridendo per conto suo, entrambi felici di essersi rivisti dopo tanto tempo. Poi Jack rialzò lo sguardo: non gli aveva ancora chiesto come stava. In fondo, era venuto lì soprattutto per quello.

- Tu, piuttosto. È quasi un mese che non ti vedo. Come te la passi? – il sorriso entusiasta di Jamie durò per qualche altro istante, prima di spegnersi di colpo. Con lo sguardo ancora fisso sul soffitto, convinto che il Guardiano non lo stesse guardando, Jamie corrugò leggermente le sopracciglia.

- Bene. – disse semplicemente. Rimase in silenzio per qualche istante, prima di risollevarsi ed accorgersi del fatto che Jack in realtà lo stava osservando attentamente, e che anche la sua espressione era cambiata, assumendo una sfumatura preoccupata.

Cercò di tornare a sorridere, ma la facciata non servì a nulla.

- Jamie… è successo qualcosa ultimamente? – chiese Jack con la fronte corrugata, alzandosi dal comodino su cui si era seduto e si avvicinò al bambino, sedendosi sul letto con lui. Jamie scosse la testa: - No, nulla. –

- Brutti voti a scuola? Qualche insegnante ti ha sgridato? – Jamie scosse di nuovo la testa – Hai litigato con qualcuno? –

Jack serrò le labbra, poi continuò: - Qualcuno ti maltratta?... –

A quella domanda spalancò leggermente gli occhi e si tirò indietro, scuotendo la testa con un’espressione di sconcerto così sincera che Jack si tranquillizzò un poco.

Tuttavia, ancora non capiva cosa non andava. Jamie parve capire i sentimenti contrastanti dell’amico, perché si affrettò a tranquillizzarlo: - Jack, non ti preoccupare. Non c’è nulla che non va. – esitò un attimo, poi alla vista dell’espressione un po’ dubbiosa dell’amico gli mise una mano sul braccio. – Davvero. – Insisté.

- E allora perché…? – Jamie sorrise, scuotendo appena la testa.

- Mi sei mancato, tutto qui. Avevo paura che ti fossi dimenticato di me! – scherzò. Jack sorrise: - Ah! Impossibile. –

Di nuovo silenzio.

- Jack. –

- Si, Jamie? –

Il ragazzino distolse lo sguardo dall’amico, esitando: - Senti… so che ora che sei un Guardiano sei sempre impegnato con tutti gli affari da Guardiani e col chiudere tutte le scuole per neve ma… posso chiederti un favore? –

Prima che il Guardiano avesse anche soltanto il tempo di rispondere, Jamie continuò: - Puoi rimanere qui per stanotte? –

Jack si bloccò.

- Ma certo. – sorrise.

Chissà cos’aveva Jamie, al punto da non volerlo confessare nemmeno a Jack, che era uno dei suoi migliori amici.

*

La notte era fredda a Burgess, e l’umidità proveniente dal bosco vicino la rendeva nebbiosa. Persino il vento, che per Jack era un amico, fischiava sinistro. Quella notte, le ombre nella cameretta di Jamie erano talmente dense da sembrare solide, quasi serpeggianti, come dotate di vita propria.

Quella notte Jack aveva paura. Aveva paura persino a chiudere gli occhi, nel timore irrazionale che una volta riaperti si sarebbe ritrovato di fronte a qualcosa di orribile.

Il giovane alzò lo sguardo e lo puntò oltre la finestra. Là, oltre la nebbia, il cielo nero era coperto di grandi nubi grigie, compatte e pesanti come una coperta di lana.

La notte era buia e là fuori, nascosti alla sua vista, gli parve di sentire le grida inumane degli Incubi che correvano liberi.

*

Ogni giorno al palazzo di Dentolina era un giorno di duro ed incessante lavoro.

Era impossibile trovare un istante di pace o silenzio tra le incantevoli mura dorate e gli ampi spazi ariosi del complesso di edifici che formava la dimora della Regina delle Fate. In ogni istante ogni camera, sala e corridoio erano percorsi da centinaia di minuscole fatine dei dentini indaffarate nel portare monete ai bambini e riportare indietro canini, incisivi e molari da catalogare e mettere accuratamente nel posto che gli spetta, in modo da trasformarli da semplici denti in preziosi custodi dei ricordi dei bimbi che li hanno persi. Era un lavoro molto importante, a cui Dentolina e tutte le sue fate avevano dedicato ogni istante della loro esistenza. Eccezion fatta per gli straordinari avvenimenti che hanno sconvolto il costante lavoro delle fate durante il più recente tentativo di conquista del mondo da parte dell’Uomo Nero, nessuna fatina aveva mai fatto errori, mancanze o ritardi sulla raccolta dei denti.

Mai, fino a quel giorno.

Quel pomeriggio, Dente da Latte era tornata in ritardo, portando con sé brutte notizie: aveva perso Molare Sinistro, con cui era uscita a prelevare i dentini. Era rimasta ad aspettarla per interminabili minuti prima di essere andata a cercarla, ma era già in ritardo e, sperando che la piccola amica in un vuoto di memoria si fosse semplicemente dimenticata dell’appuntamento che le due si erano fissate, che fosse tornata a palazzo senza di lei. Ad accoglierla aveva trovato una Dentolina con un’espressione ansiosa, che tuttavia aveva cercato di rassicurarla dicendo che era sicuramente in ritardo, e consigliandole di rimanere a palazzo senza tuttavia spiegarle la ragione. Preoccupata dallo strano comportamento di Dentolina, Dente da Latte si era limitata ad ubbidire.

La notizia di Dente da Latte non era stata l’unica di quel giorno per Dentolina. Ne aveva ricevute altre, portate da altre fatine che avevano notato l’inspiegabile assenza di alcune compagne.

Una, due, tre, quattro… dodici. Dodici fatine, forse di più, assenti da ore, scomparse nel nulla.

Il ricordo del loro rapimento, quello ad opera di Pitch, aleggiava ancora nitido nella memoria di Dentolina. Le loro grida terrorizzate ancora infestavano i suoi sogni le rare volte che si addormentava.

Dentolina si tormentò nervosamente le belle mani e le sottili braccia piumate, cercando di contenere l’ansia che saliva incontrollabile.

Sono in ritardo. Sono soltanto in ritardo. Magari si sono perse. Cercò di zittire i suoi stessi pensieri, perché quel ‘magari si sono perse’ aveva immediatamente seguito altre ipotesi, una più macabra dell’altra.

Torneranno. Ma in cuor suo sentiva che non era così.

Forse doveva calmarsi, ragionare, forse il suo presentimento non era altro che un’inutile preoccupazione. Forse era meglio concentrarsi sul suo lavoro. O forse era meglio fare qualcos’altro.

Avvisare gli altri.

Si.

Avrebbe causato dell’agitazione inutile, lo sapeva, ma il pensiero non era abbastanza da costringerla a fermarsi e cercare di calmarsi. All’improvviso sussultò, e gonfiò tutte le piume.

Aveva sentito qualcosa.

Trattenne il respiro, e gli occhi ametista saettarono in alto, soffermandosi sulle belle cupole d’oro e madreperla che formavano i tetti del suo palazzo e poi più in alto, verso la spoglia pietra della grande caverna aperta che ospitava il suo palazzo.

Quella era l’unica parte della sua dimora dove la luce del tardo pomeriggio non arrivava, tuttavia l’oro delle cupole ne rifletteva abbastanza da illuminare a sufficienza anche quella zona.

Dentolina esaminò nervosamente le vaghe ombre che venavano il soffitto e si intersecavano con la luce riflessa che le sbiadiva, ma non notò nulla di sospetto.

Forse è solo una mia impressione. Mi sto immaginando le cose, si. Si disse, ma quel pensiero non riuscì a convincerla. Aveva ancora la pelle d’oca.

All’improvviso qualcos’altro si mosse appena fuori dalla sua visuale, costringendola a guardarsi di nuovo nervosamente intorno. Sopra di lei non c’era nulla. Ma c’era qualcosa sotto.

Abbassò lo sguardo.

Diversi metri sotto i suoi piedi, sotto i basamenti degli edifici dorati, in corrispondenza del lago con la parete affrescata che rappresentava la Regina delle Fate e le sue piccole assistenti intente a raccogliere i dentini di tutti i bimbi della terra, le parve di vedere qualcosa di insolitamente scuro che si muoveva. Decise di scendere a controllare.

Il sole del tardo pomeriggio inondava di calda luce dorata quel piccolo angolo di paradiso che era il giardino del palazzo. I raggi illuminavano l’aria resa polverosa dalla polline dei grandi e coloratissimi fiori del posto, donando al luogo un’aria calda ed accogliente, poi rimbalzavano sulle verdi foglie degli alberi e si tuffavano nell’acqua cristallina del laghetto, andando infine ad illuminare, dal basso, il grande affresco sulla parete di granito giallastro con chiari riflessi azzurrognoli.

Dentolina, sollevata in aria a una decina di centimetri dall’acqua, si guardò attentamente attorno: non c’era nulla nemmeno lì. Forse si era davvero immaginata tutto.

- Buon pomeriggio, Guardiana. – disse una voce femminile.

Dentolina si bloccò, e si voltò di colpo.

A pochi metri da lei, sulla sponda del laghetto, una donna dal viso pallido e i lunghi capelli color cenere la osservava con pacifico, genuino interesse.

Sebbene l’avesse incontrata una sola volta nella sua vita, e per giunta in circostanze tutt’altro che tranquille, Dentolina la riconobbe all’istante.

Crysis.

La fata serrò le mani, pronta ad evocare le sue spade cariche di magia, ma alla vista del suo atteggiamento improvvisamente ostile Discordia si limitò a scuotere appena le testa e sorridere leggermente: - Non sono venuta per combattere, Guardiana. Solo per chiedere il tuo aiuto. –

Dentolina strinse gli occhi, evocando le sue spade: - E cosa ti fa credere che io te lo voglia dare? –

- Perché è il tuo compito aiutare le persone quando devono fare delle scelte difficili. – prima di dare alla Fata del Dentino il tempo di fare alcunché, Crysis indicò con un vago gesto sopra di sé.

In alto, molti metri sopra le loro teste, qualcosa esplose. Dentolina sentì una serie di boati avvolgere in pochi istanti il palazzo e, con esso, le lontane grida terrorizzate delle sue fatine. Il rumore si fece più intenso, talmente forte da costringere la fata a portarsi entrambe le mani alle orecchie per evitare danni all’udito, e guardarsi attorno spaventata.

Il tutto durò pochi secondi. Il rumore scemò di poco, trasformandosi nelle urla degli Incubi, e tutta la calda, bella luce solare venne risucchiata da un’orda di esseri mostruosi dai luminescenti, piccoli occhi rossi.

E sul bel giardino del palazzo, che fino ad un istante prima era illuminato dalla calda ed accogliente luce del tardo pomeriggio, calò improvvisamente una notte illuminata da inquietanti stelle color cremisi. Ad un cenno di Crysis gli strilli acuti delle creature scemarono rapidamente, lasciando solo un fioco fruscio di sottofondo.

La fata abbassò lentamente le mani armate, e si guardò attorno, spaventata e confusa. Il suo primo pensiero andò alle sue fatine.

Per favore per favore per favore, ditemi che state tutte bene…

- Che cosa hai fatto?! –

- Nulla di particolare. – rispose Crysis: - Ho ordinato di isolare la tua dimora e di catturare eventuali fuggiaschi. Voglio parlare con calma e, se possibile, farlo a quattr’occhi. Senza l’intervento degli altri Guardiani. –

La fata non impiegò molto a capire che era in trappola. In trappola e –almeno a giudicare dal numero di Incubi che presenziava quel loro colloquio, abbastanza da arrivare ad oscurare la luce del sole- in netta inferiorità numerica e senza nemmeno la possibilità di lanciare l’allarme, anche se forse l’ultima opzione non era da escludere. Il problema restava come riuscirci senza far andare il tentativo a vuoto ed esporsi –lei e tutte le sue piccole aiutanti- ad un pericolo maggiore.

Dentolina ispirò e chiuse per un istante gli occhi, cercando di ritrovare la calma. Crysis non voleva combattere. Non si doveva arrivare a uno scontro. Ma non si poteva nemmeno lasciar correre. Impiegò quel poco tempo a disposizione per cercare di percepire tutte le presenze delle fatine intrappolate nel palazzo: nonostante la paura che provavano in quel momento, erano tutte sane e salve. Riaprì gli occhi, tornando a concentrarsi sull’avversaria.

- Che cosa vuoi da me? –

Ad un cenno impercettibile di Crysis, uno degli Incubi si staccò dall’orda che serpeggiava nell’aria e si posò accanto a lei: era grosso, e somigliava vagamente ad un varano gigante. Aveva una testa larga e piatta e il lungo collo presentava un enorme gozzo semitrasparente, attraverso la cui pelle smagliata e parzialmente coperta di scaglie si intravedeva un gran numero di puntini color acquamarina che si agitavano disperati, emettendo degli squittii familiari.

Dentolina sbarrò gli occhi.

Quelle erano le sue fatine scomparse.

Crysis sorrise di fronte alla reazione della fata: - Le avevo prese come assicurazione, nel caso la mia visita non fosse andata a buon fine. Ovviamente, se mi ascolterai e farai ciò che ti dico, farò la brava e ti restituirò le tue aiutanti, vive e vegete. –

Certo, come no. avrebbe voluto urlare Dentolina. Voleva lanciarsi sulla donna, farle più male possibile.

Ma non poteva. Aumentò la stretta sull’impugnatura delle sue spade, sforzandosi di apparire più calma possibile.

- Voglio le mie memorie. –

Dentolina strinse gli occhi: - Perché? –

L’altra inclinò di poco la testa, e mosse qualche passo verso la sponda del laghetto: - Ci sono cose che devo sapere. – rispose semplicemente.

Non ricordi il tuo passato? Dentolina non si azzardò a fare quella domanda. Tuttavia quella era l’ipotesi più probabile.

Il compito di Dentolina era conservare i ricordi più felici dell’infanzia. Quei ricordi che permettevano, da adulti, di fare le scelte migliori.

Che significa?...

Ma la fata al momento non aveva altra scelta che ubbidire, e così fece. Seguita dallo sguardo attento di Crysis e degli Incubi, si alzò in volo diretta verso una della zone del palazzo in cui custodiva gli scrigni. Nel breve tragitto si assicurò che ogni fatina che incontrava fosse effettivamente sana e salva, e rispose con uno sguardo di avvertimento ai loro fiochi cinguettii e alle loro domande inespresse.

State buone, non date a nessuno una scusa sufficientemente valida per attaccare, tenetevi pronte ad un’eventuale fuga appena trovate il modo. Dobbiamo assolutamente avvertire gli altri.

Seguita anche dagli sguardi delle sue piccole aiutanti, si diresse verso la parte inferiore di uno degli edifici, dove venivano custoditi alcuni degli scrigni più vecchi e, dopo una breve ricerca, ne estrasse uno. Al suo ritorno nessuna fata vide a chi apparteneva quella piccola scatolina dorata che Dentolina teneva stretta al petto, ma il mistero venne risolto quando la videro porgere con mani esitanti a Crysis.

Discordia prese il piccolo manufatto contenete i suoi dentini e lo osservò attentamente. Dentolina rimase rigida ed immobile di fronte alla donna, le labbra strette in una sottile linea preoccupata.

Ti prego vai via, vai via vai via!

- Hai le tue memorie, ora. – disse, trattenendo a stento un tremito nella voce e lanciando l’ennesima occhiata preoccupata alle fatine intrappolate nel gozzo dell’Incubo, che ora sedeva tranquillo accanto a Crysis: - Ora libera le mie fate e vattene. - 

Crysis alzò lo sguardo sulla Guardiana.

- Oh, non credo proprio. – mormorò a mezza voce.

- Cos...? – ma Dentolina non ebbe il tempo di reagire che l’Incubo con il gozzo emise un basso ululato stonato, causando così la reazione di tutti gli altri. Centinaia di mostri fatti d’ombra e fumo emersero dal muro nero che isolava il palazzo dal resto del mondo, e molti di essi si gettarono su Dentolina.

- NO! – prima ancora di rendersi conto di ciò che stava succedendo la fata si ritrovò spinta indietro, il braccio armato -aveva a malapena avuto il tempo di richiamare nuovamente le sue spade- teso in avanti e la sottile spada magica affondata fino all’elsa nella gola del primo Incubo che si era gettato contro di lei, e che nonostante ciò la spinse in avanti di diversi metri prima di indebolirsi, permettendo a Dentolina di estrarre la lama e sfuggire dalla presa dell’essere prima che questi si schiantasse contro il muro affrescato, dissolvendosi.

Dentolina non ebbe il tempo di vedere cos’era successo all’Incubo che già un altro l’aveva attaccata con successo, graffiandole il braccio e costringendola alla difesa.

Ma non era il solo. Un’altra ventina di mostri circondarono la fata, costringendola a formare uno scudo di energia magica attorno a sé. Era un tipo di magia che richiedeva molta forza, e Dentolina sapeva benissimo che non poteva usarla spesso. Approfittando della capacità elettrificanti dello scudo sfuggì dall’orda che l’aveva circondata, ma questa la seguì senza darle tregua. Dentolina sapeva che combatterli era una follia: l’avrebbero sopraffatta. Doveva trovare Crysis, e ingaggiare battaglia direttamente con lei. Se avesse costretto il capo alla ritirata, gli altri l’avrebbero seguita.

Ma Discordia era sparita.

Dove sei?

Nella sua testa, mescolate alle urla degli Incubi, al cuore che sembrava pulsarle direttamente nelle orecchie e il suo stesso panico, sentiva anche le grida e la paura delle sue fatine, impegnate a sfuggire o contrastare l’esercito di mostri che le aveva attaccate senza preavviso. Molte erano già sfuggite dal suo radar mentale.

Le stanno catturando?! Pregò che fosse solo quello. Il pensiero che la loro improvvisa scomparsa significasse qualcos’altro la terrorizzava. Doveva trovare un modo per salvarle, e doveva farlo in fretta.

Non poté distrarsi ulteriormente: lo scudo esaurì il suo effetto protettivo e si dissolse, e Dentolina si ritrovò di nuovo indifesa.

Stavolta non ebbe nemmeno il tempo di alzare la guardia che una delle creature le era già addosso con le fauci spalancate, e strinse le mascelle d’acciaio sul suo esile braccio. Dentolina urlò di dolore, e cercò di liberarsi affondando la spada libera nel corpo d’ombra e fumo della creatura. Non seppe dire se l’attacco fosse andato a buon fine o meno: nel giro di quei pochi secondi di distrazione venne sopraffatta da un’altra decina di Incubi che la immobilizzarono completamente con le loro forti zampe e i loro corpi roventi, accecandola con quello che sembrava essere un velo d’ombra.

Dentolina si accorse con qualche secondo di ritardo di essere completamente immobilizzata e privata della vista, e che da quel momento l’unica cosa rimasta a dirle che era ancora nel suo palazzo e non in qualche anfratto del mondo delle tenebre era l’udito, che le rimandava gli echi del caos della battaglia che infuriava.

Dopo un istante, la fata si lasciò sopraffare dal panico.

Calmati. Cerca di calmarti. Devi pensare. Ma non si riusciva. Non nella situazione in cui si trovava.

- CHE COSA HAI FATTO? – urlò al buio che la circondava, senza riuscire a reprimere il panico. Gli Incubi fremettero al suono della sua voce tremante, e strinsero Dentolina in una presa ancora più soffocante, sentendo in risposta il suo panico aumentare ulteriormente.

Sebbene appena sussurrata, la voce di Crysis arrivò chiara alle sue orecchie. Non riuscì a capire esattamente da dove provenisse, probabilmente dal basso, forse esattamente dove Dentolina l’aveva lasciata.

- Mi servi anche tu, Guardiana. – disse Discordia. - Il tuo potere è pericoloso. Non posso lasciarti libera. –

Dentolina tentò di divincolarsi, ma non riuscì a muoversi di un millimetro. La forza della presa degli Incubi aumentò. E all’improvviso, nonostante l’adrenalina, il panico e i muscoli tesi, si sentì mancare le forze. Il suo corpo si afflosciò contro la sua volontà contro i mostri che la tenevano ferma, mentre uno strano dolore sordo si insinuò nel suo petto. Anche l’udito si affievolì rapidamente, trascinandola nel silenzio. L’ultima cosa che sentì fu la gentile, rassicurante carezza di una mano calda.

Poi la sua coscienza venne trascinata in un abisso nero.

*

Akron, Ohio.

Il lavoro di Sandman era cominciato da poche ore in quella zona. Centinaia di scie di sabbia magica percorrevano i cieli della città portando bei sogni a tutti i bambini, o almeno tutti quelli i cui Sogni non sono ancora stati Maledetti.

Sottili, lunghissime scie di scintillante sabbia magica ondeggiavano lentamente simili a giganteschi, pacifici serpenti. Alcune erano larghe e lunghe, altre più sottili, altre ancora si biforcavano o contorcevano in mille spirali, e tutte insieme tracciavano infiniti disegni, ghirigori ed arabeschi sullo sfondo del cielo nero, punteggiato qui e là da rade nuvolette e minuscole stelle della notte senza luna.

Quella sera Sandy non era solo. Si era ritrovato a svolgere il suo lavoro in compagnia dell’essere più improbabile di quella metà di globo, considerando lo spesso strato di candida neve che copriva la città: June Warmwind. La giovane aveva indossato un piumino azzurro sopra il solito abito estivo per coprirsi dalle temperature quasi polari, aggiungendovi dei leggings di lana rossa e degli stivaletti pelosi. A giudicare dall’abbigliamento, pensò Sandy, era un po’ che girava da quelle parti.

Guarda che se cerchi Jack, Burgess è nello Stato accanto. Aveva detto all’improvviso il Guardiano, intuendo la ragione per cui June si era avventurata in un luogo del genere in un periodo che non fosse estate.

Per tutta risposta, lo Spirito aveva alzato le spalle: - Oh, lo so. L’ho cercato lì infatti. Ma dopo la Siberia Ghiacciolo-Man è letteralmente evaporato e io mi sono stancata di giocare ad acchiapparello. – aveva poi distolto lo sguardo, improvvisamente interessata alle luci della città dormiente e le eleganti scie di sabbia magica ed evitando così l’occhiata tra il rimprovero e l’interesse che Sandy gli lanciò, combattuto tra il Ah, quindi sei davvero tornata a tormentare quel poveretto? E il Che c’entra la Siberia adesso?

I due non si dissero molto. June sembrava stranamente pensierosa, e si limitò a seguire Sandy e osservarlo svolgere il proprio lavoro. Ma, dopo un’ora e mezza di silenzio, qualcosa giù in città catturò l’attenzione del giovane Spirito.

- Sandy. Hey, Sandy! – Sandman distolse lo sguardo dalle sue scie e, seguendo il gesticolare agitato di June, aveva abbassato lo sguardo verso gli edifici, diversi metri sotto di loro. All’inizio non notò nulla di particolare, ma poi li vide. Due figure scure, così tanto da potere essere scambiate per ombre. Si muovevano rapide e leggere, come se non avessero un corpo solido.

Incubi.

- Che… che dici, li seguiamo? – chiese June titubante, seguendo con lo sguardo gli esseri che apparivano e scomparivano nel buio delle strade, strisciando sui muri. Eccoli, si disse Sandy, sempre a rovinare il mio lavoro. Corrugò la fronte, arrabbiato. Ovvio che li seguiamo. disse e, prima di dare a June il tempo di comprendere il messaggio, scese con la sua nuvoletta, fruste pronte per ogni evenienza.

Nonostante l’illuminazione dei lampioni, l’oscurità sembrava più fitta del normale. Era un effetto secondario dato dal passaggio degli ex scagnozzi di Pitch, Sandy lo sapeva bene. Ma i due Incubi erano scomparsi, e Sandy non sapeva nemmeno dove fossero andati. June era a pochi passi dietro di lui, e aveva sfoderato arco e frecce e si guardava nervosamente attorno.

Tuttavia, nulla emerse dal buio per attaccarli.

- Forse se ne sono andati? – disse la ragazzina, rilassandosi appena. Sandy non sapeva come risponderle. Poteva essere vero, poteva non esserlo.

Ma i nemici erano comunque spariti. Forse avevano semplicemente finito il loro lavoro.

Sandman fece un cenno a June. Vieni con me.

I due si ritrovarono ad entrare in diverse case, controllando che i sogni di tutti fossero a posto, e Sandy scoprì che non c’erano incubi in quella zona. Strano, si disse, che ragione avevano degli Incubi per girare furtivi in mezzo alle case se non per portare paura e brutti sogni?

Entrarono in un’ultima casa per accertarsi che fosse veramente tutto a posto, e fu lì che Sandy si accorse di qualcosa di insolito.

- Wow, guarda che roba. Scommetto che questo qui crede nell’esistenza di mister Pipistrello. – disse June, chinandosi ad osservare un’enorme tarantola rinchiusa in una teca di vetro, comodamente seppellita sotto un sottile strato di ghiaia, con le sole quattro paia di occhietti neri a segnalarne la presenza. Poi si rialzò, e rivolse lo sguardo al letto occupato da un ragazzino da corti capelli castani e le lentiggini che non dimostrava più di quattordici anni, e infine lo spostò sulla stanza: - Voglio dire, guarda un po’ questa stanza. Sembra gridare ‘Hey, Pitch, sono qui. Se ti capita di passare da queste parti fermati da me che ci facciamo una partitina a Dead Space e magari mi chiarisci una volta per tutte se i marziani stanno veramente preparando un piano per la distruzione della terra perché sai, col mio mini telescopio da qui non riesco a capirlo. E lasciami un incubo di quelli tosti, magari sugli alieni, così ho qualcosa di superspaventoso da raccontare domani ai miei amici’. No? – si mise le mani sui fianchi e alzò un sopracciglio, percorrendo la cameretta con lo sguardo.

Era tappezzata di poster di film su alieni, zombie, Godzilla e altri mostri, interrotti qui e là da disegni di costellazioni, ufo e simboli che June non comprese. I tre alti scaffali di legno scuro erano pieni di quaderni, libri di scuola scarabocchiati e alte pile di fumetti e videogiochi. Non tutti però avevano come protagonisti gli alieni, notò la ragazzina.

- …Ma Alien VS Predator non è un film vietato ai minori di diciotto anni? – chiese June, notando un poster nascosto dietro una pila di libri: - Sandy? –

Ma il Guardiano non la ascoltava. Sembrava stranamente interessato al sogno che il piccolo stava facendo. June si chinò ad osservare: nemmeno quello aveva a che fare con gli alieni. Volteggiava e si contorceva in spirali incomprensibili, per poi trasformarsi in draghi e cavalieri in armatura e mantello e castelli e sconfinate terre di sabbia dorata.

- Hey Sandy, qua sembra tutto a posto. – insisté June, facendo sussultare l’altro. Per una qualche ragione che la ragazzina non comprese, Sandy si voltò e la fissò per un istante, poi sul suo viso paffuto si allargò un sorriso radioso e lo Spirito dei Sogni strinse June in un abbraccio spaccaossa. – Whoa! – esclamò lei senza comprendere, sentendo tutta l’aria uscire dai polmoni compressi: - Calmo, calmino. Non è poi un sogno così speciale, eh. – ma Sandy scosse la testa, cercando di spiegare. Quel sogno era speciale, eccome. Era uno dei sogni Maledetti, ma non era più pallido e spento come al solito. Era luminoso, pieno di energia, e ubbidiva alla volontà del Guardiano. Era tornato normale. La domanda ora era scoprire come era tornato normale, ma sentiva che avrebbe trovato la risposta presto. Ne era certo.

June osservò il susseguirsi di forme di sabbia sulla testa di Sandy senza capire né la spiegazione né il suo improvviso entusiasmo. Ma, intuì, forse la cosa aveva a che fare con lo strano problema con cui i Guardiani sembravano avere a che fare da un po’ di tempo a questa parte.

- Uuh, c’entrano gli Incubi Grigi? – azzardò, una volta libera dalla presa di Sandy. L’altro corrugò le sopracciglia, formando un punto interrogativo sopra la sua testa: come lo sapeva?

- Dentolina. E il Ghiacciolino. Mi avete chiesto informazioni su certe anomalie che avete incrociato ultimamente, ricordate? – Sandy annuì: già, ricordava che Dentolina aveva nominato June l’ultima volta che avevano deciso di andare a caccia di informazioni presso gli Spiriti Minori.

- Ma alla fine l’Uomo Pipistrello centra qualcosa? – aveva continuato lei con un cenno della testa, riferendosi a Pitch.

Sandy annuì. Abbastanza.

June annuì: - Hm. Beh, qualunque cosa abbia scoperto, meglio avvertire i Guardiani, giusto? – sorrise.

Giusto.

Uscirono insieme dalla casa, e lì trovarono una nuova, assai meno piacevole sorpresa: il cielo stellato era percorso la lunghissime scie di eterea luce verde, dalle belle sfumature cangianti, che solcavano l’aria simili a onde spettrali.

Era l’Aurora Boreale.

Emergenza.

Senza riflettere, Sandy richiamò una gran quantità di sabbia attorno a sé e, con pochi fluidi gesti, formò un ufo dorato e saltò a bordo.

- Posso venire anch’io? – chiese June, eccitata dall’improvvisa iperattività del Custode dei Sogni. Ma, con sua immensa delusione, Sandy scosse la testa con espressione grave.

No. disse. È meglio che torni a casa, e ti metti al sicuro. È la cosa migliore da fare.

- Uffa. – Il Brasile era sicuramente un posto più tranquillo del Polo Nord. Troppo, per i gusti di June.

La ragazzina vide Sandy chiudere il portellone del mini-ufo e partire, più silenzioso e rapido di qualunque altro oggetto volante non identificato, sparendo in breve tempo oltre la linea dell’orizzonte.

June rimase per qualche secondo sospesa a mezz’aria, con lo stesso broncio offeso con cui Sandy l’aveva lasciata.

Poi sorrise.

Certo che i Guardiani avevano una gran faccia tosta a chiedere il suo aiuto e poi non permetterle di renderla partecipe di qualunque cosa stesse succedendo in quel momento. Seppur in minima parte, la giovane era stata coinvolta, e aveva il diritto di sapere.

Richiamò i venti più potenti che era capace di comandare.

Hah. Non mi lasci certo qui, caro il mio Omino dei Sogni.

*

Jack si ritrovò ad osservare il lento oscillare della spettrale luce dell’Aurora Boreale con le mani poggiate sui vetri della finestra della cameretta di Jamie, le dita leggermente tremanti e un nodo alla gola che non riusciva a sciogliere.

Era successo qualcosa.

Piegò le dita e le strinse in pugni, combattuto. Non voleva andarsene. Jamie dormiva tranquillo, e apparentemente  –nonostante i presentimenti di Jack- a Burgess era tutto a posto. Non c’erano Incubi in città.

Ma aveva anche promesso a Jamie di rimanere per la notte, e anche il giorno dopo. Si era promesso di rimanere e giocare a palle di neve con lui e i suoi amici, e anche di scoprire perché Jamie era così giù.

Strinse le labbra in una linea sottile.

Non poteva certo ignorare il suo dovere di Guardiano, soprattutto quando questo chiamava. Poi, senza realmente comprendere cosa stava facendo, aprì piano la finestra e uscì. Rimase ancora un secondo ad osservare il bambino che dormiva serenamente nel suo letto, ignaro di ciò che stava succedendo.

- Tranquillo, Jamie. Tornerò prima dell’alba. –

Poi, con un movimento fluido di buttò nel vuoto e si lasciò prendere dal vento, che lo trasportò in alto, leggero come una foglia, diretto verso il Polo Nord.

 

 

 

-+-

HOLD ON RIGHT THERE SON *modalità coach Oleander attivata. Possibili cambiamenti di personalità inclusi* Ehm. In teoria dovrei scusarmi di esistere prima, ma a quello ci pensiamo dopo, yes?

GUARDATE QUESTI:

http://lombaxlover.deviantart.com/art/Dance-with-the-Devil-351665067

http://lombaxlover.deviantart.com/art/Echoes-364141589

LI HA FATTI LOMBAXLOVER. DELLE FANART DI CRYSIS. PER ME. DELLE FANART DI CRYSIS.

OMG. *muore di nuovo* donna, io non merito così tanto. No sul serio. No, non io.

SE AVERE UN ACCOUNT SU DEVIANTART, ANDATELA AD ADORARE, OKIE? E anche se non ce l’avete, andatela ad adorare un casino lo stesso. Non me ne frega. AASKANDSNFAKMISENTOTROPPOAMATANONMERITOTUTTAQUESTAFELICITAAAA*delirio totale*

Uhm.

Tornando sul mio pentimento di essere nata, si. Torno nella mia buca della vergogna. Se avete una pala e passate dalle mie parti seppellitemi pure, se vi va.

Ecco, ho finito. Adieu! *sighsobsniff*

  
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