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Autore: Mini GD    14/04/2013    5 recensioni
Un panorama mozzafiato che prendeva dall'alto tutta la città che brulicava di vita. Tante macchine percorrevano le strade di quella grande metropoli, ricca di negozi grandi e piccoli, colorati e svariati che vendevano articoli l’uno diverso dall'altro. Una città grande, con tanti posti da visitare, ricca di cultura e storia ma anche di nuove generazioni che hanno tutta la vita da percorrere e segreti da svelare.
Come un grande albero che affonda le radici in secoli passati che vede i suoi rami verdi e rigogliosi puntare sempre più in alto fino a sfiorare il sole.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: G-Dragon, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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“Gioia?” domandò la madre, rivolgendosi alla figura femminile, che stava versando il latte nella tazza decorata con adesivi. Non si stupì nel vederla fissare il liquido bianco, che scendeva dal cartone per riempire e mescolarsi col caffè; si stupiva del fatto che, nei suoi occhi, non c’era niente che portasse a pensare che fosse felice.
“Si mamma?”  posò il contenitore, ormai semivuoto, sul tavolo, tra i biscotti al cioccolato e i cereali a ciambelline; prese posto sulla sedia e, fissando la persona che l’aveva chiamata, cominciò a mangiare qualche biscotto.
“Vuoi scendere tu a fare la spesa?” puntava a farla uscire, a farle sentire il sole caldo di quella stagione, spronandola a tornare a sorridere. Non era di certo la prima volta che la vedeva così, nel periodo dell’adolescenza l’aveva vista affrontare sfumature di umori, simili alla tavolozza di un pittore. Da quando aveva cominciato una nuova vita, però, era totalmente diverso, erano rare le volte in cui la sentiva triste, come rare, erano le volte che capiva che fosse alterata. Si era abituata a quella lontananza da sua figlia, solo perché la sapeva felice e protetta, da quel ragazzo costantemente sotto la luce dei riflettori.
“Si, fammi la lista però!” abbozzò un sorriso, togliendo almeno un po’ d’ansia, ai pensieri della donna; era una cosa che voleva risolvere da sola, senza impensierire nessuno.

 
“Il mio frigo è vuoto” informò la persona che stava dall’altra parte del telefono della situazione della sua cucina, che chiedeva rifornimento per sentirsi meno piena di aria e più di cibo.
“Buono, vuol dire che devi fare scorta, non credi?” JiYong, che stava finendo di provare qualche vestito, immaginava la faccia triste che aveva Gio’, davanti al bianco sfondo del frigo, vuoto come il suo stomaco di prima mattina.
“Grazie, questo lo sapevo anche io. Ho paura di comprare le uova però!” cominciò a prendere appunti su un foglio bianco, stracciato male.
“Dai che anche le frittate sono buone” buttò un giaccone sulla sedia, optando per uno dal colore più scuro, quel rosso era troppo fastidioso agli occhi.
“Ma come siamo di conforto oggi. Hai mai pensato che possono uscire i pulcini?” finì la lista, la infilò con poca curanza nel portafoglio, lo stesso che aveva lasciato andare in caduta libera nella borsa.
“Dai, esci e rifornisci la tua dispensa. Se ti va stasera scendiamo, non ho nulla da fare e i pulcini li lascio alla mamma gallina” rise, guardando soddisfatto l’accostamento di quel rosso scuro con il blu, altrettanto scuro, di quella camicia a bottoni che indossava.
“Lo sapevo che eri un pollo!” gli disse, mentre chiudeva la porta di casa, pronta a svaligiare il market a pochi passi dal suo quartiere.

 

“Tanto è poca, mi ha detto. Ora invece mi trovo una lista chilometrica, con tanto di uova” sospirò, ripiegando quel foglio e sistemandolo nella tasca destra. Infilò le cuffie, lasciando partire la riproduzione automatica dall’mp3; Wrong degli Epik High, partì, staccandola dal resto del mondo che si muoveva, dai bambini che, poco più avanti, giocavano a calcio tra di loro.
“ATTENTA!” gridò una vocetta, portandola a girarsi e a evitare una pallonata in testa; prese quella palla, tutta rovinata e con tante scritte colorate che lasciavano poco spazio all’arancione iniziale. Nel sentirla in mano, ricordava tutti i momenti passati a giocare,  lasciandosi cullare dalla sensazione di poter tornare piccola.
“Grazie” consegnò la palla al suo proprietario, che si era preoccupato di avvisarla per tempo; dopo aver sorriso, quel bimbo tornò a giocare, inseguendo la palla con tutti i suoi amici.
 
 
Il caos era presente anche quella mattina, tante macchine di diverso colore riempivano le strade, seguite da rumorosi clacson. Le persone gli passavano accanto, parlando tra di loro, velocemente, rendendo impossibile qualsiasi tentativo da parte sua, di capire quella lingua quasi del tutto enigmatica.
Non si sentiva spaesato, era abituato a viaggiare per lavoro; il viaggio in Italia, però, se l’era immaginato diverso, non per il posto, ma per il motivo.
Girava un po’ ovunque, guardando le vie, che si suddividevano in vicoletti, pieni di venditori di artigianato; aveva lasciato le valigie in hotel, così da poter cercare e trovare la sua Gio’, senza nessun peso dietro.

 
La guardava preparare la sua borsa da viaggio, metteva maglie e felpe, cercando di piegarle alla meglio.
“Una volta che sei arrivata lì, vai direttamente a casa dei tuoi?” le chiese, prendendo le cose piegate male e sistemandole meglio, con un’espressione leggermente ovvia.
“No, vado in spiaggia e poi vado lì, tanto non è poi così distante. Al massimo una ottantina di metri” stava ripercorrendo mentalmente il percorso, calcolando sommariamente la distanza.
“Ti piace così tanto il mare?” domandò, mostrando come fosse più facile chiudere il borsone, una volta sistemate le cose.
“Da cosa l’hai notato?” rise, spostando la borsa su una delle sedie di legno che c’erano in camera sua.


 
Non fu così difficile per lui trovare la spiaggia; il lungomare era pieno di persone,  di ragazzine che passavano le mani nei capelli, riportandoli alla piega originale, pieno di donne con i passeggini, accompagnate dai loro mariti che ascoltavano, in silenzio, i problemi che le affliggevano.
Bambini che correvano, alcuni stringevano tra le mani coppette di gelato al cioccolato, rendendo ancora più pericoloso, il folle inseguimento fra di loro.
Più affollata della strada, risultava la spiaggia, colorata dagli ombrelloni dalle fantasie eccentriche e dai palloni gonfiabili che volavano, sballottati da una parte all’altra, fino a planare nell’acqua, seguiti da qualche lamentela.
Era un caos piacevole, era una vita che sprizzava energia in ogni sua forma, sotto quei raggi estivi, simbolo del riposo annuale, dopo i mesi invernali che, con la pioggia, costringono a limitare i propri svaghi.
JiYong, in tutto quel vivere, era mimetizzato; riparato dal grande cappello e dagli occhiali da sole molto grandi, oltre che dai vestiti, quasi del tutto normali, per quella giornata all’insegna della vacanza pura.
Cercarla lì, in quella confusione era una sfida impossibile, quasi quanto trovare “Wally” nelle sue pagine colme di persone che scendono da qualsiasi parte;  si girò, dando le spalle all’acqua salata, che seguiva il suo ciclo, calma e placida.
Notò poi la figura di una ragazza, capelli castani, tenuti insieme da una coda alta, fatta all’ultimo minuto; i capelli, quelli che, per il fatto che fossero troppo corti, scappavano alla presa ferrea dell’elastico bianco, contornavano il volto, come una coroncina. Era di spalle, leggermente affaticata dal trasporto delle enormi buste, piene fino all’orlo, con alcuni prodotti in equilibrio precario.  Stava aspettando che il flusso di macchine si fermasse, o almeno un conducente di buona volontà, permettendo così di continuare a camminare fino a destinazione.
“Oggi è la mia giornata, me lo sento” disse nei confronti di sé stesso, portando alcune ragazze a girarsi, incuriosite dalla lingua straniera. Lo videro però allontanarsi, senza dare tempo a loro di chiedergli qualcosa.
Un altro tratto di strada e l’avrebbe raggiunta,  dandole anche una mano a portare quelle buste, che avevano il logo del supermercato nella quale si era recata. Era euforico,  non nascondeva la sua felicità smisurata, cercando di accelerale i suoi passi, così da raggiungerla prima; fu battuto, però, sul tempo, da un ragazzo alto e dal ciuffo all’ultima moda. Indossava pantaloncini bianchi, abbinati alla stessa tinta bianca della sua maglietta a giromanica. Le stava parlando, mentre le toglieva il peso delle buste, facendosene carico; la sentiva ridere, ridere allegra sotto le battute, che non riusciva a capire. Quanto gli era mancata la sua risata inconfondibile, che cercava sempre di trattenere, fino a scoppiare del tutto. Gli era mancata così tanto, che anche se non era lui ad aver scatenato le sue risa, si sentiva meglio, pieno di domande sull’identità del giovane che riceveva affettuose pacche sulle spalle, accompagnate dal gesto di lei che indicava una via.

 
Li guardò parlare, per qualche minuto, finché il giovane non si allontanò, seguendo la direzione indicata da lei con la mano. Gio’ continuò a salutarlo agitando le braccia, prendendo un’altra strada, verso il centro; la seguì, tenendosi a distanza, per vedere dove andava. Non sapeva cosa gli passava nella testa, ma il coraggio che l’aveva accompagnato nel viaggio, si era trasformato in una bolla di sapone, scoppiata nell’istante che aveva visto la sua Gio’ che giocava con quel ragazzo, sopportando anche il fatto che le avesse scomposto la coda.
Lei camminò fino al parco, distendendosi su una panchina per guardare il cielo, azzurro come non mai, intervallato da qualche nuvoletta bianco puro, che formavano figure nel cielo simili ad animali. Afferrò poi un soffione che stava alla sua sinistra, tra le margherite e l’erba alta; si mise seduta, guardandolo e concentrandosi nell’esprimere un desiderio.

 
“Cosa stai facendo?” JiYong non capiva perché si era fermata a soffiare contro  quella palletta bianca, che si sgretolava, lasciando i suoi semi nell’aria, liberi di volare.
“Esprimo un desiderio, no?” gli rispose, gettando tra l’erba lo stelo, ormai privo della sua tipica sfera.
“Cosa hai desiderato?” la strinse a sé, aspirando il profumo dei suoi capelli, che odoravano di fragola, una delle ultime fragranze acquistante da lei come balsamo.
“Non te lo dico, altrimenti non si avvera!” assunse una voce infantile, spontaneamente, lasciandosi cullare da quei momenti di pace che passava con  lui.


 
La raggiunse, camminando piano mentre lei continuava a chiudere gli occhi esprimendo il desiderio che voleva lasciare correre nel vento, libero di raggiungere qualsiasi destinazione.
“Mi dici cosa hai desiderato, adesso?” le chiese, vicinissimo alle sue orecchie, facendola sobbalzare.
“No, solo il vento sa quello che ho desiderato” rispose, guardandolo prendere posto alla sua sinistra “Oggi è la giornata degli incontri casuali? Prima mio cugino e adesso stai qui tu” aggiunse, girando e rigirando tra le mani quello che restava del soffione colto poco prima. Lo sentì sospirare, sorridente, mentre cercava il suo sguardo che era rivolto al verde che li circondava.
“Te l’avevo detto che sarei venuto qualche volta in Italia” le disse, fissando il profilo del suo volto, reso del tutto visibile dalla pettinatura disordinata.
“Perché sei venuto? Non voglio farti stare male, non fare il masochista ora” lasciò cadere ciò che stringeva tra le mani, portando le gambe sulla panca, stringendole a sé, come una barriera.
“Scusami, scusami se ti ho lasciato andare quel giorno senza fermarti. Scusa se ti ho permesso di lasciare la mia vita, lasciandomi capire cosa realmente significasse sentirsi soli” si lasciò andare sinceramente, guardando anche lui i vari alberi che riempivano gli spazi verdi, intervallati da varie piste ciclabili e qualche stagnetto. Percepiva su di sé lo sguardo di lei, che era tornata a sedersi normalmente sulla panca, aggiustandosi la maglietta che si era incastrata nello schienale di legno.
“Non ti devi scusare, non me ne dovevo andare. Il mio comportamento non ha fatto altro che confermare ciò che pensavi” JiYong si girò, scontrandosi finalmente con quegli occhi, leggermente lucidi, mentre lei parlava. Le prese una mano, stingendola tra le proprie, avvertendo il suo senso di colpa, accompagnato da altre sensazioni negative, che albergavano in lei, scritti chiaramente nel suo sguardo.
“Ti prego. Dimmi che torni a Seul. Dimmi che torni con me” l’abbracciò, stringendola forte, bisognoso di sentire quel contatto, che lei non gli aveva mai negato.
“E se alla fine ti faccio di nuovo star male?” gli domandò, ancora stretta in quella presa, condividendo anche lei quelle sensazioni provate da lui.
“Se non torni con me a casa, continuerò a stare male” si staccò da lei per guardarla negli occhi, occhi che si erano lasciati andare a una piccola lacrima. Asciugò la piccola ribelle, sorridendo nel sentire nuovamente la sua pelle sotto le mani, sperando di tornare ad averla per sempre accanto.
“Tu, Gioia detta Gio’, vuoi tornare a colorare la mia vita, restando al mio fianco come mia fidanzata?” si inginocchiò, come aveva fatto la prima volta, speranzoso e preoccupato come allora o forse di più.
“Ji…” sospirò, guardando tutto fuorché lui, lasciando cadere una frase che non presagiva nulla di buono “JiYong, io voglio fare in modo che tu non ti senta più solo” aggiunse, prendendo la sua mano per aiutarlo ad alzarsi. Sorrisero insieme, sentendosi nuovamente bene e in pace con il mondo, come non lo erano stai mai, quei mesi passati staccati avevano solo fatto capire ad entrambi quanto è delicato l’equilibrio dell’amore e quanto dolore porta con sé la rottura di quest’ultimo.  Avevano anche fatto capire quanto per loro era importante stare insieme, quante cose che potevano sembrare piccole e scontate, acquistavano valore solo perché si amavano.
La baciò, lasciando passare i suoi pensieri e la sua felicità per quel contatto dolce, visto che le parole gli mancavano o forse mai nessuno aveva pensato a crearle per sensazioni del genere; forse nessuno le aveva mai provate, forse è preferibile lasciar passare per un linguaggio segreto, l’emozione e i brividi di un amore ritrovato. In quel bacio, erano racchiusi mesi di dolore e solitudine, che vedevano la fine, lasciando splendere quel sole estivo dentro di loro, non solo nell’esterno.
 

Era tornato tutto come doveva essere, erano tornati a stringersi la mano; lei era tornata a farlo ridere per le sue innate capacità e lui era tornato a proteggerla dalle cadute e da tutto ciò che poteva farle male. Se fino a quel momento entrambi non avevano fatto altro che ricordare, sperando di vivere di quei momenti come un film, adesso erano sicuri di poterne scrivere altri, certi che quelli erano destinati ad essere raccontati ai propri nipoti, magari davanti a una bella fetta di torta e un pomeriggio passato in famiglia. 



-Eccoci qui, capitolo finale e ringraziamenti finali çwç 
Ringrazio tutti quelli che sono arrivati fin qui, leggendo 18 capitoli. Ringrazio soprattuto quei splendori di ragazze che hanno trovato il tempo per recensire, lasciandomi i loro pensieri e rendendomi un'autrice felice.
Quindi mille grazie a 
sonnensystem  -che è con me dall'inizio- a LeLe_Sun-che ha trovato tempo per leggere tutto quello che ho scritto- a AkuroChan -che mi fa emozionare ovunque,anche su skype- a Damon_Soul93-che ha letto la mia storia lasciandomi vari commenti ovunque per farmelo capire- 
Grazie mille, spero di non aver annoiato mai nessuno XD Buona domenica e tanti tanti cuori, riso e rose! <3
  
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