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Autore: Cicciopalla    14/04/2013    2 recensioni
Un uomo dal cielo che cerca la sua scatola blu.
Due fratelli che cacciano demoni mentre cercano di scoprire una cura per l’Angelo al loro fianco.
Un dottore che risolve crimini insieme al detective più geniale, finché i crimini non si svelano più di semplici atti umani di violenza.
Tutto inizia a cambiare.
Niente è come sembra.
Moriarty è reale, e ha i suoi piani.
[SUPERWHOLOCK]
Genere: Avventura, Comico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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 And then there was doubt

La camera di John era più piccola di quella di Sherlock, ed era dipinta di un verde scuro. Le tende alle finestre erano beige e il pavimento di legno scuro aveva un piccolo tappeto rosso sopra.

 

C'erano foto sul comò e sulle pareti, foto della famiglia di John e vecchi amici, e una pianta verde carina abbelliva il legno graffiato del davanzale della finestra. La luce della lampada era troppo luminosa per essere comoda, e per questo motivo John era solito illuminare la stanza con la piccola lampada sulla scrivania.

 

Il suo letto era più piccolo di quello di Sherlock, un solo letto singolo con lenzuola blu e due coperte, e la vecchia poltrona nell'angolo vicino alla finestra era piena di maglioni di colori differenti che John non aveva ancora potuto lavare.

 

L'aria nella stanza era fredda perché la finestra era aperta ma a Sherlock non importava: il detective sedeva sul letto, le sue mani intrecciate in grembo, mentre cercava di pensare un passo avanti a Moriarty.

 

La domanda più importante ora era: cosa aveva intenzione di fare, con l'amuleto, quella mente criminale?

 

Il demone, Meg, stava lavorando per Moriarty, Sherlock ne era sicuro, perché altrimenti Moriarty sarebbe stato lì - o avrebbe mandato uno dei suoi uomini insieme ad un bel messaggio. Non c'era nessun motivo per cui Moriarty si sarebbe perso qualcosa di così grande come la scatola che si apriva, non quando era qualcosa che lui stava aspettando.

 

Quello avrebbe spiegato perché il demone avesse preso Molly come tramite: Moriarty conosceva Molly, era stato il suo ragazzo una volta, e doveva aver saputo che Sherlock e John si sarebbero sentiti in colpa per lei, quando fosse stata posseduta da un demone, qualcosa che li avrebbe fermati dall'attaccare e fermare il demone. Non lo avrebbero fatto, esitato, se fosse stato Moriarty o uno dei suoi uomini a trattenere Eleven come ostaggio.

 

Mossa furba… 

 

Ma perché Moriarty voleva l'amuleto, perché? Cosa c'era dentro l'amuleto che Moriarty voleva? Una fonte di potere? Il vero male che era stato rinchiuso via?

 

E poi c'era la domanda riguardo Gabriel: cosa aveva intenzione di fare con l'amuleto e perché l'aveva rinchiuso nella Pandorica insieme al Dottore? Perché il Dottore, fra tutti gli esseri viventi? Perché non un altro angelo, o un umano?

 

Era perché il Dottore era un Signore del Tempo, perché il tempo era diverso per lui rispetto agli altri?

 

Beh, chiedere all'arcangelo stesso era fuori questione dato che i Winchester avevano annunciato che era già morto, ucciso dal suo stesso fratello.

 

E io pensavo che io e Mycroft avessimo un rapporto difficile…

 

Qualsiasi cosa ci fosse nell'amuleto, doveva essere qualcosa di sovrannaturale. Moriarty stesso non era umano, Sherlock lo sapeva adesso, quindi doveva esserci un motivo per cui Moriarty aveva rubato l'amuleto.

 

Sherlock corrugò le sopracciglia. O era semplice curiosità? Qualcosa per confondere Sherlock, per guidarlo sulla pista sbagliata?

 

No.

 

No, Moriarty aveva saputo della Pandorica, aveva pianificato tutto: non era un uomo di coincidenze, non un tipo come Moriarty…

 

Era un gioco, per Moriarty, e un gioco doveva essere programmato. Un Gioco aveva regole, ma Sherlock non sapeva quali fossero le regole del gioco di Moriarty; non aveva indizi sul come Moriarty avrebbe giocato, quale sarebbe stata la prossima mossa, e perché l'avrebbe fatta.

 

Sherlock si poggiò contro la testiera del letto. Allora, da quanto Moriarty aveva programmato di aprire la Pandorica?

 

Il detective sospirò frustato. Troppe domande, troppi piccoli indizi.

 

I corpi con il cuore bruciato erano fuori dal gioco: erano stati una chiamata d'attenzione, un promemoria che Moriarty era ancora , una nota che diceva ‘eccomi qui, di nuovo insieme’. Non avevano niente a che fare con il caso, quello era sicuro.

 

Tuttavia, il fatto che Moriarty non fosse umano rendeva tutto un po' complicato.

 

Di cosa era esattamente era capace? Quando pericoloso era lui in realtà?

 

Sherlock premette le labbra insieme mentre incrociava le gambe. I minuscoli, insignificanti indizi erano ovunque, ma non c'era niente che li legasse insieme.

 

Il suono ovattato del suo telefono lo distolse dai suoi pensieri.

 

Il telefono era nella tasca sinistra dei suoi pantaloni e aveva quasi dimenticato che l'aveva messo lì perché era stato troppo occupato a discutere con John riguardo qualcosa che era stato del tutto irrilevante.

 

Il detective tirò fuori il suo telefono e guardò lo schermo.

 

Un messaggio, nessun nome o numero visibile.

 

Seppe immediatamente chi l'aveva inviato.

 

Sherlock aprì la nota e i suoi occhi volarono sulla piccola mail.

 

Ciao Sherly,

Penso di avere qualcosa che potresti volere.

Hai tempo per una chiacchierata?

 

C'era un indirizzo. Sherlock lo riconobbe e seppe che lo avrebbe condotto ad un magazzino vecchio e abbandonato fuori Londra che una volta era utilizzato come magazzino di cd e altri prodotti multimediali.

 

Ps: Ci vediamo fra un'ora, da soli.

 

La sua mente e il suo intelletto gli urlavano contro, non andare, è una trappola, ma Sherlock sapeva che doveva andare.

 

Faceva parte del gioco di Moriarty: Sherlock doveva seguire la pista perché era ciò che voleva Moriarty, quello che si aspettava da Sherlock. Era una regola muta.

 

Niente domande, solo fare quello che ti veniva detto.

 

Obbedire.

 

Moriarty amava dare ordini alle persone.

 

Amava dare ordini a Sherlock.

 

Era un gioco di potere, un modo per mostrare a Sherlock che poteva controllare chiunque con i suoi giochetti - se voleva.

 

Sherlock non aveva problemi col visitare il criminale da solo in un vecchio magazzino, era sempre stata una cosa fra di loro e loro soli, era probabilmente meglio in quella maniera - per tutti.

 

Tuttavia, il fatto che Sherlock non avesse idea di cosa potesse accadere, cosa Moriarty avrebbe voluto e più importante cosa fosse Moriarty… Beh, questo rendeva le cose pericolose.

 

Sherlock non aveva pistole. John ne possedeva una, però, ma Sherlock dubitava altamente che una normale pistola avrebbe fatto qualcosa contro Moriarty.

 

Tutto ciò che aveva era la sua mente, e la sua mente era sul punto di deluderlo perché c'erano tante altre cose che Sherlock non poteva vedere.

 

Avrebbe corso un rischio, se fosse andato ora.

 

Sherlock temeva per la sua vita, ovviamente, ma non come chiunque.

 

Non avrebbe pianto, o supplicato per la sua vita.

 

Non avrebbe mostrato nessun sentimento, non avrebbe dato la soddisfazione a Moriarty di vederlo disperato. Calma e controllo, era così che doveva comportarsi.

 

La scena in piscina era stata un grande esempio di come fosse imprevedibile Moriarty. A Sherlock era stato dato scaccomatto e Moriarty avrebbe vinto se non avesse ricevuto quella telefonata…

 

Moriarty era al comando.

 

Una parola sbagliata, un'azione sbagliata e Sherlock avrebbe perso il gioco.

 

Doveva essere cauto. Più che cauto. Moriarty non era solo non umano, era anche pazzo.

 

Era ben pianificato, tutto quanto, ed ogni passo Sherlock faceva verso Moriarty lo portavano sempre più vicino alla fine del gioco…

 

Ogni gioco aveva una fine, e Sherlock aveva la sensazione di sapere come sarebbe finito quello.

 

Il detective sibilò in frustrazione mentre fissava lo schermo luminoso.

 

Ovviamente avrebbe potuto dirlo, a loro.

 

Avrebbe potuto andare dagli altri e dire loro che doveva andare, che avrebbero dovuto seguirlo, che avrebbero dovuto chiamare Lestrade, che avrebbero dovuto aiutarlo.

 

Ma non lo avrebbe fatto.

 

Perché questo non era il loro gioco, non ne facevano parte, non davvero.

 

E perché era troppo orgoglioso.

 

Ma anche perché non voleva che altri si facessero del male.

 

Poteva non mostrare emozioni, perché a mala pena si permetteva di averne, ma ne aveva, e poteva ricordare molto bene lo shock nel vedere John tenuto ostaggio. Poteva ricordarselo benissimo.

 

E poteva sembrare che non gli importasse di Molly, ma gli importava.

 

Sherlock l'aveva sempre guardata dall'alto in basso, e l'aveva a mala pena vista davvero, l'aveva usata per i suoi stessi benefici, usando i suoi sentimenti verso di lui per ottenere quello che voleva.

 

Non aveva saputo quanto le piacesse finché non l'aveva vista con quei occhi neri che non erano i suoi.

 

Ovviamente, aveva tre Signori del Tempo. Ovviamente avevano due cacciatori. Ovviamente avevano un angelo dalla loro parte…

 

Ma non sarebbero stati di nessun aiuto.

 

Se Moriarty voleva qualcosa, allora se la prendeva.

 

Si sarebbe assicurato che nessuno lo avrebbe potuto interrompere. Si sarebbe assicurato che il suo piano avrebbe funzionato, e il suo piano avrebbe funzionato solamente se avrebbe parlato con Sherlock da solo.

 

Moriarty li avrebbe uccisi, senza esitazione, se era ciò che doveva fare.

 

Quello era il motivo per cui il detective decise di andare da solo.

 

Sì, Sherlock Holmes avrebbe dovuto dire ai suoi amici che se stava andando a fronteggiare il suo acerrimo nemico.

 

Non lo fece, però.

 

Quello fu il suo sbaglio.

 

Non disse dove stava andando.

 

John e Eleven erano in cucina, probabilmente impegnati a fare panini con la marmellata dato che non c'era niente di commestibile a parte pane e marmellata in casa.

 

Sam Winchester sedeva sul sofà, il telefono tra le mani mentre scrollava pagine su pagine di siti internet.

 

Gli altri due Signori del Tempo erano in piedi vicino al camino con le schiene rivolte alla porta d'ingresso, parlando a voce bassa.

 

Sherlock sentì il desiderio di salutare John, ma non lo fece. John avrebbe solamente fatto troppe domande a cui Sherlock non era capace di rispondere, e alla fine avrebbe cercato di fermarlo o persino seguirlo.

 

In qualche modo faceva male, abbandonare John, il suo migliore e probabilmente unico amico, senza dire addio.

 

Prese un profondo respiro mentre scivolava via attraverso la porta come un'ombra alta nel suo cappotto scuro. Non fece quasi nessun rumore. Era certo che nessuno lo avesse sentito, ed aveva ragione. Il detective cautamente camminò giù per le vecchie scale che scricchiolavano sempre troppo forte come se stesse premendo tutto il peso del corpo su di loro.

 

Sherlock respirò l'aria stantia. Il legno delle scale era davvero molto vecchio e non importava quanti tentativi facesse Mrs. Hudson nel pulire il corridoio, quello odorava sempre di vecchio legno e aria pesante. Non aveva mai perso troppo tempo pensando alla vecchia casa, ma adesso non riusciva a smettere di ammettere che gli piaceva molto.

 

Specialmente il loro appartamento.

 

L'aria fuori non era così fredda come Sherlock pensava, ma era sempre fresca.

 

Fu inaspettatamente salutato con un'occhiata di Dean Winchester e Castiel che sedevano sugli scalini, entrambi chiaramente non preoccupati dello spazio personale dell'altro.

 

Non fu, tuttavia, una sorpresa vederli così vicini. Persino Sherlock, che sosteneva di avere i sentimenti rinchiusi in una scatola nel suo palazzo mentale, poteva vedere che fra quei due c'era una tensione sessuale che fluttuava attorno alle loro teste. Non era cieco, dopo tutto.

 

Era solo questione di tempo prima che entrambi si trovassero a baciarsi all'improvviso, e Sherlock non voleva affatto trovarsi nei paraggi quando sarebbe successo. Tuttavia, entrambi l'avevano notato e si erano voltati verso di lui, saltando via l'uno dall'altro come se fossero stati schiaffeggiati.

 

« Oh, sei tu. » borbottò il Winchester, la voce rauca. Sherlock era al corrente di aver distrutto il momento fra loro due, ma al momento non gliene avrebbe potuto importare di meno - non che gliene fosse mai importato qualcosa.

 

« Sì, io. » grugnì Sherlock e dovette sopprimere la voglia di roteare gli occhi. « E cosa state facendo voi due qui? Finalmente ammettete i vostri reciproci sentimenti, spero. »

 

Persino nella fioca luce dei lampioni il colorito rosso sulle loro facce era ovvio.

 

« No. » grugnì in fine Dean, la mascella serrata. « Eravamo un po' occupati a gestire le nostre vite finché non sei arrivato tu. »

 

Questa volta Sherlock roteò gli occhi prima di passare oltre loro. « Beh, allora continuate. »

 

Sapeva che loro sarebbero tornati di sopra, ciò significava che erano gli unici ad averlo visto. L'avrebbero detto agli altri.

 

Sherlock era giù in strada quando sentì la voce calma dell'angelo. « Dove stai andando? »

 

Sherlock si voltò sui tacchi, non certo su cosa rispondere, e perciò disse la prima cosa che gli venne in mente. « Io? Oh, voglio comprare del latte. » sorrise freddamente. « Adesso, se non vi dispiace, devo andare. »

 

C'era ancora abbastanza latte nel frigo, e sperò davvero che quei due non avrebbero menzionato il latte mentre John era nei paraggi, ma non si poteva evitare.

 

Quindi doveva fare in fretta…

 

Con passi decisi camminò sul marciapiedi, alla ricerca di un taxi.

 

Il tassista era un uomo di poche parole e Sherlock ne fu lieto perché non si era proprio dell'umore di parlare; non che lo fosse mai, a meno che non si trattasse di un caso.

 

Infatti, parlò a Sherlock solamente quando arrivarono al magazzino. « Non so proprio cosa potresti volere da qui… » fu ciò che borbottò il tassista. « In quel vecchio magazzino non è rimasto assolutamente niente. »

 

Sherlock aprì la portiera e voltò la testa al tassista, un piede già sul suolo fuori. « È un incontro. » rispose, sorridendo forzatamente.

 

Il tassista, che aveva capelli biondi disordinati ed era sulla quarantina, corrugò le sopracciglia. In qualche modo ricordava a Sherlock John, anche se il tassista non gli assomigliava per niente. Dovevano essere i capelli biondi e l'immaginazione di Sherlock. « Spero che non ti farai uccidere… »

 

Sherlock sorrise di nuovo, e questa volta non era forzato come il primo sorriso. « Non penso. » mentì.

 

Il tassista annuì pensieroso, e quella fu la fine della conversazione.

 

Il suono del taxi e i passi di Sherlock erano l'unica cosa udibile in quello spazio aperto. Sherlock aspettò finché non vide solamente le tenui luci del taxi in lontananza mentre si faceva strada verso la vecchia casa.

 

L'incendio era stato enorme e aveva quasi distrutto mezzo edificio. Solamente l'ala sinistra era intatta, ma il resto del legno che non era stato distrutto si stava facendo vecchio e ammuffito.

 

Il picchiettio della pioggia contro l'asfalto era calmante e l'aria fresca piacevole.

 

Era buio nelle stanze e Sherlock poteva a mala pena vedere cosa c'era dietro le pareti bianche, ma forse perché non c'era niente lì; tutti gli scaffali, i tavoli e le sedie erano stati rimossi. Non era rimasto niente, niente a parte le stanze vuote e il linoleum scricchiolante.

 

Il rumore dei passi era ingoiato dalla pioggia e le pareti mentre Sherlock camminava verso il centro della parte sinistra del magazzino. 

Il vento era rumoroso, abbaiava come un cane. Era, in effetti, una notte perfetta per l'atto finale.

 

Gli occhi del detective vagarono in giro, aspettandosi Moriarty balzare dalle ombre, ma non successe niente. Gli unici esseri viventi erano qualche topolino che si affrettava a tornare nel proprio buco mentre Sherlock si avvicinava a loro.

 

Finalmente raggiunse il deposito, una stanza grande che una volta doveva aver contenuto centinaia di scaffali e scatole. Il tetto aveva un grande buco e la pioggia cadeva sul pavimento. La luce tenue proveniente da fuori che brillava attraverso il buco sul tetto e le finestre rotte erano appena sufficienti per illuminare due scatoloni nel centro della stanza.

 

L'intero corpo di Sherlock s'irrigidì mentre camminava verso il centro della stanza.

 

« Ti ci è voluto un po' per venire qui. » La voce di Moriarty echeggiò da sopra le scatole. « Ero preoccupato che non saresti venuto visto che non hai risposto. » Un sospiro. « Dove sono le tue buone maniere, Sherly? »

 

Sherlock strinse la mascella ma sorrise. « Ero impegnato a cercare di capire cosa tu volessi da me. »

 

Si sentì un risolino, seguito dallo schiocco di due dita, e il centro della stanza s'illuminò di una leggera luce bianca.

 

Sherlock socchiuse gli occhi contro la luce. Tuttavia, i suoi occhi si spalancarono in sorpresa e la sua bocca si spalancò quando finalmente vide cosa c'era di fronte a lui. « Quindi, ecco dove sono… »

 

Aveva visto giusto: le due ombre nella stanza erano scatole - cabine telefoniche, dipinte di blu, entrambe apparivano lievemente diverse eppure sembravano essere la stessa cosa. Erano inconfondibili.

 

Il TARDIS. Due TARDIS. Sherlock neanche sapeva quale fosse il plurale di TARDIS, ma chiaramente non era la cosa più importante da scoprire in quel momento; Sherlock era più interessato in COME Moriarty era stato capace di mettere le mani su ENTRAMBE le cabine.

 

Parlando di menti criminali, Moriarty sporse il suo corpo in avanti; si sedette sul bordo del TARDIS più vecchio, le sue gambe penzolavano mentre ghignava a Sherlock.

 

Indossava il suo completo Westwood, ovviamente, e aveva un'espressione compiaciuta in volto.

 

Sherlock notò che era da solo…

 

Quindi erano davvero solo due.

 

« Vedo che sei sorpreso? Pensavo l'avresti capito per adesso. » Moriarty alzò le spalle. « Sono adorabili, vero? » chiese, una mano sfiorava il legno della cabina sotto di lui. « Adoro il loro design, ma purtroppo non sarò capace di tenerle… » sospirò drammaticamente e i suoi occhi si focalizzarono su Sherlock.

 

« Che hai intenzione di fare con queste? » chiese il detective, tranquillamente, le sue mani strette dietro la schiena mentre camminava attorno alle cabine, seguito dagli occhi di Moriarty.

 

« Oh, beh, non sono affari tuoi. » Sherlock si fermò, i suoi occhi guizzarono sul criminale seduto sulla cabina a sinistra. « Vorrei parlare… di te. »

 

Sherlock alzò le sopracciglia scettico. « Me? » chiese lentamente. « Perché? »

 

Moriarty stava giocando sul tempo? Stava cercando di distrarre Sherlock?

 

Perché avrebbe voluto parlare di lui? Perché in quel momento?

 

Tutto ciò di cui Moriarty aveva mai parlato era se stesso e i suoi piani perfetti, parlare di Sherlock era completamente fuori dal personaggio di Moriarty.

 

A meno che…

 

A meno che non volesse confrontarli.

 

A meno che non volesse sottolineare i difetti di Sherlock.

 

A meno che non ci fosse una ragione più grande.

 

Moriarty fece oscillare la testa da una parte all'altra, mormorando pensosamente. « Beh, perché penso che tu non sappia neanche chi tu sia. » si fermò per aggiungere una pausa drammatica. « Vorrei aiutarti con ciò. »

 

Sherlock non riuscì a contenersi, doveva ridere fragorosamente per quello. Lui, che non sapeva chi fosse?

 

« Per favore, penso di sapere perfettamente chi sono. »

 

Moriarty ridacchiò, i suoi occhi sembravano due grandi buchi neri sul volto. « Sei sicuro? Perché scommetto di no. »

 

Ci fu un fruscio di vestiti e dopo qualcosa cadde di fronte a Sherlock, atterrando sul pavimento umido con un sonoro tonfo.

 

Sherlock non si mosse di un millimetro ma poteva vedere benissimo cosa c'era sul pavimento di fronte a lui.

 

Un libro.

 

« Raccoglilo, Sherly. » insisté Moriarty, la voce impaziente. « Voglio vedere la tua faccia quando lo capirai finalmente. »

 

Sherlock non voleva. Non voleva prendere il libro, semplicemente perché Moriarty voleva che lui lo prendesse, ma doveva farlo. Altrimenti non sarebbe andato tanto lontano. E quindi Sherlock s'inginocchiò e raccolse il libro nelle sue mani.

 

La copertina era ben fatta: una vecchia stanza in colori scuri, uno di quei ridicoli berretti su un piccolo tavolo… Tuttavia, non fu la copertina in sé che shoccò Sherlock, fu il titolo.

 

In grandi, rosse lettere c'era scritto il suo nome: 

Sherlock Holmes.

 

Sherlock grugnì e alzò lo sguardo su Moriarty. Cos'era? Uno scherzo?

 

« E? » chiese Moriarty, i suoi occhi luminosi e troppo grandi per la sua faccia rotonda. « Hai capito finalmente? »

 

Sherlock non rispose, scosse semplicemente il capo. No. No, non aveva alcun senso.

 

Moriarty fece un respiro profondo attraverso il naso e saltò giù dal TARDIS. « È tutto scritto. La tua vita, i personaggi, tutto. Ti hanno inventato. Hanno preso questo libro come modello. »

 

Cosa? 

 

I pensieri di Sherlock stavano correndo.

 

Era assurdo, non aveva senso…

 

Moriarty era adesso in piedi di fronte a Sherlock, le sue mani intrecciata davanti lo stomaco.

 

« La tua vita, Sherlock, è stata inventata. Tutto. Perché pensi che Mrs. Hudson ti permetta di tenere parti del corpo nel frigo? Perché era stata progettata per permettertelo. Perché pensi che Lestrade si preoccupi di parlare con te? Perché lui deve. Perché pensi che JOHN voglia VIVERE con te? Hmm? Perché LORO hanno detto così! »

 

Sherlock batté le palpebre. « Loro? » Fu l'unica cosa che riuscì a chiedere.

 

Moriarty sospirò in frustrazione. « Gli angeli? Dio? »

 

« Non ha senso! » Sherlock scosse la testa. « Perché qualcuno dovrebbe - »

 

« A causa di quello che SEI Sherlock! » Lo interruppe Moriarty. « O, per quello che puoi diventare… Immagino Castiel non ti abbia detto niente riguardo la tua anima, hmm? »

 

No.

 

L'angelo non aveva detto niente.

 

Però, in nessun modo Sherlock avrebbe creduto ad una sola parola di ciò che stava dicendo Moriarty.

 

« Lo immaginavo. » Moriarty annuì fra sé e sé.

 

« Non vogliono che tu lo sappia. Perciò hanno fatto questo - » La mano di Moriarty scivolò nella tasca del suo completo. Ne estrasse l'amuleto che il demone aveva rubato a Eleven.

 

Le sopracciglia di Sherlock si corrugarono e non riuscì a nascondere la sua confusione. Cercava di stare calmo, ovviamente, ed esternamente riuscì ad apparire calmo come sempre, ma doveva ammettere che si stava domandando cosa Moriarty volesse ottenere propinandogli inaffidabili storie sulla sua anima e sugli angeli.

 

« La tua anima è intatta, lo sai? » continuò Moriarty e cominciò a camminare attorno a Sherlock. « Tu sei qualcosa di speciale, ma penso tu lo sappia. Furbo, intelligente, risolvi crimini, sconfiggi il male… Ti hanno reso il loro perfetto piccolo soldatino ed è per questo che non vogliono che tu ottenga l'amuleto, per questo lo hanno rinchiuso, perché avevano paura che tu avresti deciso di diventare qualcos'altro, qualcosa che loro non volevano che la tua anima diventasse. »

 

Moriarty ridacchiò minacciosamente. « Hanno fatto piani per te. Non hai la minima idea di quanto pericoloso potresti essere, quanto pericoloso sei semplicemente con la tua esistenza. » Moriarty si fermò, i suoi occhi su Sherlock, che sosteneva lo sguardo fisso del criminale. « Sai della Pandorica e del suo scopo, vero? Tutte le - » Moriarty roteò gli occhi e alzò le mani. « "cose da chiudere a chiave dalla creatura che potrebbe fare a pezzi il mondo." » Un sorriso si allargò sul volto di Moriarty quando si sporse verso Sherlock. « Quel pezzo di anima mancante è ciò che hanno cercato di nascondere. Non quello stupido Signore del Tempo. Hmm, anche se devo ammetterlo: lui è una persona abbastanza caotica. »

 

Sherlock non riuscì a trattenersi: si piegò in avanti e sbottò: « Perché mi stai dicendo questo? Perché ora? »

 

Era un trucco, doveva esserlo. Sherlock sapeva molto bene che Moriarty era un maestro nei giochi mentali. Quei ‘fatti’ erano irrilevanti per i piani di Moriarty, quindi perché raccontarli a Sherlock? 

 

A Moriarty non piaceva Sherlock, e se chiesto a Sherlock, avrebbe detto che la relazione di Moriarty verso di lui poteva essere descritta come un'ossessione di odio-amore.

 

Moriarty voleva essere migliore, voleva essere la perfezione, quindi perché ‘aiutare’ Sherlock, perché dirgli di lui?

 

Faceva quello davvero parte del piano di Moriarty?

 

« Non ha senso per me. » ammise il detective rapidamente.

 

Moriarty sospirò come se fosse stato deluso dall'incapacità di Sherlock di comprendere l'intero punto. « Okay, quindi, rimani fermo e ascolta la favola. »

 

« Una volta ci è stato detto che ogni anima ha la sua destinazione. Tu sei nato e la vita ha deciso se tu sei ‘buono’ o ‘cattivo’. » Moriarty alzò le mani per rimarcare con segni di virgolette entrambe le parole. « Non puoi cambiare perché Fato, quella stronza e le sue sorelle, hanno già deciso cosa tu diventerai, cosa farai, cosa succederà, cosa deve succedere, blah-blah-blah. ”

 

Il criminale alzò l'indice, le dita dell'altra mano strette attorno all'amuleto.

 

« Ma poi ci sono anche anime speciali, quelle senza destino. ‘Libero arbitrio’ potresti chiamarlo. Né il Paradiso né l'Inferno intaccano queste anime e Fato non è in grado di controllarle. Non sono legate a nulla. Ecco perché sono pericolose, ecco perché devono essere osservate, perché nessun loro passo è prevedibile. Ci sono centinaia di strade per quell'anima e tu non sei capace di dire quale strada intraprenderà perché non puoi vederlo. »

 

Moriarty fece una pausa, dando a Sherlock tempo per pensare a ciò che aveva detto.

 

Era ridicolo. Quindi Moriarty stava cercando di dire che Sherlock era questo tipo di anima?

 

Certo.

 

Castiel gli avrebbe detto se qualcosa del genere era importante, specialmente se lui era così importante da cambiare il corso degli eventi. Ma ancora, Moriarty aveva detto che aveva presunto che Castiel non gliel'avrebbe detto.

 

Quello significava che Moriarty conosceva l'angelo?

 

« Chi sei tu…? » borbottò Sherlock, più a se stesso che a Moriarty. « Cosa sei tu… »

 

Moriarty ridacchiò e inclinò la testa. « Io? Lui non te l'ha detto? Sono ferito. »

 

Il criminale allungò le braccia, un sorriso sul volto.

 

« Sono un angelo del Signore. » si fermò, un cipiglio sul volto. « O meglio, ero un angelo del Signore, finché non ho seguito Lucifero giù all'Inferno. Adesso… Hmm, devo ammettere che non so davvero cosa sono. Un angelo caduto? Un angelo nero? » Il criminale ridacchiò. « Comunque, non sono né umano né un angelo completo. » Il suo corpo ondeggiò da parte a parte mentre sorrideva quasi timidamente. « Forse sono un ibrido. Ma suona così disgustoso… »

 

La situazione stava sfuggendo sempre di più dalle mani.

 

Un angelo, Moriarty?

 

Sherlock deglutì fortemente, cercando d'indovinare come sconfiggere un angelo.

 

Non lo sapeva.

 

Non aveva chiesto.

 

Gli venne ora in mente che era più impreparato di quanto pensasse.

 

Era praticamente senza armi contro Moriarty, e anche la sua mente brillante aveva fallito.

 

Era intrappolato, intrappolato in un magazzino con un pazzo ex-angelo del Signore.

 

Forse aveva dovuto dire agli altri dove stava andando.

 

Tuttavia, non l'aveva fatto.

 

E adesso era completamente solo.

 

Anche se la sua mente lo aveva deluso, una cosa poteva dirgliela: hai perso il gioco, Sherlock. Non c'è nessuna via d'uscita da qui.

 

Okay, quindi, Moriarty cercava di dirgli che era stato tutto quanto organizzato, che le persone che conosceva erano false, che tutto quanto era falso, persino Sherlock stesso. Gli angeli avevano preso la sua libertà, quindi non sarebbe stato capace di prendere una decisione sbagliata, o una decisione in generale. Sherlock guardò il libro che aveva in mano. Sarebbe stato facile aprire la copertina e dare un'occhiata dentro, ma non riuscì a farlo. Ogni fibra di lui si rifiutava di credere ad una sola parola di quel che stava dicendo Moriarty, se era quello il suo vero nome, ma Sherlock non poteva negare di provare una sensazione davvero strana dentro, qualcosa che non riusciva a collocare, forse era… dubbio?

 

« Il tuo nome non è Moriarty, allora? » chiese il detective con nonchalance. Aveva ancora gli occhi sul libro. Moriarty ridacchiò e scosse la testa. « Nope. Ho pensato che si abbinasse visto che il palco era già stato preparato per lo show. Non volevo rovinarlo. »

 

Sherlock alzò lo sguardo nuovamente e vide un grande ghigno sul volto di Moriarty. Se la stava godendo fin troppo…

 

Okay, mettendo i fatti insieme…

 

Moriarty era un angelo caduto e Sherlock non aveva idea di quale fosse il suo nome vero o come sconfiggerlo. Sherlock non aveva armi, a parte il libro nelle sue mani ma non sarebbe servito molto contro un angelo, caduto o meno, e Moriarty sembrava sapere troppo, più di Sherlock.

 

« Ed è tutto una bugia… » mormorò Sherlock, lentamente cercava di assemblare tutti i pezzi.

 

« Sì, abbastanza. » Moriarty era fin troppo allegro per quella conversazione.

 

« Le persone che ho incontrato, Molly, Lestrade, Mrs. Hudson, John… » Lo stomaco di Sherlock si strinse al pensiero che a John lui piacesse, non perché lui volesse così ma perché doveva, perché era quello il suo destino, perché gli angeli gli avevano detto di farsi piacere Sherlock…

 

E lì Sherlock aveva pensato che piacesse realmente a qualcuno…

 

In effetti, si sentiva schiacciare dalla grandezza delle innumerevoli novità. Ma, non c'era ancora una prova, niente…

 

Forse era una bugia…

 

Si sentiva male.

 

« Loro sono stati… » Sherlock si fermò alla ricerca della parola giusta ma Moriarty lo interruppe.

 

« Sottoposti al lavaggio del cervello, manipolati, formati, chiamali come ti pare. Non è solo il nome, sai? Persino il loro personaggio, la loro anima, è stata manipolata per essere adattata alla storia. »

 

Moriarty sospirò. « Queste povere anime vivono solamente per uno scopo: partecipare al gioco che hanno creato gli angeli. » Moriarty iniziò a camminare attorno a Sherlock nuovamente, le sue braccia strette dietro la schiena. « Non sono stato io ad iniziare, sai, Sherly? Sono solo venuto sulla terra per aprire i tuoi piccoli occhi carini, niente di più. »

 

Sherlock grugnì e la testa di Moriarty si voltò per fronteggiarlo, i suoi occhi stretti.

 

« Scusami, ma uccidere persone non è aprire gli occhi a qualcuno. » sottolineò Sherlock, la sua voce fredda.

 

Moriarty roteò gli occhi mentre sbuffava infastidito. « Chi se ne frega? Uno o due anime in meno su questo mondo. Ne è valsa la pena, dopo tutto ho ottenuto la tua attenzione ed eccoci quiiiiiiiiiii - » L'angelo criminale cantò, ondeggiando da parte a parte mentre sorrideva come un maniaco. 

 

Sherlock cercò di calmarsi facendo un profondo respiro attraverso il naso. Le sue mani strette attorno alla soffice pelle del libro prima di poggiarlo su un posto asciutto sul pavimento.

 

« Non c'è nessuna prova che quello che tu stai dicendo sia la verità. »

 

Moriarty corrugò le sopracciglia mentre spalancava gli occhi in incredulità, una combinazione davvero strana…

 

« Cosa? Perché dovrei mentire al riguardo, Sherly? » L'angelo caduto si sporse in avanti, i suoi grandi occhi scuri riflettevano la piccola quantità di luce come due specchi neri. « Sarebbe uno spreco di tempo, giusto? »

 

« E inoltre - » Moriarty accennò verso il libro che era poggiato sul pavimento all'ombra di un TARDIS. « Quella è la tua prova, devi solamente dare un'occhiata dentro. »

 

« Potresti averlo scritto tu. » scattò Sherlock.

 

Moriarty sorrise ma non c'era nessun segno di ironia nel suo occhi senz'anima. « Perché avrei dovuto farlo? »

 

Gli occhi di Sherlock si strinsero. « Ti piace giocare. »

 

Moriarty era fermo per qualche secondo prima di ridacchiare. « Oh, è vero, lo è… ma… » Si raddrizzò e alzò la mano che stringeva l'amuleto. « Riguardo questo? »

 

Sherlock alzò un sopracciglio all'amuleto d'oro; era bellissimo, dorato con piccole incisioni che potevano benissimo essere simboli o segni. 

 

« Non vuoi aprirlo? » chiese Moriarty, curiosità nei suoi occhi. « Vedere cosa c'è dentro, decidere cosa diventare… » si fermò, sapendo benissimo che Sherlock avrebbe chiesto: «  Diventare cosa? »

 

Il criminale annuì lentamente. « Sì. Hanno preso via anche quello. La tua anima è libera, Sherly, libera di essere qualsiasi cosa voglia. Hanno tutto quello perché avevano paura del tuo vero potere. » Il disgusto nella sua voce mentre parlava degli angeli era palpabile.

 

Doveva davvero odiare gli angeli, e una qualche parte nella mente di Sherlock si chiedeva il perché.

 

« Perché mi offriresti ciò? » C'era sfiducia nella voce di Sherlock, ma chi poteva biasimarlo? Moriarty era il nemico, dopo tutto…

 

Moriarty alzò le spalle. « Per infastidirli? » Il sopracciglio del detective si alzò ancora di più e il criminale roteò gli occhi. « Non lo so, okay? Mi piace solamente l'idea di distruggere il loro lavoro, è tutto. Voglio dire, non sei arrabbiato? »

 

Sherlock batté le palpebre sorpreso. « Arrabbiato? Perché arrabbiato? »

 

Moriarty si passò le mani sulla faccia mentre scuoteva la testa. Sembrava quasi afferrarsi i capelli in frustrazione. « Non capisci? Hanno inventato la tua intera vita! E per cosa? Vogliono usarti, Sherly, questo è il loro piano, ma chiaramente non sei importante abbastanza per essere 'salvato' altrimenti questa stanza sarebbe piena di angeli. Come puoi vedere, siamo ancora soli. » Il criminale tolse le mani dalla faccia, i suoi occhi spalancanti e pazzi. « Hanno rubato la tua vita, Sherlock. Non vuoi vendicarti? »

 

C'era onesta incredulità nella voce di Moriarty come se non potesse comprendere che Sherlock non voleva massacrare ogni angelo per riprendersi l'anima.

 

Ma Sherlock non era arrabbiato, neanche deluso.

 

L'unica cosa che davvero lo addolorava era pensare che tutti i suoi 'amici', si rifiutava ancora di chiamarli amici, erano falsi. Che John era qualcuno che era stato inventato per unirsi a lui per sconfiggere il crimine insieme.

 

Il pensiero che in realtà non piacesse a nessuno era spaventoso.

 

E il pensiero che lui stesso non fosse una persona reale, ma solo un'ombra di un personaggio immaginario, era ancora più spaventoso.

 

Sì, se era qualcosa, in quel momento, era spaventato.

« Non vuoi sapere cosa puoi essere? » sussurrò Moriarty nel suo orecchio, ora che si trovava dietro Sherlock. « Non vuoi essere una persona reale, decidere da solo il tuo percorso? »

Il cuore di Sherlock martellò nel suo petto e non seppe spiegarsi perché. La sua gola si prosciugò e notò che era… nervoso.

Sì, voleva saperlo.

In qualche modo nella sua testa una voce urlò: no, non vuoi! Questo fa parte di un piano, idiota! Ovviamente fa parte di un piano! Sei cieco? 

Ma c'era anche una parte dentro di lui che bramava la parte della sua anima dentro l'amuleto.

Questo è ridicolo.

Tutto questo è ridicolo.

La parte logica del suo cervello era chiaramente arrabbiata con lui per solamente aver considerato di credere a qualsiasi cosa dicesse Moriarty.

Tuttavia, la parte emotiva, non importa quanto piccola fosse, stava chiaramente dicendogli di provare.

Qual era il peggio che poteva accadere?

Sherlock si domandò quando aveva cominciato a dubitare di tutto ciò che sapeva.

Non potè vedere il ghigno malefico che si formò sulle labbra di Moriarty mentre la mente criminale notò che il detective aveva iniziato ad arrendersi.

   
 
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