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Autore: _Pulse_    16/04/2013    8 recensioni
«Helen! Helen, aspetta!».
Tom l’afferrò per un polso e Grace si voltò di scatto, fissando gli occhi nei suoi. Il chitarrista ebbe l’istinto di tirarsi indietro, perché oltre che arrabbiata sembrava davvero ferita, il verde che tanto gli piaceva lacerato da artigli che lui stesso aveva maneggiato.
«Come… come puoi pensare di usarmi dopo quello che c’è stato ieri notte?!», gli urlò in viso, furente.
Al ricordo di quello che avevano passato insieme sentì il suo stomaco contorcersi, ma presto quelle immagini furono sommerse da altre, forse ancora più scottanti nel suo cuore, che lo fecero imbestialire.
«Sbaglio o sei stata tu a dire che quello che è successo l’altra notte non doveva succedere e che non dovrà più ripetersi?! Se hai paura di mettere in gioco i tuoi sentimenti, allora non li metterò in gioco nemmeno io! Ma se metti in bella mostra tutta la tua mercanzia, in questo modo, permetti che io –».
Lo scoppio di uno sparo lo interruppe e senza nemmeno sapere come si trovò a terra, con il viso di Helen ad un centimetro dal suo.
Genere: Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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EPILOGO

 

“When I see my face in the mirror,
we look so alike that it makes me shiver…
I still look for your face in the crowd,
oh if you could see me now
Would you stand in disgrace or take a bow?
Oh if you could see me now…”

(If you could see me now – The Script)

 

Grace rotolò nel letto alla ricerca del corpo caldo di Tom, ma quando sentì il materasso freddo e le lenzuola stropicciate si ricordò che quella mattina era uscito presto perché aveva del lavoro da sbrigare con il team della band, impegnato ad organizzare il tour mondiale.
«Magari seguiremo la sua vita da rockstar quando ci saranno dei concerti qui negli Stati Uniti», bisbigliò dolcemente, sorridendo verso il soffitto ed accarezzandosi il ventre ancora piatto con le dita della mano sinistra.
Lei e Tom ne avevano parlato a lungo. Entrambi sapevano che tutti quelli che li conoscevano li avrebbero presi per pazzi: insomma, era passato solo un anno dal loro primo incontro e già volevano prendersi quelle responsabilità!? Beh, sì, lo volevano.
Sapevano anche che quello non sarebbe stato il momento ideale per avere un figlio, ma Grace era convinta e determinata più che mai a voler vivere le gioie e i dolori della maternità e lui non aveva saputo dirle di no, contando sul fatto che in nove mesi il tour sarebbe bello che concluso e avrebbe potuto starle vicino almeno per l’ultimo periodo, quando la sua pancia avrebbe assunto le dimensioni di un pallone da basket.
Così si erano dati da fare, in quei mesi che susseguivano il suo ritorno a Los Angeles, e da circa una settimana aveva scoperto che avevano fatto centro: avrebbero avuto il loro bambino, sarebbero diventati genitori, e l’amore che provava per quell’esserino ancora piccolo come la capocchia di uno spillo era già immenso, tanto da farle scoppiare il cuore di gioia ogni volta che ci pensava. Non stava più nella pelle al pensiero di vederlo – o vederla – con i suoi occhi, di cullarlo tra le braccia mentre cercava il suo seno, di essere svegliata a tutte le ore della notte dai suoi striduli vagiti, di perdersi nei suoi occhi blu scuro che poi forse – lo sperava così tanto! – sarebbero diventati verdi come i suoi, come quelli di suo padre, senza nulla togliere alla bellezza del nocciola degli occhi di Tom.
«O magari anche in Europa! Mi piacerebbe vedere Roma, Vienna, Parigi, Madrid… Che ne dici?».
Scese dal letto posando entrambi i piedi sul pavimento lucido e senza togliere la mano sinistra dal ventre si diresse verso il bagno, lo stesso bagno dove, dopo aver fatto per l’ennesima volta il conto dei giorni di ritardo del ciclo, aveva fatto il test e aveva scoperto di essere incinta.
Non aveva ancora trovato il momento adatto per dirlo a Tom, anche se a volte era stata lì lì per annunciargli la lieta novella e altre volte aveva avuto come la sensazione che lui sapesse, che glielo avesse letto negli occhi, o tra le labbra incurvate all’insù in un sorriso estasiato, che gli nascondeva qualcosa di bello.
Da un lato ardeva di impazienza e fremeva al solo pensiero di pronunciare quelle parole: le ripeteva per ore nella sua mente, pregustandone il sapore dolce e allo stesso tempo salato a causa delle lacrime di felicità che le avrebbero solcato le guance.

Tom, aspetto un bambino. Tom, aspetto un bambino. Tom, aspetto un bambino…
Dall’altro amava custodire quel segreto, come se fosse la prima delle tante sorprese che in futuro lei e suo figlio avrebbero organizzato per lui, magari per il suo compleanno, per il suo onomastico oppure per la festa del papà.
Scese in salotto ed accese la TV giusto per non sentirsi sola in quella villa troppo grande per una persona sola. Quindi entrò in cucina e si versò un po’ di caffè in una tazza di ceramica, quella che era diventata ufficialmente la sua tazza da circa due mesi, cioè da quando era stata convinta a trasferirsi a casa dei gemelli.
All’inizio la proposta che le avevano fatto di andare a vivere con loro due le era sembrata una cosa impensabile, perché nel suo ideale di famiglia, per quanto avesse potuto beneficiarne, c’erano un uomo, una donna e poi i loro pargoletti. In realtà prima di allora non aveva mai preso in considerazione la possibilità che lei e Tom potessero convivere, lei e lui da soli, ma le sembrava sicuramente la cosa più ragionevole, più normale, in confronto alla prospettiva di vivere con Bill e praticamente anche con Dylan, dato che raramente, proprio come lei aveva fatto prima di trasferirsi, tornava al suo appartamento.
Alla fine però aveva realizzato che i due gemelli non avevano ancora alcuna intenzione, per il momento, di smettere di condividere tutte le ventiquattro ore del giorno e aveva accettato.
In poco tempo era riuscita a dare in affitto ad una giovane coppia (che coincidenza) il suo appartamento, da cui aveva portato via solo i suoi oggetti personali e la lampada posata sul suo comodino, a cui era affezionata, e aveva traslocato nella stanza di Tom, il quale le aveva pure fatto posto nel suo armadio strapieno di vestiti, promettendole che ne avrebbero comprato uno più grande quanto prima.
Un giorno, non molto tempo dopo, erano andati in un negozio di arredamento e avevano fatto la loro scelta, insieme. Uscita dal negozio, Grace non aveva mai lasciato la mano di Tom e lo aveva osservato di profilo, pensando che un giorno, prima o poi, avrebbero fatto la stessa cosa per riempire la loro casa.
Tutto sommato però non le dispiaceva condividere quei grandi spazi con altre due persone, a cui peraltro voleva così tanto bene, e si era abituata presto, felice di poter sempre parlare, ridere, scherzare o litigare con qualcuno. Tranne quando tutti erano a lavorare e lei si trovava sola in casa, indecisa se saccheggiare la libreria cinematografica di Bill e Tom oppure pulire i pavimenti, da brava donna di casa.
Attualmente poteva “vantarsi” di essere un numerino nelle preoccupanti statistiche sui disoccupati negli Stati Uniti e allo stesso tempo di vivere nell’agiatezza della donna mantenuta. Non che questo la rendesse felice, anzi: ogni volta che ci pensava si diceva che doveva cercarsi un lavoro per contribuire alle spese della loro famiglia allargata, anche se per ora poteva ancora usufruire della piccola somma (perché ventimila dollari erano una piccolezza per lui) che il magnate della finanza Mr. McNab le aveva versato sul conto in banca come ringraziamento per aver reso giustizia al padre del suo caro nipote.
Aveva deciso di lasciare per sempre il mondo delle investigazioni e aveva messo in vendita quello che prima di diventare suo era stato l’ufficio di suo padre, dove aveva esercitato la sua professione fino alla morte. Non poteva più condividere con lui quel mondo fatto di violenza, col rischio di finire in un circolo vizioso simile a quello che l’aveva quasi disintegrata, tanto che aveva sentito l’esigenza di staccarsene con un taglio netto, come un neonato viene separato dalla madre con una sola sforbiciata al cordone ombelicale.
Proprio per quel motivo aveva rifiutato la succulenta offerta che Michael Crawford le aveva fatto, un’offerta che forse un tempo non avrebbe esitato ad accettare.
Dopo aver fatto colazione osservando il frigorifero tappezzato da tutte le belle cartoline che Tom, nonostante tutto, le aveva portato dal tour promozionale dei Tokio Hotel, optò per fare un po’ di ordine in casa.
Iniziò dalle camere da letto, cambiando le lenzuola e raccogliendo i vestiti da lavare che non le avrebbero tolto tante energie, se solo i gemelli li avessero ficcati subito nel cesto in bagno invece di lasciarli sparsi qua e là, come a marcare il loro territorio. Fece partire la lavatrice e poi, visto che il braccio destro intorpidito iniziava a darle qualche fastidio, in salotto decise soltanto di passare l’aspirapolvere sul tappeto pieno di briciole di ogni tipo e di sistemare i cuscini sui divani.
Una volta finito, col viso un po’ arrossato per il caldo e i capelli sfuggiti alla coda che le sfioravano le guance, si lasciò cadere sulla morbida pelle di uno di essi e sospirò, accarezzandosi il braccio attraversato da piccole scosse.
La paralisi non era del tutto guarita, come non era tornato ad essere completamente sensibile: in particolare, continuava a non avvertire alcun dolore, e forse non ne avrebbe mai più sentito, nei punti in cui i denti del rottweiler erano entrati in profondità nella carne. Doveva ammettere però che col tempo il suo braccio aveva dato segni di miglioramento, muovendosi prima meccanicamente, quasi a sobbalzi, poi in modo leggermente più fluido, tanto da permetterle di chiudere e di aprire le dita della mano a suo piacimento.
C’erano giorni in cui riusciva a muoverlo a malapena e lo sentiva pesante come piombo lungo il fianco; altri in cui, invece, lo muoveva senza molti sforzi, anche se in modo limitato a causa dei formicolii o della debolezza dei muscoli.
Sorrise, pensando alla sera in cui per la prima volta aveva sentito qualcosa correrle sulla pelle, una specie di brivido, quando Tom l’aveva accarezzato con dolcezza, quasi soprappensiero.
Era sobbalzata sul divano, facendo spaventare sia lui che Dylan, sedutosi al suo fianco quando Bill si era alzato per andare a prendere un pacchetto di patatine in cucina, e aveva gridato, con un misto di gioia e di sconcerto nella voce: «Ho sentito qualcosa! Tom, fallo di nuovo, ho sentito qualcosa!».
Il chitarrista l’aveva accontentata non osando chiederle niente e Grace aveva chiuso gli occhi, avvertendo di nuovo quel formicolio sulla pelle mentre percepiva, anche se in modo molto lieve, la callosità dei suoi polpastrelli.
La fede che i dottori l’avevano pregata di avere nell’attesa quella sera si era accesa nel suo cuore e per la prima volta aveva sperato sul serio che un giorno potesse tornare a muovere entrambe le braccia e le mani in modo se non uguale almeno simile, nonostante si fosse ormai abituata ad utilizzare la mano sinistra per qualsiasi cosa. Aveva persino imparato a scrivere da mancina!
Lo squillo del telefono la fece tornare alla realtà e si alzò per raggiungere il cordless posato sull’isola della cucina.
«Pronto?».
«Grace, tesoro, ciao».
«Ciao mamma! Tutto bene?».
«Sì, benissimo. Tu piuttosto, come stai? Mangi regolarmente? Bevi tanta acqua? È importante, sai? Ora che siete in due…».
«Sì, mamma, lo so e faccio del mio meglio», rispose, ridacchiando delle sue premurose e a volte anche un po’ assillanti raccomandazioni. Ma non poteva fare altrimenti, Nonna Melanie, già in apprensione e decisa a fare di tutto perché il suo nipotino nascesse sano e forte.
Se fino a quel momento era riuscita a mantenere il segreto con Tom, con sua mamma non ne era stata in grado, forse perché non aveva fatto abbastanza attenzione o forse semplicemente perché una figlia non può nascondere nulla agli occhi della propria madre.
L’aveva smascherata subito: il tempo di farla entrare in casa e di versarle un bicchiere di tè freddo e l’aveva costretta a confessare, tra gridolini, lacrime di gioia e la promessa che non avrebbe rivelato il suo segreto a nessuno, nemmeno a Lionel.
Da quando il caso era stato chiuso l’ex-marine non correva più alcun pericolo. Con sua grande soddisfazione era uscito dal Programma Protezione Testimoni dell’FBI e aveva cercato di riprendere in mano la sua vita, ora che anche lui poteva ritenersi soddisfatto dell’operato della giustizia. Ma era stato comunque un duro colpo venire a sapere che persino l’uccisione di sua moglie e di sua figlia era stata pianificata dall’alto, in modo tale che venissero accusati due ignari cittadini iracheni caduti in un’orribile trappola e morti in carcere in modo molto sospetto, tanto da far supporre alle autorità che erano stati volontariamente uccisi perché non dicessero la verità.
Era tornato a casa sua, anche se ancora convalescente, e Grace, sfogando le sue preoccupazioni con la madre – aveva paura infatti che soffrisse di solitudine e si trovasse in difficoltà con le piccole cose di ogni giorno – aveva in qualche modo fatto scattare un processo i cui effetti erano visibili continuamente, negli occhi luminosi di Lionel o nel sorriso sereno di Melanie.
La donna da quel giorno si era occupata personalmente di fargli visita tutte le mattine, per tenergli compagnia oppure per preparargli un pranzo decente, tanto che alla fine gli aveva proposto di stabilirsi a casa sua, solo per un po’, fino a quando non si sarebbe rimesso completamente.
Grace non aveva reagito male, anche se si era trovata un pochino disorientata nel vedere Lionel gironzolare in casa di sua madre come se fosse la sua, così tranquillo e felice, e ogni volta, scrutando di nascosto i loro visi, non sapeva dire se la loro fosse solo una forte amicizia oppure qualcosa di più. Preferiva non pensare a Lionel come suo futuro patrigno, le bastava sapere che stando insieme, contando sulla presenza e il sostegno dell’altro, riuscivano ad alleviare i dolori del loro passato tormentato.
«L’hai detto a Tom?».
«Cosa?».
Melanie abbassò la voce ed esclamò: «Del bambino, cos’altro?».
«Ah, ehm… no, non ancora».
«Ma che cosa stai aspettando, amore? Hai forse paura della sua reazione?».
«No, no, assolutamente! Abbiamo deciso di volerlo insieme, non è venuto per caso».
«E allora…?».
«È che voglio che sia indimenticabile!».
Melanie rise in modo genuino. «Oh, tesoro, come se si potesse dimenticare una cosa del genere!».
Grace sorrise ed ammise che dopotutto aveva ragione: nessun padre avrebbe dovuto dimenticare il momento in cui aveva saputo che entro nove mesi avrebbe visto suo figlio.
«Facciamo così», disse ancora. «Siete tutti invitati a cena, questa sera. Sarà l’occasione perfetta!».
«Okay, allora…».
«Vedrai, Grace, sarà entusiasta! Adesso convinco Lionel ad accompagnarmi a fare la spesa, preparerò una cenetta coi fiocchi! Ah, invita anche Molly, mi raccomando!».
Grace non poté far altro che sorridere, col cuore leggero come una piuma, all’entusiasmo travolgente di sua madre. Erano anni che non la sentiva così felice ed era un vero piacere sapere di esserne una delle motivazioni.
Una volta terminata la chiamata con sua madre si trovò a tremare d’emozione e dovette sforzarsi per tenere a bada tutta la sfilza di sentimenti positivi di cui si sentiva colma fino all’orlo, tanto da rischiare di scoppiare da un momento all’altro.
Si portò una mano sul ventre e per l’ennesima volta lo accarezzò dolcemente, sussurrando parole d’amore al suo piccolo grande tesoro.

 

***

 

«Wow, come sei elegante!».
Tom si voltò verso le scale e seguì lo sguardo di Bill fino a posare gli occhi sulla figura aggraziata di Grace: indossava un abitino di raso grigio perla, dalle linee pulite e con un’arricciatura sul fianco destro – il regalo di bentornata a casa e di pronta guarigione da parte di Molly e in generale da tutta la famiglia Delafield.
Grace abbassò lo sguardo e si concentrò sulla rampa di scale, imbarazzata e sorridente allo stesso tempo.
Quando finalmente tornò a sollevare il viso, Tom rimase quasi senza fiato vedendo la luce di mille stelle brillare nei suoi occhi ridenti.
«Andiamo?».
Il chitarrista si limitò ad annuire, incapace di articolare una frase di senso compiuto, e le offrì il braccio, al quale la ex-detective si aggrappò con la mano destra, mettendocela tutta per stringerlo forte.
Salirono tutti e tre sull’Audi di Tom e Grace si stupì ancora una volta pensando che il suo fuoristrada non c’era davvero più. Non poteva tenerlo, aveva troppi anni sulle spalle, o meglio, sul motore, e troppi ricordi legati a suo padre, a partire da quando gliel’aveva comprato e le aveva impartito le prime lezioni di guida. In linea con la sua decisione di staccarsi dal passato, quindi, aveva deciso di rottamarlo e ora, parcheggiata sulla via parallela al giardino sul retro della villa, c’era la sua nuova auto da città, con il lettore CD, l’aria condizionata funzionante e persino il tettuccio apribile.
In poco tempo raggiunsero la casa di sua madre e con stupore dei gemelli notarono che anche Melanie si era messa in ghingheri, con un vestito di cachemir bordeaux, i capelli rossi che le ricadevano spumosi sul decolté adorno di una collana di perle e un mezzo sorriso piuttosto enigmatico sul viso, tra l’eccitato e l’impaziente.
A Tom non sfuggì nemmeno l’occhiata d’intesa che madre e figlia si scambiarono sull’uscio di casa, mentre lui e Bill entravano in salotto. Era certo che gli stessero nascondendo qualcosa e che quella non fosse una serata come le altre, ma non poteva nemmeno lontanamente immaginare la sorpresa che gli avevano riservato.
«Ah, mamma, Molly questa sera aveva già un impegno e quindi ci raggiungerà più tardi. Ha detto che porta il dolce».
Melanie unì le mani di fronte al petto. «Quella ragazza è un angelo! Sa quanto mi piacciono i dolci di quella pasticceria e ogni volta ne porta uno diverso!».
Grace annuì ed incrociò per un attimo lo sguardo indagatore di Tom, rivolgendogliene uno di traverso, mentre gli faceva una smorfia.
Il chitarrista aprì la bocca in una O di sorpresa ed inscenò un inseguimento tra le poltrone e il divano in salotto, dove c’era Lionel intento a guardare alla TV un quiz a premi.
«Ragazziiiii», li ammonì dolcemente, per poi sporgere una gamba nel tentativo di fare uno sgambetto a Tom.
«Non lo sai che bisogna sempre darla vinta alle donne?», aggiunse, ora guardandolo con un’espressione divertita.
«Oh, lo so meglio di chiunque altro», rispose Tom, ridacchiando mentre incontrava di nuovo lo sguardo della sua Grace, ancora tanto luminoso da essere in grado di eclissare la luna.
«Tutti a tavola!», urlò Melanie e Lionel fu il primo ad alzarsi e a correre in cucina, ormai dipendente dei suoi manicaretti.
Lionel si sedette a capotavola, alla sua destra Bill e Dylan e alla sua sinistra Melanie e Grace, mentre Tom si trovava all’altro estremo del tavolo e guardava in faccia l’ex-marine, stringendo la mano dell’ex-detective al suo fianco.
Fu una normale cena di famiglia, per quanto la loro famiglia potesse ritenersi normale; risero e scherzarono per la maggior parte del tempo, sfruttando le pause per lodare Melanie, una cuoca squisita.
Il momento clou della serata, però, ebbe inizio soltanto con l’arrivo di Molly e dell’ormai inconfondibile confezione della pasticceria di fiducia della famiglia Delafield, capace di fare piccoli miracoli.
Grace, seduta in salotto accanto a Bill, l’aveva vista entrare in tutto il suo splendore, avvolta in un abitino a righe stile navy, con gli occhi luccicanti di felicità e i capelli biondi e boccolosi che le incorniciavano il viso. Era stata con Aiden per tutto il pomeriggio, era fin troppo facile capirlo.
Alla fine Molly aveva compiuto la sua scelta: aveva capito che non avrebbe mai potuto costringerlo a volerla al suo fianco e si era fatta da parte, per quanto il suo amore per lui non fosse cosa facile da reprimere. Per un paio di mesi si era accontentata di vederlo a lezione, di essergli amica quando raramente si fermava al loro tavolo a mensa; si era fatta bastare gli sguardi fuggevoli che le lanciava dal suo armadietto in fondo al corridoio. Poi, finalmente, Aiden aveva ceduto: aveva smesso di imbracciare le armi in quella guerra impari – l’amore che riservava a Molly contro la sua paura di non poterle offrire tutto ciò che desiderava – e si era arreso, conscio che non sarebbe durato a lungo comunque, vedendo il suo sorriso solare brillare così raramente per colpa sua. Aveva fatto un piacere a lei, ricambiando il suo affetto, ma ne aveva fatto anche a se stesso, più di quanto avesse mai creduto e voluto.
«Grace, te l’ho già detto che quel vestito ti sta che è una meraviglia?», disse Molly, baciandole una guancia. «Ora però vorrei sapere qual è l’evento che dobbiamo festeggiare».
«Festeggiare?», ripeté Tom, confuso, guardando prima l’una e poi l’altra.
Molly si coprì la bocca con la mano, chiedendo con gli occhi se avesse combinato un guaio, ma Grace la rassicurò con un sorriso affettuoso.
«Lionel, tira fuori lo spumante, presto!», bisbigliò Melanie all’uomo, dandogli incessanti colpetti sulla spalla, costringendolo così ad alzarsi dalla sua poltrona e a ciabattare verso il frigorifero senza diritto di replica.
«Che cosa sta succedendo, Grace?», domandò ancora Tom, notando che improvvisamente era calato il silenzio e tutti gli sguardi erano puntati su di lei, in piedi al suo cospetto.
«Tom, ricordi quando ti ho detto che Michael mi aveva proposto di diventare un’agente speciale dell’FBI?».
«Sì, certo», rispose, sollevando un sopracciglio. «Hai detto che era il tuo sogno sin da bambina, ma hai rifiutato perché non volevi avere più nulla a che fare con il crimine».
«È tutto vero, ma temo di averti celato un’altra motivazione».
«Non volevi trasferirti in Virginia per l’addestramento?», intervenne Dylan, nervoso.
Grace scosse il capo e socchiuse dolcemente gli occhi, porgendo entrambe le mani a Tom. Il chitarrista le strinse forte, come se fossero la sua unica ancora di salvezza durante una tempesta marina.
«In realtà, gli ho detto che non potevo accettare la sua offerta perché avevo una persona, una persona molto speciale, a cui pensare e di cui occuparmi».
«Okay, ci rinuncio, non riesco a capirla», mormorò Dylan, chino verso Bill, l’unico che forse, forse, aveva intuito qualcosa.
«Grace…», balbettò Tom, a disagio.
Allora lei, con tono ancora più dolce, disse: «Tom, aspetto un bambino».
Di nuovo, il silenzio calò su di loro come una coperta bagnata, pesante, e il tempo parve fermarsi, cristallizzando tutti quanti nelle loro ultime espressioni e posizioni.
All’improvviso Tom si alzò e la travolse in un abbraccio, stringendola forte a sé con una mano tra i suoi capelli e la bocca vicina al suo orecchio, con la quale iniziò a sussurrarle ininterrottamente: «Ti amo, ti amo, ti amo…», mentre la bolla d’immobilità in cui erano stati tutti rinchiusi scoppiava e altre voci gioiose, altri rumori scoppiettanti, li avvolgevano.
Grace, aggrappata alla sua schiena con il solo braccio sinistro, perché quello destro era tutto un tremito, sbatté più volte le palpebre per mandare via le lacrime di commozione, ma non ci riuscì, allora le nascose contro la sua spalla assieme al suo sorriso intriso d’amore.
Non ci fu bisogno di altre parole, ricevette tutto quello che poteva desiderare da quell’abbraccio e da quelle parole sussurrate all’orecchio, dal suono eterno, inattaccabile e puro, tanto bello da far male al cuore.

 

«Bill e Molly si sono ripresi, anche se ci sono voluti due bicchieri di spumante».
Il chitarrista si voltò e le andò incontro, accarezzandole le braccia protette dalle maniche del cardigan nero che sua madre l’aveva costretta ad indossare prima di uscire in giardino per raggiungerlo.
«Torna dentro, potresti prendere freddo».
Grace sollevò il sopracciglio destro con un sorriso divertito sulle labbra e alzò lo sguardo verso il cielo punteggiato di stelle.
«Freddo, in estate?», scrollò il capo. «Vi ringrazio, siete davvero premurosi, ma non vi sembra di esagerare un po’?».
Tom arrossì, protetto dal buio della notte rischiarato soltanto dalla luce della luna e da quella proveniente dall’interno della casa, che usciva dalle finestre e disegnava figure sempre nuove sull’erba.
Il suo sguardo fu catturato dalla cenere della sua sigaretta che cadde ai suoi piedi senza che lui facesse nulla. Si affrettò a spegnerla nel posacenere sul davanzale, accanto ad una piantina di gerani.
«Ecco perché da una settimana a questa parte dicevi di voler smettere di fumare», realizzò improvvisamente, accennando un sorriso.
Grace annuì stringendosi nelle spalle, poi gli legò le braccia intorno alla vita, posando il mento contro il suo sterno.
I suoi occhi erano più luminosi che mai e Tom non poté che restarne affascinato, muto di fronte alla loro bellezza.
«È tutto vero», bisbigliò dolcemente, più a se stessa che a lui. Quindi gli prese una mano e l’adagiò sul suo ventre ancora piatto, sopra il raso del vestito. «Spero che sia maschio».
«Anche io», convenne Tom, baciandole la fronte. «Ma non mi dispiacerebbe nemmeno avere una piccola Grace tra i piedi».
L’ex-detective ridacchiò e sospirò sognante, immaginandosi ancora una volta il loro bimbo.
«Se è maschio lo chiameremo Tom Junior?».
Gli tirò un pugnetto sul petto, dandogli dello scemo, e il chitarrista soffocò una risata sulle sue labbra.
«Però mi piaceva fare l’amore tutte le sere», le disse ancora, quando si scostò, senza aver abbandonato quel suo sguardo beffardo e un po’ malizioso.
«Nessuno ci vieta di smettere», lo rassicurò sogghignando e tornò a baciarlo, mettendosi in punta di piedi e prendendogli la nuca con la mano sinistra.
La porta finestra alle loro spalle si aprì di scatto e loro si separarono, anche se continuarono a restare abbracciati mentre Dylan allungava il collo nella loro direzione.
«Mi dispiace interrompere la prima riunione da futuri genitori, ma ora che ci siamo tutti possiamo brindare! Venite?».
Tom e Grace annuirono e lo seguirono all’interno, dove videro Michael e Andrew, già con i loro bicchieri di spumante in mano.
«Michael! Andrew!», esclamò la ragazza, correndogli incontro per abbracciarli a turno.
Gettò un’occhiata riconoscente a Dylan, l’unico che avrebbe potuto avvisare l’agente dell’FBI e l’agente della omicidi, i suoi amici. Il poliziotto le fece l’occhiolino portandosi due dita alla fronte, in una specie di saluto militare, nel quale erano racchiuse tutte le parole e gli auguri che non le avrebbe mai detto a voce. Quindi tornò a stringere Bill per la vita e a farsi imboccare.
«Ehi, anche io voglio la torta!», protestò, ma nello stesso momento Molly comparve di fronte a lei e le porse la sua fetta, accompagnata da un bicchiere di spumante fresco.
Le sorrideva radiosa e un po’ commossa, con gli occhi lucidi e le guance arrossate. «Non posso credere che voi due siate giunti fin qui. Ti ricordi quando dicevi di non sopportarlo più, che volevi smettere di pedinarlo per conto mio? E adesso guardati, aspetti un bambino e sei bellissima».
Grace le prese il volto tra le mani e le baciò la fronte. «Grazie, amica mia. Ti devo più di quanto tu possa immaginare».
Molly tirò su col naso, scuotendo timidamente il capo, e le passò la torta e il flûte, per poi voltarsi e raggiungere gli altri nel bel mezzo del salotto.
«Tesoro, vieni!». Sua madre le fece segno di avvicinarsi e l’ex-detective si strinse tra lei e Tom, il quale le avvolse le spalle con un braccio.
Melanie sollevò il suo bicchiere di spumante e guardò la figlia con gli occhi traboccanti d’orgoglio e d’emozione.
«A Grace, la luce dei miei occhi. Ringrazio il cielo per avermi dato una figlia come te e sono certa che anche il vostro bambino sarà fiero di averti come mamma. Tuo padre sarebbe…», la voce le tremò e Lionel le accarezzò il braccio, sorreggendola contro il suo fianco.
«A Grace», ripeté l’uomo, prima di far scontrare i bicchieri e di bere il primo sorso.
«E a Tom», disse poi Dylan, guardandolo di sbieco. «Un bravo amico e, si spera, un bravo padre».
Bill gli tirò una gomitata nel fianco, sorridendo, e aggiunse: «Ti voglio bene, fratellone».
Brindarono ancora e ancora, al bambino, maschio o femmina che fosse, perché la loro fosse una vita felice e piena di salute e all’amicizia, il legame più forte quando anche l’amore vacilla. Quando fu il turno di Andrew però rimasero tutti di stucco, mentre Dylan arrossiva e si passava una mano sulla nuca.
«A Dylan, alla sua promozione alla omicidi!».
«Come?», esclamò Grace, colpita.
«Io, ecco… Era da un po’ che mi frullava nella testa, così ho chiesto il trasferimento e…».
«Ma è fantastico, Dylan! Perché non ci hai detto niente?».
«Volevo che fosse una cosa certa, prima. L’ho saputo solo stamattina… E poi non mi sembrava giusto rovinare la vostra serata per questa sciocchezza».
Grace gli si parò davanti e per un momento ebbe paura che lo prendesse a schiaffi, ma poi un sorriso si aprì sul suo viso luminoso e lo abbracciò, rimproverandolo e facendogli mille congratulazioni.
Ma fu Bill a sorprendere tutti ancora una volta, perché una volta che Grace si fosse allontanata gli saltò in braccio e lo baciò sulle labbra, lì di fronte a tutti, sotto gli occhi un po’ sconvolti di Lionel e Crawford, quelli inteneriti di Melanie e Molly e quelli divertiti di Tom e Grace, che a stento trattenevano le risate.
Ad un tratto l’ex-detective, guardando tutte quelle meravigliose persone intorno a lei, realizzò quanto fosse stata fortuna.
Pensò alla sua vita prima che Molly la ingaggiasse per pedinare il chitarrista della sua band preferita, i Tokio Hotel. Prima di allora non aveva nessuno, era sola al mondo, e l’unico vero amico che aveva era Dylan, ma anche lui lo vedeva raramente. Poi aveva conosciuto Bill, Tom, di cui si era innamorata, la stessa Molly, aveva recuperato i rapporti con Dylan e sua madre… E ancora Michael, Andrew, Bryant, il quale alla fine si era redento davvero, sacrificandosi per salvare la maggior parte degli agenti coinvolti in quella maledetta operazione; Lionel e Carter, gli unici amici che non avevano mai pensato di tradire suo padre e che alla fine l’avevano aiutata a dargli giustizia.
La sua famiglia dilaniata era cresciuta a dismisura e le aveva cambiato la vita. E gliel’avrebbe cambiata ancora, grazie all’esserino che portava in grembo e per il quale, già lo sapeva, avrebbe dato tutto quanto, ogni goccia di se stessa.
Abbassò lo sguardo sulla mano che teneva sul ventre e sorrise dolcemente, con le lacrime che le pungevano gli occhi.
«Tom?».
Il chitarrista abbassò lo sguardo su di lei e l’abbracciò per la vita, le labbra sulla sua fronte. «Uhm?».
«Dovremo chiamare anche tua madre. Secondo te sarà felice di diventare nonna?».
Tom ridacchiò ed annuì, prima di baciarla sulla bocca. «Quanto sei stupidauanto sei scioccaQuanto».
Grace accennò una risata insieme a lui, posando il viso contro la sua spalla. Oltre i vetri neri come la pece delle finestre, sui quali poteva benissimo scorgere il loro riflesso, le parve di vedere un’altra figura. Lentamente, avvolto da una luce bianca e tenue, riuscì a scorgere con chiarezza il suo sorriso compiaciuto, i suoi occhi amorevoli e velati da una più che ben sopportabile malinconia.
Una lacrima le scivolò sulla guancia quando suo padre, Mitch Schneider, si voltò e sparì nell’oscurità dopo averle rivolto un cenno d’assenso, una specie di benedizione.
«Grazie», mormorò con il sapore salato di quella lacrima tra le labbra, arcuate in un sorriso mesto.
«Di cosa?», le domandò Tom tra i capelli, con tutte le ragioni del mondo per pensare che si fosse rivolta a lui.
Grace gli posò un morbido bacio sul collo e lo tenne ancora stretto a sé.
«Di tutto», bisbigliò. «Di tutto». 

 

FINE

 

 

 

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Buongiorno gente!
Scusatemi infinitamente per il ritardo - mia reazione stamattina di fronte al calendario: "C***o è martedì e non ho postato ancora l'epilogo!". Sono stati giorni intensissimi, mi sono completamente scollegata dalla realtà... Soprattutto ieri, quando dopo ore ed ore di attesa e agonia ho visto i miei fantastici Bastille... Okay, questo non vi interessa, quindi la pianto.
Anche questa FF è finita e ora mi sento piuttosto svuotata, quasi come Grace senza il suo caso... Ma mi riprenderò anche io come lei, con il tempo :) E poi il vostro sostegno sempre costante, le vostre recensioni, le vostre presenze... è stata una gioia per me condividere con voi questa mia piccola opera di fantasia e cuore. E un grazie non basta. Avete un pezzo del mio cuore ora, abbiatene cura come avete fatto fino ad adesso :') Vi voglio bene, tutti quanti (siete troppi per ringraziarvi tutti uno per uno, ma voi lo sapete che vi sono davvero infinitamente grata).
Spero che come finale sia stato all'altezza e chissà, magari un giorno ritroveremo Grace, Dylan e tutti gli altri in un sequel... non si può mai sapere ;)
Ah, una cosa interessante che volevo dirvi a proposito del titolo. Perchè l'ho intitolata "Bring me back to life"? Beh, l'idea di questa FF prima era un po' diversa, di carattere soprannaturale... infatti Grace nella primissima bozza, per i primi capitoli, moriva dopo una notte passata con Tom, il quale l'avrebbe ritrovata e avrebbe visto il suo fantasma desideroso di vendetta e di giustizia. Avrebbe fatto il piccolo detective guidato da lei, in pratica! xD E ora come ora sono felice di aver cambiato totalmente versione, non sarebbe stata altrettanto bella xD
Ancora una volta grazie e niente, ciao a presto :3

_Pulse_

   
 
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