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Autore: Una Certa Ragazza    16/04/2013    3 recensioni
Si possono fare tante cose, per noia: commettere errori trascurabili come tirare sassi dai cavalcavia, oppure iscriversi ad un corso di pilates, o ancora trovarsi un hobby che preferibilmente coinvolga un ambiente tranquillo in cui farsi nuovi amici.
Per noia, Rossana inizia una rivoluzione.
Proponendosi di diventare paladina degli umili e degli indifesi - ovvero, senza allargarsi troppo, di coloro che non hanno vestiti firmati e non sono proprio degli adoni - Rossana sfrutta un'arma che internet le ha gentilmente concesso: Spotted.
Nella rete, Rossana si entusiasma, si perde, si ingarbuglia. E rischia di non accorgersi che - forse - qualcuno la sta cercando nella vita reale...
Genere: Commedia, Drammatico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Universitario
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Ed eccoci al terzo capitolo! Sono di nuovo puntuale, si prevedono intense nevicate su tutta la costa ligure.

Nello scorso capitolo mi sono lasciata dietro un sacco di errori, che poi sono stati sistemati grazie ad un'azione congiunta con la mia migliore amica. Per dovere di cronaca, i più gravi sono questi:
- Ho perso per strada un intero paragrafo, prima della poesia di Rossana. Non ho idea di dove fosse andato a finire, ad ogni modo ora l'ho riscritto.
- Ho scritto che Rossana sporge in avanti la mascella. La mascella, Santo Domingo! Se mi sentisse il mio prof. di Anatomia mi taglierebbe in striscioline sottili e mi invierebbe al laboratorio come materiale per la ricerca scientifica. Insomma, benché sia un luogo comune dire "mi è caduta la mascella dallo stupore"  (o almeno, io lo sento dire spesso), in realtà l'unico osso davvero mobile nel cranio unano è la mandibola, dunque mi scuso per la mia scemenza.
- Ho ripetuto due volte una frase. L'ho copiaincollata in due punti diversi perché non sapevo dove metterla, col risultato che alla fine mi sono dimenticata di eliminare quella nel posto peggiore.
Adesso dovrebbe essere tutto a posto, ma se incontrate degli errori - in questo capitolo o altrove - vi prego di segnalarmeli

Qui di seguito inserisco un disegnino di Rossana e uno di Emma (finalmente a colori!). Sono in stile vagamente manga, per qualche schizzo un po' più realistico dovrò aspettare di conoscere i personaggi più a fondo XD Chiedo perdono per il colore dei capelli di Rossana, che dovrebbe essere leggermente più cupo: non avevo il pennarello giusto e mi sono dovuta arrangiare. La prossima volta posterò disegni un po' più elaborati e fatti meglio, spero... la mia abitità nel disegnare un personaggio è proporzionale al numero di righe che ho scritto su di lui.








Anyway, nello scorso capitolo non è successo assolutamente niente che potrebbe essere inserito in una "lista degli eventi rilevanti"; credo che solo i bravi scrittori possano permettersi di non far accadere nulla (anche se in realtà, quando uno sa scrivere, qualcosa in un modo o nell'altro accade sempre, sia pure il modo in cui viene sollevato un soprammobile) senza annoiare il lettore, tuttavia ho sentito il bisogno di scrivere un capitolo del genere per introdurre meglio il personaggio di Emma e soprattutto quello di Rossana.
Un ultima cosa, prima lasciarvi al capitolo: volevo ringraziare tutti coloro che seguono e recensiscono questa storia, in particolare Jesse O. (che mi ha anche prestato la chiavetta internet come misura momentanea, visto che ho lasciato la mia in quel di Savona), Odioiladridinickname, Brooke1993 e DreamNini. Vorrei anche ringraziare A. e P., che pur non essendo iscritte seguono questa storia.
Avete tutti la mia gratitudine!




 

CAPITOLO 3

Cirano1

 

"Io sono solo un povero cadetto di Guascogna

però non la sopporto la gente che non sogna.

[...]

Dev'esserci, lo sento, in terra in cielo un posto

dove non soffriremo e tutto sarà giusto.

Non ridere, ti prego, di queste mie parole

io sono solo un'ombra e tu, Rossana, il sole.

Ma tu, lo so, non ridi, dolcissima signora

ed io non mi nascondo sotto la tua dimora

perché oramai lo sento, non ho sofferto invano

se mi ami come sono. Per sempre tuo,

per sempre tuo, per sempre tuo... Cirano."

 

"Cirano", Francesco Guccini

 

Emma, chiaramente, non fu troppo convinta dalle parole di Rossana; tuttavia le accettò senza proseguire oltre il discorso, e avendo finito di pulire si sistemò al tavolo da pranzo con il suo tablet.

Non passò molto tempo prima che Rossana – che stava strimpellando con una chitarra che non era mai stata troppo brava ad usare – fosse interrotta da un grido di stupore.

«Guarda, guarda qui!» Emma si era alzata di botto, quasi facendo cadere la sedia e sé stessa, e puntava un dito accusatore contro lo schermo.

Rossana, perplessa, si rassegnò ad andare a controllare; Emma sembrava più soddisfatta che altro, per cui non doveva essere niente di così tremendo.

«Che c'è?» domandò, alzandosi con lentezza e passandosi una mano tra i capelli.

«Hanno spottato Andrea! Sono sicura che è per lui!» esclamò Emma, mentre pistacciava sul touch screen.

«Ma dai...!» disse Rossana, sbirciando oltre la spalla della sorella e riuscendo a mettere insieme quella che, per i suoi standard, era una convincente meraviglia.

Avevano fatto presto.

Beh, probabilmente il gestore di Spotted era un asociale senza uno scopo precisato nella vita, come d'altronde lo era lei.

Lesse ancora una volta le parole che lei stessa aveva usato e che aveva calcolato con attenzione.

 

FACOLTÀ di SCIENZE POLITICHE – I ANNO

Ad A.S., che oggi a lezione era seduto in seconda fila e portava una camicia bianca.

So che ci sono persone che parlano alle tue spalle, e so che lo sai anche tu.

Non guardarli, non curarti di loro. Siamo fatti di perfezioni momentanee, e se è bello avere un bel corpo, se pure – nonostante si invecchi – possa essere un orgoglio l'averlo avuto, non è la cosa più importante, perché non ha niente a che fare con noi. Il nostro corpo è il nostro tramite nel mondo, non il contrario.

Io ti ho notato per il modo che hai di guardarti intorno, per la leggerezza con cui le tue sopracciglia volano verso l'alto quando vedi qualcosa che ti sorprende, e perché ogni tanto ti vedo passeggiare con la custodia di un violino sotto braccio.

È per questo che, tra tutti, ho visto te.

Non mi firmo, perché tu dovrai trovarmi – se lo vorrai – così come ho fatto io: per caso, in mezzo alla gente. Non voglio che tu mi cerchi solo perché io ho cercato te, sarai tu a dovermi riconoscere.

 

Au revoir, X

 

«Ohhh!» fece Emma «Piacerà così tanto ad Andrea! Che dici, Sana? L'avrà già visto? Aspetta che gli mando un messaggio...»

Rossana sorrise di un sorriso piccolo, ma sentiva una strana euforia dentro di sé. Si rese conto che forse non era poi così inutile rileggersi sopra una bacheca di Facebook «Sì, diglielo. Altrimenti potrebbe non vederlo mai, conoscendolo...»

«Sarebbe un gran peccato» convenne Emma «perché questa ragazza parla come se lo conoscesse da una vita, e, non so, mi sembra che dica proprio cose per cui Andrea andrebbe matto.»

Il sorriso di Rossana si allargò. Aveva scritto secondo lo stile che Andrea prediligeva, perché nelle persone il modo di vivere e di fare riflette anche il loro modo di stare al mondo, di pensare.

Quel romanticismo un po' datato – al punto che secondo lei diventava quasi sciocco – quell'espressione di sentimenti sostenuti e solenni, a tratti esagerati, quel modo di esprimersi sembrava quello che Andrea stava cercando, e così lei li aveva messi su carta. Su pixel, a rigor di logica.

Rilesse rapidamente il post, ancora una volta. Sì, aveva un'aria da film francese non recentissimo, niente da dire, e se forse qualche frase era da limare, per il resto poteva ritenersi soddisfatta: non aveva voluto scrivere un post, aveva mirato a scrivere il Post, quello che Andrea avrebbe voluto trovare scritto per lui, da qualche parte.

Adesso bisognava solo aspettare.

Tenendosi stretta quella sensazione d'attesa, Rossana apparecchiò la tavola e mise su un po' di pasta. Emma era una cuoca molto migliore di lei, ma almeno nella fase di accensione del fuoco e spostamento di cose fragili come i piatti era meglio che non si avvicinasse.

Poteva rivedere con gli occhi della mente, oltre che con inquietante precisione, il giorno in cui era tornata a casa più tardi del solito e aveva visto una presina avvolta dalle fiamme.

Emma snobbò completamente il sugo pomodori e basilico che aveva comprato Rossana, benché fosse stata lei stessa a chiederlo, e si lanciò in una più elaborata creazione che coinvolse tutti gli avanzi nel frigorifero.

Rossana le gettò un occhiata distratta, ma non si preoccupò di capire che cosa avesse usato. Riprese a far fare ginnastica alle sue dita con la chitarra, perché quello era l'unico beneficio che poteva trarne.

«Ecco qua.» fece Emma, depositando un piatto di spaghetti davanti a lei.

«Grazie e buon appetito.» le rispose Rossana, cacciando lo strumento sulla sedia accanto e concentrandosi sul cibo. Seguì qualche secondo di silenzio che assomigliava molto ad una pausa di raccoglimento.

«Certo che sono davvero terribili. Con Andrea, dico.» disse ad un tratto Emma. Aveva gli spaghetti già arrotolati sulla forchetta, ma non sembrava decidersi a sollevare il boccone, anzi lo guardava con le sopracciglia aggrottate.

«Ah. Allora lo sai anche tu...» mormorò Rossana. A questo punto era incredibile che lei non se ne fosse accorta prima, tenendo conto del fatto che erano compagni di Università.

«Beh, sì... in realtà me ne sono resa conto per caso perché, voglio dire, non siamo più bambini dell'asilo, e magari le prese in giro non sono così evidenti, però... Quando siamo tornati a casa l'ultima volta e tu sei finita sull'altro vagone con Ippolito e Rosa, ti ricordi? Ecco, io ero seduta con Andrea, e avrei potuto giurare che quelli seduti accanto a noi stessero ridendo del suo modo di fare. Da allora ci ho fatto più caso, e mi sono accorta che anche quando usciamo con lui... non so, è come se per un sacco di gente lui fosse l'ultimo con cui vorrebbero fare amicizia. E credo che questo sia abbastanza per rendere triste una persona.»

Rossana praticamente spinse il braccio di Emma in modo che portasse la benedetta forchetta alla bocca, mentre diceva con voce bassa: «Considerando anche che non è l'unica cosa a cui deve pensare.»

Si vedeva che Emma moriva dalla voglia di parlare, ma Rossana le lanciò un'occhiata ammonitrice per evitare che smettesse di masticare. Già mangiava come un uccellino, ci mancava solo che sostituisse la pasta con le parole.

Quando Emma ebbe ridotto di metà il contenuto del piatto sembrò decidere di aver atteso abbastanza. Inghiottì l'ultimo boccone e poi iniziò a spiegare: «Ti ricordi, no, che ieri è arrivata sua madre...»

Rossana non se lo ricordava, semplicemente perché non l'aveva mai saputo. Un imprecisato senso di colpa si fece sentire da qualche parte dentro di lei: quella mattina, giudicando la sua permanenza in ambiente scolastico una perdita di tempo, era uscità dall'Università almeno mezz'ora prima, e quindi non aveva dato ad Andrea il tempo di parlarle.

«Non lo sapevo.» disse ad Emma, senza chiarirne il motivo «Va' avanti.»

«Beh, sì, sua mamma è venuta a trovarlo di nuovo. E lui le ha chiuso la porta in faccia.»

«Comprensibile.» commentò Rossana, alzandosi. Andò a mettere in forno un secondo piatto surgelato, o meglio il pretesto di un secondo piatto, una controfigura di cibo vagamente commestibile che sua madre non le avrebbe mai permesso di mangiare.

«Io lo capisco, eccome se lo capisco...» mormorò Emma, incupendosi «Ma è pur sempre sua mamma, e anche se se n'è andata di casa tiene a lui.»

«Come nostro padre tiene a te.» ragionò Rossana «Questo li autorizza a tenere comportamenti del genere? No, eppure continuano sulla loro strada. Dovranno pure pagarne il conto in qualche modo, prima o poi.» concluse, appoggiandosi a braccia incrociate contro il frigo.

«Ma così non la fa pagare a sua madre, la fa pagare a sé stesso!» obiettò Emma con decisione insolita «E credo che questo peggiori la situazione anche per Bastiano...»

Rossana ci rifletté su. Bastiano, il fratellino di Andrea, aveva solo dieci anni, e lei, che lo conosceva da quando era nato, era certa che in quel momento si sentisse tremendamente in conflitto con sé stesso: era molto affezionato alla madre, e di sicuro voleva andare a trovarla nel suo nuovo appartamento, ma Rossana aveva il sospetto che non lo facesse perché si sarebbe sentito come se stesse tradendo il padre e il fratello.

«Andrea ci sta rimuginando troppo su.» decretò infine Rossana «Dovrebbe innanzitutto considerare sua madre semplicemente come un'essere umano, non come una super-entità con il potere di condizionare la sua vita.»

«Cosa intendi?» domandò Emma.

«Che i genitori prima di essere tali sono persone, e per questo sanno come essere patetici, sanno sbagliare e ci sanno deludere. Ha un'età in cui dovrebbe accettarlo.» fece una pausa, lasciando scivolare lo sguardo oltre il vetro della porta finestra «Anche se non ti dico che sia facile. Questo no.»

«Mhm.» fece Emma, giocherellando con la forchetta e spingendo in giro per il piatto un pezzetto di pomodoro «È che sono preoccupata per lui. Mi sembra sempre più triste, sempre più solo... non vorrei che finisse come Hanna.»

«Chi?» chiese Rossana, alzando un sopracciglio.

«Una ragazza inglese che fa Giurisprudenza. Non parla con nessuno, si veste sempre di nero e ci sono tre o quattro persone che sostengono addirittura che porti sfiga...» Emma scosse la testa, come per scacciare un pensiero, e solo in quel momento Rossana si rese conto che la sorella non aveva finito la pasta.

«Emma, mangia quegli accidenti di spaghetti.»

Naturalmente erano gelati, e bisognò scaldarli nel microonde.

E mentre lei finiva il secondo e fissava il piatto di Emma girare su sé stesso nel fornetto, pensò a casa, e al fatto che là non avevano un microonde e non avevano neppure una vista panoramica su una strada trafficata e non mangiavano cibi surgelati; poi si guardò intorno e non si riconobbe in ciò che vedeva.

Era un bell'appartamento, il loro. Certo, non era molto grande – una camera piuttosto ampia, un soggiorno con cucinetta, un bagno – ma era perfetto per loro due. Solo che a Rossana le cose perfette non erano mai piaciute particolarmente, perché lei era di quelle che amavano ogni crepa, ogni mattonella venuta un po' diversa rispetto ad un'altra, era una di quelle a cui il disordine piaceva, finché era il proprio. Le piaceva dire "casa!".

Ma come erano diversi i muri bianchi e lisci di quella casa di città dalle pareti gialle colorate a mano – nello specifico dalla loro mano – che racchiudevano tutto quello che per lei rappresentava la sua accogliente quotidianità, come un guscio di conchiglia...

Le mancava l'insignificante, adorabile cittadina dov'era cresciuta, anche se si sentiva sciocca solo a pensarlo, perché quando se n'era andata la quotidianità si era trasformata all'improvviso in routine, e tutto aveva perso un po' del suo significato.

La quotidianità sapeva di pane, la routine di smog; se la prima era semplicità, la seconda era noia, alienante ripetizione di gesti privi di senso.

E tutti attorno a lei camminavano, anzi andavano avanti quasi come se corressero, ignari, privati di quel ritmo diverso e straordinario che tutti avevano appreso, fin dalla culla, e che ora avevano dimenticato. E lei intanto raccoglieva i piatti della cena, sparecchiava, guardava fuori e vedeva sempre la stessa vecchia gente, con quello sguardo spento che a volte le sembrava addirittura maligno; si sentiva soffocare, Rossana, dalla rabbia per quel mondo sempre uguale a sé stesso e dalla foga con cui tutti si calpestavano a vicenda, e non le veniva in mente un solo periodo della storia in cui per l'uomo le cose fossero state diverse, perché era la natura umana e non c'era niente da fare...

Come cambiare la società.

Rossana lasciò cadere i piatti nel lavello con una tale foga che credette di averli rotti tutti. Era come se una freccia le avesse appena attraversato il capo, ma senza farle male: le aveva solo lasciato un piccolo spiraglio tra i pensieri, ed entrava aria nuova, dentro la sua testa! C'era vento! C'era una tempesta!

Era la stessa sensazione che aveva provato quella mattina, solo un po' più chiara, appena quello che bastava perché quel pensiero o quel sentimento che la faceva sentire febbricitante, che guizzava di qua e di là senza darle tregua, si definisse con più precisione.

E se per una volta Rossana avesse scritto a Cirano?

Ma non ad un Cirano solo, a tutti i Cirano possibili: tutti coloro che erano fuori, che erano contro o che più semplicemente erano stati lasciati da parte. Gli eterni sconfitti, gli eternamente soli.

Come cambiare la società.

Rossana voleva solo questo, l'opportunità di far sentire in maniera diversa, per una volta, quelli che si erano sempre sentiti nello stesso modo, per anni e decenni e secoli. Una misura temporanea? Sì, certamente. Rossana lo sapeva benissimo. Ma il punto non era "per quanto", non era neppure "quante persone": il punto era che si trattava di una questione privata tra lei e il resto del mondo, perché le cose potevano andare meglio e lei le avrebbe fatte andare meglio, fosse anche questione di un sorriso in più sul volto di un paio di persone, ogni tanto.

Cambiare il mondo? Ha! Era un desiderio da folli. Oppure da gente annoiata, e lei aveva tutto il tempo per iniziare dal niente, anche solo per vedere cosa sarebbe successo. Perché davvero, con un interesse che non dimostrava più da parecchi mesi, Rossana voleva sul serio stare a vedere cosa ne sarebbe stato della sua idea, se era fattibile o meno, come reagivano le persone, e se lei era davvero in grado di raggiungerle e di capirle, così come pensava. Era una cosa sciocca, era una cosa meravigliosa.

«Quella ragazza di cui mi parlavi prima» iniziò rivolta ad Emma, con una voce che suonava estranea persino alle sue orecchie «quella che è sempre da sola... Come si chiama?»

 

1"Cyrano de Bergerac", celebre piece teatrale di Rostand, parla del cadetto Cirano, un giovane ribelle e sognatore innamorato di sua cugina Rossana. Essendo brutto, soprattutto a causa del suo enorme naso, Cirano presta le sue lettere d'amore al bellissimo Cristiano, innamorato a sua volta di Rossana, per far sì che almeno le sue parole conquistino la ragazza. Come avrete capito nella storia che sto scrivendo ci sono parecchi rimandi a quest'opera... Vi consiglierei di leggerla perché trovo che sia una delle cose più belle che siano mai state scritte, in ogni caso se volete saperne di più sono disponibile a tutti i chiarimenti che volete, inoltre su internet si trovano molti dettagli in merito.







NOTE di FINE CAPITOLO: Commenterò con più calma la prossima volta, volevo solo dire che ho scritto "Cirano" in forma italianizzata perché la canzone di Guccini si chiama così, e fino ad ora ho sempre fatto capitoli che avevano nel titolo un rimando alla citazione. Altra cosa importante: il post di Rossana a me non piace, ma ad Andrea piacerebbe, e Rossana è convinta di averlo scritto bene. Volevo solo sottolineare questo fatto per far capire che - come ho detto nel primo capitolo - io e i miei personaggi non condividiamo necessariamente la stessa visione del mondo. Credo che il nostro modo di guardare la vita sia intrinsecamente legato col nostro modo di intendere la Poesia.
Vi saluto, sperando di non aver combinato troppi guai e che il capitolo vi piaccia!

 

   
 
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