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Autore: Dragon_Flame    16/04/2013    2 recensioni
Il continuo scontro tra vita e morte è sempre in corso e colpisce tutti, anche un piccolo neonato. Come può una creatura così piccola e innocente doversi trovare da sola ad affrontare la morte, senza nessuno al suo fianco? E poi dal nulla silenzioso e fatale riecheggiano nell'aria i passi di un uomo: il padre, disperato per le gravi condizioni del figlio. L'unico appiglio che terrà il neonato aggrappato alla sua esistenza.
***
Questa one shot è mia, originale, per cui se qualcuno dovesse vederla pubblicata in qualche concorso di scrittura degli anni passati non si prenda la briga di denunciare un plagio: sono io l'autrice della storia.
Grazie per aver letto la mia fic.
Flame
Genere: Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lotta per la vita:
 
C’è una piccola luce in fondo al tunnel. Sento voci confuse, sussurrate quasi, mentre le pareti si contraggono e si allargano, consentendo il mio passaggio. La testa ormai è uscita. Vedo la luce del giorno. Mi tirano fuori lentamente, con delicatezza; l’aria fresca sfiora la mia pelle. Sono nato.
Ma non sento quell’aria riempirmi i polmoni. Credo di essere in apnea, come sospeso.
“C’è qualcosa che non va. Non respira” nota qualcuno. Afferrano il mio corpo inerte e lo avvolgono in un asciugamano, coprendomi. Io non gemo, non inspiro, non mi muovo. Il mio cuore non batte.
“Il parto non è andato come previsto… Il neonato rischia un arresto
cardiocircolatorio!” grida il neonatologo.
“Portate l’elettrocardiogramma, dobbiamo monitorare il battito cardiaco. Il bambino è in asfissia perinatale!” ordina il medico che mi ha fatto venire al mondo. Sento un rumore di carrelli condotti fino a me, quindi qualcosa di appiccicoso, simile a una ventosa, viene appiccicato al mio corpo. E’ scomodo. La vista intanto si annebbia piano, tutto si opacizza, a cominciare dai volti chini degli infermieri che stanno intorno alla barella, tentando di capire cosa non va in me. Si appannano, svaniscono in una fitta coltre scura che pare risucchiare via la mia anima. E’ una sensazione gelida, sgradevole. Non odo più nulla, solo un bip fastidioso, in lontananza…
I miei genitori gemono, in angoscia per le mie condizioni chiaramente instabili.
Piombo nel buio. Un flash!... rivedo i mesi vissuti nella perenne semioscurità del caldo ventre materno, fluttuante nel liquido amniotico. Ricordo tutto: le corse in bagno a causa delle nausee di mia madre, le carezze dei miei genitori al ventre gonfio e rotondo, i calci e i pugni assestati negli ultimi mesi all’amnios, fino al bianco accecante della sala parto sterilizzata che ha urtato con violenza la mia vista, alla nascita – pochi secondi fa.
Adesso il corpo è intorpidito. Avverto le mani degli infermieri che lo accomodano meglio sulla barella, che intanto cigola e sbanda, portata verso un altro reparto dell’ospedale. Chi mi sta intorno si dispera, è una corsa contro il tempo nel frenetico tentativo di salvarmi.
Dove mi portano? Non so nulla di ciò che accade fuori della mia testa, presa in un vortice di timori e paure. Voglio vivere, davvero.
“Dottore, non si tratta di asfissia perinatale... é l’epiglottide che non funziona. Non è aperta” nota un’infermiera, individuando il problema reale.
“Al reparto di Terapia Intensiva Neonatale, svelti! Lo stiamo perdendo!” strilla istericamente l’ostetrica.
Dei passi pesanti urtano fastidiosamente il precario sistema uditivo del cervello. E’ mio padre, che corre dietro alla barella.
“Mio figlio… come sta? Cosa succede, dottore? Ditemelo, vi supplico! Devo saperlo!” implora, provando invano a vedermi. Sento i suoi rimbombarmi nella testa, come se fossero interni a me.
La mia vita è cominciata ­– penso – non deve finire così.
Combatto con la mia epiglottide che rifiuta di aprirsi, contro il cuore che non pompa sangue. Apritevi polmoni miei, forza! Quella parete di cartilagine non vuole spalancarsi. E’ una macabra metafora, una promessa di morte. Ma io non mollo. Voglio vivere!
Ansimo senza respirare, la forza della disperazione mi dà nuove forze per la mia lotta per la vita.
Di scatto l’epiglottide si sblocca, l’aria entra con violenza nei polmoni, ora rigonfi d’ossigeno. Il diaframma è contratto. Respiro!
Gemo, indicando a tutti che sono vivo, che sto bene. Ce l’ho fatta. Mio padre si avvicina rassicurato, tentando di stringermi a sé, ma gli impediscono di passare. Gli infermieri gli dicono che ancora sono troppo debole, ma stabile. Mi portano via, la bocca assicurata a una maschera d’ossigeno. I dottori tirano un sospiro di sollievo, sono sopravvissuto e loro hanno avuto successo sulla morte: una grande vittoria.
Anche io so di aver vinto la morte. La vita ha trionfato.
  
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