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Autore: Keywords    16/04/2013    0 recensioni
Sheryl è una giovane vampira mezzosangue che, con altri vampiri nomadi, risiede in un'antica dimora fra i boschi di Cedar Falls, ben lontana dalla vita brulicante di città e dai terribili e nobili vampiri Purosangue.
Un giorno ad irrompere nella sua monotonia, arriva Jay, un giovane cacciatore che ha attraversato diverse dimensioni per trovare lei, la chiave, l'unica che potrebbe salvare il mondo da una terribile sorte. Sherrie cambierà radicalmente vita, addestrandosi per essere pronta ad affrontare il suo destino, accompagnata dal suo più fidato amico nonché licantropo, Ector Douglas, disposto ad ogni cosa pur di proteggerla. Nel frattempo, strane uccisioni stanno tormentando la città di Seattle, pronti a far vacillare l'equilibrio e la segretezza degli esseri sovrannaturali agli occhi degli umani.
La caccia all'assassino è aperta, e forse, Sherrie, non sarà l'unica a nascondere un terribile segreto. E il countdown per la fine di ogni cosa, sarà solo l'inizio...
Genere: Fantasy, Horror, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo, Violenza
Capitoli:
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CAPITOLO 1 Grigio”

Oggi.

 

Le mie notti, fin da bambina, erano state tormentate dalla ricorrenza di strani incubi.

In quell'assurdo sogno tutto appariva così nitido, nonostante l'incessante pioggia che battendo sul terreno creava schizzi di fango ad ogni colpo. Il bosco era immerso in una bolla di nebbia e oscurità. La luna era una perla cremisi in cielo.

Sebbene fosse irreale, l'aria era fredda, il gelo mi bloccava le articolazioni e correre mi sembrava sempre più difficile.

Devo farcela, non devo mollare! Continuavo a ripetermi.

Ero allo stremo.

Correvo, fuggivo senza tregua. Le fiamme avanzavano sempre più, le fronde degli alberi vibravano di luce come torce. Ma oltre questo, qualcuno mi stava seguendo.

Mi fermai di colpo. La radura era terminata ed il sentiero finiva a strapiombo sul mare in tempesta, oscuro come petrolio. Intanto il fuoco avanzava sempre più.

Sporgendomi, il terreno sotto ai piedi si sbriciolò come burro. Era troppo alto per poter tentare di tuffarmi e le onde mi avrebbero di sicuro inghiottita.

Qualcosa si mosse con agilità fra le ombre. Fu rapido, riuscii a catturare solo una figura sfuggente e poco umana.

Mi voltai verso il bosco fiammante. Le ceneri venivano trascinate via dal vento, il fumo si elevava in cielo... e urla. Urla umane di dolore erano un coro di morte che si intensificava sempre più.

Quella cosa con un balzo uscì allo scoperto.

Era alto più di tre metri. Ringhiava, dimenava la testa inferocito. Dalla sua bocca colava giù della bava. I suoi occhi erano luminosi come ghiaccio.

Della gente correva in mia direzione in cerca di salvezza, con i visi corrosi dalle fiamme e gli abiti carbonizzati si gettavano dal dirupo.

Un attimo più tardi il fuoco inghiotti entrambi.

Ci fu solo buio.

 

 

Mi svegliai di soprassalto alle prime luci dell’alba. L’aria che mi entrava nei polmoni sembrava non bastasse per riprendermi dall’ennesimo incubo.

Nella fioca luce mattutina scrutai la camera in cerca di possibili minacce: i libri sulla scrivania erano in fila, così come li avevo abbandonati la sera precedente. La libreria era in ordine, gli abiti del giorno prima ripiegati sulla sedia...

Fissando dritto di fronte a me saltò subito all'occhio qualcosa che non andava.

Mi disfai dei piumoni e mi catapultai giù dal letto. La finestra era spalancata, le tende sventolavano mosse dalla leggera brezza mattutina.

«Non era mia intenzione spaventarti...»

Sussultai presa alla sprovvista e mi voltai cercando di riadattare gli occhi a quell'oscurità. Una figura avanzò dal denso buio. Era alta, aveva possenti spalle. La sua energia si sprigionava per tutta la stanza.

Il viso emerse e gli occhi argentei furono illuminati dalla luce del mattino.

«Ector?», domandai incredula «Che ci fai qui a quest'ora...» Dio... ma che ore erano?

Ector avanzò ancora lasciandosi l'oscurità alle spalle. Rivolgendogli lo sguardo, notai che indossava solamente dei semplici pantaloni neri. Il petto ampio e latteo era in contrasto. I pettorali erano curve perfette. Le vene degli avambracci erano gonfie e ben visibili.

Arrossii e distolsi lo sguardo.

«Vattene!» borbottai lanciandogli un cuscino.

«Carina ed ospitale come sempre», rimbeccò.

«Non hai risposto alla mia domanda»

«E tu non sei affatto carina con me», ripeté e sbuffò «Ero solo di passaggio, okay?»

«Okay!» Feci spallucce. Avrei tanto voluto porgergli una marea di domande, il suo sguardo era così pensieroso e sfuggente. Mi limitai ad un semplice: «Eri con il branco? Le tue unghie... sono incrostate di terra», osservai le sue mani le nocche erano arrossate, le unghie mangiucchiate sporche.

Ector si guardò le mani in modo sfuggente. «Si. Abbiamo riconquistato gran parte del territorio ad est. Ma queste sono cose che tu non puoi capire...» mi liquidò con un sorrisino beffardo stampato in faccia.

Maschilista.

«So perfettamente a cosa stai pensando e sai non mi serve affatto essere uno di voi, un succhiasangue, per arrivarci. Tu pensi che io sia un egocentrico maschilista.»

Solo un pochino Ector... «No, affatto...»

«Mi stai mentendo. Riesco a fiutarlo», strinse le braccia al petto e si accigliò.

Già... avevo dimenticato il suo sesto senso.

Roteai gli occhi e mi voltai. «Ector ma non hai niente di meglio da fare, che ne so, tipo rincorrerti la coda?» distrattamente lo sguardo si posò sulla sveglia appoggiata sul comodino. Le lancette segnavano le sei del mattino.

Sgranai gli occhi. Ero in ritardo, ed essere in ritardo significava essere nei guai.

«Sai, penso che di prima mattina tu sia davvero insop...» lo interruppi.

«Verde o bianco?», chiesi frettolosa rovistando rapidamente nell'armadio.

«Cosa?», sospirò guardandomi impacciata con due maglie diverse «Il maglione bianco» rispose infine. Che fantasia...

Scossi la testa contrariata. «No... il bianco è troppo candido e angelico poiché un angelo dannato come me possa indossarlo! Vada per il verde. Adesso devi andartene» afferrai Ector per un braccio e lo accompagnai alla finestra «A più tardi!» gli dissi una volta che fu fuori.

«Aspetta un attimo! Questa sera... ci sarai vero?» i suoi occhi mi scrutarono attentamente in attesa di risposta. Le folte ciglia rendevano quello sguardo più penetrante che mai al di là dei ciuffi corvini ribelli che gli ricadevano sugli occhi.

«Ci proverò», gli dissi prima di richiudere la finestra.

Mi affrettai a vestirmi con un unica parola in ripetizione: dannazione! Quante volte mi ero ripromessa di non promettergli nulla che non potessi mantenere?

Quando rivolsi lo sguardo nuovamente al di là delle vetrate, al fitto bosco, di Ector non vi era già più alcuna traccia.

Scossi la testa.

La giornata si pronunciava difficile.

 

 

Con passo incalzante camminavo nel bosco. Il sentiero che mi era stato tracciato era semplice; perdersi non mi sarebbe stato possibile se lo avessi seguito.

Gli alberi erano inondati di colori varianti dal verde, al giallo, al rosso, all'arancio... Le foglie vibravano accarezzate da una debole brezza e il dolce cinguettare degli uccellini mi accompagnava lungo il tragitto quasi soffocando il rumore ripetitivo degli stivali sulla ghiaia.

Adoravo questo periodo dell'anno. L'autunno a Cedar Falls era un qualcosa di meraviglioso.

Dal giorno di quella terribile aggressione però ero in costante allerta. I muscoli tesi, pronti a scattare in qualsiasi momento contro ad un possibile attacco.

Solo con Ector al mio fianco, tutta quella tensione, tutto quel timore, ogni cosa, anche la più inutile preoccupazione... tutto svaniva via come per magia.

Conoscevo Ector da quando era solo un ragazzino di dieci anni. Avevamo dormito insieme una marea di volte, letto fumetti insieme, giocato ai videogame, guardato film horror per tutta la notte o semplicemente parlato del più e del meno stesi l'uno accanto all'altro sul mio letto fissando il soffitto porgendoci delle domande sul futuro e su come sarebbe andata.

Ricordavo ancora quando mi disse che voleva fare l'astronauta... e ricordavo ancora la sensazione che avevo provato in quel momento. Vuoto. Mi sentii come un sacco vuoto. Che cosa avrebbe mai potuto fare Sheryl da grande se non era mai uscita fuori da quel bosco? Quali idee avrei mai potuto avere per fare progetti?

Mi fermai.

Di fronte a me si espandeva per centinaia e centinai di metri quadri un'antica dimora. Le pietre scure che avvolgevano le mura erano consumate dal tempo, del scivoloso muschio si arrampicava su per esse agli angoli. L'edera in curve perfette attorniava le ampie vetrate e le finestre al piano superiore.

Nell'ampio viale era parcheggiato un fuoristrada nero. Una Land Rover con vetri oscurati... Anche se in lontananza, riuscivo perfettamente a sentire lo scoppiettio del motore. Quell'auto era lì da poco.

Presi un respiro profondo e procedetti. Quella stessa mattina avevo un appuntamento al quale non potevo sottrarmi.

Superai il cancello a battenti nero e procedetti verso la porta principale. Non ci fu bisogno di toccarla per aprirla; l'impianto di sorveglianza ad alta tecnologia lo fece per me riconoscendo il mio viso nel database.

Entrai. Il soffitto composto da lastre di vetro rendeva l'intero ambiente luminoso, immerso nella luce.

Il tondo l'atrio della casa apparve come sempre spoglio, dispersivo e vuoto. I passi rimbombavano fra le mura vuote. Il costoso marmo scuro luccicava, tanto da potermici specchiare.

Una scala a chiocciola dalle rifiniture eleganti – la balaustra in oro, i gradini in marmo tappezzati... – conduceva al piano superiore.

«Troppa luce, non è vero?» era la voce di Ellionor.

Scrollai le spalle. «Non è poi così male»

«È la stessa cosa che continua a ripetere tuo padre», una vampira dai lunghi e mossi capelli color miele si materializzò alla mia destra, poggiandosi all'arco che separava l'ingresso dal salone. «Lui ti sta aspettando» i suoi occhi color fiamma lampeggiarono esitanti.

«Lo so. Ed è meglio che lo raggiunga al più presto», mi guardai attorno «Ma dove sono tutti gli altri?», la dimora non era mai stata così vuota.

«Sono in città. A Seattle. È stata indetta una riunione all'ultimo minuto.»

«È successo qualcosa di grave?», domandai.

«Hanno trovato diversi cadaveri martoriati e vogliono fare chiarezza sulla situazione. Ti prego solo di non allontanarti, tuo padre è così preoccupato...»

«Come sempre», mormorai fra me e me.

«Sherrie...» rimproverò Ellionor con tono duro.

«Starò lontana dai guai», promisi.

Mio padre Richard mi attendeva nel suo studio. Con il tempo, a causa dei numerosi macchinari aveva traslocato il laboratorio giù nei sotterranei della dimora.

Non appena aprì la porta del laboratorio la luce dei neon mi investii, tanto che dovetti proteggermi gli occhi. Mi ci volle un po' per abituarmi alla luminosità.

Lo ritrovai seduto alla scrivania, con le mani intrecciate intento a studiare dei referti: i miei. Indossava un abito su misura grigio. I capelli scuri ordinati all'indietro in un acconciatura, il viso cereo perfettamente rado. Aveva un'aria decisamente stanca, come chi non chiude occhio da giorni.

Sul mio viso si sarebbe potuto leggere un velo di preoccupazione. Dovevo cancellarlo subito altrimenti mio padre se ne sarebbe accorto, perché lui aveva la capacità di leggere nel pensiero. Aveva il dono della telepatia. Poteva arrivare anche nelle viscere della mente, ed era anche in grado di cancellarti i pensieri se solo l'avesse ritenuto necessario.

Sarebbe potuto sembrare un potere affascinante, ma aveva un piccolo inconveniente. Privacy? Zero!

È per questo che in sua presenza ero perennemente costretta a fingere, o per lo meno, a sigillare i miei pensieri. Era frustrante non potersi confidare... non poter riflettere senza che qualcuno fosse sintonizzato con tutto ciò che ti passava per la testa.

Quasi tutti quelli come noi avevano un dono, una capacità innata che veniva sviluppata con il tempo. A mio modo, anch'io. Avevamo innumerevoli nomi con il quale amavano chiamarci: figli di Lilith – la nostra regina, la nostra divinità – o il più commerciale “vampiri”.

Comunque, se mio padre era in grado di leggere nel pensiero, io potevo parlare e trasferire miei ricordi nella mente di altre persone e, a mia volta, rivivere quelli degli altri.

Senza che Richard dicesse nulla, mi sedetti sul lettino in acciaio e lo guardai avvicinarsi a me per controllarmi le pupille con una lucina fastidiosa integrata in una penna.

«Come ti senti?» domandò.

Mi lasciai irradiare dalla luce. «Come sempre... credo»

«Nervosa per il ricevimento?» già vero, il ricevimento che ci sarebbe stato alla dimora...

«Ancora non riesco a crederci che mi lascerai andare in città con Ashlee per fare shopping»

«Già, nemmeno io!» Richard mi strinse un laccio emostatico attorno al braccio, controllò la consistenza della vena ed osservai l'ago entrarmi nella pelle, lentamente la boccetta iniziò a tingersi di rosso. Il sangue, era così denso e così scuro. Il suo profumo fruttato e metallico scatenò in me la sete.

Corrugò la fronte. «Dovresti nutrirti, lo sai vero?»

«Vedrò di cacciare qualcosa più tardi. Ero in ritardo...»

«Il lavoro può aspettare.»

«Si, ma tu non hai un lavoro come gli altri. Sei il primario del Seattle General Hospital! Non un medico qualunque!», gli diedi un pugno amichevole sulla spalla e Richard sorrise.

«E tu non sei una paziente qualunque. Sei mia figlia, adesso come la mettiamo?»

«Io non sono malata», gli feci notare.

Richard mi fissò e rimase a bocca aperta; le parole bloccate in gola. Avrebbe tanto voluto controbattere, dirmi che mi sbagliavo. Ma non era presente nessuna malattia strana in me, lo sapevamo. Eppure... qualcosa di insolito e anomalo albergava in me.

Non avevamo trovato alcuna spiegazione riguardante tutto ciò che mi accadeva. Il mio DNA cambiava in continuazione, non era mai lo stesso. Questo non interferiva con il mio carattere o il mio aspetto fisico. Era come se il mio DNA si rigenerasse. Come un codice o una password.

«Hai avuto effetti collaterali? Mal di testa, nausea? Il farmaco in qualche modo è stato invasivo? Allucinazioni, scarsa salivazione...» ad un certo punto iniziò ad elencarmi così tanti effetti collaterali che feci fatica a seguirlo e lo interruppi.

«No. Papà sono passate solo quarantotto ore da quando l'ho assunto!»

Fece un respiro profondo. «Hai ragione, scusami. Per qualsiasi cosa non esitare a contattarmi.»

«Lo farò di sicuro. Stai andando anche tu a quell'incontro?» lo guardai mentre richiudeva la sua ventiquattrore; l'occhiata che mi lanciò mi fece accapponare la pelle. Era l'occhiata–che–non–richiedeva–altre–domande.

«Tornerò presto», promise. «Nel salone c'è una sorpresa per te», mi baciò la fronte di sfuggita.

«Una sor...» mi bloccai, accorgendomi di essere rimasta improvvisamente sola nel laboratorio.

Richard era sparito di colpo lasciandosi dietro soltanto il suo buon odore.

 

 

Andai nell'ampio salone. La moquette grigio scuro spiccava in contrasto con le mura bianche circondate da ampie vetrate.

Tutto era in perfetto ordine.

I divani in pelle nera erano perfettamente lisci, privi di qualsiasi passaggio. Un vaso di rose bianche era adagiato su un comodino al loro fianco e la loro fragranza profumava l'interno ambiente.

Mi avvicinai ad un nuovo oggetto, più recente dell'ampio televisione ad alta definizione.

Un pianoforte... sorrisi fra me e me.

Rimasi incantata. Richard lo aveva comprato appositamente per me. Nessuno era in grado di suonarlo, era un onore per me suonare sinfonie per loro; era un degli unici momenti in cui non mi sentivo inutile, sapevo fare qualcosa che loro non erano in grado di fare.

Sfiorai i tasti d'avorio. Suonare... suonare era l'unico modo in cui riuscissi ad esprimere i miei veri sentimenti. Tristezza, dolore, oppressione, impotenza...

La musica mi alleggeriva di questo fardello...

Le particelle d’aria si mossero dietro di me come un vento lieve e improvviso, una cosa a dir poco innaturale.

«Ciao» Qualcuno mi richiamò alla realtà.

Voltandomi mi ritrovai davanti Ethan. Il mio maestro, era lui ad istruirmi dal momento che non frequentavo una scuola pubblica.

Della corta barba ricopriva il suo viso d'avorio come del morbido pelo. I lunghi capelli scuri non ricadevano come sempre sulle spalle, ma erano legati in un codino. La mascella squadrata era contratta. I suoi occhi castani felici di vedermi.

«Non mi aspettavo di trovarti qui. Pensavo che fossi alla riunione con gli altri» L'occhio come sempre mi cadde sulla sua vera caratteristica. La cicatrice sul collo. La carne era stata torturata da morsi, qualcuno si era divertito martoriarlo.

Ethan era un vampiro Infetto, questo implicava che si era trasformato a causa di un morso, mentre mio padre era un nobile Purosangue, nato dall'unione di due vampiri di sangue blu. La sua famiglia era di rilievo nella nostra comunità. Si poteva definire come una famiglia reale.

Non avevo mai conosciuto l'altra facciata della famiglia Nox, da quello che mi era stato sempre detto avevano esiliato mio padre accusandolo di altro tradimento. Inoltre ripudiavano i mezzosangue, quelli come me.

«Le riunioni sono noiose, non fanno per me», borbottò e si voltò procedendo verso le scale.

Seguii Ethan nella libreria al piano di sopra; era immensa ed arredata in modo sobrio. Le pareti erano ricoperte da centinaia di libri di ogni genere. Demonologia, arti dell'occulto, alchimia e molti altri a cui non sapevo dare un nome. I più antichi avevano copertine in cuoio e pagine ingiallite talmente fragili da frangersi come cristallo al più intenso tocco.

«Sai, ho notato il modo in cui tutte le volte mi guardi il collo»

«Scusami. Non volevo metterti a disagio»

«Non scusarti.», mi sorrise. «Non ce n'è bisogno. Dovresti assecondare la tua curiosità» si lasciò cadere su una poltrona. «Avanti. Spara, chiedi pure»

«C'eri anche tu con mio padre durante quella notte...»

Il volto di Ethan divenne una maschera cupa. Lo sguardo impenetrabile. «Si. Ero umano prima, ed ero amico di tua madre...», i ricordi lo portarono lontano «Io fui trasformato, ma per lei fu troppo tardi... non avevamo abbastanza tempo.»

Mi sedetti sulla poltrona al suo fianco e guardai Ethan.

«Tutti noi apparteniamo ad una categoria, proprio come gli umani si suddividono per colore e nazionalità. La più importante e nobile di cui fa parte tuo padre è la “famiglia Royals”. In questa categoria ci sono i vampiri nobili di sangue blu. Sono loro che, attraverso il Consiglio, aboliscono e creano le nuove leggi sul nostro mondo. La seconda categoria sono gli Infetti; io ne faccio parte come ben sai...» chinò leggermente la testa per farmi vedere con maggior chiarezza il suo collo devastato dai morsi.

«Io sono Un Infetto. Fortunatamente Richard mi ha accolto non facendo alcuna distinzione fra le nostre due razze, mettendomi in allerta su quelli che potevano essere all'epoca i miei pericoli. Molti vampiri potenti, maggiormente i creatori, utilizzano i loro schiavi, gli Infetti, come guardie; altri come merce di scambio per ogni attività o puro piacere al quale raramente si preoccupano di fornirgli cibo. Questo ci rende aggressivi e più propensi a lottare. I più fortunati con il tempo diventano degli assassini senza scrupoli per pura sopravvivenza... insomma, siamo l'ultimo scalino della piramide» si fermò per riprendere fiato, nei suoi guizzò uno strano scintillio, sembrava impaurito ma anche in collera.

«La terza categoria è la più spietata, la meno incline al perdono. Sono i Purosangue; anche loro sono vampiri nobili dal sangue blu, ma sono stati addestrati dagli Anziani per far rispettare le leggi del Consiglio. Sai bene che molti di noi hanno dei poteri particolari, be' tutti loro sono scelti per questo, hanno poteri che non so nemmeno come definire. Ai miei occhi sono peggio dei peggiori degli Infetti, sono coscienti delle loro azioni e uccidono con smania... assassini, calcolatori senza alcuno scrupolo, attenti ad ogni dettaglio pur di assecondare il proprio potere. Una vera e propria organizzazione di grandi potenze, a mio parere. Multinazionali, grandi società, dietro ci sono loro. Diversi umani sono solo delle pedine nelle loro mani dal momento che il Consiglio ha preferito mantenere la nostra razza nascosta dagli umani, tuttavia alcuni di loro sanno della nostra esistenza ed hanno l'obbligo di non parlarne in cambio di... favori.» arricciò le labbra carnose in un sorriso beffardo.

D'un tratto si alzò, sentivo l'adrenalina pompargli nelle vene.

Dovevo indagare, la curiosità si impossesso di me.

«Ti sei imbattuto con dei Purosangue, vero? Che cosa ti hanno fatto?» chiesi.

Mi diede le spalle per guardare fuori dalla finestra, ero convinta che i suoi occhi erano proiettati nel passato, un passato remoto, ma forse anche di secoli.

«Sei perspicace, ragazzina!» sorrise flebilmente e continuò «Mi braccarono come se fossi un'animale! Avevo finalmente aperto quel dannato portale...» strinse i pugni «Ero stato trasformato nella Città dell'Ade, la città dei Purosangue. Per giorni ho cercato di difendermi, ma ogni volta che riuscivano a scovarmi erano sempre di più e sempre più forti. Scoprì di avere un dono, la telecinesi, ma non poteva nulla contro la loro forza; erano addestrati per uccidere quelli come me; ma io non mi ero mai nutrito, mantenevo un basso profilo. Dovevo trovare tua madre, portala fuori da quella dannata città!

Era un notte d'estate, un'estate torrida; il caldo era come una pellicola, ti stringeva come in una morsa, ed è per questo che ero in spiaggia per cercare un po' di sollievo ho sempre amato il mare, mi ricorda la mia infanzia di quando ero ancora umano. Qualcuno stava arrivando a prendermi li fiutai. I loro poteri si insinuavano in quel luogo come una nebbia. Non avevo scampo, la spiaggia era vasta e desolata. Cosa avrei potuto scagliarli contro? La sabbia di certo non gli avrebbe fermati o danneggiati.»

Ero inebetita, non avevo mai sentito quella storia, forse era solo un altro modo per proteggermi.

«Cosa hai fatto? Sono riusciti a prenderti?» ricordavo la descrizione sanguinaria che mi aveva fatto dei Purosangue e non ero più molto convinta di voler ascoltare il seguito della storia.

Ethan mi guardò negli occhi, quel nocciola mi risucchiò. Voleva scorgere sul mio viso la paura, così avrebbe potuto continuare quel racconto spaventoso.

Lo esortai con un cenno della mano.

«Non hai paura delle storie dell'orrore Sheryl?» Stava cercando si cambiare discorso.

«Continua.» Lo incitai.

«Mi catturarono, mi torturarono con ogni utensile di loro conoscenza. Persi tanto di quel sangue che ero convinto che avrei potuto sterminare una città intera pur di nutrirmi...» mi osservava con attenzione, ma il mio viso fu impenetrabile.

«Ti risparmio i particolari. Mi portarono dal Consiglio, dovevano decidere cosa farne di me. Di solito quelli come me hanno solo un destino nel regno: la morte. Ma qualcuno, dall'alto di quella grande sala urlò di fermare la seduta. Qualcuno mi voleva vivo. Era tuo padre, all'epoca era solo un ventenne. Sentivo il potere di qualcuno che mi entrava nella mente. Non avevo mai visto e provato nulla del genere.»

Cercai di immaginare mio padre, un giovane ragazzo...

«Gridò a tutti di bloccare l'esecuzione, perché ero diverso, in buona parte ero innocente. Il suo potere mi investì ancora una volta. Disse a tutti che non mi nutrivo da settimane, che non avevo fatto del male a nessuno nel Regno. Capii che quel formicolio che avvertivo nella mente era il suo potere, lui leggeva nel pensiero, poteva scovare nella mia mente ogni più piccolo segreto.

Tuo padre è sempre stato molto compassionevole, ma nessuno gli credette. Fu in quel momento che un vampiro, sicuramente qualcuno di molto antico e potente, si avvicinò a me aiutato da un giovane. Era un vampiro cieco. Le sue mani si appoggiarono sulle mie spalle, mentre il suo viso si avvicinava al mio collo. Ero terrorizzato, ricordavo il dolore dei morsi che mi avevano trasformato e non avevo nessuna intenzione di soffrire quel dolore atroce. Ma lui si limitò ad annusarmi. Sembrava che si inebriasse del mio profumo, poi si voltò verso i suoi simili e si limitò a dire “È innocente, non si nutre da esattamente ventuno giorni e mi chiedo come ci riesca!”.

Dopo questo, Richard mi disse che tua madre era con lui e che stava bene. Mi ero intrufolato nella città per lei. Lei era mia amica, l'avevo vista fuggire via con lui risucchiata da un sottospecie di buco nero. Era scomparsa da giorni. Ci misi mesi e mesi prima di decifrare quello che alla fine si rivelò essere un portale...», Ethan continuò il suo racconto, ma la mia mente vagò altrove...

Mi resi conto di non saperne nulla della mia specie, tanto meno dei due mondi del quale facevo parte, quello degli umani e quello dei vampiri. Che dire di mia madre... non sapevo nulla neppure di lei, solo una foto e un ciondolo che avevo al collo fin dalla nascita... l'oggetto più importante che possedessi.

Di istinto lo strinsi.

La mia vita era come un limbo, non mi era concesso frequentare gli esseri umani e dall'altra parte non potevo conoscere altri vampiri al di fuori di quelli della dimora.

Non avevo vie d'uscita.

Ero rinchiusa in una prigione lussuosa.

 

***

 

«La settimana scorsa cinque ragazzi nel bel mezzo del parco della città sono stati aggrediti e in seguito e sono morti a causa delle ferite mortali riportate» parlò una vampira bruna e scura di carnagione. Indossava un completo blu notte e i capelli erano legati. Il rossetto scuro spiccava. Aveva un' aria autoritaria e professionale, tipico di chi sa come agire. Era il commissario Raminez.

Columbia Center, Seattle. Era qui, all'ultimo piano dell'immenso grattacielo – che sembrava sfidare le leggi della natura – che era stata indetta la riunione.

«Quattro notti fa ad un rave party cinquanta ragazzi sono stati martoriati con una furia incontrollata e la cosa spaventosa e che molti resti non sono stati ancora ritrovati. E ancora, poco più a nord lo stesso, altri cadaveri. Dei bambini questa volta.

Come credete che mi sia sentita a dover spiegare ai genitori che ai loro bambini erano state strappate via braccia, gambe e cosa peggiore, che non ci fosse alcuna traccia del colpevole?»

Ci fu silenzio.

«Sicuramente questo Infetto deve aver sviluppato un dono molto notevole...», commentò Adam sfidando tutti con i suoi occhi grandi turchesi. Sebbene fosse un giovane ragazzo, era ormai un vampiro centenario.

Voci si scatenarono.

«E chi ti dice che sia uno di noi?» ruggì un vampiro barbuto dagli occhi scuri e dall'aria pericolosa incrociando lo sguardo dell'elegante ragazzo in abito bianco che aveva di fronte.

Aleksander a quella domanda abbozzò un sorriso divertito ed intrecciò le mani lungo il ventre.

«Cosa ti diverte, Nephilim?»

Il ragazzo si ricompose e posò i gomiti sull'enorme tavolo che radunava ogni vampiro ed essere importante della città. I suoi occhi rubini squadrarono tutti, ma indugiarono in un modo intenso su un vampiro dagli occhi ambrati. Richard Nox... era questo il suo nome. L'Angelo leggeva ogni suo pensiero, ogni suo più oscuro ricordo e le sue sensazioni si riversarono nel Nephilim come un fiume in piena. Ecco chi aveva quello che stavano cercando tutti.

Richard gemette e si prese la testa fra le mani. Aleksander allontanò il suo potere, smettendola di leggergli nel pensiero.

«Riflettevo», disse in tono pacato «A quanto pare la rivalità fra la stessa specie è un supplizio che durerà fino alla fine del tempi. Una cosa è certa. Gli umani non sono pronti a noi, per quanto loro simili... la nostra specie è una evoluzione. Un salto pregiato di qualità. Se tutto questo non sarà fermato al più presto, se queste uccisioni continueranno, ci toccherà uscire allo scoperto e intervenire. Ma le nostre identità andranno in fumo e nel mondo si riverserà il caos...»

   
 
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