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Autore: vampirella    16/04/2013    4 recensioni
[AU!High School] Dal primo capitolo: "Midgern era una noiosissima città americana con il supermercato, la chiesa e il liceo, direttamente uscito da un film hollywoodiano da distribuzione home video. Vi si potevano trovare tutti i cliché immaginabili: arroganti campioni di football, cheerleaders dalla testa vuota, clubs di scacchi e di scienze, un giornalino d’inchiesta ed un fumetto satirico.
Sembrava fosse tutto così scontato.
Poi Steve cominciò l’ultimo anno di liceo e le cose cambiarono."
[StevexTony, ThorxLoki, ClintxNatasha, BrucexPepper]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 15
Quando si arriva al in fondo non si può fare altro che risalire.
 

Indorare la pillola non sarebbe servito a molto. Clint si rigirava in mano le chiavi della macchina, intento a osservare la strada di fronte a lui. Camminava nervosamente sul marciapiede davanti al ristorante cui aveva dato a Natasha appuntamento, rimuginando in fretta e furia su tutti gli avvenimenti di quell’ultimo periodo.
Mancava una settimana alla fine della scuola e due giorni al Prom.
La rossa testolina comparve al principio della via, agitando la mano nella sua direzione. Un misto di apprensione e di genuina gioia comparve sul suo volto, nel suo sorriso. I due si avvicinarono.
- Stai benissimo stasera. - si complimentò Clint, sincero. Il cuore aveva cominciato a martellargli nel petto mentre un lieve panico attraversava le sue membra. Clint era combattuto come mai nella sua vita e tale disagio in qualche modo si mostrava nei suoi gesti.
- Ti ringrazio. - disse lei senza aggiungere altro. Clint le fece cenno di seguirla all’interno del ristorantino romantico che aveva prenotato per loro quella sera stessa.
Nat non voleva torturarsi per molto tempo ancora. La cena galante, l’invito formale… era tutto per renderle il colpo finale meno doloroso. Lo sapeva, conosceva Clint. Fu per questo che, appena il ragazzo le accostò galantemente la sedia, scoppiò a ridere in maniera isterica. Cercò di nascondere la sua reazione dietro il tovagliolo, rendendosi conto di non riuscire a controllarsi. Cielo, era così patetico.
Clint gli chiese bruscamente cosa ci fosse tanto da ridere. Era teso e nervoso da ormai qualche giorno e vedere tanto allegra Nat in quel momento così delicato lo infastidiva, per non dire che lo faceva irrazionalmente incazzare.
Nat ripiegò con cura il tovagliolo cercando di ritornare a un comportamento più consono: il suo corpo la tradiva mostrando tutta la sua preoccupazione nella maniera più sbagliata possibile e lei non ci poteva fare niente.
- E’ così…snervante. - Nat si guardò intorno. Nessuno li degnava di uno sguardo. - Siamo qui nel più bel ristorante della città, sto indossando uno dei vestiti migliori di mia sorella - senza averglielo chiesto in prestito, fra l’altro - e tutto per farmi mollare dopo una fottutissima settimana. - La rossa lo guardò negli occhi per capire se aveva irrimediabilmente ragione. Clint la osservò fra l’impacciato e l’inquieto, ma non disse nulla. - Dopo anni… speravo finalmente di essere… felice. Non siamo destinati a stare assieme, evidentemente. - la ragazza strinse i pugni sotto il tavolo. - Immagino che la tua bellissima dichiarazione a casa dei Roderick sia dovuta a un’eccessiva assunzione di alcool… -
- Ora basta. - la interruppe Clint, perentorio. - Questo non è vero, e tu lo sai. -
- Dimmi che sto sbagliando tutto, allora. Dimmi che non stiamo per distruggere il nostro rapporto per…. -
- E’ arrivato l’ordine di convocazione per l’ammissione in Accademia, Nat. Parto subito dopo la fine della scuola. -
Merda. Nat se n’era scordata. L’esercito, la Spada di Damocle, il pensiero più cupo nella mente del suo ragazzo.
- Cosa farai? -
- Ho le visite mediche. Psicologiche. Fisiche. La mia richiesta verrà messa al vaglio da una commissione ma alcuni colleghi di mio padre dicono che sia un proforma. E’ come se fossi già stato preso. - il ragazzo chiamò il cameriere. - Non volevo che succedesse questo e mi dispiace. Spero solo che tu capisca. -
- Che cosa? -
- La nostra storia finirà. -
- Quindi vuoi veramente mollarmi? -
- Cosa potremmo fare altrimenti? -
- Solo perché ti trasferisci a frequentare una scuola? -
- In Accademia le regole sono ferree e non sono contemplate molte libere uscite, ma anche se rimanessimo una coppia cosa credi che ci potrebbe essere dopo per noi? -
Nat lo guardò, stupita. - Tanti militari hanno famiglia… -
-… tu non capisci. Non l’hai vissuto. Non vedere mai tuo padre, pensare a lui costantemente col desiderio che stia bene in qualunque parte del pianeta lui sia mandato. Pregare ogni sera sperando di rivederlo ancora una volta. E quando se ne va per sempre… sentirsi spezzare dentro. Sai come ho saputo che mio padre era morto? - Clint si sporse verso la ragazza, sibilando per non urlare tutto il suo dolore. - Ero in terza elementare. Stavo facendo aritmetica quando un marine entrò in classe e chiese alla maestra di potermi portare fuori di lì. Io lo capii subito. Capii che non avrei mai più festeggiato il suo ritorno a casa. -
L’innaturale silenzio che s’instaurò fra i due stridette con l’allegria del vociare presente nel locale. Senza essersene accorta Nat si era messa una mano sopra le labbra, sconvolta. Clint, forse intenerito per il suo gesto o forse per sopportare la sua angoscia cercò la sua mano e la strinse forte. - Non negherò MAI che ti amo, hai capito? Mai. Preferisco vederti odiarmi perché chiudo qui il nostro rapporto piuttosto che sapere di lasciarti sola, un giorno. -
Nat capiva. O meglio, la parte razionale comprendeva le ragioni del comportamento del suo ragazzo. Lo vedeva lì davanti a lei, risoluto e spaventato a morte, coraggioso e fragile. In quel momento si rese conto che non avrebbe potuto mai odiarlo. Come odiare una persona che vuole solo che tu sia felice?
- Allora perché siamo qui? - disse lei, la voce rotta mentre cercava di non rovinarsi il mascara con le lacrime che cercavano di uscirle dagli occhi.
- Tanto vale festeggiare l’ultima notte insieme, no? - rispose lui amaro. - Champagne? -
- No. Mi dispiace, non ci riesco. - Nat si alzò velocemente dal tavolo e scappò dal ristorante. Clint la inseguì.
Quella sera era insolitamente fresca. Clint camminava velocemente dietro qualche passo alla rossa, mentre chiamava il suo nome. L’avrebbe raggiunta in fretta se, avendo deciso di scartarlo, Nat non avesse attraversato la strada senza guardare. D’altronde era troppo sconvolta per preoccuparsi di quello che accadeva intorno a lei e accorgersi della macchina che stava passando.
 
Pepper appoggiò tutto il peso sulla maniglia per aprire la porta di vetro. Le luci al neon le ferirono gli occhi mentre cercava di raggiungere velocemente la reception.
- Sto cercando Natasha Romanoff, mi scusi, sa dov’è? - chiese la ragazza all’infermiera di turno senza darsi pena di salutarla. La donna, visibilmente occupata, le chiese di aspettare qualche minuto. Pepper si guardò in giro cercando di comprendere da sola dove potesse essere la sua amica, dove dirigersi. Indossava il cappotto di sua madre sopra la vestaglia da notte e le scarpe da ginnastica e appariva alla stregua di una barbona, ma non le importava. Poche ore prima Tony l’aveva chiamato sconvolto: Nat aveva avuto un incidente ed era nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Midgern.
A un tratto vide passare davanti a lei Luke che attraversava il corridoio velocemente, come spiritato.
- Luke! - chiamò lei mentre correva verso l’amico. Lui si girò e la guardò straniato. - Hai saputo? -
- Sì. Dov’è? -
- E’- Luke si dovette fermare un attimo a causa di un singhiozzo. Pepper lo abbracciò. - E’ ancora in sala operatoria. -
- Oddio. Clint… era con lei? -
- Sì. Vieni, siamo tutti qua. -
Tony camminava avanti e indietro, lanciando sguardi di sottecchi all’arciere, seduto su una delle sedie in plastica che circondavano i muri dei corridoi. Clint aveva il viso sprofondato fra le mani, i gomiti puntati sulle ginocchia. Tony era indeciso se formulare l’ennesima domanda (a cui Clint non avrebbe risposto, considerando non aveva spiccicato parola dall’arrivo degli amici) quando arrivarono Luke e Pepper. Clint alzò il viso: gli occhi erano gonfi e rossi e la sofferenza era così palpabile…
- Oddio Clint. - sussurrò Pepper, sedendosi vicino a lui e abbracciandolo. I quattro amici rimasero in silenzio a lungo.
Non c’era molto da dire.
Passarono dodici ore, dodici interminabili ore in cui i ragazzi sobbalzavano ogni volta che un dottore si apprestava ad avvicinarsi loro. Non che si aspettassero di essere informati, in fondo non erano neanche i parenti, ma speravano ardentemente di captare da qualche discorso il minimo indizio sulle condizioni dell’amica.
Avevano fatto i turni tutta la notte per stare vicino a Clint. Il ragazzo non si era mosso dalla sedia se non per andare in bagno e non aveva parlato con nessuno. Qualcuno aveva cercato di chiedergli cosa era successo, ma invano: si era limitato a parlare con i paramedici quando l’ambulanza era arrivata nel luogo dell’incidente, ma poi si era rifiutato di spiccicare parola. Non aveva dormito neanche un secondo, non aveva mangiato nulla, non aveva preso neanche un caffè: si limitava a fissare le porte della terapia intensiva, in stato catatonico. Dopo aver chiamato la madre di lui per assicurarle che stava bene e aver cercato di cacciare gli altri a casa per dormire qualche ora (invano, ovviamente), quando si rese conto che non c’era altro da fare che aspettare ancora, Pepper agguantò il cellulare e uscì fuori dall’ospedale.
- Pronto? –
- Ciao. –
- ….ciao. Come stai? –
- Io…io bene. Bruce, non avrei mai voluto disturbarti dopo… non è mia intenzione stalkerarti o cosa, solo… -
- Va tutto bene, dimmi…è successo qualcosa? –
- E’… - Pepper scoppiò a piangere. – Natasha… -
- Cosa è successo a Natasha? –
- Ha avuto un incidente. E’ in terapia intensiva. Clint era con lei quando è successo ed è sconvolto. Non ci dicono niente, è in sala operatoria da  tre ore… -
Per la prima volta nella sua vita Pepper sentì Bruce bestemmiare. – Prendo la macchina e sono lì tra un paio d’ore, ok? – si sentì dire.
- No, Bruce, io ti ho chiamato perché tu non lo venissi a sapere da qualcun’altro, non vorrei che ti sentissi obbligato a venire… -
- Sono tornato per motivi meno importanti, non ti pare? – rispose lui, brusco, chiudendo la telefonata.
 
Tony e Luke stavano davanti alla macchinetta del caffè, cercando di limitare le smorfie dovute alla cattiva qualità delle bevande che stavano sorseggiando.
- Non ho mai visto Clint in quello stato. – disse Tony sbadigliando sonoramente.
Luke arricciò l’angolo della bocca in un’espressione infastidita. – Quei due… a volte penso siano destinati a farsi fuori tra di loro. Non volontariamente, ovvio. – una girata a quel maledettissimo caffè. – E’ solo che… boh... sono sfortunati, forse. Finalmente erano riusciti a trovarsi… -
- Dio, non farmi pensare a tutto questo.- Tony scosse la testa, cercando senza alcun successo di scacciare l’idea dell’amica sul letto della sala operatoria. – Parliamo d’altro ti prego. Come ti vanno le cose? –
Luke sorrise debolmente. – Stranamente bene. – si girò verso il cestino e buttò via il suo bicchierino. – La scuola è praticamente finita, no? –
- Mmmm, già. Per fortuna. –
- E tu invece? –
- Io? Oh, bene. – imitando l’amico, Tony lanciò il suo bicchiere nel medesimo cestino. S’incamminarono verso la sala d’aspetto. – Tutto va a gonfie vele. – rispose piuttosto sostenuto, mettendosi le mani in tasca e cercando di non apparire scocciato al pensiero del litigio con Steve. Luke alzò il sopracciglio guardandolo di sbieco.
- Sei… sicuro? –
- Luke, ti prego, non chiedermelo. –
- Che cosa? –
- Non farmi altre domande. –
Luke mise la mano sul braccio del ragazzo per fermarlo. – Mi dici cosa sta succedendo? –
Tony lo guardò fisso negli occhi per qualche secondo, diviso sul voler confidarsi con qualcuno e non poterlo fare per via di una promessa fatta a una persona che l’aveva trattato di merda e non voleva vederlo più. – Sai che avevi ragione? –
- Cosa? –
- Rogers… è gay. –
Luke sbatté le palpebre un paio di volte, alternandole con aperture della bocca. Stava per chiedere all’amico come ne fosse così sicuro quando si rese conto di sapere già la risposta. – Oh. – si limitò a dire.
- Già. Peccato che l’idea di fare outing gli scocci. Dubito che riesca ad ammetterlo a sé stesso. – Tony alzò le spalle in atteggiamento ‘chi se ne importa’. Anche se gli importava molto. – Mi ha silurato. –
- Che stronzo. – si limitò a dire Luke, pensando che Dan non gli aveva detto nulla. Non se n’era mai accorto? Quando quella storia sarebbe finita (sperando nel migliore dei modi) lo avrebbe torturato pur di avere notizie certe sul quarterback.
- No beh… non è nulla. – si limitò a dire lo scienziato, ricominciando a camminare. Luke lo raggiunse.
- Ti piace ancora, eh? –
- Da stare male, sì. –
 
Erano passate otto ore. I ragazzi, seduti su piccole sedie di plastica disposte nella sala d’attesa dormicchiavano alla meglio. Solo Clint teneva ancora gli occhi fissi sulle porte del reparto. Indipendentemente da quello che sarebbe successo a Nat quella sera non se la sarebbe più perdonata. Quella scena non l’avrebbe mai dimenticata. Quel dolore sarebbe stato sempre presente. Si sentiva così… colpevole per tutto. L’averla chiamata a tirare con l’arco. Averle detto di amarla. Averla baciata. Era sempre stata colpa sua. Poteva lasciarla andare per la sua strada, allontanarla per sempre e permetterle di vivere la sua vita. E invece aveva pensato sempre a sé stesso, fino ad arrivare a quel momento.
Brock, il fratello maggiore di Nat, si era improvvisamente materializzato vicino a lui.
- Sono un mostro. – lo salutò Clint. Brock sospirò senza darsi la pena di guardarlo.
- Non è colpa tua, lo sai. I paramedici ci hanno raccontato tutto. Mia sorella è scema. – si limitò a dire. Aveva una voglia matta di farsi una sigaretta.
- Come… -
- è stabile. Ha subito una commozione cerebrale. Ha bisogno di qualche giorno sotto osservazione, ma tornerà la solita rompipalle di sempre. – il ragazzo tirò fuori il tabacco e le cartine, poi con un cenno della testa si accomiatò dall’arciere.
Clint non lo guardò nemmeno. Appena se ne fu andato, finalmente il suo sguardo si staccò dalle porte del reparto. Si prese il viso fra le mani e pianse per il sollievo.
 

Io mi scuso infinitamente per il ritardo, ma mi sono messa a scrivere un fanfic per un concorso e questo ha allungato terribilmente i tempi. Tornerò regolare, I promise. Nel frattempo ringrazio tutti i fedelissimi che torneranno a seguire questa storia e vi mando al prossimo capitolo per note più decenti che sono iperstanca. Alla prossima!
   
 
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