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Autore: Darik    17/04/2013    2 recensioni
Il destino lotta per far accadere ciò che deve accadere, ma i piani millennari sono ormai compromessi, e mentre nuove figure emergono, i vecchi attori cercano di vincere, sopravvivere o almeno vivere.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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6° Capitolo

 

“Non riusciamo a capirci nulla, dottoressa”.

Ritsuko aveva ormai perso il conto di tutte le volte che aveva sentito quella frase durante la giornata.

Si trovava, insieme con alcuni tecnici, nella gabbia dove fino al giorno prima era custodito l’Eva-03.

La gabbia appariva intatta, non c’era neppure un bullone fuori posto, il rosso liquido di raffreddamento giaceva immobile e non presentava alterazioni.

Era tutto normale.

Allora come diavolo aveva fatto l’Evangelion nero a ritrovarsi fuori dal Geo-Front?

“Dottoressa!”, gridò un tecnico andando incontro al gruppo di Ritsuko. “Ce l’abbiamo fatta. Abbiamo ripulito il nastro delle telecamere di sorveglianza”.

“Bene, finalmente una buona notizia!”, esclamò la scienziata.

I nastri della sorveglianza erano stati la prima cosa che avevano controllato, ma la registrazione, a causa di misteriosi disturbi elettromagnetici, si oscurava pochi attimi prima che si compisse il mistero, quando lo 03 era ancora posto nella gabbia.

E quando il disturbo cessava, l’Eva era sparito.

Ora i tecnici della Nerv erano riusciti a recuperare il pezzo mancante.

 

“Non riusciamo a capirci nulla, comandante”.

Gendo osservava impassibile il luogo dove era stata detenuta Mari Makinami.

Il responsabile della sicurezza in quella zona, aveva temuto chissà quali punizioni da parte del comandante Ikari, ma quest’ultimo si era limitato a chiedere solo cosa fosse successo.

“Dicevo”, riprese l’uomo, “non sappiamo come abbia fatto: ha sfondato i blocchi delle braccia e delle gambe, li ha divelti come se fossero di carta; poi ha lanciato i loro resti contro gli emettitori del campo di forza sul soffitto, distruggendoli. Infine ha aperto la porta a mani nude ed ha steso le guardie in pochi attimi, senza che qualcuno riuscisse a dare l’allarme! Mostruoso! Inumano!”

“E dopo è corsa verso la gabbia dello 03?”, domandò Gendo.

“Sì. Pochi minuti prima che l’Eva si ritrovasse, chissà come, fuori dalla base”.

Senza aggiungere altro, Gendo lasciò l’ex-cella e andò a prendere un ascensore.

Una volta fuori da esso, attraversò un corridoio e aprì con un suo codice una porta blindata: quello era l’accesso per una zona off-limits dell’ospedale interno della Nerv, l’area dove veniva ricoverato chi era stato contaminato fisicamente o mentalmente dagli angeli.

Gendo passò per diversi corridoi, vuoti, bianchi e asettici, fino a giungere nella stanza 303, dove si trovava Kirishima Mana fino al giorno prima, e che ora era vuota.

“Comandante, finalmente è giunto”, disse una donna in camice bianco accostandosi a Gendo.

Osservò la stanza vuota. “Non riusciamo a capirci nulla, signore. La ragazza era lì, in coma farmacologico come lei aveva ordinato. Poi di colpo sentiamo una specie di tuono, un ronzio. Accorriamo… e la stanza è vuota! Vuota! Nessuno è entrato, nessuno è uscito. Eppure…. Speriamo di poter recuperare i filmati della sorveglianza. E’ una cosa incredibile!”

Gendo non disse nulla.

Quando suonò il suo cercapersone, e scorse il numero della dottoressa Akagi, si limitò ad andarsene.

 

“Uffa, di nuovo questo soffitto”.

Essendo stata da poco dimessa, ovviamente Asuka non apprezzava il nuovo ricovero.

Ma c’era pure un’altra cosa che la seccava, ancora di più anzi.

L’assenza di una determinata persona, che lei sperava di ritrovare al suo risveglio.

Invece nulla.

Allora decise che lo avrebbe aspettato.

Dopo quanto era successo, non poteva non venire mai.

Inoltre trovò una valida motivazione per il ritardo di Shinji: non era il momento per eventuali dichiarazioni romantiche.

Dato che c’era stato un lutto tra i Children.

“Addio Mana. Mi dispiace averti maltrattato”.

 

Gendo raggiunse la dottoressa Akagi nel suo ufficio.

“Dottoressa, di solito le cose mi sono riferite nel mio ufficio”, fece notare lui.

“Mi scusi, comandante. Però quando ho saputo che si trovava nell’ala segreta dell’ospedale interno, ho ritenuto che il mio ufficio fosse più adatto perché più vicino del suo”, si difese lei. “Deve vedere subito questi filmati. C’è anche quello dell’ospedale”.

La dottoressa aprì il suo PC portatile, il comandante si sedette alla scrivania, con sopra tante statuine a forma di gatto, e si mise nella sua posa classica mentre il filmato partiva.

L’immagine, lievemente disturbata ai bordi, mostrava la gabbia dell’Eva-03, immobile.

I bracci meccanici posti sulla sommità della gabbia iniziarono a muoversi, tolsero la capsula a forma di croce che sostituiva l’Entry Plug e v’inserirono quest’ultimo.

Poi sulla pedana antistante l’Eva apparve Mari Makinami: la ragazza spiccò un balzo notevolmente alto ed entrò nella capsula, che fu subito inserita nella schiena del gigante.

Pochi attimi e tutto iniziò a tremare.

Sulla testa dell’Eva apparve qualcosa, sembrava un cerchio, nero al suo interno e crepitante di energia lungo i bordi.

Pareva che l’Eva-03 avesse a mo di aureola un piccolo buco nero, come quelli che si trovano nello spazio.

Il buco cominciò a scendere, come un ascensore, e ad allargarsi, fino a inglobare lo 03.

Quest’ultimo scompariva nella parte inferiore del cerchio, ma senza sbucare da quella superiore.

Il cerchio penetrò sin nel liquido di raffreddamento.

“Ma quello non è stato toccato”, aggiunse Ritsuko. “Solo l’Eva è sparito!”

Il filmato terminò.

“Ora c’è quello dell’ospedale”.

Lo schermo faceva vedere una stanza di ospedale e un letto con sopra Kirishima Mana, che pareva addormentata.

Anche qui la scena iniziò a tremare, un nuovo buco nero, più piccolo di quello apparso nella gabbia, si aprì dal nulla sopra la ragazza, e un’enorme mano nera, chiaramente quella dello 03, uscì da esso e delicatamente prese la giovane per tirarla su.

La mano si ritirò nel buco nero, che scomparve, e la stanza sembrò tremare ancora più forte.

“Ha provocato una sorta di terremoto, quello ha fatto scattare gli allarmi. E per finire, qui c’è il filmato di cosa è accaduto durante lo scontro col 16° Angelo”.

Le immagini mostravano l’Evangelion rosso ancora bloccato tra le spire dell’angelo.

In pochi secondi vicino a loro comparve nel cielo l’ennesimo buco nero, dal quale saltò giù l’Eva-03, che con una mano afferrò l’angelo e con un solo strattone lo costrinse a lasciare lo 02.

Contemporaneamente mise una mano sul petto di quest’ultimo.

“In qualche modo lo 03 ha provocato una sorta di corto circuito nel nucleo dello 02, disattivandolo. Ora è di nuovo perfettamente funzionante. Il resto lo sappiamo già”.

Gendo rimase in silenzio.

Ritsuko sentì il bisogno di accendersi una sigaretta.

“Le sue conclusioni?”, domandò a un tratto Gendo facendo lievemente sobbalzare la scienziata.

“Non so che dirle, comandante. Forse l’Eva-03 ha usato il suo At-Field per manipolare il tessuto della realtà, creando uno squarcio spazio-temporale simile al Mare di Dirac del 12° Angelo. Ma che questa capacità includesse anche il teletrasporto… Si tratta di un principio fisico che forse non comprenderemo mai”.

“Voglio le sue vere conclusioni”.

“Eh?”

“La sua mano sta tremando”.

Ritsuko non se n’era accorta, però la mano che reggeva la sigaretta stava effettivamente tremando.

Emise un sospiro. “Non essendo riuscita a nasconderlo, allora sarò sincera: ho paura, comandante. Una dannatissima paura!  Come può essere tutto questo? Tutte le leggi fisiche che noi scienziati abbiamo scoperto, non valgono nulla?

Pare di no, visto che queste… creature… sembrano poterle piegare ai loro voleri con una facilità disarmante.

Simili azioni era lecito aspettarsele dagli angeli, ma gli Evangelion li abbiamo creati noi. Non dovremmo conoscere tutti i loro segreti e capacità? Non dovrebbero essere sotto il nostro totale controllo? A quanto pare no. E chi, o cosa diavolo era quella maledetta Mari Makinami, per riuscire a fare quello che ha fatto? Noi, e quelli della Seele, siamo bambini che giocano con la materia di Dio! Me l’ero già chiesto con l’Eva-01 e quello che è successo ieri me lo fa domandare ulteriormente: che cosa abbiamo osato creare noi esseri umani?!”

La dottoressa si accorse di aver gridato alla fine, ma non le importò: nonostante la sua freddezza, il suo autocontrollo, le sue grandi conoscenze e la sua fiducia nella scienza, era pur sempre un essere umano, e tutte le persone hanno un limite di sopportazione, superato il quale, devono sfogarsi.

Pallida, Ritsuko volle solo sedersi per riprendere fiato.

Gendo non disse nulla, si alzò e se ne andò.

Poi sembrò avere un ripensamento.

“Nel filmato che dovremo inviare alla commissione e al governo, tagli la parte dei buchi neri. Noi abbiamo fatto uscire lo 03, il cui pilota si è sacrificato per la salvezza del mondo”.

La donna annuì lentamente: anche se scossa, era pur sempre la dottoressa Ritsuko Akagi, collaboratrice principale di Gendo Ikari.

 “Già fatto, comandante”.

 “Ha idea di dove potrebbe trovarsi il Fourth Children, adesso?”

“In teoria, in ogni angolo del mondo, e sicuramente quella Makinami avrà fatto attenzione a non portarla in posti troppo ovvi”.

 

Il locale di Mari era vuoto, abbandonato, e recava ancora i segni dell’attacco delle teste di cuoio della Nerv.

Misato sedeva al bancone, in mano un boccale di birra, recuperato da uno stipo e riempito col contenuto di un barilotto trovato nel retro.

“A te, Mari!”, esclamò bevendo tutto di un fiato.

Non le importava che la birra fosse calda, bevve tutta in una volta.

Poi sbatté con forza il bicchiere sul banco, e si asciugò le lacrime.

Aveva appena ricevuto la notizia che Mana era considerata ufficialmente deceduta.

“Col cavolo!”,  pensò il maggiore. “Ormai chi si fida più delle versioni ufficiali? Non so come, ma sono sicura che Mari non si è sacrificata senza salvare anche Mana. Aveva detto che avrei dovuto prendermi cura degli altri dopo, quindi ora ci ha pensato lei. Dove può averla portata?”.

Rammentò un particolare detto da Mari nella loro ultima discussione.

Sapeva di non poter agire direttamente perché sempre sotto controllo.

Tuttavia conosceva chi poteva controllare per lei, e grazie al codice speciale datole da Kaji, poteva informare quelle persone senza problemi.

 

 

“Mamma mia, quanto è eccitante!”, esclamò Kensuke Aida.

“Smettila, Kensuke. Ti ricordo che siamo qui in missione per conto della signorina Misato”, lo redarguì Toji Suzuhara, che aveva una torcia in mano e una borsa a tracolla.

“Speriamo che non sia pericoloso”, commentò la capoclasse Hikari Horaki tenendo un’altra torcia.

Toji puntò la luce in più direzioni. “In teoria non dovrebbe esserlo. Se ci fosse stato anche il minimo segno di pericolo, la signorina Misato non ci avrebbe mai coinvolto. Quando ci ha chiamato su quello strano numero, è stata più volte sul punto di cambiare idea. Se ha proseguito, vuol dire che ritiene l’operazione fattibile da noi”.

“Un’operazione segreta su incarico della signorina Misato. Che forza!”, riprese Kensuke. “Peccato che abbia dovuto lasciare a casa la mia videocamera”.

“Aida”, lo riprese Horaki. “La signorina Katsuragi è stata chiara: niente tracce, di nessun genere. Supponi che tuo padre, un giorno, trovi un eventuale filmato di stanotte. Pensi che non andrebbe a dirlo ai suoi superiori? Magari a noi farebbero solo una strigliata, ma che ne sarebbe di quella poveretta? Meno male che i nostri genitori non ci sono quasi mai, mentre le mie sorelle dormono come ghiri, altrimenti non avremmo potuto sgattaiolare fuori di casa in piena notte”.

“Lo so, lo so”.

Toji fece cenno di fermarsi. “Ci siamo!”

Si trovavano sul retro della loro scuola, vicino al locale dove si bruciavano i rifiuti.

L’edificio era deserto, come i dintorni, immersi nel buio.

“Suzuhara, perché vuoi cominciare da qui?”, domandò la capoclasse.

“Perché questo luogo è perfetto per nascondersi. Ci vengono solo nel tardo pomeriggio per bruciare i rifiuti, e per il resto della giornata è sempre vuoto”.

“Però la porta sarà chiusa a chiave”, obbiettò la ragazza.

Con fare malandrino, Kensuke tirò fuori un coltellino con la lama lunga e sottile.

“Lasciate fare a me. Per sopravvivere in caso di guerra, bisogna anche imparare a forzare le serrature”.

Ci trafficò qualche minuto, riuscendo infine ad aprire la porta.

Davanti a loro c’era un locale privo di luce, ma quella che arrivava dalla porta era sufficiente per illuminare la grossa caldaia dell’inceneritore.

La capoclasse si fece avanti. “Mana, sei qui? Sono Hikari Horaki”.

Come risposta ci fu un lieve rumore proveniente da dietro la caldaia.

I ragazzi vi puntarono contro le torce, e mutamente videro Mana Kirishima venire fuori, con passo insicuro e a piedi nudi, addosso solo un pigiama da ospedale.

La ragazza si coprì gli occhi, infastidita dalle torce.

“Presto!", esclamò Horaki andandole incontro. “Suzuhara, prendi la borsa. Serve acqua. Aida, la coperta”.

“Subito”, risposero i due ragazzi mentre Mana veniva fatta sedere.

Toji prese una bottiglietta e la passò a Horaki, che la diede a Mana.

Il Fourth Children bevve  avidamente e Kensuke la avvolse con una coperta.

“Uff, grazie”, disse Mana dopo aver bevuto tutto di un fiato.

“Immagino tu sia stanca. Però adesso non si può riposare”, la avvertì Horaki. “Devi andare a casa di Suzuhara, la più vuota e la più vicina. Lì potrai farti qualche ora di sonno. Poi domani mattina presto ti trasferirai a Nobuchi in treno. E’ un piccolo paese, sarai ospite di una mia cugina. Dopo…”

“Dopo si attende”, concluse Mana cominciando a mangiare voracemente uno dei sandwich portati da Kensuke.

La tensione e l’ora tarda l’avevano distrutta, non se la sentiva di fare domande, o ipotesi sul suo immediato futuro.

Voleva solo riposarsi, quindi si limitò a seguire i suoi tre soccorritori, anzi, Toji se la caricò sulle spalle.

Tuttavia Hikari la affiancò e le disse qualcosa, da parte di Misato.

 

Il treno arrivò puntuale alle sei del mattino, quando il sole iniziava a spuntare.

Mana era da sola sul marciapiede.

Toji e Kensuke comunque, rimasti nella sala d’aspetto, la sorvegliavano da lontano, anche se la stazione, escluso il controllore, era deserta.

D’altronde non si trovavano a Neo-Tokyo 3, ma a Kyubu, cittadina a un’ora di pullman dalla futura capitale del Giappone.

Da Kyubu, Mana avrebbe preso il treno per Nobuchi, dove l’avrebbe accolta la cugina di Horaki, scelta da quest’ultima col consenso di Misato.

L’ex-pilota dello 03 indossava abiti casual e uno zaino, quasi che fosse una turista fai-da-te, senza nulla di particolare.

Un’idea di Kensuke: risulta più invisibile chi si nasconde sapendo di essere visto rispetto a chi cerca vistosamente di nascondersi.

Potevano sembrare un’esagerazione tutte quelle attenzioni, ma siccome doveva sfuggire alla Nerv, che sarebbe stata capace di localizzarla persino se avesse fatto uno starnuto al momento sbagliato, era meglio non correre rischi.

Arrivò il treno, con solo due vagoni, la ragazza vi salì e per un attimo si girò verso Toji e Kensuke, facendo loro il segno dell’ok.

Quando il treno si mosse, la ragazza si sedette su una poltrona e tirò il fiato.

Il treno era deserto, quindi difficilmente poteva esserci qualcuno in agguato.

Anche se quando era arrivata a Neo-Tokyo 3…

Represse un brivido e cercò di rilassarsi guardando il panorama che scorreva fuori dal finestrino.

Le foreste che vedeva erano simili a quelle viste nel suo paese, l’America, dove sicuramente i suoi genitori e i suoi fratelli la piangevano.

Mana strinse i pugni per resistere alla tentazione di mettersi a urlare imprecazioni contro Gendo Ikari, che l’aveva fatta passare per morta durante l’ultima battaglia, e anche per non soccombere al desiderio di chiamare la sua famiglia per informarla che stava bene.

Misato, come le avevano riferito i suoi tre compagni di classe, era stata molto chiara in merito: Mana doveva assolutamente evitare i suoi famigliari, perché sarebbero stati i primi a essere messi sotto controllo.

“Però il dolore per la perdita di un famigliare è terribile… già, veramente terribile…”

 

****

 

“Dove sono?”

Mana si guardò intorno: si trovava all’interno di un vagone, su un treno diretto chissà dove.

Il vagone era di quelli con una singola fila di sedili su ciascun lato, e i sedili erano uno di fronte all’altro.

Una luce pomeridiana molto intensa proveniva dai finestrini davanti a lei, inondando l’intero luogo e dando all’ambiente una colorazione rossa e arancione.

La ragazza indossava la divisa scolastica, mentre il vagone era deserto.

“Ma che succede? Sono morta?”

“No, per fortuna no”.

“Eh?! Chi sei?”

Si guardò intorno, poi si accorse che il sedile davanti al suo, un attimo prima vuoto, era ora occupato.

Davanti a lei era apparsa dal nulla una ragazza con gli occhiali, che indossava una tunica marrone.

“Tu sei… Maaya Sakamoto!”

“No”, rispose l’altra, “il mio vero nome è Mari Illustrious Makinami. O meglio, è il nome che mi sono data perché mi piaceva”.

Detto questo, Mari s’inginocchiò davanti a Mana, che sembrò non comprendere.

“Intendo scusarmi”, spiegò Mari. “Per colpa mia, sei stata messa in pericolo. Tu non lo sai, ma per piegarmi ai suoi scopi, Gendo Ikari mi ha ricattata tramite te”.

“Me?”

“Ti ha posto in coma farmacologico, sotto la costante minaccia di ucciderti tramite avvelenamento se non ubbidivo”.

Mana rimase sconvolta da quella notizia.

“Non ti preoccupare, ho risolto tutto. Almeno per quanto mi era possibile. Mi raccomando, tra poco ti risveglierai, e non dovrai mai allontanarti dal luogo in cui ti ritroverai. Se i miei calcoli sono giusti e se quella persona mi aiuterà bene, cosa di cui sono sicura, Gendo Ikari non potrà mai più farti del male”.

Mana chinò il capo distogliendo lo sguardo.“Sembra proprio che gli Ikari siano solo fonte di disgrazia per me”.

“Sono esseri umani, decisamente troppo umani. Ma la condanna del padre non può valere per il figlio. Se ci rifletti, lo capirai”.

“Davvero?”

“Sì”, disse Mari risiedendosi. “Comunque devo dirti altro. Il posto dove andrai ora, non ci resterai per molto tempo. Tra poco arriverà l’Apocalisse, o il Third Impact, che dir si voglia. Quando sarà il momento, dovrai tornare, ci vorrà un gioco di squadra per contrastare un altro gioco di squadra. Io non posso aiutarvi, ho preso una decisione. Per dare una svegliata ad un arrogante quattrocchi, per salvare te dal medesimo quattrocchi, soprattutto se gli fossero venute strane idee, e perché in fondo sono una vigliacca che non se la sente di combattere direttamente le sue sette sorelle e il suo fratellone acquisiti”.

“Non capisco”.

“Non mi è permesso scendere nei dettagli. Ma tu abbi fiducia in te stessa e negli altri e ce la farete”.

“E’ una parola, comunque sembra che tu mi abbia salvata. Quindi devo ringraziarti”.

“Salvarti è sempre stato un vero piacere per me”.

Mana piegò la testa di lato. “Sempre?”

“Ricordi l’incidente del trattore? Il miracolo? L’ho fatto io”.

“Che cosa?”

“E tutte le volte che nel corso degli anni, e anche qui a Neo-Tokyo 3, sei stata in pericolo o avevi comunque bisogno di un aiuto, io ho vegliato su di te”.

Kirishima sentì una scossa lungo il suo corpo, immagini fulminee si susseguirono nella sua mente.

L’incidente del trattore…

Il salvataggio sul treno…

Il blackout…

L’attacco dell’11° Angelo…

Anche la sera in cui si era sentita sola…

La ragazza rimase a bocca aperta.

Era sempre stata Mari?

“Ma… perché?”

Mari sorrise e si strinse nelle spalle. “Perché siamo sorelle”.

“Come?!”

“Be, sorellastre, per la precisione. Sono frutto di un esperimento genetico, ma il dna si può modificare, non creare dal nulla. Io nacqui da chissà chi, una donna ingravidata con un superseme ottenuto da dna prelevato dal sangue di tuo padre”.

“Mio padre… è un donatore!”

“Bingo! Ce ne furono tanti nati come me, però pochi sopravvissero. Io sono l’unica rimasta con dei familiari esterni all’organizzazione dei miei creatori. Quando ero una bambina, di cinque anni ma con l’intelligenza di un adulto, visitai per curiosità la mia famiglia naturale e vidi in te una mia sorella, capii che tu potevi avere la vita ricca e normale che io invece non avrei mai potuto avere.

Da allora, mentre eseguivo gli ordini, ho sempre vigilato su di te, e oggi ho compiuto il mio capolavoro. Quindi posso andarmene”.

“Andartene? Dove?”

Mana inorridì quando vide il volto di Mari riempirsi di grosse venature, che presero poi a sanguinare.

Tuttavia l’interessata non sembrò curarsene, anzi, ammiccò.

“Il momento è arrivato, a quanto pare ho tra le mani un tizio alquanto acido”.

Prese una mano di Mana tra le sue. “Addio, sorella. Sii felice”.

La luce del sole divenne man mano sempre più accecante, sembrò quasi voler inglobare Mari.

“NON MORIRE!!”, gridò Mana alzandosi per abbracciarla.

 

Lo scossone del treno ridestò Mana.

Si era addormentata durante il viaggio per Nobuchi.

Si mise una mano sul volto e si accorse di avere le guance bagnate.

Mana non avrebbe mai dimenticato il suo risveglio nel deposito della scuola, la grande esplosione nel cielo, che aveva attirato l’attenzione di tutti, permettendole così di piangere liberamente, di rifugiarsi nel bosco vicino alla scuola per poi nascondersi la notte nel locale dell’inceneritore, approfittando di una finestrella lasciata aperta.

“Ho trovato una sorella… e l’ho persa nello stesso giorno”.

Comunque non avrebbe lasciato che il suo sacrificio fosse vano.

Aveva già cominciato, anche grazie a quello che aveva voluto riferirle Misato, per questo aveva scritto un messaggio per Shinji, affidandolo a Horaki.

Per il resto, sarebbe rimasta in attesa.

 

Il panorama buio del Geo-Front era scrutato da Gendo Ikari, in piedi davanti ad una delle finestre del suo ufficio.

Si trovava nella stessa posizione in cui era Fuyutsuki durante la loro precedente discussione.

Tornò alla sua scrivania, tirò fuori un computer portatile e cominciò una ricerca.

Si ricordò delle parole che aveva detto al suo vice: essere pronti a diventare anche demoni, pur di raggiungere i propri scopi.

  
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