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Autore: Ailis_    18/04/2013    2 recensioni
Julya Peskov non era certo prevista nella vita di Stefan.
Eppure quando lei ritorna, la sua presenza è come un uragano nella vita di Stefan.
Julya nasconde un segreto, qualcosa che ha dominato la sua vita per secoli e che ora è talmente vicino da non poterselo lasciare sfuggire.
Il rapporto con Stefan si è incrinato tanto tempo prima, ma lei ha bisogno di lui per la sua ricerca. E quando lui deciderà di aiutarla, Julya scoprirà di provare qualcosa di più della semplice amicizia.
Ma è davvero così? Riuscirà Julya ha trovare ciò che ha cercato per tutta la vita? E perché ne ha così bisogno?
Quando pensano di avercela fatta, ogni certezza crolla e il suo mondo verrà sconvolto. All'orizzonte, comparirà una vecchia conoscenza, qualcuno in grado di riportare a galla qualcosa che Julya pensava di aver dimenticato, un amore che ha segnato la sua vita e il suo cuore, indimenticabile ed eterno. Cosa succederà? Saprà dare retta al proprio cuore ed essere felice?
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kol Mikaelson, Nuovo personaggio, Stefan Salvatore, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Andai a cercare l'amore e mi persi'
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Capitolo 9 Ekleipsis

Ma buondì, bella gente!
Ebbene sì, ecco il nuovo capitolo, uscito fresco fresco dalla cartella e pubblicato subito per voi.
Spero che il capitolo piaccia e, piccolo spoiler, aspettatevi tristezza.
Tristezza a palata, davvero.
Per il resto, vi lascio alla storia.
Buona lettura^^

 
Una piccola, ma indispensabile correzione e aggiunta.
Questo capitolo è ispirato dalla bellissima storia di Sissi Bennet

Ashes&Wine

nel fandom "Il diario del vampiro", nella sezione libri.
Vi lascio il link e vi consiglio di leggerla perché credo che sia fantastica.
Grazie.


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I can't stand the pain, how could this happen to me?




And I can't stand the pain 
And I can't make it go away 
No I can't stand the pain 
How could this happen to me 
I made my mistakes 
I've got no where to run 
Untitled- Simple Plan



Erano tornati a Mystic Falls da una settimana e Julya non aveva ancora accennato a uscire dalla sua stanza.
Ogni mattina sentiva suonare la sveglia e lasciava che continuasse a farlo fino a quando non si spegneva o veniva spenta. Non lo sapeva. Aveva solo una certezza: non avrebbe abbandonato il suo nascondiglio neanche con la forza.
Non aveva dormito per giorni fino a quando la stanchezza non aveva avuto il sopravvento, facendola piombare in un sonno dal quale si era svegliata ancora più provata. Non aveva nemmeno pianto perché avrebbe richiesto troppe forze.
Era solo rimasta immobile avvolta nel piumone che aveva trascinato con sé, con la gambe strette al petto con tanta forza da arrivare a pensare che non sarebbe mai più riuscita a stenderle.
Aveva provato a pensare a cosa fare, ma si era accorta di essere senza prospettive.
Solo in quel momento, dovendo fare i conti con il proprio fallimento, si rese conto di non aver mai davvero contemplato la possibilità che qualcosa andasse storto.
Certo, aveva pensato che ci potessero essere intoppi nella sua ricerca, ritardi, problemi, ma il risultato... quello, dall'alto della sua presunzione, non lo aveva mai messo in dubbio.
E non aveva pensato neanche per un attimo che, se avesse fallito, si sarebbe improvvisamente trovata a fare i conti con il lutto che non aveva affrontato quasi un secolo prima.
Le piombò tutto sulle spalle e fu come una doccia fredda, ma non ebbe la forza di fare altro che sussultare e fremere per un attimo, prima di tornare immobile, fissando il pavimento con aria assente.
Il primo a provare a farla uscire era stato Stefan, ma Julya non era riuscita nemmeno a guardarlo in faccia.
Aveva scoperto di essere terrorizzata da lui quando aveva sentito la sua voce: ogni cosa di lui le ricordava ciò che era appena successo e la ferita che le squarciava il petto pulsava più forte, come se qualcuno vi avesse versato sopra del sale. L'aveva chiamata per un po', poi se n'era andato senza aver ottenuto nulla.
Poi era stato il turno di Caroline e persino Damon si era scomodato.
Le aveva rifilato una frase del tipo “Smetti di fare l'adolescente sociopatica e vieni fuori” alla quale lei non aveva risposto e alla fine anche lui, il più testardo di tutti, aveva capitolato con un'imprecazione.
Non pensava che potessero mandare qualcun altro perciò quando vide la porta aprirsi ebbe un guizzò di sorpresa.
Si appiattì contro il pavimento e seguì con circospezione gli stivali che muovevano passi incerti per la stanza.

Julya?”
Era Elena.
Ovvio che fosse Elena: chi altri avrebbero potuto mandare?

Non staresti più comoda sul letto? Vorrei parlarti”
Julya non rispose, ma se non altro alzò gli occhi dal pavimento per fissarli in quelli di Elena.

Va bene, allora vengo io”
L'espressione nelle iridi di Julya la spinse a desistere e alzare le mani in segno di resa, stendendosi poi sul pavimento, abbastanza lontano da Julya da concederle il suo spazio.

Parleremo da qui. Sai, mi sono accorta che da quando sei arrivata io e te non abbiamo mai parlato. Ed è strano perché Stefan ti vuole molto bene, davvero molto”
Attese, sperando che Julya rispondesse, ma la ragazza si limitò a continuare a fissarla.

Sono contenta che tu non sia partita”
Rimango solo perché non ho nessun altro, ora” ammise.
Perciò non pensi di andartene tanto presto?”
Dove dovrei andare, Elena? Mio fratello è morto, non ho trovato il Graal e non tornerà mai da me. Non ho più nulla” le spiegò con calma, la voce così piatta che Elena sentì un brivido lungo la schiena e le sembrò di provare un po' della tristezza che sentiva Julya.
Sai, io ti capisco. Mio padre e mia madre sono morti e io mi sono sentita esattamente come ti senti tu ora”
Perciò immagino che sarai venuta qui a dirmi che dovrei rialzarmi e farmi forza, che le cose brutte accadono e non si può fare niente per evitarle”
In realtà, ero venuta a dirti il contrario”
Quello la sorprese e Elena riuscì addirittura a leggere la perplessità sul suo viso, nonostante la poca luce, e si voltò di lato per guardarla meglio.

Quando sono morti i miei genitori, la gente non faceva che dirmi quelle cose e io li odiavo per questo. Certo, non mi sono mai infilata sotto un letto per una settimana, ma cavolo!, se hai voglia di startene lì, fallo”
Dici davvero?”
Sì. Hai diritto ad avere il tempo di guarire e non è giusto pretendere da te che tu reagisca subito. Con il tempo, troverai un modo di venire a patti con tutto quel dolore” le promise e c'era una tale sincerità nel suo sguardo che Julya non ne dubitò.
Ora devo andare. Suppongo che ci vedremo, prima o poi”
Detto questo, si sollevò e uscì dalla stanza, non prima di averle regalato un sorriso motivante.
Julya le fu grata per quelle parole. Le pareva strano che fosse stata proprio Elena a darle la spinta che le serviva per fare il passo successivo, ma si trovò a desiderare di provare qualcosa che non fosse più solo un vuoto devastante.
Non era ancora un vero sentimento, ma era un passo avanti rispetto al nulla e all'apatia.
Ora, la cosa più sensata sarebbe stato alzarsi e cercare di mettere insieme qualcosa per tirare avanti ogni giorno.
Lo avrebbe fatto, ma non in quel momento. Aveva ancora bisogno di restare sola perché, nonostante tutto, non era ancora sicura di aver superato la fase di negazione della realtà.
Lo capiva dal fatto che ogni volta che si risvegliava dal suo sonno agitato sperava ancora che fosse tutto frutto della sua fantasia.
Un giorno avrebbe ripreso in mano le redini della sua vita. Con cura e attenzione si sarebbe costruita una quotidianità e avrebbe trovato un nuovo sogno, qualcosa a cui dedicarsi, ma fino a quando non si fosse sentita pronta avrebbe tirato dritto per la propria strada senza curarsi di tutto.
A ben pensarci, sarebbe stato facile smettere di provare qualunque cosa. Sarebbe bastato premere l'interruttore e non avrebbe più sentito nulla, come per magia.
Eppure non voleva farlo.
Julya si conosceva: se avesse spento la propria umanità in quel momento, l'avrebbe riaccesa prima o poi e allora riaffrontare quell'inferno sarebbe stato mille volte più doloroso, come essere bruciata viva con lentezza esasperante.
Non sarebbe stata così codarda da tirarsi indietro di fronte al dolore. Per un essere umano soffrire era una sorta di garanzia sulla vita, una conferma di esserci ancora, ma la maggior parte dei vampiri credeva che la stessa regola non valesse per loro.
Stupidamente, pensavano che essere morti fisicamente li rendesse anche morti
dentro, incapaci di provare emozioni intense che non fossero l'odio, la brama di sangue, la vendetta.
Julya non era dello stesso parere. Al contrario, vedeva nei vampiri creature in grado di provare sentimenti di un'intensità disarmante, mille volte più potenti di quelli degli esseri umani.
Per loro, rabbia, dolore, frustrazione, desiderio, amore... tutto veniva amplificato.
Era per quel motivo che i vampiri si rifugiavano dietro l'interruttore e spegnevano la loro umanità, a volte per sempre: perché era più facile non sentire.
Dopotutto, si riduceva tutto a quello: codardia e coraggio, facce speculari della stessa medaglia.
Con quel pensiero, socchiuse gli occhi e si addormentò senza accorgersene.



*



Non sapeva quando fosse successo, ma lentamente Julya aveva ripreso a provare emozioni.
Non sapeva se considerarlo un miglioramento, però.
Passava dalla tristezza alla rabbia così in fretta che i suoi sbalzi d'umore non avrebbero avuto nulla da invidiare a una donna incinta.
Era come una bomba a orologeria, pronta a esplodere in qualsiasi momento e un po' le faceva paura perché non sapeva cosa aspettarsi dalla detonazione.
Poteva andare meglio, ma sicuramente la situazione sarebbe solo peggiorata perché sapeva cosa voleva dire toccare il fondo e sapeva di non esserci neanche vicina.
Non poteva fare altro che attendere l'esplosione.
Alla fine, arrivò a notte fonda, paradossalmente nell'unica sera in cui fosse riuscita a trovare un po' di quiete nell'alcool.
Era appena tornata a casa e ondeggiava pericolosamente mentre saliva le scale. Ad un certo punto, si tolse le scarpe e continuò la salita, ma non sembrò andare molto meglio perché alla fine capitolò sul pianerottolo ridacchiando.
Rimase lì fino a quando non sentì una porta aprirsi e all'improvviso apparve Stefan. Anche da sbronza, Julya avrebbe saputo riconoscere le sue espressioni senza problemi e lui aveva addosso proprio quella da “cavaliere in scintillante armatura”, quella che odiava di più in situazioni come quelle.

Hai bevuto” constatò, il volto così impassibile da farle credere che quella fosse più che altro l'espressione da “è il momento della ramanzina, spero che tu non abbia fretta”.
Io l'ho sempre detto che tu sei così perspicace” biascicò lei, concludendo la frase con qualche difficoltà di pronuncia.
Il suo accento russo, di solito sapientemente occultato, contaminò la pronuncia e rese più difficile per Stefan capirla.

Cosa hai bevuto?” le domandò scendendo un paio di gradini, giusto per essere a portato di mano nel caso fosse scivolata di nuovo mentre tentava con scarso successo di rimettersi in piedi.
Rilassati, Stef. Ho...” e ci mise un po' a ricordare quanti anni avesse, contando velocemente un paio di volte “140 anni. Sto bene e posso cavarmela da sola”
Indubbiamente non hai bisogno di essere difesa e non mi preoccupo della tua salute fisica. Ma tu non stai bene”
Ah no?” gli domandò con un ghigno seducente e uno sguardo lascivo, quasi osceno “Potresti farmi stare bene tu”
Si alzò in punta di piedi e gli posò una mano intorno alla nuca, stringendo con l'altra i capelli. Stefan si voltò appena in tempo perché le labbra di lei sfiorassero la sua guancia, poi la afferrò e la scostò da sé.

Sei ubriaca” la freddò, ma Julya era davvero troppo brilla per prendere qualcosa sul serio.
Ridacchiò ancora.

E' così importante?”
So cosa stai cercando di fare” la ammonì. Le voleva bene, la amava davvero -anche se non nel modo in cui amava Elena- e l'idea di essere duro con lei lo feriva, ma sapeva che doveva farlo.
Julya non sarebbe tornata a essere se stessa senza una terapia d'urto. Una volta guarita gli avrebbe tenuto il broncio per mesi o, più probabilmente, gli avrebbe conficcato un pugnale nello stomaco per vendetta, ma poi sarebbe passata oltre, di nuovo normale.

Stai fuori da casa per giorni interi, torni a orari improponibile puzzando di alcool e sangue, fai la sgualdrina con me: stai cercando di attirare l'attenzione, Julya?” la prese in giro tenendole il viso tra le mani perché non potesse evitare il suo sguardo.
A sorpresa, Julya lo inchiodò con occhi lampeggianti di furia e indignazione “Non me ne importa niente della tua attenzione! Perché dovrebbe importarmi se ho una vita sregolata quando non mi sembra neanche di viverne una? Non ho più niente, Stefan!”
Per un attimo provò la sua stessa tristezza e gli venne voglia di stringerla a sé quando si rese conto di non poter cedere ora che aveva iniziato.
Aveva scelto la linea dura e doveva essere coerente fino alla fine se voleva che funzionasse.

Hai deciso di fare la vittima? Io ho provato a starti accanto: sono rimasto steso sul tuo pavimento per quasi due giorni e tu non mi hai neanche guardato in faccia!”
Non te l'ho chiesto”
No, l'ho fatto perché ti voglio bene e vedere che sei l'ombra di te stessa mi spezza il cuore. Dimmi cosa devo fare, dimmi cosa vuoi” la pregò guardandola negli occhi con uno sguardo così intenso e appassionato che probabilmente avrebbe fatto sospirare di desiderio anche la ragazza più frigida.
Ma Julya rimase impassibile; forse Stefan aveva ragione e lei era davvero diventava un fantasma.

Non voglio niente” rivelò “non faccio i capricci, non cerco attenzioni. Non mi importa di nulla, neanche di me stessa”
A quel punto Stefan capì e si sentì quasi sommergere dal peso di quella dichiarazione.
Julya andava in giro a bere sangue umano, ubriaca, senza controllo, con il pericolo di essere scoperta esattamente per quello: perché per lei vivere o morire erano diventati la stessa cosa.

Vorrei che tu non fossi seria”
Perché non dovrei? Ho così tante cose per cui continuare a sopportare questa eternità...”
Va' a dormire, Julya. Ne parleremo un'altra volta”
Stefan aveva bisogno di un po' di tempo per metabolizzare tutte quelle informazioni e per decidere come comportarsi.
La verità era che lo stato emotivo di Julya lo aveva sconvolto e turbato più che se l'avesse vista spegnere per sempre le sue emozioni per cercare di placare un po' la sofferenza.
Doveva dormirci su e anche Julya, ma prima aveva bisogno una conferma.

Promettimi che non farai nulla di avventato”
Ma Julya tacque e lo guardò con sprezzo, come a sfidarlo a proibirle di fare qualunque cosa volesse.

Julya...”
Nelle sue parole c'era un avvertimento a non andare troppo oltre perché avrebbe fatto ciò che doveva fare per proteggere Mystic Falls e farla ritornare la Julya di un tempo.

Che c'è Stefan?” sbottò allora “Se non mi comporterò da bambina obbediente cosa farai? Mi rinchiuderai? Mi ucciderai? Fallo” lo incitò facendo un passo avanti “strappami il cuore!” gli gridò in faccia Strappalo ora! Credi mi importerebbe? Fallo!” lo incitò ancora, nella disperata speranza che la esaudisse, che mettesse davvero fine a quell'inferno.
Furono le parole che fecero traboccare il vaso. Stefan se la caricò in spalle e si catapultò giù dalle scale e poi ancora più giù, in cantina.
La lasciò cadere quando furono nella stanza accanto a quella dove un tempo Zach coltivava la verbena e si richiuse la porta alle spalle, appena in tempo per evitare che lei fuggisse.

Fammi uscire di qui, Stefan! Fammi uscire!” strillò con tutta l'aria che aveva nei polmoni e la sua voce raggiunse in effetti toni piuttosto notevoli, ma avrebbero dovuto farci l'abitudine.
Julya era stata una cantante, le sue corde vocali erano più che allenate e ci sarebbe voluto un po' perché si stancasse di urlare, cocciuta com'era.
Ma lui non aveva fretta.
Mentre se ne andava si disse che l'avrebbe guarita, in un modo o nell'altro.


*


Falle i complimenti per i polmoni: per urlare così da due giorni devono essere allentatissimi” gli ricordò Damon mentre scendeva con una sacca di sangue per Julya.
Era rinchiusa nella cella da quarantotto ore e aveva fatto il possibile per non far passare inosservata la sua presenza almeno fino a un paio di ore prima.
Aveva urlato chiamando il nome di Stefan, poi era passata alle minacce, poi alle suppliche per poi tornare alle intimidazioni.
All'inizio Damon lo aveva trovato divertente, ma alla seconda notte in bianco aveva smesso di ridere.
Nessuno avrebbe potuto dire che non fosse una vampira perseverante.
Raggiunse la cella e la trovò rannicchiata in un angolo che lo guardava da sotto le ciglia, attraverso una ciocca di capelli scivolatale davanti al viso.
Se gli sguardi avessero potuto uccidere Stefan sarebbe morto all'istante, trafitto da migliaia di coltelli.

Oggi il carrello della mensa passa prima?” gli domandò facendo schioccare la lingua contro il palato e aprendosi in un sorriso beffardo, mentre nei suoi occhi brillava ancora la rabbia.
Io e Damon andiamo a casa di Klaus per trattare” la informò con disinvoltura.
Ma Julya non poteva sapere cosa era accaduto negli ultimi giorni. Non sapeva che Stefan aveva sottratto a Klaus le bare che si trascinava dietro dovunque andasse e le aveva nascoste dove lui non poteva trovarle.
O almeno, così aveva pensato fino a quando Damon non era stato costretto a nascondere quella sigillata per evitare che Klaus se le riprendesse tutti.
A ben pensarci, era solo grazie a lui se avevano ancora qualcosa da scambiare.

Ti aggiornerò quando torno” le promise.
A una parte di lui piangeva nel cuore nel doverla trattare così, come se fosse una prigioniera, ma lo faceva per lei: aveva già dimostrato di aver preso una pessima china e non sembrava intenzionata a rimettersi in carreggiata troppo presto.
Fino a quando non fosse rinsavita, sarebbe rimasta lì, anche se avesse supplicato e pregato fino alle lacrime.
Julya aveva avuto due giorni per pentirsi di essere esplosa in quel modo.
Si era ripromessa di tenersi tutto dentro per non dover più vedere quegli sguardi di compassione che la mandavano su tutte le furie, ma l'altra sera era scoppiata definitivamente e ora si trovava in quella schifosissima cella a bere sangue e mangiare toast che, peraltro, neanche le piacevano.
Era arrabbiata con se stessa e con Stefan e lo era stata anche la notte scorsa, quando gli aveva mostrato la parte peggiore del suo dolore solo per togliergli dalla faccia quell'espressione severa.
Era tanto chiedere di essere semplicemente ignorata? Julya non credeva.
Dopotutto, aveva tante cose a cui pensare perciò perché non poteva lasciare che lei sprofondasse lentamente nel proprio baratro?
Nessuno pensava che fosse giusto lasciare che sentisse ciò che voleva e provavano tutti a guarirla, ma lei non lo voleva.

Non sprecarti. Il mio udito è piuttosto buono e da qui si sente tutto perfettamente” replicò con asprezza guardando con desiderio il sangue.
Aveva sete e Stefan gliene dava abbastanza per farla stare bene, ma non per renderla forte. Il che era una seccatura perché se avesse bevuto abbastanza sangue avrebbe potuto scappare, anche con la verbena che lui si era premurato di cospargere sulla porta, per tenerla lontana.
Evidentemente non aveva ancora capito quanto lei fosse testarda.

Ho qualche minuto e io e te dobbiamo parlare” la informò sedendosi a su una sedia che si era probabilmente portato dalla cucina.
Mi dispiace, ma la mia gola è piuttosto provata”
Fino a due ore fa sembrava in perfetta forma”
Punti di vista, immagino”
Stefan le porse l'intera sacca di sangue e Julya ne fu sorpresa. Ovviamente non si sarebbe mai sognata di protestare e cominciò a suggere con calma il delizioso nettare.
AB positivo, il suo preferito.
Ma sapeva che Stefan non si sarebbe levato dai piedi troppo in fretta e perciò lo accontentò sbuffando.

Va bene, parliamo”
Potremmo iniziare dal tuo show delirante di due sere fa. Saltando il fatto che mi sei saltata addosso...”
Andiamo, mi sarei fermata prima. Non ero così ubriaca”
No, lo immagino...”
Bene, allora è tutto chiarito. Sono contenta che ne abbiamo parlato” lo prese in giro inarcando le sopracciglia con disappunto quando Stefan scosse la testa.
Bel tentativo, ma non funziona. Comunque, non è di questo che voglio parlare. Vorrei capire cosa ti passa per l'anticamera di quel cervello che ho sempre considerato più che brillante”
Julya fu ben lungi dal sentirsi lusingata e aggrottò le sopracciglia in un'espressione perplessa.

Allora prova a leggermi nel pensiero” lo incitò “Oh, non puoi” si finse dispiaciuta portandosi una mano alla bocca in un gesto di finta sorpresa.
Con uno scatto repentino Stefan si chinò su di lei e la inchiodò con i propri occhi verdi. Julya si aspettava di sentire qualcosa -un rimescolio nello stomaco o uno sfarfallio- ma non provò nulla che non fosse rabbia.
A dire il vero non vedeva oltre il velo di rancore che le offuscava lo sguardo.

Sono sicuro che la vera Julya sia ancora lì dentro”
Non c'è una vera e una falsa Julya. Io sono sempre io, ma le persone cambiano”
Lo dici solo perché stai male e non vedi oltre tutto questo, ma passerà. Tu sei migliore di così”
Non mi conosci, non mi vedi da ottant'anni. Non sai chi sono” ringhiò scuotendo i capelli, frustrata.
Tu non sei così e questo mi basta. Vedi di tornare in te, ragazza interrotta, perché la tua rabbia non ti porterà da nessuna parte: non dovresti mai permettere alle ferite di farti diventare qualcuno che non sei” le ricordò alzandosi.
Il loro tempo era finito e lui non aveva ottenuto nulla: solo più frustrazione e sconforto, ma nessun passo avanti.
Non sapeva cosa fare con lei perciò l'avrebbe lasciata ancora un po' lì ad aspettare che le tornasse un po' di buonsenso.
Julya guardò Stefan richiudersi la porta alle spalle senza l'ombra di un espressione sul volto. Lo sentì salire le scale e solo quando fu certa che fosse lontano si permise di sospirare piano.
Poi si accorse di avere ancora in mano la sacca di sangue: evidentemente Stefan era stato troppo distratto dalla loro lite per ricordarsi che gliene aveva data una intera.
Le si illuminarono gli occhi e guardò la porta come se non la vedesse, come se riuscisse già a vedere oltre.
Bevve dalla sacca fino all'ultima goccia e l'assaporò tutto con calma, proprio come avrebbe fatto se avesse avuto tra le mani una tazza di buon caffè o di whisky.
Voleva essere sicura che Stefan e Damon fossero andati via di casa e poi avrebbe avuto tutto il tempo di uscire perché era abbastanza certa che la cena sarebbe andata per le lunghe.
Lanciò di lato la sacca di sangue e si avvicinò con circospezione alla porta. Si sentiva rinata, certo, ma una bella bevuta non avrebbe reso meno doloroso il contatto con la verbena.
Aveva pensato che Stefan ne avesse messa appena un poco, giusto perché ne avesse sentore. Di certo non si era aspettata che l'avesse letteralmente ricoperta.
Non fu facile aprirla: a ogni spallata le sembrava che qualcuno le avesse versato dell'acido sulla pelle e poi sulla carne viva.
Bruciava come il fuoco, forse anche di più, e non era per niente piacevole. L'odore poi le dava alla testa e le provocava una sgradita sensazione di debolezza e capogiri.
Alla fine riuscì a scardinarla e a strisciare fuori.
Purtroppo, aveva sottovalutato Stefan, ma lui non aveva fatto altrettanto con lei. Nel momento esatto in cui cercò di risalire le scale, trascinando un po' la gamba ammaccata in via di guarigione, sentì uno scatto e prima di poter fare qualcosa si trovò a terra con un paletto intriso di verbena conficcato nello stomaco e uno tra le mani.
Stefan doveva aver previsto che sarebbe riuscita a bloccarne uno e per questo aveva sistemato una seconda trappola.
Quella l'avrebbe pagata cara: gli avrebbe cosparso ogni cosa -letto, abiti, diari, Elena- con così tanta verbena che avrebbe dovuto dare fuoco a tutto.
Ansimò e le mancò il fiato per un secondo mentre strappava il paletto dalla propria carne. Ma la verbena bruciava -dannazione se bruciava!- e lei si sentiva più debole che mai.
Un ringhio le distolse i lineamenti, ma era troppo spossata per fare qualcosa di concreto. Si appiattì ancora di più contro il pavimento e lasciò cadere la testa di lato, scivolando nel sonno senza accorgersene.




Continua



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