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Autore: Dave1994    18/04/2013    2 recensioni
Skyrim, poco prima della resurrezione dei draghi e del ritorno di Alduin.
Una terra immersa nel mistero e nella magia...talvolta così antichi da trascendere persino il tempo stesso.
Due universi che si incontrano,per ridipingere un passato sconosciuto e incredibile.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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- Fermatevi...non potete andarvene. - biascicò la donna, i capelli biondi scompigliati dalla brezza la cui intensità andava crescendo di minuto in minuto: nubi nere, tanto grandi da estendersi oltre l'orizzonte, stavano cominciando a vorticare attorno ad un unico punto con un fare sinistro. La violenza dei tuoni lontani e dei boati improvvisi che percepivo esplodere periodicamente ogni minuto mi facevano tremare i denti nelle gengive e fui certo del fatto che nel raggio di qualche ora una bufera di proporzioni colossali sarebbe infuriata cancellando ogni cosa là dove ci trovavamo, immobili e ancora scossi dall'esplosione di poco prima.

- Non so chi tu sia, ma ti do un suggerimento – dissi, inarcando un sopracciglio – fossi in te mi allontanerei in fretta. La vedi quella? E' una tromba d'aria, e a giudicare dalle proporzioni dev'essere di quelle parecchio cattive. -

- Io...devo... -

L'assassina fu costretta a interrompere la frase quando qualcosa la colpì in pieno petto, scagliandola all'indietro e facendola stramazzare al suolo con un tonfo sordo. Sbigottito mi voltai verso Tevinias e lo vidi avanzare con passo malfermo e zoppicante verso di lei, il pugno sfrigolante di magia.

- Aspetta, Tevinias... -

- Tra un secondo. - rispose lui, sollevando il palmo della mano destra: il corpo della donna si sollevò in aria, come una marionetta a cui vengono strattonati i fili.

- Qual'è il tuo nome? - ringhiò stancamente Tevinias, provato dallo sforzo. Dal suo corpo cominciavano a svanire le piaghe causategli dalla misteriosa maledizione che lo attanagliava senza tregua e laddove fino a qualche istante prima un sottile velo di pelle gialla incartapecorita ricopriva i suoi muscoli, ora un nuovo e florido aspetto era tornato ad avvolgerlo come una calda coperta e tessuti sani rinascevano ogni secondo di più con una rapidità disumana rigenerando quell'involucro quasi morto e corrotto in uno stupefacente spettacolo di auto-guarigione, dall'aspetto di un vero e proprio miracolo.

- A-Ashlotte. -

- Così sia, allora. -

Balzai istantaneamente verso lo stregone vedendolo chiudere gli occhi e distendere le dita della mano sinistra e quando le prime scintille cominciarono a danzare tra di esse io mi ero ormai frapposto tra lui e la donna, più incosciente che lucida. Un rivolo di sangue le solcava il volto per poi cadere in forma di minuscole gocce sotto i suoi piedi, dove abbandonata sulla nuda e fredda terra giaceva una bellissima collana d'oro la cui catenina sembrava essersi spezzata, un rubino rosso carminio incastonato nel medaglione affisso ai minuscoli anelli. La raccolsi senza pensarci e me la misi in tasca.

- Aspetta, Tevinias. - lo implorai, cercando di distogliere lo sguardo dalla sua mano sinistra. Non volevo pensare a quello che mi sarebbe successo se quelle scariche elettriche mi avessero colpito, trapassandomi da parte a parte come una spada su un abito di seta.

- Aspettare cosa, Sebastian? Questa donna ha cercato di ucciderci, la sto soltanto ricambiando! - proruppe il mio compagno di viaggio con veemenza, guardandomi come se fossi appena ammattito. Cosa che mi parve perfettamente verosimile del resto, poiché non avevo idea del perché stessi agendo in quel modo.

Tacqui, mentre i primi dubbi cominciavano ad affiorare nella mia mente.

Perché diavolo stavo rischiando la vita per lei?

- Ti prego, solo un minuto. - riuscii a dire soltanto, con fare supplichevole.

Un'espressione profondamente contrariata apparve sul volto dello stregone, che recise il fiume di magia all'interno del suo corpo lasciando cadere per terra Ashlotte, gemente dal dolore. Doveva essersi lussata la spalla o peggio, a giudicare dall'angolazione impossibile che questa e il suo braccio avevano assunto.

Mi avvicinai alla donna riversa per terra su un fianco, gli abiti in cuoio laceri e infangati: la scossi dolcemente, guadagnandomi la sua attenzione.

- Perché ci hai attaccato? - le chiesi, avvicinandomi un poco al suo volto. Era davvero bella, notai, e i suoi capelli sembravano avere davvero la tonalità dell'oro lavorato laddove il fango e la sporcizia non li ricoprivano.

- Così...mi era stato richiesto. - sussurrò debolmente, cercando di sollevarsi per mettersi a sedere senza tuttavia riuscirci. Con un'espressione sofferente si lasciò ricadere per terra e per un attimo, uno soltanto, ebbi quasi compassione di lei e delle condizioni in cui versava.

- Il mio compagno ha intenzione di ucciderti – sentenziai con voce grave – dammi solo una buona ragione per cui dovrei farlo desistere dal suo intento. -

- Io... - disse, per poi interrompersi: le palpebre le si richiusero progressivamente e perse conoscenza nel momento stesso in cui Tevinias si avvicinava a noi con un cipiglio scuro e diffidente.

- Allora? Sei riuscito a cavarle qualcosa? -

- Ha bisogno di cure. Dobbiamo portarla con noi, si scatenerà l'inferno qua tra poco. -

- Stai scherzando?! - ruggì Tevinias, indicando con un indice accusatore la donna riversa per terra e priva di sensi – è un'assassina, ha cercato di ucciderci e tu vuoi risparmiarla? In nome di che cosa, Sebastian?! -

- La portiamo con noi... - dissi, lo sguardo perso nel vuoto - ...oppure ognuno va per la sua strada. Sono stato abbastanza chiaro? -

Per una decina di secondi la tensione fu quasi palpabile tra me e il mio compagno di viaggio e più di una volta temetti stesse invece per decidere di farla finita, dandomi le spalle.

Tuttavia così non fu e lo stregone chiuse gli occhi in un cenno di assenso.

- La porti tu, però. Faccio strada. - bofonchiò, accendendo un fuoco fatuo e sollevandolo sopra le nostre teste. Dopodiché si allontanò, il sentiero davanti a lui rischiarato dalla fonte di luce incantata.

Con un grugnito mi caricai la donna sulle spalle, facendomi coraggio e cominciando ad incamminarmi nel fitto del bosco davanti a noi.

 

 

Gregorius fissò le pareti della sua cella, fredde e ricoperte di muschio. Dell'acqua gocciolava ogni tanto dal soffitto e il puzzo di umidità e di chiuso aveva investito le sue narici non appena aveva messo piede là dentro, stordendolo per una decina di minuti buoni.

Era seduto, le mani intrecciate sul grembo e il volto contratto dalla concentrazione. Come poteva uscire di lì? Ma soprattutto: come poteva riscattare il suo buon nome?

Una voce lo riportò alla realtà, strappandolo dal corso dei suoi pensieri.

- Non pensavo avresti mai vuotato il sacco davanti all'intera assemblea. Certo che ne hai, di coraggio. -

- Grigori. - disse il prigioniero, senza nemmeno voltarsi per accogliere il nuovo arrivato, l'anziano dalle calvizie incipienti, che ora pareva intento ad osservarlo come si fa con una bestia in gabbia.

- Credevi fosse Fran, vero? - sussurrò con un ghigno il vecchio, rischiarando il volto segnato da una leggera barba incolta di Gregorius – in effetti con tutto l'odio che quella donna prova per te, la cosa non mi sorprenderebbe più di tanto. -

- Che cosa vuoi? - disse infine il più giovane, alzandosi in piedi e afferrando con forza le sbarre della cella – denaro? Puoi averlo, ma fammi uscire di qua. -

- Per essere così tanto intelligente, Gregorius, non sembri dimostrarlo affatto – disse Grigori, sorridendo e inclinando la testa da un lato – ho tutto l'oro che mi serve. Io e qualche altro interessato desideriamo solo...metterti da parte, ecco. Giusto per essere un filo più sicuri che tu non possa usurpare il posto di qualche altro meritevole candidato alla promozione sul campo. -

- Avvoltoi! - esclamò Gregorius, ricevendo in tutta risposta una risata di scherno da parte del vecchio. Sentì una cocente frustrazione lambirgli il petto, come la coda irta di spire di una belva ghignante e famelica, e l'odio che provò in quel momento gli fece desiderare di avere la gola di Grigori sottomano.

- Si vedrà. Ti auguro un confortevole soggiorno, amico mio... - disse l'altro, allontanandosi infine dalla cella. Gregorius non provò nemmeno a gridare: non sarebbe servito a nulla, isolato com'era nelle segrete più recondite del Castel d'Our. Tornò a sedersi, la faccia stretta tra i palmi delle mani.

Passarono i secondi, lenti come minuti.

Inesorabili sembrarono trascorrere le ore e solo la raffinatezza sublime del suo intelletto impedì a Gregorius di morire consunto dalla fame e dalla noia. Doveva concentrarsi, tenere occupata la mente.

Ci era arrivato troppo tardi. Qualcuno dei leccapiedi di Grigori doveva averlo seguito e falsificato il contratto per la Confraternita chiedendo l'uccisione dei bersagli, così che lui non avesse avuto nessun prigioniero da interrogare e a cui estorcere preziose informazioni: il rischio che vuotasse il sacco non poteva che condannarlo ad un'inevitabile condanna per alto tradimento nei confronti dell'Impero, istituzione che Gregorius cominciava a odiare sempre di più ogni minuto trascorso.

Tutta quella burocrazia, tutta quella sete di potere! Aveva logorato l'anima dei generali più nobili, corrompendoli nel profondo e declassandoli quasi al grado di bestie che si contendono il territorio e la preda.

Guardò il corridoio oltre le sbarre, illuminato dalla fievole luce di una torcia. Doveva scappare da lì, fuggire da Solitude e catturare con le sue sole forze i due ribelli per portarli all'Imperatore stesso o al Generale Tullius, sempre che non fosse invischiato anche lui in poco nobili intrighi politici.

Scappare...il solo pensiero lo rendeva alquanto perplesso. Certo, ne sarebbe stato anche in grado...ma poi, dove sarebbe andato? Dove avrebbe trovato i mezzi per agire da solo?

Gregorius si alzò in piedi con rinnovato vigore, inspirando ed espirando lentamente fino a raggiungere uno stato di profonda calma.

Erano problemi che sarebbero venuti soltanto dopo. Per ora, l'importante era fuggire da quella prigione umida e tetra e non sarebbe stato solo: poteva sempre contare su un aiuto che gli era stato donato fin dalla nascita.

- Angust. - sussurrò, mentre un'onda di affetto gli avvolgeva il petto. Dalle ombre della stanza emerse un lupo dal pelo argenteo, scintillante alla luce delle torce, tanto esile e slanciato da poter passare attraverso le sbarre con estrema facilità.

La belva uscì in corridoio, guardando il suo padrone con fare interrogativo con i suoi sinistri occhi gialli.

- Le chiavi sul tavolo. Mi faresti un gran favore. - disse Gregorius, stiracchiandosi le membra indolenzite. Era ora di mettere a frutto il suo tanto rinomato intelletto sopraffino, soprattutto perché presto o tardi sarebbe arrivato qualcuno a controllare le sue condizioni.

Angust tornò dopo una decina di secondi, una piccola chiave in ferro stretta tra le fauci: Gregorius mise la mano all'esterno delle sbarre e la infilò nella toppa, girando e gioendo all'udire lo scatto metallico della serratura.

Era ora di fuggire da lì il più in fretta possibile.

  
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