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Autore: lethebadtimesroll    18/04/2013    11 recensioni
Un problema non sottovalutabile giungeva con i bulli: spietati come animali sia con i ragazzi che con le ragazze, attratti dal cercare rogne solo per dimostrarsi all'altezza o per divertimento, erano l'incubo di tutti, soprattutto di noi. Bisognava sempre evitarli, sempre.
Ma se inspiegabilmente ci si ritrovava a volersi ritrovare sulla strada del ragazzo più forte e più temuto della scuola, se ci si ritrovava a osservarlo da lontano, a sognare continuamente i suoi occhi scuri, beh, allora era davvero un casino.
-
- M-Mi hai spaventata – balbettai, con il cuore che batteva a mille, sebbene il verbo al passato non fosse poi così azzeccato.
Alzò un angolo della bocca in un sorrisetto, continuando a fissare davanti a sé da sotto le lenti scure degli occhiali.
Restammo in silenzio per un po’, con il solo sottofondo del chiacchiericcio post-lezioni. Di tanto in tanto, qualche curioso ci osservava dalla parte opposta del corridoio.
Si decise a parlare solo quando il silenzio iniziava a pesare sul serio, passandosi una mano tra i capelli biondi – C più… Non mi sembra poi tanto grave. –
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Attenzione, prego.
Si avvisa che ognuno di voi ha il diritto di mandarmi a fanculo per il mio enorme ritardo ANCORA. Non mi capacito di questi ritardi, davvero. Come vi ho già detto è un periodo NERO ma nonostante tutto sto iniziando a migliorare, lentamente, e mi sembra incredibile.
Quindi posto questo capitolo che, vi avverto, senso e coerenza non ne ha neanche un po'. Ma avevo voglia di scrivere e ho pensato che se devo scrivere qualcosa che non mi piace giusto perchè sia coerente con il resto della storia, meglio scrivere qualcosa di molto sentito che magari non c'entra un cazzo. Avrò fatto delle ripetizioni assurde lol ma scusatemi.
Se trovate la cosa penosa, troppo esagerata per il tipo di storia, allora non fate altro che commentare nel modo più sincero possibile. Come mi disse qualcuno una volta, le critiche servono molto più dei complimenti per andare avanti. Io credo che servano entrambi, ma ad ogni modo questo è quanto.
Sono emozionata come una bambina e non so neanche perché, ma ho riletto tutte le vostre recensioni e ho visto che ci tenevate così tanto, quindi...
Spero vi piaccia.





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Richiusi la porta malconcia dello spogliatoio alle spalle e appoggiai zaino e borsa sulla panca di legno, tra un mare di altre borse e vestiti delle mie compagne. Un’occhiata al mio cellulare preistorico mi rivelò che forse, se mi fossi sbrigata, sarei riuscita ad entrare in palestra prima dell’appello. Sfilai la giacca e le scarpe contemporaneamente, sperando che l’insegnante non si accorgesse della mia assenza nonostante il ritardo.
Justin aveva infine desistito dal suo proposito originario di “chiacchierare un po’”; ad ogni modo, malgrado le rassicurazioni, il tono gentilmente disponibile che aveva usato mi dava tutti i motivi per essere preoccupata.
Avevamo deciso – lui aveva deciso, per la precisione – di rimandare il discorso a quel pomeriggio; poi era uscito da scuola, come se andarsene alla seconda ora di lezione fosse la cosa più normale del mondo, affermando candidamente che si era rotto le palle.
Infilai la maglia bianca con il logo della scuola, chiedendomi di cosa mai ci fosse bisogno di parlare. Per la verità avevo qualche idea, ma speravo sinceramente di sbagliarmi.
Quando aprii la porta con un piede, le mani impegnate a raccogliere i capelli in una coda di cavallo, per poco non inciampai in due ragazze accampate fuori dagli spogliatoi. Ero sicura di non averle viste prima di entrare e, data la velocità con cui mi ero cambiata, non potevano essere lì da più di un minuto.
Imbarazzata arrotolai le dita nell’ultimo giro dell’elastico ma, quando feci per proseguire, una di loro mi chiamò.
Per nome.
- Sì? – risposi un po’ sorpresa, improvvisamente dimentica del ritardo.
Per qualche istante si guardarono negli occhi; poi quella che mi aveva chiamato, una ragazza bionda che avevo già visto in giro per la scuola, si rivolse nuovamente a me – Eri con Justin prima? –
La fissai un po’ storto, domandandomi per quale razza di motivo due sconosciute seguissero i miei spostamenti.
- Justin Bieber, intendo – aggiunse.
- Sì – replicai, piuttosto duramente – perché? –
Parve sorpresa mentre passava gli occhi azzurri su di me, scannerizzandomi. L’altra fece lo stesso, concludendo poi con una finta occhiata disinteressata al cellulare in un tentativo di mascherare lo sgomento nel suo sguardo che, ovviamente, non riuscì.
- State insieme? – aggiunse poi, fissandomi ancora.
Ora si spiegava tutto.
In quel momento mi sentii tremendamente male. Certo che stiamo insieme, avrei voluto risponderle, gelosa di lui fino al midollo, ma d’altra parte sentivo che la risposta più giusta sarebbe stata qualcosa tipo “non per molto ancora”. Le cose non andavano bene, lo sentivo sulla pelle, e speravo non si notasse da fuori.
Socchiusi gli occhi.
- Può darsi – riuscii a rispondere, tagliente. Nonostante tutto lei sembrò rilassarsi. Assunse un’espressione rassegnata e – sei fortunata – commentò mestamente. L’altra aveva ancora uno sguardo scettico e sembrava voler urlare “il più figo della scuola sta con questa perdente? Davvero?” ma riuscì a trattenersi.
Quando fu ovvio che nessuno aveva più nulla da dire girai sui tacchi, lanciando un’ultima occhiata alle due, poi entrai in palestra, mille volte più arrabbiata, insicura e gelosa di prima.
Come previsto, tutti mi notarono quando entrai. Il prof diede ordine agli altri di continuare la partita, dirigendosi poi a passo veloce verso di me.
- Williams – affermò risentito – come mai così in ritardo? –
- Io.. – scossi appena la testa, per cercare di scacciare tutti i sentimenti che quella brevissima conversazione aveva fatto tornare a galla. – Il professore di inglese mi ha trattenuta un attimo – buttai lì, sperando fosse credibile.
- Trattenuta per… - controllò l’orologio a polso, aggrottando poi le sopracciglia scure – mezz’ora? –
- Beh, sì – giocherellai nervosamente con la parte posteriore del telefono, che cadde a terra. Mi chinai per raccoglierla e – la mia ultima verifica non è andata tanto bene – aggiunsi sottovoce in tono confidenziale, ammiccando.
Mi guardò storto, poi sbuffò. – Scegli una squadra – ordinò rassegnato, per poi tornare verso la partita di pallacanestro.
Mugugnai in disapprovazione per la tremenda scusa che mi ero inventata – non era proprio il mio forte – e quando ricontrollai il telefono, il simbolo di una letterina era apparso in alto a destra, accanto alla batteria. Aprii il messaggio.
Oggi pomeriggio passo io a prenderti, così sono sicuro che non mi scappi. x
Sorrisi alla x finale, e non riuscii a fare a meno di sentirmi meglio. Per quanto tutta questa storia fosse assurda – il più figo della scuola e la perdente, intendo - forse non sarebbe stato terribile come avevo immaginato. Forse “dobbiamo parlare” non era sempre sinonimo di cattive notizie: tuttavia data la mia poca esperienza nelle relazioni, non ne avevo idea. Lasciai il telefono sul tavolo insieme agli altri.
- Buongiorno – mi accolse Adam, i pantaloni che ricadevano sulle gambe magre e le maniche della maglietta arrotolate. – Come mai così in ritardo? –
- È una lunga storia – risposi noncurante, sperando che sarebbe bastato a distoglierlo dall’argomento.
- Già – fece, mentre mi seguiva verso il fondo del campo. – Sarà meglio che tu e le tue scarse capacità ginniche vi concentriate sulla partita. – Ammiccò. Gli sillabai un “vaffanculo” in risposta, poi ci sorridemmo a vicenda e per qualche istante sembrò quasi che tutto andasse bene.
Adam era bravo a basket. Durante la prima mezz’oretta feci finta di giocare, seguendo lo spostamento di massa ed addentrandomi di tanto in tanto in mezzo alla mischia per dare credibilità al mio interesse verso il gioco. Adam era gentile abbastanza da fermarsi per qualche commento durante le pause o le rimesse, ma non tanto stupido da passarmi la palla o cercare di farmi partecipare. Dopo poco fui costretta a rinunciare e mi sedetti accanto alla maggior parte delle ragazze che, come me, erano già stanche.
Aspettai cinque minuti per riposarmi e recuperare il fiato, poi osservai il prof. Sembrava abbastanza preso, come tutti gli altri. Mi guardai intorno ancora un attimo prima di sgattaiolare verso l’uscita, badando bene a recuperare il telefono prima di tornare nello spogliatoio.
Le due tipe di prima non c’erano più.
Mi sedetti tra i vestiti disordinati, appoggiando la testa all’indietro contro il muro di piastrelle pieno di scritte colorate, poi presi in mano il telefono.
Dove sei?” digitai velocemente, abituata alla mia cara e vecchia tastiera.
Non dovetti attendere molto prima di sentire la suoneria attutita a causa dei vestiti su cui avevo appoggiato il telefono.
In giro. Perché?
Era una cosa pazza e senza senso. E assolutamente non giusta. E punibile in termini di regolamento scolastico.
Ma più pensavo al tempo che dovevo ancora trascorrere a scuola, a ciò che doveva dirmi, alla sua assenza, più avevo voglia di scappare.
Non farlo”sussurrai a me stessa. Ma per la prima volta dopo tanto tempo, non mi ascoltai.
Tolsi in fretta la maglietta e i pantaloncini, indossando i jeans. Spruzzai una buona dose di deodorante nonostante non fossi molto accaldata, poi infilai nuovamente la maglia.
Vienimi a prendere” digitai, raccogliendo la giacca che era caduta a terra.
 
 
- Wow – fu la prima cosa che disse quando, dopo aver buttato zaino e borsa nei sedili posteriori, mi abbarbicai nel posto accanto al suo, chiudendo lo sportello. – Davvero lo stai facendo? –
- Non chiedermelo. Andiamo via – allacciai la cintura, guardandomi intorno nervosamente.
La macchina tuttavia restò ferma; quando mi voltai per fissare Justin con sguardo interrogativo, si limitò a ridacchiare.
- Sembra che tu abbia molta fretta – constatò. Era alle prese con una confezione di cartine e sembrava non gli interessasse molto che qualcuno potesse vederci.
- Sai, è la terza ora e dovremmo essere entrambi dietro i banchi quindi… Sì, sono un po’ nervosa – replicai ironicamente. – Parti? –
Lanciò un’occhiata prima a me, poi al finestrino, tornando a rollare la sigaretta con una tranquillità incredibile. Infilò un filtro bianco tra le labbra, per poi riprenderlo qualche secondo più tardi. Sbuffai, distogliendo lo sguardo.
Lo sentii ridere ancora e – Oh, andiamo – iniziò con un tono estremamente divertito – dov’è finito tutto il tuo coraggio? –
Mi stava prendendo in giro. Senza dubbio.
Mi voltai verso di lui risentita, pronta a rispondere, ma mi bloccai immediatamente quando lo vidi tirare fuori la lingua per passarla lentamente sul bordo della cartina. Mi lanciò un’occhiata, trovandomi con gli occhi incollati alle sue labbra; solo in ultimo riuscii a spostare lo sguardo, deglutendo.
Durò tutto soltanto un paio di secondi, ma fu molto imbarazzante. Ed eccitante.
Sentivo le guance bruciare mentre i miei occhi scorrevano distratti lungo la strada, tornando a controllare che nessuno ci vedesse. Seguirono alcuni scatti dell’accendino e la macchina partì qualche secondo più tardi, mentre l’odore del fumo riempiva l’abitacolo.
- Sembri agitata – commentò, una volta che fummo usciti dal parcheggio della scuola. C’era poca circolazione per le strade, e il cielo si stava scurendo.
Sapevo benissimo a cosa si riferiva, e lo sapeva anche lui.
Non risposi.
- Dove andiamo? – domandai invece, dopo essere quasi riuscita a recuperare la calma. Probabilmente avrei fatto meglio a tenere lo sguardo fuori dal finestrino: guardarlo fumare era quasi più spossante che giocare ad una partita di pallacanestro. Ad ogni modo non riuscii a resistere e lo guardai, trovandolo già intento a fare la stessa cosa. Gli sorrisi appena.
- Dovunque tu voglia andare – non tentò neppure di sdrammatizzare la solennità della frase, continuando a fumare.
Ci pensai per qualche istante.
- A casa mia – decretai, prima di poter avere altri ripensamenti. Non ero per niente sicura e probabilmente se ne accorse anche Justin, che mi rivolse uno sguardo un po’ sorpreso.
– A casa tua? –
– Se vuoi – aggiunsi, fingendo di mettermi seduta meglio. Iniziavo ad essere agitata.
- Certo – rispose, ma potevo sentire dalla sua voce che era stupito almeno quanto me.
Per il resto del viaggio non fumò più.
 
 
 
La prima cosa che fece una volta entrato in camera, fu analizzare attentamente ogni cosa visibile.
Mi sedetti sulla scrivania, a disagio nella mia stessa stanza, accarezzando Norberto che continuava a lanciarmi dei miagolii sussurrati per avvertirmi dell’intruso, pensando evidentemente che non fossi abbastanza intelligente per accorgermene.
Dovevo ancora capacitarmi della sua presenza in effetti, e i sensi di colpa per aver saltato la scuola mi stavano assalendo, ma ormai era troppo tardi. Avrei dovuto pensarci prima.
- E questo? – si piegò sulle ginocchia per riuscire a leggere l’inscrizione su un piccolo quadro di velluto nero che avevo lasciato a terra appoggiato al muro.
- Non leggerlo, per favore – mi lamentai.
- Terza edizione del concorso nazionale indetto dall’ufficio di alta matematica – lesse. Nascosi il viso in una mano, sospirando. – Seconda classificata. – Tolse la polvere dalla cornice con un dito – sei un mostro, in poche parole. –
- Non è come sembra, era… molto facile. Erano cose basilari. –
Si voltò verso di me, un sorriso di circostanza sulle labbra, uno di quelli che si fanno quando la mente è già impegnata. Lo guardai curiosa.
- I tuoi genitori devono essere fieri di te – osservò distratto.
- Mia madre – sottolineai – è fiera di me. –
Mi guardò senza proferire parola.
- Mi piace studiare – continuai, spostando il discorso. Norberto scese con un balzo dalla scrivania e uscì dalla stanza. Forse iniziava ad annoiarsi.
- L’avevo intuito – disse Justin rialzandosi, allontanandosi lentamente verso la finestra.
A quel punto era evidente che aveva qualcosa da dire. Restai in silenzio, inclinando appena la testa.
Si appoggiò al muro, tenendo lo sguardo voltato verso le case dall’altra parte della strada. Il cielo si rifletteva nei suoi occhi scuri, rendendoli più chiari.
- Dev’essere questo il motivo per cui non esci con me – dedusse, il tono non abbastanza basso da non essere udito.
A quelle parole sentii una sensazione di freddo lungo la schiena.
– Che intendi dire? – chiesi, quasi obbligata, abbassando lo sguardo dal suo viso al torace, poi alle gambe e infine al pavimento.
C’eravamo.
Scosse la testa senza troppa convinzione, come per cancellare quello che aveva detto. Tornai a fissarlo in silenzio, sapendo che c’era dell’altro.
- Voglio dire – spiegò – è come se tutto stesse finendo un po’ alla volta, no? – infilò le mani in tasca e in quell’istante avrei pagato per sapere il motivo per cui non mi guardava.
– Non eri la ragazza giusta per me, Lily – sentenziò, facendomi quasi crollare il mondo addosso – non ancora ma, sai, avremmo potuto lavorarci. –
Infine si voltò lentamente, trovandomi con un’espressione probabilmente disperata, anche se ancora ferma immobile.
– Tu saresti diventata quella giusta per me, e io avrei fatto lo stesso. Volevo davvero provarci e sentivo che, molto in fondo, anche tu lo volevi. –
Mi sorrise amaramente, e la nostalgia e la mancanza di momenti mai vissuti mi travolsero, opprimendomi.
Sostenni il suo sguardo, non disposta a far finire tutto.
Volevo disperatamente quelle labbra, quel sorriso, volevo essere il centro dell’attenzione di quegli occhi. La consapevolezza di tutto ciò che provavo per lui mi si aprì davanti, ed era come vedere tutto da una prospettiva nuova. Mi resi conto con un nodo alla gola, nel momento in cui se ne stava andando, che lo amavo e che per lui avrei potuto fare ed essere di tutto.
Interruppi il suo monologo con la domanda più scontata e più adatta al momento, sebbene conoscessi già la risposta – perché parli al passato? –
Forse non era ciò che voleva vedere. Ero ancora immobile, con gli angoli della bocca tirati verso il basso come un sorriso fatto nel modo sbagliato, le mani fredde sotto alle cosce e le caviglie intrecciate, e nonostante dentro stessi morendo da fuori sembravo la personificazione del disinteresse. Volevo urlargli che non era così, ma mi precedette.
- Dio, perché sappiamo entrambi quanto tempo ti ho lasciato, piccola –  rabbrividii, chiudendo gli occhi bagnati.
Il mio posto avrebbe dovuto essere tra le sue braccia, in quel momento.
Fece una pausa, per guardare l’effetto delle sue parole su di me. Forse questo era ciò che voleva vedere.
– Ormai non credo ci sia più niente da.. –
Risi, interrompendolo. Non riuscii a guardare la sua espressione perché gli occhi erano serrati e neanche le lacrime potevano scendere, ma la immaginavo bene.
E così, avevo rovinato tutto.
Non ero riuscita a capacitarmi di ciò che avevo tra le mani, neppure l’invidia delle altre ragazze o gli sguardi che, avrei dovuto capirlo, Justin regalava soltanto a me e a nessun’altro erano riusciti a svegliarmi dalla mia apatia. E per colpa della timidezza, o della mia scrupolosità nella scuola, o della paura o di qualsiasi altra fottuta cosa, avevo rovinato tutto.
- È assurdo, non è vero? – sorrisi ancora. Aprii gli occhi, trovandolo nella stessa identica posizione di prima, ma lo sguardo non era più su di me ed era impenetrabilmente teso.
Neppure lui voleva che finisse.
- Perché siamo così diversi e sembra tutto impossibile, ci siamo frequentati per così poco tempo che sappiamo pochissimo l’uno dell’altra ed è solo colpa mia – dissi tutto d’un fiato, rendendomi conto che per la prima volta mi prendevo tanta confidenza nei suoi confronti.
– Non sei il ragazzo che nessuna persona sana di mente immaginerebbe per me, e da fuori è come se non c’entrassimo niente insieme, ma dentro sento che per te.. – non riuscii a proseguire perché mi interruppe a sua volta.
- È quello che sento anche io – mi sorrise, dopo aver capito che provavo la stessa cosa. Passò una mano tra i capelli, abbassando la testa, e quando la rialzò mi sembrò di vedere qualcosa brillare sulla guancia, ma sicuramente mi sbagliavo.
- È come se ti conoscessi così bene e allo stesso tempo non ti conoscessi neanche, riesci a capirmi? – chiese sottovoce. Annuii forte in risposta, passandomi una mano sugli occhi. Capivo perfettamente.
- Ho avuto tante ragazze, credimi, ma non mi è mai capitato di riuscire ad immaginarmi insieme a loro. E anche se la realtà è totalmente diversa, io… abbassò lo sguardo sulla camicia sbottonata – mi piace ciò che potremmo essere insieme...  Ma tu non fai niente per me – concluse. Ci sostenemmo lo sguardo a vicenda; sembrava che i ruoli si fossero invertiti e la sua espressione era leggermente imbarazzata. Stavamo tirando fuori tutti e due quelle emozioni che un mese fa non avrei creduto possibile provare, e il modo in cui ci sentivamo giusti l’uno per l’altra mi riempiva di una felicità stridente con la situazione.
- È la prima volta – gli confessai, come si svela un segreto ad una persona di cui senti di poterti fidare. – È la prima volta in ogni senso e anche se non so come devo comportarmi, io… Voglio che tu stia con me. –
Il mio sguardo era fisso nel suo.
Annuì appena, un sorriso che si allungava sulle sue labbra, e notai gli occhi impercettibilmente arrossati.
- Vieni qui – bisbigliò, e senza neppure accorgermene eravamo già stretti l’uno all’altra, in un abbraccio talmente soffocante da sembrare quasi irreale.
Era forse il primo abbraccio in assoluto.
– Se vuoi ancora provarci, ti insegnerò io – mi baciò i capelli, mentre mi stringevo ancora di più a lui, fermandolo contro il muro.
Annuii, sospirando.
Era difficile credere che fossimo ancora noi due, quelli che fino ad un momento fa chiacchieravano e scherzavano con un muro invisibile alzato tra di loro e ora si ritrovavano stretti l’uno all’altra, le lacrime sul volto e i resti delle barriere spezzate sparsi sul pavimento.
- Mi piace tutto di te – mi sussurrò all’orecchio, stringendomi le mani sui fianchi per avvicinarmi. La voce ora era molto più sicura e la sentivo completamente diversa. Sapeva di sicurezza, e di tranquillità. La adoravo.
Mi sentivo diversa. Mi sentivo emozionata ed eccitata, perché stavo per ricominciare con la persona più giusta e allo stesso tempo più sbagliata.

   
 
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