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Autore: BeautifulMessInside    19/04/2013    6 recensioni
"Non hai paura di morire?" - "Non ho molte ragioni per vivere."
Cara non sarebbe dovuta salire su quell'aereo, non sapendo che Joseph Michaelson, detto il Lupo, sarebbe stato sul suo stesso volo.
Joseph non avrebbe dovuto salvare la ragazza, non sapendo chi lei fosse. Ma Joseph non ha idea di chi sia Cara e lei non può sapere che lui davvero farà il grosso sbaglio di salvarla.
Assassini, famiglie potenti, attrazioni pericolose e segreti nascosti in una storia dove non tutto è come sembra.
Genere: Angst, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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cap8

Vi chiedo sinceramente scusa per il ritardo! Più il mio esame di abilitazione si avvicina, più il mio tempo e le mie risorse mentali scarseggiano! Vi ringrazio tutti per la pazienza e l’attesa... Risponderò ad ogni recensione appena possibile!

A/N In questo capitolo inizio a spiegare il nuovo lato di Cara, ma ovviamente mancano ancora molti pezzi che svelerò di volta in volta. Sono un po’ distratta ultimamente, quindi, se qualcosa non dovesse filare, fatemelo notare! Grazie ancora!

 

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Il cuore gli si fermò nel petto.

Aveva addosso lo sguardo di un killer.

“Chi sei tu?”

Cara inclinò la testa da un lato

“Conosci già il mio nome.”

Cara Phillis. Cara Phillis. Cara Phillis. Joseph lo ripeté un milione di volte nella sua testa. Continuava a non dirgli nulla, non aveva nemici o conoscenti che portassero quel nome, nessuno nella malavita che si chiamasse così. Eppure era certo che la ragazza non avesse mentito.

“Sembri perplesso…”

Riprese lei con tono sarcastico, mettendo giù l’arma per concedersi una postura più comoda.

“…per cui proverò ad aiutarti. Cara è il nome che mio padre mi ha dato, ma gli amici mi chiamano Barbie.”

Joseph la vide muoversi per casa sua come se ci fosse già stata una decina di volte. Barbie. Senza dubbio un nome d’arte azzeccato, ma anch’esso del tutto sconosciuto alle sue orecchie. Chi diavolo era la ragazza? Che cazzo stava succedendo? L’assassino prese a muoversi cercando in ogni modo di tornare in piedi. Chiunque fosse quella specie di automa ricondizionato, di certo non si trattava di un’amica ed il groviglio di domande che rapidamente gli stavano intasando il cervello avrebbero atteso per una risposta. Controllo e difesa prima di tutto.

Cara riapparve con la corda in mano, la stessa che Joseph aveva usato con lei. L’assassino tese i muscoli delle braccia. Non amava particolarmente l’idea di picchiare a sangue una donna, ma come si dice, a mali estremi estremi rimedi.

Barbie, se quello era il suo altro nome, si avvicinò di nuovo al cadavere della sua seconda vittima

“Odio i sovietici. Sono così pieni di sé. E per quale motivi poi? Solamente perché bevono fiumi di vodka e riescono comunque ad eseguire un perfetto triplo axel?”

Joseph ne seguì i movimenti senza tener conto del suo sparlare. Cara si abbassò piano e tastò le tasche del defunto

“Ma bisogna dargliene atto…”

Riprese, tirando fuori un’altra siringa, perfettamente identica a quella già svuotata dal russo nelle vene del Lupo.

“…Sono sempre previdenti.”

“No.”

Intimò Joseph, sperando in qualche modo di bloccare le sue evidenti intenzioni. Cara gli sfilò attorno, prima sbattendo delicatamente la punta dell’indice sulla siringa e poi lasciando uscire dall’ago metà del contenuto. Non voleva stenderlo dopotutto, voleva solo tenerlo buono per un altro po’.

Lui prese a respirare affannosamente, quella mancanza di controllo era la peggior tortura che avesse mai subito. Poteva usare le mani, ma non poteva alzarsi ed i suoi muscoli erano ancora troppo intorpiditi per poter contare sui riflessi. Fece per lasciarsi cadere da un lato e sollevare il gomito, ma Cara non si scompose, del resto non mirava al suo collo, bensì alle gambe. Da dietro, con un rapido gesto, gli piantò l’ago nella coscia destra.

Joseph strinse i denti ignorando il dolore, approfittando della vicinanza per afferrare i capelli della ragazza ed immobilizzarla a pochi centimetri dalla sua faccia. Cara sorrise trovandosi così vicina a lui. Era solo questione di attimi, non poteva farle niente. Quasi subito la presa del Lupo iniziò ad allentarsi e lei concluse la manovra storcendogli il polso con uno scatto brusco. Joseph trattenne a stento un lamento e tornò a guardarsi di fronte.

“Bene.”

Mugugnò lei passandogli la corda attorno a polsi e caviglie, realizzando due grossi nodi a prova di Houdini. Soddisfatta della sua opera, tornò a guardare Joseph negli occhi, completamente affascinata e galvanizzata dalla sua candida confusione.

“Non hai ancora capito vero?”

Lui non si mosse. Lei accennò un sorriso

“Ti darò un altro indizio allora…”

Inspirò profondamente con una strana espressione in volto, come se allo stesso tempo stesse per svelare il quarto segreto di Fatima ed annunciare il vincitore dell’oscar per il miglior attore protagonista.

“…Mancini…”

Si spinse avanti quasi fino a poggiare la fronte su quella di lui

“...Merli mancini.”

Joseph spalancò gli occhi facendo appello a qualsiasi briciolo di energia rimasta pur di muoversi. Mancini, la Compagnia dei Merli Mancini. La peggior cosa che potesse capitargli.

Se si dovesse fare una lista dei nemici dei Michaelson bhé, senza dubbio l’elenco sarebbe lungo. Tuttavia, laddove si dovesse assegnare un premio per il più subdolo e pericoloso, il vincitore sarebbe senza dubbio Robert Mancini.

Ultimo membro di una lunga dinastia di mafiosi italo-americani, Robert era stato espulso dalla sua stessa famiglia per, come lo si potrebbe definire, eccesso di zelo forse? La sua infinita sete di potere e totale irrispetto delle regole, lo avevano visto impersonare perfettamente la cacciata di lucifero dal paradiso. Al pari del diavolo stesso infatti, Robert aveva deciso di fondare la sua personale organizzazione di killer professionisti, la “Compagnia dei Merli Mancini” per l’appunto.

Joseph scosse nervosamente la testa. Non aveva comunque senso. Anche i Michaelson, come chiunque altro avesse un po’ di buon senso, evitavano accuratamente di pestare i piedi a Mancini. Perché mai mandare uno dei suoi sicari per ucciderlo? E questa ragazza poi? Chi diavolo era Cara Phillis? Joseph conosceva a memoria tutti i volti della compagnia e la ragazzina dell’aereo di certo non ne faceva parte.

Cara si tirò su e tornò a girovagare per la stanza, stavolta diretta verso la giacca dell’assassino appesa all’entrata. Ne tirò fuori pacchetto ed accendino. Accese una delle sigarette e tirò una lunga, piacevole boccata.

Il fumo le uscì di bocca in un sinuoso intreccio grigiastro

“Aww.. Quanto mi mancava.”

Di nuovo si riempì i polmoni di catrame e nicotina

“Mi spiace propormi così. Secondo il piano avrei dovuto aspettare che ti fidassi di me abbastanza da presentarmi i tuoi, ma devo ammetterlo…”

Stirò i muscoli del collo ruotando lentamente la testa e portando i lunghi capelli sulla spalla sinistra

“…tutti quei sospiri, quelle lagne, ‘no, ti prego Joseph fermati’.. Iniziava a diventare davvero frustrante.”

Concluse mimando ed enfatizzando un’espressione disperata. L’assassino digrignò i denti, la vista era quasi annebbiata ed il suo cervello faceva fatica a seguire il nesso logico delle sue parole. Lei sorrise

“Almeno ho raggiunto lo scopo.”

“Quale scopo?”

Cara si avvicinò stringendo la sigaretta accesa tra indice e medio, curvò la schiena fino alla sua altezza e gli roteò l’indice libero davanti agli occhi

“Entrarti nella testa.”

Gli poggiò il polpastrello freddo sulla fronte mentre lui fremeva, mosso dal barbarico istinto di uscire dalle proprie inutili membra. Gli uscì di bocca una specie di grugnito

“No.”

“No?”

Cara si avvicinò ancora, sfiorandogli la tempia col naso e l’orecchio con le labbra, lasciando una seducente scia di respiro al tabacco

“Un altro paio di giorni insieme e scommetto che avresti anche ucciso per me.”

Joseph scansò la testa il più lontano possibile e strinse i denti. Lei si tirò su buttando la cicca sul pavimento

“Non sentirti in imbarazzo adesso, è esattamente così che sarebbe dovuta andare…”

La schiacciò

“…D’altra parte, ero la stella della classe di recitazione qualche anno fa sai? Certo non pensavo che il mio talento potesse tornare utile in così tanti modi.”

L’assassino strattonò le corde con tutta la forza possibile

“Che cosa vuoi?!”

Sbottò. Il viso angelico di Cara divenne duro come la pietra

“Tuo padre.”

Rispose guardandolo dritto negli occhi

“Lui mi ha tolto qualcosa anni fa e adesso io mi prenderò quel che ha di più prezioso…”

La sua espressione di sciolse in un misto di fascino ed eccitazione

“…Suo figlio.”

Inaspettatamente Joseph sbuffò l’accenno di un sorriso e sollevò il mento nella sua direzione

“Se è a lui che vuoi fare un dispetto, hai preso il figlio sbagliato.”

Barbie sollevò un sopracciglio, genuinamente incuriosita dalle parole di lui. Gli si avvicinò di nuovo

“Che vuoi dire?”

L’assassino cercò di stringere i pugni, bloccato in una sorta di scontro tra incudine e martello. Il suo cognome era la cosa più importante che avesse, ma allo stesso tempo l’idea di poterlo rigettare era un sollievo infinito, una specie di via di fuga sempre aperta che, tuttavia, amava attraversare esclusivamente in solitudine. In quella bizzarra situazione avrebbe finito per rivelarsi un’arma a suo vantaggio.

“Non sono suo figlio…”

Rivelò, lasciando trasparire un’ombra di orgoglio. Odiava William.

“…Non biologicamente almeno.”

Cara sollevò le ciglia. Wow, una rivelazione degna della soap-opera più kitch. In quel momento osservò i lineamenti del lupo ancora una volta con più attenzione, lasciando scorrere la punta delle dita sui suoi zigomi e sulle sue labbra piene, così diversi da quelli degli altri Michaelson.

“Mmm…”

Mugugnò mentre lui cercava di ritrarsi, quasi le sue mani fossero acido muriatico

“…Questo spiega gli insoliti tratti svedesi.”

Si tirò indietro di colpo, mettendosi a camminare su e giù per la stanza e giocherellando con le dita

“Facciamo un riassunto allora…”

Le sue labbra erano protratte in una sorta di broncio, quasi dovesse realmente concentrarsi

“Tuo padre è un mostro… Tu sei un bastardo… E tua madre era una puttana.”

Joseph saltò sul divano come se gli avessero conficcato uno spillo aguzzo nella carne

“Non osare nominare mia madre!”

Urlò, lasciandola sconvolta per un breve secondo

“Hey, quanta foga!”

Tornò accanto a lui e riuscì a stringergli il viso tra le mani

“Non preoccuparti. Potrai non essere utile come speravo, ma per fortuna abbiamo già anche il fratello numero tre.”

Sorrise di gusto mentre lui si dimenava

“Dov’è Nathaniel??”

Cara inspirò profondamente e mollò la presa spingendolo con poca grazia contro lo schienale del divano

“Temo che la tua domanda debba aspettare…”

Si diede un’occhiata passando i palmi sulle macchie di sangue già rappreso

“…Ho bisogno di una doccia.”

 

 

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Nate sputacchiò cercando di riprendere respiro. Le ultime due ore della sua vita le aveva passate con un cappuccio nero in testa, perdendo completamente il senso dello spazio. Sforzando le retine per mettere a fuoco il prima possibile, si vide in una stanza vuota con le pareti di mattoni, i polsi legati ed il viso dolorante per le percosse. L’odore umidiccio di muffa e polvere era quasi insopportabile.

“Una vera topaia, non credi?”

Quella voce profonda, dal tono irrimediabilmente sarcastico, lo colpì come una doccia fredda. Niente russi, tuttavia nessun sollievo, anzi.

“Il posto perfetto per un verme come te.”

Aggiunse la voce, girando piano in circolo fino a pararglisi di fronte. Nathaniel contorse le labbra e tese il collo. Avrebbe davvero preferito essere col sanguinario Vladimijr Pushkin.

Incarnato pallido, ma perfetto, capelli scompigliati color ebano e grandi occhi verde bottiglia, il tutto inscatolato su un fisico esile, tuttavia solido come il marmo. Ghigno da duro e chiodo di pelle. In due sole parole Morgan Pryce, il gemello terribile.

“Dov’è la tua brutta copia?”

Esordì Nate, lasciando scontrare la sua fastidiosa sicurezza contro quella del nemico.

“Aveva delle commissioni da fare, ma non preoccuparti Michaelson, sono sicuro che riusciremo a divertirci anche da soli.”

Nathaniel buttò indietro la testa, già esasperato nel vederlo indossare il pugno di ferro. La sua faccia perfetta, merito di madre natura, della settimanale maschera al polline egiziano e due iniezioni di costoso filler biologico, stava per dirgli addio.

Morgan Pryce del resto, era ben famoso per i suoi modi poco delicati e per il sarcasmo congenito, unico tratto, assieme al taglio di capelli, che lo rendeva distinguibile da Little K, suo fratello gemello. L’ultima volta che Nate si era trovato faccia a faccia con i Pryce, circa cinque anni prima, il tutto era finito in una mega rissa per via di un’auto distrutta. La preziosa Mercury Comet del ’65 con i sedili in pelle rossa che Nate e un altro idiota avevano deciso di rubare. Pessima idea. Joseph era intervenuto in suo aiuto come sempre, ma se non fosse stato per l’intervento delle guardie di William, molto probabilmente i gemelli pazzi avrebbero avuto la meglio.

“Ancora per la storia della macchina? Dopo cinque anni? Andiamo amico, fatti una vita!”

Morgan interruppe la discesa del suo gancio destro

“Giusto. Mi hai appena ricordato che dovrei massacrarti anche per quello. Amico.”

E detto ciò gli sparò in faccia le nocche tese, squarciando la pelle come fosse carta. Nate non trattenne la sua protesta, sentendo il sangue scorrergli fino alle labbra, tuttavia smise di preoccuparsi per il conto del chirurgo plastico ed accese il cervello

“Anche per quello?”

Ripeté le parole del gemello

“Perché sono qui?”

Morgan sfoderò un sorriso obliquo

“Perché sei un idiota, incapace, senza spina dorsale. Ma a parte questo non è stata una mia iniziativa.”

“E di chi allora?”

Il gemello premette i polpastrelli sullo zigomo ferito di Nathaniel, godendo del suo tentativo di mascherare il dolore pungente

“Ti dice niente il nome Mancini?”

Nate spalancò gli occhi facendo del suo meglio per venir fuori dalla presa di Morgan. Bastava quella parola per capire che era finito in guai ben più grossi del previsto.

“Sei uno dei merli adesso?”

Domandò cercando di mantenere un’apparenza più rilassata possibile. Non voleva davvero dargli la soddisfazione di riconoscere il suo immenso vantaggio nell’essere parte della compagnia.

Morgan sorrise ancora

“Cosa credevi? Che il mio talento sarebbe andato sprecato ancora per molto?”

Guardando il nemico brillare di luce propria mentre vantava la nuova posizione, Nate si dette il tempo di respirare e valutare la situazione. Robert Mancini ed i suoi merli erano i più temibili antagonisti che si potesse incontrare, crudeli, decisi, senza scrupolo alcuno. Del resto, tutta l’organizzazione basava proprio su tali principi e dalla mancanza di vincoli traeva la forza. Dopo essere stato rigettato dalla sua stessa famiglia, Robert aveva infatti rivalutato totalmente il valore dei legami di sangue, trovando nel loro esatto opposto una formidabile risorsa. Mentre i Michaelson poggiavano il loro impero proprio sulla condivisione del dna, i merli ingaggiati da Mancini non avevano nulla in comune se non le doti criminali e la gran sete di riscatto. Tutti raccolti negli orfanotrofi, nei riformatori o perfino in strada, i suoi ragazzi creavano un perfetto sistema di isole indipendenti. Letali nel lavoro di squadra, erano in grado di esprimere il loro pieno potenziale esclusivamente in solitaria, totalmente spogliati della necessità di rispettare o difendere qualcun altro. I merli non avevano limiti o regole, ciò li rendeva pressoché imbattibili.

“E che mi dici di Little K, fa anche lui parte della squadra?”

“Ovvio.”

Ottimo, pensò Nathaniel, se non altro poteva ancora contare su un punto debole.

“E non è contro le regole?”

Cercò di indagare, ma Morgan parve presto indispettito dalle sue domande. Si rivestì della sua glaciale perfezione e riportò l’attenzione sul suo ostaggio, massaggiando la mano in prospettiva di un nuovo pugno

“Non ci provare Michaelson. Sai bene che ucciderei anche lui se fosse necessario.”

Nate chiuse gli occhi per un secondo. Morgan era un osso duro, troppo duro. Per capire le motivazioni di una simile personalità antisociale avrebbe dovuto conoscere meglio la storia dei gemelli, ma tutto ciò che sapeva è che i due erano venuti fuori dall’orfanotrofio verso gli undici anni, affidati ad una famiglia da cui erano fuggiti qualche anno più tardi. Da quel momento in poi poteva solo supporre che l’istinto di sopravvivenza avesse loro insegnato tutto ciò che sapevano. Certo, doveva essere stata davvero una vita di merda per ridurli così.

“Che cosa vuoi da me?”

Decise allora di mirare dritto al punto. Morgan si attaccò ad una bottiglia di birra che Nathaniel non aveva notato fino a quel momento. Dio se aveva sete.

“Voglio solo che tu mi faccia un po’ di compagnia…”

Suonò angelico dopo la sua serie di sorsi

“…Almeno finché non arriveranno gli altri.”

Nate sentì la pelle d’oca sulle braccia. La faccenda andava complicandosi. Chi sarebbe dovuto arrivare? Little K? Un’intera squadra di torturatori? Mancini in persona?

“Chi?”

Domandò con la gola già secca. Il gemello sorrise di gusto ancora una volta

“Oh, non temere Michaelson, conosci già tutti gli invitati a questa festa.”

 

 

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“Sta succedendo qualcosa padre.”

Esordì Elia dopo essere piombato nello studio del padre, la sua impeccabile apparenza segnata da un velo di agitazione. William girò sulla sua sedia di pelle e sorseggiò il suo whiskey.

“Vladimjir se n’è appena andato. Temo sia più che consapevole delle nostre menzogne.”

“Appunto…”

Elia avanzò dopo aver sbottonato l’unico bottone della giacca

“…Joseph e Nathaniel non rispondono alle mie chiamate. Dovrebbero essere fuori città ormai.”

William senior abbassò le palpebre scuotendo lentamente il capo. L’incompetenza dei suoi figli minori era come sempre fastidiosa.

“Credi abbiano avuto problemi?”

“Temo di sì padre.”

Lui non parve scosso né preoccupato, ancora una volta si bagnò le labbra perdendosi nei propri pensieri. Mosse la sedia e contemplò una foto della sua famiglia appesa al muro. In perfetta armonia di altezze e proporzioni, il capofamiglia sedeva al centro, con accanto la sua signora, avvolta in una camicia di seta bianca, i lunghi capelli ramati raccolti in uno chignon perfetto. Attorno a loro i quattro ragazzi, impeccabili nei loro abiti puliti. Quell’immagine esprimeva a pieno l’ordine e la gerarchia della famiglia.

“Le donne sono creature semplici figlio mio…”

Elia raggiunse con gli occhi il punto d’attenzione del padre, cercando di star dietro al suo repentino cambio d’argomento

“…Vogliono essere conquistate. Vogliono essere possedute, tenute a freno dai loro uomini…”

Elia fece per rispondere, ma si fermò, finalmente in grado di capire a cosa sua padre stesse riferendosi. Katrina.

“…Tuttavia figliolo, hanno bisogno di illudersi di poter prendere le loro decisioni. Necessitano di essere soddisfatte nelle loro velleità…”

Lanciò un’occhiata al suo secondogenito

“…Dentro e fuori dalle lenzuola.”

Elia distolse d’istinto lo sguardo. Da ormai due anni, ogni notte, si interrogava sui propri errori e tanto bastava, di certo non aveva bisogno che suo padre fra tutti lo accusasse di aver mancato. Fortunatamente William parve reimmergersi nei propri ricordi

“Anche tua madre era così…”

Sospirò

“…Timida e delicata all’apparenza, ma selvaggia come una tigre. Avrei dovuto costruirle una gabbia molto più grande.”

Si perse nella propria metafora, spandendo sale sulla ferita del tradimento subito. Come aveva osato? Portare in casa sua il bastardo di un altro… Sperando per giunta che non se ne accorgesse. Elia ne approfittò per tirarsi fuori

“Perdonami padre, ma credo di dovermi occupare di un altro problema adesso.”

“I tuoi fratelli?”

Elia annuì.

“Cosa intendi fare?”

“Andrò al vecchio hotel e all’appartamento di Joseph. Voglio controllare che tutto sia andato come previsto.”

Il Michaelson più anziano rispose con un gesto di assenso

“Occhi aperti William. Occhi aperti.”

Elia voltò lentamente le spalle e lasciò lo studio. Odiava sentirsi chiamare col proprio nome di battesimo. Odiava essere una semplice copia dell’originale.     

 

 

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Cara venne fuori dal bagno avvolta in un morbido e profumato asciugamano azzurro, seguita da una nuvola di vapore al sandalo indiano. Joseph drizzò muscoli e orecchie sentendola arrivare. Durante l’ultima mezz’ora aveva sforzato le sue cellule celebrali per ricordare quel nome, ma la sua ricerca non aveva dato frutti. Barbie doveva essere un nuovo acquisto della compagnia e lui non aveva idea del perché volesse tanto arrivare a suo padre.

La ragazza gli si parò davanti esaminando attentamente uno dei flaconi che aveva scovato in bagno.

“Dovresti usare un vero idratante. Questa roba è una schifezza per la pelle.”

Joseph sospirò esasperato. Non ricordava minimante come quel cosmetico da donna fosse finito a casa sua e soprattutto, non poteva fregargliene di meno. Cara strizzò la confezione e prese a spalmarsi il fluido bianco sulle gambe con pigri movimenti circolari, quasi stesse improvvisando uno spettacolino sexy. L’assassino sbuffò nervosamente ancora una volta.

“Che c’è?”

Domandò lei innocentemente, sollevando l’asciugamano per stendere la crema sulle cosce.

“Ti piace quello che vedi, non è forse vero?”

Joseph girò gli occhi all’altro lato della stanza, determinato a mantenere la concentrazione. Essere stato ingannato era già abbastanza fastidioso, non c’era bisogno che “Barbie” glielo sbattesse in faccia, tanto meno che le curve del suo candido corpo lo distogliessero dai suoi pensieri, primo fra tutti l’incolumità di Nathaniel.

“Guardami.”

Ordinò lei, ma il lupo non si mosse. Cara allora lo raggiunse e sollevò il piede nudo sul divano, lasciando che un solo angolo di tessuto coprisse l’ultimo spazio tra le sue gambe. Riprese ad accarezzarsi cercando di far assorbire la lozione e piegare la sua resistenza.

“Mi è piaciuto sai? Fare sesso con te.”

Joseph vacillò, preso dal ricordo del loro amplesso e dal profumo del suo doccia schiuma addosso alla ragazza dell’aereo.

“Avrei voluto urlare… Chiederti di spingere più forte.”

Riprese lei con tono seducente e finalmente lui si voltò, risalendo con gli occhi la linea della sua gamba scoperta fin su alle spalle ed al suo viso pulito. Erano state l’ingenuità e la sua infantile ed indifesa innocenza ad attrarlo, entrambe totalmente sparite, ciononostante quell’espressione decisa ed il broncio da poco di buono solleticavano i suoi ormoni. Se la vecchia pudica ragazzina dell’aereo aveva acceso le sue fantasie erotiche, questa nuova versione, malvagia e lasciva, avrebbe meritato i suoi più oscuri, perversi e sadici desideri sessuali. Peccato avere le mani legate e cose più importanti a cui pensare.

“Dov’è Nathaniel?”

“In buone mani.”

Si limitò a rispondere lei chiudendo il flacone.

“Se gli fate qualcosa giuro che…”

“Cosa?”

Lui digrignò i denti

“Ti faccio a pezzi.”

Cara sollevò le spalle allontanandosi dal divano

“Ho già sentito questa minaccia decine di volte. Non hai nulla di meglio?”

Se ne stette immobile al centro del soggiorno per una manciata di secondi poi lasciò cadere l’asciugamano, mostrando a Joseph la schiena nuda e la perfetta rotondità delle sue natiche. L’assassino dovette guardare per forza, sorpreso e allo stesso tempo colpito dal piccolo dettaglio di un tatuaggio a forma di M sotto la sua scapola sinistra. Aveva il marchio, era davvero una dei Merli.

Cara gli lanciò un’occhiata voltando il collo

“E’ possibile che tu abbia dei vestiti da donna decenti qui?”

Joseph non rispose nemmeno

Lei sospirò sollevando le spalle e sparì nell’altra stanza. Tornò da lui una manciata di minuti più tardi. L’armadio dell’assassino era privo di vestiti femminili, per cui aveva arrangiato una delle sue camicie come fosse un mini dress, tenendo sotto nulla più che una t-shirt scura. L’assassino ne accarezzò con gli occhi le gambe nude, inevitabilmente scoperte fin più su di metà coscia. I suoi vestiti addosso ad una donna. Era una novità. Una piacevole novità, se non fosse che la donna in questione era uno dei merli e non vedeva l’ora di strappargli il cuore dal petto.

“Dimmi chi sei e cos’hai fatto a Nathaniel.”

Ordinò secco.

“Una cosa per volta. Nathaniel è con un mio amico, ma non preoccuparti, presto lo raggiungerai anche tu.”

Apostrofò lei puntandogli l’indice e la vista addosso.

L’assassino rispose allo sguardo reggendo i suoi occhi con tutta la decisione possibile. Non vi era più timore in quelli di lei. Nessuna emozione riconoscibile, se non un profondo stato di eccitazione, fosse per la sua nuova posizione di comando, fosse per il piano diabolico che aveva in mente. Se solo avesse potuto allungare le mani le avrebbe strappato quell’espressione compiaciuta dalla faccia, rimettendola al suo posto in men che non si dica.

“Chi sei tu?”

Scandì ed ottenne uno sbuffo in risposta

“Sei ripetitivo.”

“Conosco quelli della compagnia. Tu non sei mai stata con loro.”

“Sbagliato. Innanzitutto non conosci affatto tutti i merli e, secondo, io sono una di loro, da nove anni ormai, il che prova ancora una volta che tu non sai niente sulla compagnia.”

Joseph digrignò i denti. Se la ragazza aveva ragione, i suoi problemi sarebbero diventati ancor più complessi.

“Vediamo…”

Barbie afferrò una sedia e si accomodò dritta di fronte al suo ostaggio

“L’incendio che ha distrutto “La Salle de Paris” di New York due anni fa. Ti dice niente?”

Lui non si scompose. Non era solito seguire la cronaca locale, tantomeno gli affari della microcriminalità della grande mela.

Cara si leccò le labbra

“Forse questo lo ricordi. Gordon Craven, della Craven Enterprise. Trovato carbonizzato nella sua Ferrari dopo un terribile incidente d’auto. Credo fosse amico del tuo caro paparino.”

Craven Enterprise, il nome non gli era nuovo. William aveva prestato una grossa somma al capo, un’operazione di Import-Export che avrebbe dovuto fruttare milioni e si era invece rivelata una completa fregatura. L’idiota in questione si era schiantato contro un palo della luce prima che i sicari di suo padre potessero fargliela pagare.

Cara colse il bagliore di consapevolezza negli occhi di lui e sorrise appena

“Opera mia.”

Joseph la guardò stupito, lei riprese

“E te ne dirò anche un’altra. Ti ricordi di Coleman e Brian?”

Coleman e Brian. Esecutori materiali delle sentenze di William, il primo trovato morto con un colpo in mezzo agli occhi, il secondo sparito nel nulla.

“Sono stata io.”

L’assassino aggrottò le sopracciglia

“Perché?”

Cara spostò lo sguardo. La scena era ancora chiara nella sua mente. I loro completi scuri freschi di tintoria, l’indifferenza dei loro occhi, le mani di Brian addosso a sua madre, gli spari secchi. Il tonfo sordo.

Tentò di ricomporre la propria gelida figura

“Come se ti importasse. A te non importa di nulla. Tu sei come lui…”

Di nuovo gli arrivò vicina, prendendogli il viso nella mano e stringendo con forza

“…E come lui meriti di soffrire.”

Joseph si tese nella sua presa, scavandone lo sguardo alla ricerca di un indizio qualsiasi. La ragazza aveva dentro rabbia e dolore, rimorso e sofferenza. Qualunque motivo l’avesse spinta ad unirsi ai merli, l’organizzazione non era ancora riuscita a succhiare tutta la sua umanità. Quel turbine di emozioni era il punto debole che lui avrebbe dovuto colpire.

“Che cosa ti ha fatto mio padre?”

Lei si staccò, improvvisamente infastidita

“E tu perché lo chiami padre?”

Bella domanda.

Cara si strinse nella camicia che sapeva di lui e mosse qualche passo nella stanza, ritrovando pian piano la sua facciata impassibile. Gran parte di lei fremeva dalla voglia di vomitare addosso a Joseph tutto l’odio che le bruciava dentro, ma la metà più razionale sapeva di non dover scoprire troppe carte. Non ancora almeno.

Gli lanciò un’occhiata micidiale

“Ucciderò te, tuo padre e i tuoi fratelli. Questo è tutto ciò che devi sapere.”

Prese a muoversi verso l’altra stanza, ma la voce di Joseph la bloccò

“Avete preso me e Nate è vero, ma Elia è un’altra storia. Non riuscirete mai a prendere anche lui.”

Cara indugiò appena. E’ vero, Elia era di certo il più difficile dei tre, molto più brutale ed intelligente dal vivo piuttosto che nei dossier. Tuttavia…

Voltò la testa sulla spalla destra, schiudendo le labbra in un mezzo sorriso seducente

“Non preoccuparti. Ho un’arma segreta riposta per lui.”

Joseph rimase a fissare il punto in cui lei era sparita, rimuginando in silenzio sulla situazione. Elia era più furbo di tutti loro messi insieme, qualunque fosse il tranello non avrebbe abboccato, ne era sicuro.

Bussarono alla porta.

Joseph si irrigidì, pressoché certo che si trattasse proprio del fratello giunto in suo soccorso. La ragazzina, merlo o meno, non avrebbe avuto chances.

I colpi alla porta di ripeterono, cadenzati e ritmati così da comporre una specie di melodia. Cara tornò in soggiorno, si riempì i polmoni passando le mani tra i capelli e studiando attentamente la sua figura allo specchio. Quella specie di musichetta ed il sorriso di Cara spensero in Joseph qualsiasi entusiasmo.

“La nostra limousine è qui.”

Scherzò lei.

Non appena la porta di aprì, il tizio sulla soglia venne dentro con passi fluenti. Pelle chiara, capelli d’ebano tenuti su dal gel, grandi occhi color verde bottiglia. L’assassino imprecò contro il cielo, l’ultimo tassello da aggiungere alla lista delle sue disgrazie. Little K. L’altro gemello Pryce.

Il nuovo arrivato si guardò attorno brevemente, poi rivolse gli occhi a Cara. Il suo sguardo la analizzò da capo a piedi

“Hai un aspetto orribile.”

Sentenziò, ma in risposta non ottenne altro che un grosso sorriso. Cara gli si buttò letteralmente addosso e le loro bocche si fusero in un lungo bacio tutt’altro che romantico. Joseph riuscì a cogliere chiaramente l’intreccio delle loro lingue, così come le mani di lui ficcate sotto l’orlo della sua camicia. Quella scena gli chiuse lo stomaco. La sua ragazzina dell’aereo… Quella era tutt’altro che una ragazzina innocente e, soprattutto, era chiaro quanto non fosse sua. Che idiota.

Spostò gli occhi e si sforzò di pensare. Perché Little K era lì? Era anche lui uno dei merli? E Morgan allora? Se i gemelli erano immischiati nella faccenda forse c’era davvero qualcosa di cui preoccuparsi.

L’ombra di Little K su di lui lo riportò al presente. Il suo sorrisetto, in perfetta stonatura con l’aria da bravo ragazzo, gli tese ancor più i nervi. Odiava i gemelli Pryce, così come si odia una scheggia di legno conficcata nel dito. Detestava le loro facce pulite e non sopportava non sapere per cosa stesse quella stupida K. Nessuno lo sapeva.

“Andiamo amico…”

Esordì il gemello

“…Il tuo caro fratellino ci attende alla festa.”

Ad un suo schiocco di dita due possenti energumeni entrarono in casa sua e lo sollevarono di peso, trascinando i suoi piedi molli fuori dal portone. Dietro di lui Cara e Little K, probabilmente di nuovo avvinghiati come piovre in amore.

“Hai lasciato l’invito per Elia?”

Domandò lui a Barbie, continuando a tenere in piedi la metafora celebrativa. Lei si arrotolò una ciocca di capelli attorno al dito, fiera ed impaziente

“Certo. L’invito lo attende… In carne ed ossa.”

   

 

 

 

 

 

  
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