Vi chiedo sinceramente scusa
per il ritardo! Più il mio esame di abilitazione si avvicina, più il mio tempo
e le mie risorse mentali scarseggiano! Vi ringrazio tutti per la pazienza e l’attesa...
Risponderò ad ogni recensione appena possibile!
A/N In questo capitolo
inizio a spiegare il nuovo lato di Cara, ma ovviamente mancano ancora molti
pezzi che svelerò di volta in volta. Sono un po’ distratta ultimamente, quindi,
se qualcosa non dovesse filare, fatemelo notare! Grazie ancora!
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Il cuore gli si fermò nel
petto.
Aveva addosso lo sguardo di
un killer.
“Chi sei tu?”
Cara inclinò la testa da un
lato
“Conosci già il mio nome.”
Cara Phillis. Cara Phillis. Cara Phillis. Joseph
lo ripeté un milione di volte nella sua testa. Continuava a non dirgli nulla,
non aveva nemici o conoscenti che portassero quel nome, nessuno nella malavita
che si chiamasse così. Eppure era certo che la ragazza non avesse mentito.
“Sembri perplesso…”
Riprese lei con tono
sarcastico, mettendo giù l’arma per concedersi una postura più comoda.
“…per cui proverò ad
aiutarti. Cara è il nome che mio padre mi ha dato, ma gli amici mi chiamano
Barbie.”
Joseph la vide muoversi per
casa sua come se ci fosse già stata una decina di volte. Barbie. Senza dubbio
un nome d’arte azzeccato, ma anch’esso del tutto sconosciuto alle sue orecchie.
Chi diavolo era la ragazza? Che cazzo stava succedendo? L’assassino prese a
muoversi cercando in ogni modo di tornare in piedi. Chiunque fosse quella
specie di automa ricondizionato, di certo non si trattava di un’amica ed il
groviglio di domande che rapidamente gli stavano intasando il cervello
avrebbero atteso per una risposta. Controllo e difesa prima di tutto.
Cara riapparve con la corda
in mano, la stessa che Joseph aveva usato con lei. L’assassino tese i muscoli
delle braccia. Non amava particolarmente l’idea di picchiare a sangue una
donna, ma come si dice, a mali estremi estremi rimedi.
Barbie, se quello era il suo
altro nome, si avvicinò di nuovo al cadavere della sua seconda vittima
“Odio i sovietici. Sono così
pieni di sé. E per quale motivi poi? Solamente perché bevono fiumi di vodka e
riescono comunque ad eseguire un perfetto triplo axel?”
Joseph ne seguì i movimenti
senza tener conto del suo sparlare. Cara si abbassò piano e tastò le tasche del
defunto
“Ma bisogna dargliene atto…”
Riprese, tirando fuori
un’altra siringa, perfettamente identica a quella già svuotata dal russo nelle
vene del Lupo.
“…Sono sempre previdenti.”
“No.”
Intimò Joseph, sperando in
qualche modo di bloccare le sue evidenti intenzioni. Cara gli sfilò attorno,
prima sbattendo delicatamente la punta dell’indice sulla siringa e poi
lasciando uscire dall’ago metà del contenuto. Non voleva stenderlo dopotutto,
voleva solo tenerlo buono per un altro po’.
Lui prese a respirare
affannosamente, quella mancanza di controllo era la peggior tortura che avesse
mai subito. Poteva usare le mani, ma non poteva alzarsi ed i suoi muscoli erano
ancora troppo intorpiditi per poter contare sui riflessi. Fece per lasciarsi
cadere da un lato e sollevare il gomito, ma Cara non si scompose, del resto non
mirava al suo collo, bensì alle gambe. Da dietro, con un rapido gesto, gli
piantò l’ago nella coscia destra.
Joseph strinse i denti
ignorando il dolore, approfittando della vicinanza per afferrare i capelli
della ragazza ed immobilizzarla a pochi centimetri dalla sua faccia. Cara
sorrise trovandosi così vicina a lui. Era solo questione di attimi, non poteva
farle niente. Quasi subito la presa del Lupo iniziò ad allentarsi e lei
concluse la manovra storcendogli il polso con uno scatto brusco. Joseph
trattenne a stento un lamento e tornò a guardarsi di fronte.
“Bene.”
Mugugnò lei passandogli la
corda attorno a polsi e caviglie, realizzando due grossi nodi a prova di
Houdini. Soddisfatta della sua opera, tornò a guardare Joseph negli occhi,
completamente affascinata e galvanizzata dalla sua candida confusione.
“Non hai ancora capito
vero?”
Lui non si mosse. Lei
accennò un sorriso
“Ti darò un altro indizio
allora…”
Inspirò profondamente con
una strana espressione in volto, come se allo stesso tempo stesse per svelare
il quarto segreto di Fatima ed annunciare il vincitore dell’oscar per il
miglior attore protagonista.
“…Mancini…”
Si spinse avanti quasi fino
a poggiare la fronte su quella di lui
“...Merli mancini.”
Joseph spalancò gli occhi
facendo appello a qualsiasi briciolo di energia rimasta pur di muoversi.
Mancini, la Compagnia dei Merli Mancini. La peggior cosa che potesse
capitargli.
Se si dovesse fare una lista
dei nemici dei Michaelson bhé, senza dubbio l’elenco sarebbe lungo. Tuttavia,
laddove si dovesse assegnare un premio per il più subdolo e pericoloso, il
vincitore sarebbe senza dubbio Robert Mancini.
Ultimo membro di una lunga
dinastia di mafiosi italo-americani, Robert era stato espulso dalla sua stessa
famiglia per, come lo si potrebbe definire, eccesso di zelo forse? La sua
infinita sete di potere e totale irrispetto delle regole, lo avevano visto
impersonare perfettamente la cacciata di lucifero dal paradiso. Al pari del
diavolo stesso infatti, Robert aveva deciso di fondare la sua personale
organizzazione di killer professionisti, la “Compagnia dei Merli Mancini” per
l’appunto.
Joseph scosse nervosamente
la testa. Non aveva comunque senso. Anche i Michaelson, come chiunque altro
avesse un po’ di buon senso, evitavano accuratamente di pestare i piedi a
Mancini. Perché mai mandare uno dei suoi sicari per ucciderlo? E questa ragazza
poi? Chi diavolo era Cara Phillis? Joseph conosceva a memoria tutti i volti
della compagnia e la ragazzina dell’aereo di certo non ne faceva parte.
Cara si tirò su e tornò a
girovagare per la stanza, stavolta diretta verso la giacca dell’assassino
appesa all’entrata. Ne tirò fuori pacchetto ed accendino. Accese una delle
sigarette e tirò una lunga, piacevole boccata.
Il fumo le uscì di bocca in
un sinuoso intreccio grigiastro
“Aww.. Quanto mi mancava.”
Di nuovo si riempì i polmoni
di catrame e nicotina
“Mi spiace propormi così. Secondo
il piano avrei dovuto aspettare che ti fidassi di me abbastanza da presentarmi
i tuoi, ma devo ammetterlo…”
Stirò i muscoli del collo
ruotando lentamente la testa e portando i lunghi capelli sulla spalla sinistra
“…tutti quei sospiri, quelle
lagne, ‘no, ti prego Joseph fermati’.. Iniziava a diventare davvero
frustrante.”
Concluse mimando ed
enfatizzando un’espressione disperata. L’assassino digrignò i denti, la vista
era quasi annebbiata ed il suo cervello faceva fatica a seguire il nesso logico
delle sue parole. Lei sorrise
“Almeno ho raggiunto lo
scopo.”
“Quale scopo?”
Cara si avvicinò stringendo
la sigaretta accesa tra indice e medio, curvò la schiena fino alla sua altezza
e gli roteò l’indice libero davanti agli occhi
“Entrarti nella testa.”
Gli poggiò il polpastrello
freddo sulla fronte mentre lui fremeva, mosso dal barbarico istinto di uscire
dalle proprie inutili membra. Gli uscì di bocca una specie di grugnito
“No.”
“No?”
Cara si avvicinò ancora,
sfiorandogli la tempia col naso e l’orecchio con le labbra, lasciando una
seducente scia di respiro al tabacco
“Un altro paio di giorni
insieme e scommetto che avresti anche ucciso per me.”
Joseph scansò la testa il
più lontano possibile e strinse i denti. Lei si tirò su buttando la cicca sul
pavimento
“Non sentirti in imbarazzo
adesso, è esattamente così che sarebbe dovuta andare…”
La schiacciò
“…D’altra parte, ero la
stella della classe di recitazione qualche anno fa sai? Certo non pensavo che
il mio talento potesse tornare utile in così tanti modi.”
L’assassino strattonò le
corde con tutta la forza possibile
“Che cosa vuoi?!”
Sbottò. Il viso angelico di
Cara divenne duro come la pietra
“Tuo padre.”
Rispose guardandolo dritto
negli occhi
“Lui mi ha tolto qualcosa anni
fa e adesso io mi prenderò quel che ha di più prezioso…”
La sua espressione di
sciolse in un misto di fascino ed eccitazione
“…Suo figlio.”
Inaspettatamente Joseph
sbuffò l’accenno di un sorriso e sollevò il mento nella sua direzione
“Se è a lui che vuoi fare un
dispetto, hai preso il figlio sbagliato.”
Barbie sollevò un
sopracciglio, genuinamente incuriosita dalle parole di lui. Gli si avvicinò di
nuovo
“Che vuoi dire?”
L’assassino cercò di
stringere i pugni, bloccato in una sorta di scontro tra incudine e martello. Il
suo cognome era la cosa più importante che avesse, ma allo stesso tempo l’idea
di poterlo rigettare era un sollievo infinito, una specie di via di fuga sempre
aperta che, tuttavia, amava attraversare esclusivamente in solitudine. In
quella bizzarra situazione avrebbe finito per rivelarsi un’arma a suo
vantaggio.
“Non sono suo figlio…”
Rivelò, lasciando trasparire
un’ombra di orgoglio. Odiava William.
“…Non biologicamente almeno.”
Cara sollevò le ciglia. Wow,
una rivelazione degna della soap-opera più kitch. In quel momento osservò i lineamenti
del lupo ancora una volta con più attenzione, lasciando scorrere la punta delle
dita sui suoi zigomi e sulle sue labbra piene, così diversi da quelli degli
altri Michaelson.
“Mmm…”
Mugugnò mentre lui cercava
di ritrarsi, quasi le sue mani fossero acido muriatico
“…Questo spiega gli insoliti
tratti svedesi.”
Si tirò indietro di colpo,
mettendosi a camminare su e giù per la stanza e giocherellando con le dita
“Facciamo un riassunto
allora…”
Le sue labbra erano
protratte in una sorta di broncio, quasi dovesse realmente concentrarsi
“Tuo padre è un mostro… Tu sei
un bastardo… E tua madre era una puttana.”
Joseph saltò sul divano come
se gli avessero conficcato uno spillo aguzzo nella carne
“Non osare nominare mia
madre!”
Urlò, lasciandola sconvolta
per un breve secondo
“Hey, quanta foga!”
Tornò accanto a lui e riuscì
a stringergli il viso tra le mani
“Non preoccuparti. Potrai
non essere utile come speravo, ma per fortuna abbiamo già anche il fratello
numero tre.”
Sorrise di gusto mentre lui
si dimenava
“Dov’è Nathaniel??”
Cara inspirò profondamente e
mollò la presa spingendolo con poca grazia contro lo schienale del divano
“Temo che la tua domanda
debba aspettare…”
Si diede un’occhiata
passando i palmi sulle macchie di sangue già rappreso
“…Ho bisogno di una doccia.”
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Nate sputacchiò cercando di
riprendere respiro. Le ultime due ore della sua vita le aveva passate con un
cappuccio nero in testa, perdendo completamente il senso dello spazio.
Sforzando le retine per mettere a fuoco il prima possibile, si vide in una
stanza vuota con le pareti di mattoni, i polsi legati ed il viso dolorante per
le percosse. L’odore umidiccio di muffa e polvere era quasi insopportabile.
“Una vera topaia, non
credi?”
Quella voce profonda, dal
tono irrimediabilmente sarcastico, lo colpì come una doccia fredda. Niente
russi, tuttavia nessun sollievo, anzi.
“Il posto perfetto per un
verme come te.”
Aggiunse la voce, girando
piano in circolo fino a pararglisi di fronte. Nathaniel contorse le labbra e
tese il collo. Avrebbe davvero preferito essere col sanguinario Vladimijr
Pushkin.
Incarnato pallido, ma
perfetto, capelli scompigliati color ebano e grandi occhi verde bottiglia, il
tutto inscatolato su un fisico esile, tuttavia solido come il marmo. Ghigno da
duro e chiodo di pelle. In due sole parole Morgan Pryce, il gemello terribile.
“Dov’è la tua brutta copia?”
Esordì Nate, lasciando
scontrare la sua fastidiosa sicurezza contro quella del nemico.
“Aveva delle commissioni da
fare, ma non preoccuparti Michaelson, sono sicuro che riusciremo a divertirci
anche da soli.”
Nathaniel buttò indietro la
testa, già esasperato nel vederlo indossare il pugno di ferro. La sua faccia
perfetta, merito di madre natura, della settimanale maschera al polline
egiziano e due iniezioni di costoso filler biologico, stava per dirgli addio.
Morgan Pryce del resto, era
ben famoso per i suoi modi poco delicati e per il sarcasmo congenito, unico
tratto, assieme al taglio di capelli, che lo rendeva distinguibile da Little K,
suo fratello gemello. L’ultima volta che Nate si era trovato faccia a faccia
con i Pryce, circa cinque anni prima, il tutto era finito in una mega rissa per
via di un’auto distrutta. La preziosa Mercury Comet del ’65 con i sedili in
pelle rossa che Nate e un altro idiota avevano deciso di rubare. Pessima idea.
Joseph era intervenuto in suo aiuto come sempre, ma se non fosse stato per
l’intervento delle guardie di William, molto probabilmente i gemelli pazzi
avrebbero avuto la meglio.
“Ancora per la storia della
macchina? Dopo cinque anni? Andiamo amico, fatti una vita!”
Morgan interruppe la discesa
del suo gancio destro
“Giusto. Mi hai appena
ricordato che dovrei massacrarti anche per quello. Amico.”
E detto ciò gli sparò in
faccia le nocche tese, squarciando la pelle come fosse carta. Nate non
trattenne la sua protesta, sentendo il sangue scorrergli fino alle labbra,
tuttavia smise di preoccuparsi per il conto del chirurgo plastico ed accese il
cervello
“Anche per quello?”
Ripeté le parole del gemello
“Perché sono qui?”
Morgan sfoderò un sorriso
obliquo
“Perché sei un idiota,
incapace, senza spina dorsale. Ma a parte questo non è stata una mia
iniziativa.”
“E di chi allora?”
Il gemello premette i
polpastrelli sullo zigomo ferito di Nathaniel, godendo del suo tentativo di
mascherare il dolore pungente
“Ti dice niente il nome
Mancini?”
Nate spalancò gli occhi
facendo del suo meglio per venir fuori dalla presa di Morgan. Bastava quella
parola per capire che era finito in guai ben più grossi del previsto.
“Sei uno dei merli adesso?”
Domandò cercando di
mantenere un’apparenza più rilassata possibile. Non voleva davvero dargli la
soddisfazione di riconoscere il suo immenso vantaggio nell’essere parte della
compagnia.
Morgan sorrise ancora
“Cosa credevi? Che il mio
talento sarebbe andato sprecato ancora per molto?”
Guardando il nemico brillare
di luce propria mentre vantava la nuova posizione, Nate si dette il tempo di
respirare e valutare la situazione. Robert Mancini ed i suoi merli erano i più
temibili antagonisti che si potesse incontrare, crudeli, decisi, senza scrupolo
alcuno. Del resto, tutta l’organizzazione basava proprio su tali principi e
dalla mancanza di vincoli traeva la forza. Dopo essere stato rigettato dalla
sua stessa famiglia, Robert aveva infatti rivalutato totalmente il valore dei
legami di sangue, trovando nel loro esatto opposto una formidabile risorsa.
Mentre i Michaelson poggiavano il loro impero proprio sulla condivisione del
dna, i merli ingaggiati da Mancini non avevano nulla in comune se non le doti
criminali e la gran sete di riscatto. Tutti raccolti negli orfanotrofi, nei
riformatori o perfino in strada, i suoi ragazzi creavano un perfetto sistema di
isole indipendenti. Letali nel lavoro di squadra, erano in grado di esprimere
il loro pieno potenziale esclusivamente in solitaria, totalmente spogliati
della necessità di rispettare o difendere qualcun altro. I merli non avevano
limiti o regole, ciò li rendeva pressoché imbattibili.
“E che mi dici di Little K,
fa anche lui parte della squadra?”
“Ovvio.”
Ottimo, pensò Nathaniel, se
non altro poteva ancora contare su un punto debole.
“E non è contro le regole?”
Cercò di indagare, ma Morgan
parve presto indispettito dalle sue domande. Si rivestì della sua glaciale
perfezione e riportò l’attenzione sul suo ostaggio, massaggiando la mano in
prospettiva di un nuovo pugno
“Non ci provare Michaelson.
Sai bene che ucciderei anche lui se fosse necessario.”
Nate chiuse gli occhi per un
secondo. Morgan era un osso duro, troppo duro. Per capire le motivazioni di una
simile personalità antisociale avrebbe dovuto conoscere meglio la storia dei
gemelli, ma tutto ciò che sapeva è che i due erano venuti fuori
dall’orfanotrofio verso gli undici anni, affidati ad una famiglia da cui erano
fuggiti qualche anno più tardi. Da quel momento in poi poteva solo supporre che
l’istinto di sopravvivenza avesse loro insegnato tutto ciò che sapevano. Certo,
doveva essere stata davvero una vita di merda per ridurli così.
“Che cosa vuoi da me?”
Decise allora di mirare
dritto al punto. Morgan si attaccò ad una bottiglia di birra che Nathaniel non
aveva notato fino a quel momento. Dio se aveva sete.
“Voglio solo che tu mi
faccia un po’ di compagnia…”
Suonò angelico dopo la sua
serie di sorsi
“…Almeno finché non
arriveranno gli altri.”
Nate sentì la pelle d’oca
sulle braccia. La faccenda andava complicandosi. Chi sarebbe dovuto arrivare?
Little K? Un’intera squadra di torturatori? Mancini in persona?
“Chi?”
Domandò con la gola già
secca. Il gemello sorrise di gusto ancora una volta
“Oh, non temere Michaelson,
conosci già tutti gli invitati a questa festa.”
---------
“Sta succedendo qualcosa
padre.”
Esordì Elia dopo essere
piombato nello studio del padre, la sua impeccabile apparenza segnata da un
velo di agitazione. William girò sulla sua sedia di pelle e sorseggiò il suo
whiskey.
“Vladimjir se n’è appena
andato. Temo sia più che consapevole delle nostre menzogne.”
“Appunto…”
Elia avanzò dopo aver
sbottonato l’unico bottone della giacca
“…Joseph e Nathaniel non
rispondono alle mie chiamate. Dovrebbero essere fuori città ormai.”
William senior abbassò le
palpebre scuotendo lentamente il capo. L’incompetenza dei suoi figli minori era
come sempre fastidiosa.
“Credi abbiano avuto
problemi?”
“Temo di sì padre.”
Lui non parve scosso né preoccupato,
ancora una volta si bagnò le labbra perdendosi nei propri pensieri. Mosse la
sedia e contemplò una foto della sua famiglia appesa al muro. In perfetta
armonia di altezze e proporzioni, il capofamiglia sedeva al centro, con accanto
la sua signora, avvolta in una camicia di seta bianca, i lunghi capelli ramati
raccolti in uno chignon perfetto. Attorno a loro i quattro ragazzi, impeccabili
nei loro abiti puliti. Quell’immagine esprimeva a pieno l’ordine e la gerarchia
della famiglia.
“Le donne sono creature
semplici figlio mio…”
Elia raggiunse con gli occhi
il punto d’attenzione del padre, cercando di star dietro al suo repentino
cambio d’argomento
“…Vogliono essere
conquistate. Vogliono essere possedute, tenute a freno dai loro uomini…”
Elia fece per rispondere, ma
si fermò, finalmente in grado di capire a cosa sua padre stesse riferendosi.
Katrina.
“…Tuttavia figliolo, hanno
bisogno di illudersi di poter prendere le loro decisioni. Necessitano di essere
soddisfatte nelle loro velleità…”
Lanciò un’occhiata al suo
secondogenito
“…Dentro e fuori dalle
lenzuola.”
Elia distolse d’istinto lo
sguardo. Da ormai due anni, ogni notte, si interrogava sui propri errori e
tanto bastava, di certo non aveva bisogno che suo padre fra tutti lo accusasse
di aver mancato. Fortunatamente William parve reimmergersi nei propri ricordi
“Anche tua madre era così…”
Sospirò
“…Timida e delicata
all’apparenza, ma selvaggia come una tigre. Avrei dovuto costruirle una gabbia
molto più grande.”
Si perse nella propria
metafora, spandendo sale sulla ferita del tradimento subito. Come aveva osato?
Portare in casa sua il bastardo di un altro… Sperando per giunta che non se ne
accorgesse. Elia ne approfittò per tirarsi fuori
“Perdonami padre, ma credo
di dovermi occupare di un altro problema adesso.”
“I tuoi fratelli?”
Elia annuì.
“Cosa intendi fare?”
“Andrò al vecchio hotel e
all’appartamento di Joseph. Voglio controllare che tutto sia andato come
previsto.”
Il Michaelson più anziano
rispose con un gesto di assenso
“Occhi aperti William. Occhi
aperti.”
Elia voltò lentamente le
spalle e lasciò lo studio. Odiava sentirsi chiamare col proprio nome di
battesimo. Odiava essere una semplice copia dell’originale.
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Cara venne fuori dal bagno
avvolta in un morbido e profumato asciugamano azzurro, seguita da una nuvola di
vapore al sandalo indiano. Joseph drizzò muscoli e orecchie sentendola
arrivare. Durante l’ultima mezz’ora aveva sforzato le sue cellule celebrali per
ricordare quel nome, ma la sua ricerca non aveva dato frutti. Barbie doveva
essere un nuovo acquisto della compagnia e lui non aveva idea del perché
volesse tanto arrivare a suo padre.
La ragazza gli si parò
davanti esaminando attentamente uno dei flaconi che aveva scovato in bagno.
“Dovresti usare un vero
idratante. Questa roba è una schifezza per la pelle.”
Joseph sospirò esasperato.
Non ricordava minimante come quel cosmetico da donna fosse finito a casa sua e
soprattutto, non poteva fregargliene di meno. Cara strizzò la confezione e
prese a spalmarsi il fluido bianco sulle gambe con pigri movimenti circolari,
quasi stesse improvvisando uno spettacolino sexy. L’assassino sbuffò
nervosamente ancora una volta.
“Che c’è?”
Domandò lei innocentemente,
sollevando l’asciugamano per stendere la crema sulle cosce.
“Ti piace quello che vedi,
non è forse vero?”
Joseph girò gli occhi
all’altro lato della stanza, determinato a mantenere la concentrazione. Essere
stato ingannato era già abbastanza fastidioso, non c’era bisogno che “Barbie”
glielo sbattesse in faccia, tanto meno che le curve del suo candido corpo lo
distogliessero dai suoi pensieri, primo fra tutti l’incolumità di Nathaniel.
“Guardami.”
Ordinò lei, ma il lupo non
si mosse. Cara allora lo raggiunse e sollevò il piede nudo sul divano,
lasciando che un solo angolo di tessuto coprisse l’ultimo spazio tra le sue
gambe. Riprese ad accarezzarsi cercando di far assorbire la lozione e piegare
la sua resistenza.
“Mi è piaciuto sai? Fare
sesso con te.”
Joseph vacillò, preso dal
ricordo del loro amplesso e dal profumo del suo doccia schiuma addosso alla
ragazza dell’aereo.
“Avrei voluto urlare…
Chiederti di spingere più forte.”
Riprese lei con tono
seducente e finalmente lui si voltò, risalendo con gli occhi la linea della sua
gamba scoperta fin su alle spalle ed al suo viso pulito. Erano state
l’ingenuità e la sua infantile ed indifesa innocenza ad attrarlo, entrambe
totalmente sparite, ciononostante quell’espressione decisa ed il broncio da
poco di buono solleticavano i suoi ormoni. Se la vecchia pudica ragazzina
dell’aereo aveva acceso le sue fantasie erotiche, questa nuova versione,
malvagia e lasciva, avrebbe meritato i suoi più oscuri, perversi e sadici
desideri sessuali. Peccato avere le mani legate e cose più importanti a cui
pensare.
“Dov’è Nathaniel?”
“In buone mani.”
Si limitò a rispondere lei
chiudendo il flacone.
“Se gli fate qualcosa giuro
che…”
“Cosa?”
Lui digrignò i denti
“Ti faccio a pezzi.”
Cara sollevò le spalle
allontanandosi dal divano
“Ho già sentito questa
minaccia decine di volte. Non hai nulla di meglio?”
Se ne stette immobile al
centro del soggiorno per una manciata di secondi poi lasciò cadere
l’asciugamano, mostrando a Joseph la schiena nuda e la perfetta rotondità delle
sue natiche. L’assassino dovette guardare per forza, sorpreso e allo stesso
tempo colpito dal piccolo dettaglio di un tatuaggio a forma di M sotto la sua
scapola sinistra. Aveva il marchio, era davvero una dei Merli.
Cara gli lanciò un’occhiata
voltando il collo
“E’ possibile che tu abbia
dei vestiti da donna decenti qui?”
Joseph non rispose nemmeno
Lei sospirò sollevando le
spalle e sparì nell’altra stanza. Tornò da lui una manciata di minuti più tardi.
L’armadio dell’assassino era privo di vestiti femminili, per cui aveva
arrangiato una delle sue camicie come fosse un mini dress, tenendo sotto nulla
più che una t-shirt scura. L’assassino ne accarezzò con gli occhi le gambe
nude, inevitabilmente scoperte fin più su di metà coscia. I suoi vestiti
addosso ad una donna. Era una novità. Una piacevole novità, se non fosse che la
donna in questione era uno dei merli e non vedeva l’ora di strappargli il cuore
dal petto.
“Dimmi chi sei e cos’hai
fatto a Nathaniel.”
Ordinò secco.
“Una cosa per volta.
Nathaniel è con un mio amico, ma non preoccuparti, presto lo raggiungerai anche
tu.”
Apostrofò lei puntandogli l’indice
e la vista addosso.
L’assassino rispose allo
sguardo reggendo i suoi occhi con tutta la decisione possibile. Non vi era più
timore in quelli di lei. Nessuna emozione riconoscibile, se non un profondo
stato di eccitazione, fosse per la sua nuova posizione di comando, fosse per il
piano diabolico che aveva in mente. Se solo avesse potuto allungare le mani le
avrebbe strappato quell’espressione compiaciuta dalla faccia, rimettendola al
suo posto in men che non si dica.
“Chi sei tu?”
Scandì ed ottenne uno sbuffo
in risposta
“Sei ripetitivo.”
“Conosco quelli della
compagnia. Tu non sei mai stata con loro.”
“Sbagliato. Innanzitutto non
conosci affatto tutti i merli e, secondo, io sono una di loro, da nove anni
ormai, il che prova ancora una volta che tu non sai niente sulla compagnia.”
Joseph digrignò i denti. Se
la ragazza aveva ragione, i suoi problemi sarebbero diventati ancor più complessi.
“Vediamo…”
Barbie afferrò una sedia e
si accomodò dritta di fronte al suo ostaggio
“L’incendio che ha distrutto
“La Salle de Paris” di New York due anni fa. Ti dice niente?”
Lui non si scompose. Non era
solito seguire la cronaca locale, tantomeno gli affari della microcriminalità
della grande mela.
Cara si leccò le labbra
“Forse questo lo ricordi. Gordon Craven, della Craven Enterprise. Trovato
carbonizzato nella sua Ferrari dopo un terribile incidente d’auto. Credo fosse
amico del tuo caro paparino.”
Craven Enterprise, il nome
non gli era nuovo. William aveva prestato una grossa somma al capo,
un’operazione di Import-Export che avrebbe dovuto fruttare milioni e si era
invece rivelata una completa fregatura. L’idiota in questione si era schiantato
contro un palo della luce prima che i sicari di suo padre potessero fargliela
pagare.
Cara colse il bagliore di
consapevolezza negli occhi di lui e sorrise appena
“Opera mia.”
Joseph la guardò stupito,
lei riprese
“E te ne dirò anche
un’altra. Ti ricordi di Coleman e Brian?”
Coleman e Brian. Esecutori
materiali delle sentenze di William, il primo trovato morto con un colpo in
mezzo agli occhi, il secondo sparito nel nulla.
“Sono stata io.”
L’assassino aggrottò le
sopracciglia
“Perché?”
Cara spostò lo sguardo. La
scena era ancora chiara nella sua mente. I loro completi scuri freschi di
tintoria, l’indifferenza dei loro occhi, le mani di Brian addosso a sua madre,
gli spari secchi. Il tonfo sordo.
Tentò di ricomporre la
propria gelida figura
“Come se ti importasse. A te
non importa di nulla. Tu sei come lui…”
Di nuovo gli arrivò vicina,
prendendogli il viso nella mano e stringendo con forza
“…E come lui meriti di
soffrire.”
Joseph si tese nella sua
presa, scavandone lo sguardo alla ricerca di un indizio qualsiasi. La ragazza
aveva dentro rabbia e dolore, rimorso e sofferenza. Qualunque motivo l’avesse
spinta ad unirsi ai merli, l’organizzazione non era ancora riuscita a succhiare
tutta la sua umanità. Quel turbine di emozioni era il punto debole che lui
avrebbe dovuto colpire.
“Che cosa ti ha fatto mio
padre?”
Lei si staccò,
improvvisamente infastidita
“E tu perché lo chiami
padre?”
Bella domanda.
Cara si strinse nella
camicia che sapeva di lui e mosse qualche passo nella stanza, ritrovando pian
piano la sua facciata impassibile. Gran parte di lei fremeva dalla voglia di
vomitare addosso a Joseph tutto l’odio che le bruciava dentro, ma la metà più razionale
sapeva di non dover scoprire troppe carte. Non ancora almeno.
Gli lanciò un’occhiata
micidiale
“Ucciderò te, tuo padre e i
tuoi fratelli. Questo è tutto ciò che devi sapere.”
Prese a muoversi verso
l’altra stanza, ma la voce di Joseph la bloccò
“Avete preso me e Nate è
vero, ma Elia è un’altra storia. Non riuscirete mai a prendere anche lui.”
Cara indugiò appena. E’
vero, Elia era di certo il più difficile dei tre, molto più brutale ed
intelligente dal vivo piuttosto che nei dossier. Tuttavia…
Voltò la testa sulla spalla
destra, schiudendo le labbra in un mezzo sorriso seducente
“Non preoccuparti. Ho
un’arma segreta riposta per lui.”
Joseph rimase a fissare il
punto in cui lei era sparita, rimuginando in silenzio sulla situazione. Elia
era più furbo di tutti loro messi insieme, qualunque fosse il tranello non
avrebbe abboccato, ne era sicuro.
Bussarono alla porta.
Joseph si irrigidì, pressoché
certo che si trattasse proprio del fratello giunto in suo soccorso. La
ragazzina, merlo o meno, non avrebbe avuto chances.
I colpi alla porta di
ripeterono, cadenzati e ritmati così da comporre una specie di melodia. Cara tornò
in soggiorno, si riempì i polmoni passando le mani tra i capelli e studiando
attentamente la sua figura allo specchio. Quella specie di musichetta ed il
sorriso di Cara spensero in Joseph qualsiasi entusiasmo.
“La nostra limousine è qui.”
Scherzò lei.
Non appena la porta di aprì,
il tizio sulla soglia venne dentro con passi fluenti. Pelle chiara, capelli
d’ebano tenuti su dal gel, grandi occhi color verde bottiglia. L’assassino
imprecò contro il cielo, l’ultimo tassello da aggiungere alla lista delle sue
disgrazie. Little K. L’altro gemello Pryce.
Il nuovo arrivato si guardò
attorno brevemente, poi rivolse gli occhi a Cara. Il suo sguardo la analizzò da
capo a piedi
“Hai un aspetto orribile.”
Sentenziò, ma in risposta
non ottenne altro che un grosso sorriso. Cara gli si buttò letteralmente
addosso e le loro bocche si fusero in un lungo bacio tutt’altro che romantico.
Joseph riuscì a cogliere chiaramente l’intreccio delle loro lingue, così come
le mani di lui ficcate sotto l’orlo della sua
camicia. Quella scena gli chiuse lo stomaco. La sua ragazzina dell’aereo…
Quella era tutt’altro che una ragazzina innocente e, soprattutto, era chiaro
quanto non fosse sua. Che idiota.
Spostò gli occhi e si sforzò
di pensare. Perché Little K era lì? Era anche lui uno dei merli? E Morgan
allora? Se i gemelli erano immischiati nella faccenda forse c’era davvero
qualcosa di cui preoccuparsi.
L’ombra di Little K su di
lui lo riportò al presente. Il suo sorrisetto, in perfetta stonatura con l’aria
da bravo ragazzo, gli tese ancor più i nervi. Odiava i gemelli Pryce, così come
si odia una scheggia di legno conficcata nel dito. Detestava le loro facce
pulite e non sopportava non sapere per cosa stesse quella stupida K. Nessuno lo
sapeva.
“Andiamo amico…”
Esordì il gemello
“…Il tuo caro fratellino ci
attende alla festa.”
Ad un suo schiocco di dita
due possenti energumeni entrarono in casa sua e lo sollevarono di peso,
trascinando i suoi piedi molli fuori dal portone. Dietro di lui Cara e Little
K, probabilmente di nuovo avvinghiati come piovre in amore.
“Hai lasciato l’invito per
Elia?”
Domandò lui a Barbie,
continuando a tenere in piedi la metafora celebrativa. Lei si arrotolò una
ciocca di capelli attorno al dito, fiera ed impaziente
“Certo. L’invito lo attende…
In carne ed ossa.”