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Autore: Kelloggs Snowflakes    19/04/2013    3 recensioni
"Voglio raccontarti poesie di cavalieri e principesse che si salvarono da sole, favole di pesci parlanti e giornalisti muti, storie inventate che sembrano vere e storie vere che sembrano inventate. Voglio amarti, posso amarti?"
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Axel, Demyx, Naminè, Roxas, Zexyon
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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C’era e non c’era una volta.

Zexion si massaggiò le tempie, posando la penna sul foglio davanti a lui: aveva corretto i temi di quattro classi e gli mancavano ancora ventitré testi. Sospirò, pensando a come avrebbe bevuto una tazza di tè caldo sotto le coperte. Fuori pioveva ed era risaputo che quando pioveva lui non riusciva a lavorare.

-Non devi correggerli tutti stasera, sai? Di sicuro i tuoi studenti saranno felici di passare un weekend senza insufficienze da nascondere e sensi di colpa- Demyx richiamò la sua attenzione dall’altra estremità del tavolo.

-Amo svolgere il mio lavoro con efficienza e puntualità, cose che tu non puoi nemmeno concepire. Non hai idea di cosa voglia dire lavorare con delle scadenze- rispose lui, ignorando l’espressione contrita e ferita del biondo.

Zexion si riconcentrò sul foglio davanti a lui: era il tema della sua studente preferita e sarebbe stata di sicuro una lettura piacevole.

-Zexy Bello, che stai leggendo? Ti si sono illuminati gli occhi. Fumi erba, giovanotto?- Demyx non voleva lasciarlo in pace. Si coricò sul tavolo, allungando le mani per raggiungere il tema che tanto lo incuriosiva, e nel frattempo sparpagliò a terra quelle che prima erano quattro pile ordinate di compiti in classe, con evidente disappunto del blu.

-Sai che non puoi leggerli, è per privacy-.

-Privacy un corno, non mi parli di privacy quando di freghi il mio shampoo alle ciliegie e gli ultimi sorsi di caffè al mattino- il musicista afferrò la pagina con entrambe le mani, rotolando giù dal tavolo.

Quando Zexion abbassò lo sguardo, vide un giovane rannicchiato su settantasei fogli bianchi e blu, lo sguardo rapito dalla lettura e i capelli più arruffati mai esistiti a memoria d’uomo.

Passarono diversi minuti, finché Demyx decise di alzarsi con un salto e allungargli il testo con riluttanza, scuotendo la testa. Aveva macchie di inchiostro blu sul lato destro della faccia, ma Zexion decise di non affrontare il discorso.

-Questa roba non ha senso, avanti, un Artista innamorato di un Poeta. Semmai è il contrario-.

-Le cose più belle della vita non hanno senso, sai? L’amore, la musica, l’arte, la felicità e la tristezza. Le ambizioni, l’affetto, tutto quello che ti viene in mente- Zexion riprese il foglio e iniziò a leggere, mentre Demyx si buttava si pancia sul divano e iniziava a russare, non curandosi del disordine che aveva causato.

-Non pensi che dovresti sistemare questo sfacelo?-.

-L’hai detto tu che le cose belle non hanno senso, no? Allora lascia tutto così, l’ordine implica sensatezza-.

Dannazione. L’aveva fregato. Di nuovo.

Meglio leggere, poi sarebbe andato a dormire.

Lui non l’avrebbe sistemato quel casino, no.

 

 

 

 

C’era non più di una volta, o forse non c’era mai stato, un ponte sopra un fiume che d’acqua ne aveva vista passare tanta o poco più. C’erano due camminate in ciottoli sotto il ponte, alle rive del fiume, e quel giorno l’acqua passava tra le foglie degli alberi, scivolava sugli ombrelli, offuscava la luce dei lampioni e diffondeva un tiepido profumo di terra bagnata sulle foglie d’autunno.

Un ragazzo dai capelli rossi come la firma di un ciliegio se ne stava in piedi, stretto nel suo cappotto nero, a dipingere amori mai esistiti con lo sguardo. Era quel tipo di persona capace di stare in maniche corte sotto una bufera, perché la tempesta più grande ce l’aveva negli occhi verde bottiglia. Si chiudeva in se stesso e riusciva a vedere alberi spuntare tra le pagine dei libri, farfalle dorate volteggiare nell’aria e sentiva antichi carillon riprendere a suonare. Vedeva scintille di ricordi prendere la forma di duchi e principesse e ballare al suono di violini appena svegli.

Vedeva la bellezza in tutto, il ragazzo dai capelli rosso ciliegia, era un artista. Lui cercava i particolari, le cose che la gente con troppa fretta sotto le scarpe non poteva vedere.

L’Artista si sedeva sempre sulla stessa panchina e quel giorno non intendeva essere da meno. A volte si sentiva in grado di scrivere canzoni, spesso aveva voglia di disegnare e quasi mai avvertiva il bisogno di parlare. L’Artista danzava sui lampadari e rideva tragicamente, piangeva musica e pronunciava colori. L’Artista era sempre stato innamorato: era convinto che tutti si innamorassero, anche inconsapevolmente. Un quadro, uno sguardo, un sorriso, una poesia o una tazza di tè: ci si poteva innamorare di tutto, secondo lui, ma sicuramente il più difficile degli amori era quello per una persona. Senza menzionare la difficoltà di tenere la propria felicità per mano.

L’Artista non sapeva di preciso cosa lo spingesse a disegnare, scrivere o sognare ad occhi aperti: a un certo punto la musica era diventata più importante delle parole e le tracce di grafite sui fogli bianchi avevano preso vita.

Quel giorno pioveva, eppure lui continuava a leggere sotto il suo ombrello scuro, Almeno fino a quando non lo vide: il Poeta era seduto al tavolo di un bar, beveva caffè e osservava il paesaggio ingrigito, non curandosi delle gocce gelide che gli entravano anche nei sogni. Il Poeta era un soffio di rime irregolari, e l’Artista amava ritrarre le cose delicate: il suo blocco da disegno era pieno di rime senza schemi e tazze di caffè.

Prese un vecchio foglio dalla sua tracolla, il Poeta si distingueva tra tutti gli schizzi a matita. L’Artista quasi sorrise rifinendo i particolari, pensando agli occhi del Poeta.

L’Artista era sempre stato innamorato, ma fino all’arrivo del Poeta non aveva saputo di chi.

Forse era stata proprio colpa del ragazzo biondo, se lui aveva perso interesse per la realtà: non era facile trovare una persona più bella di una canzone, eppure era successo proprio a lui.

Il Poeta, finito il suo caffè, si avvicinò e gli sorrise. Si sedette sulla panchina, accanto a lui, e iniziò a scrivere su un blocco uguale al suo. L’Artista continuò a disegnare, la pioggia si fece più lenta per osservarli.

Il Poeta si fermava a intervalli regolari, alzava lo sguardo al ponte coperto di foglie rosse, gialle e arancioni. Gli disse di chiamarsi Roxas anche se si conoscevano da anni, e l'Artista credette di sentir sorridere la sua anima.

Forse per lo scherzo di un ombrello, o forse solo per distrazione, quel giorno l’Artista dimenticò il suo blocco da disegno.

Qualche tempo dopo, o solo qualche ora prima, il Poeta vide quelle tracce di sogni, e si riconobbe nelle istantanee di qualche sorriso. Strinse la sua poesia negli occhi, e la riscrisse su ogni mattonella del ponte, sotto lo sguardo di tutti, in inchiostro indelebile fatto di ricordi.

Continuava a piovere, ma le scritte non sbiadivano. L’Artista tornò sui suoi passi dopo che le nebbie mattutine cedettero il passo alle verdi foglie e al terreno umido di rugiada.

Sotto un temporale primaverile rivide il Poeta, in piedi vicino al ponte ad aspettarlo, e senza motivo riuscì a leggere la poesia nei suoi occhi malinconici.

Voglio nascondermi sotto le coperte con te. Ascoltare in silenzio i fiocchi di neve cadere e i nostri respiri tornare leggeri. Voglio prepararti il tè alle due del mattino, starti accanto e guardarti disegnare paesaggi immaginari su discorsi sognatori. Voglio sentire le tue dita sfiorarmi le cicatrici e farle tremare di paura, vedere il tuo sorriso dedicato solo a me. Voglio comprarti una sciarpa e vederti dimenticarla puntualmente ogni volta che nevica. Voglio affondare tra le pieghe del piumone e stringerti ascoltando musica impolverata. Voglio ridere sentendoti accarezzare i tasti neri e bianchi della mia esistenza, aprirti la porta a lungo chiusa a chiave ed entrare con te in punta di piedi in quella stanza dimenticata da tutti. Voglio guardare i tuoi occhi cambiare tonalità a seconda della luce, passare l'indice sul tuo volto e sentirlo sussultare. Voglio sentire i tuoi capelli fra le dita e ascoltarti imprecare quando si aggrovigliano. Voglio ripetere i tuo nome quando mi sentirò solo, sempre. Voglio raccontarti poesie di cavalieri e principesse che si salvarono da sole, favole di pesci parlanti e giornalisti muti, storie inventate che sembrano vere e storie vere che sembrano inventate. Voglio trovarti degli odiosi nomignoli e darti fastidio di proposito pronunciandoli. Voglio imprimere nella mia memoria la tua grafia. Voglio stringerti dipingendo il volo dei gabbiani, voglio essere la parte migliore di me. Voglio essere la neve a Natale, una lettera scritta a mano, un aeroplano che saluta il bambino con la casa vicino all'aeroporto, il bimbo che guarda in su sognando di diventare un pilota e assaggiare le nuvole.
Voglio esistere per te, voglio esserci sempre.
Voglio tante cose. Voglio amarti. Posso amarti?”

Coppie silenziose si fermarono alzando lo sguardo al ponte, e l’Artista lo abbassò sull’unica canzone ambulante che davvero contasse.

Pioveva quel giorno, e l’Arte fece spazio sotto l’ombrello alla Poesia, discutendo di biscotti e piumoni sotto cui di sicuro si sarebbero nascosti ritratti e rime irregolari.

 

 

Non gli era mai piaciuto l’edificio dove lavorava, al contrario dei suoi studenti: Zexion era appassionato di poesia e letteratura, non poteva fare a meno di provare simpatia per chi le amava allo stesso modo.

E nella classe dove avrebbe avuto lezione da lì a pochi minuti c’era qualcuno di talmente speciale da fargli sembrare belle anche quelle quattro mura mal intonacate.

Quando si sedette alla cattedra, le finestre erano aperte e la primavera si poteva sentire scivolare tra le dita. Osservò quegli sguardi puntati su di lui, e iniziò la spiegazione. Qualche volta lanciava veloci sguardi all’ultima fila, e sentiva il desiderio di sorridere. Vedeva quegli occhi, la bufera che nascondevano quelle onde blu, il desiderio di comprensione e affetto. Vedeva se stesso qualche anno prima, tra i banchi di scuola, nascosto dietro volumi pesanti e tanto simili ad amici muti ma densi di significato.

-Bene,- disse più o meno a metà della lezione, quando l’attenzione generale stava calando precipitosamente- ora leggerete davanti alla classe alcuni dei vostri temi. Devo confessare che parecchi mi hanno colpito, ma uno in particolare non poteva non essere all’altezza della sua autrice.- non disse il nome dell’allieva, ma la vide trattenere il respiro vicino alla finestra, rannicchiata sulla sua sedia scricchiolante.

Quando suonò la campanella e tutti uscirono per l’intervallo, lei si voltò verso Zexion. Aveva appena finito di leggere il suo tema con voce incerta e quasi inudibile. Si avvicinò alla cattedra, e sorrise. Zexion si ricordò quei sorrisi, affacciati a qualche finestra della sua antica memoria. Lui sorrideva così solo quando leggeva, e lei doveva trarre la stessa soddisfazione dalla scrittura e dal disegno.

-Professore- lo chiamò lei, probabilmente convinta di non meritare attenzione.

-Dimmi tutto- fece il blu, sistemando i libri nella tracolla.

-Pensa che ci sia speranza, per l’Artista? Che lui e il Poeta potranno stare insieme? Sa, non è facile- la ragazza non si era spiegata troppo, ma lui capì comunque. Aveva visto l’incurvarsi delle labbra della studente quando chiamava l’ultimo nome dell’elenco, tracce di rosso ciliegia spuntare dai disegni della bionda.

-Credo che dovresti chiederlo a loro.- arrivò alla porta, e le sorrise come non faceva mai.

-Come?-.

-Chiedilo all’Artista. O al Poeta, che poi è la stessa cosa. La poesia è arte, e l’arte è poesia, no? Racconta una storia all’Artista. Vai da lui, sorridi e fai in modo che Arte e Poesia trovino un ombrello sotto cui ripararsi. Racconta una storia- uscì dall’aula, ma la voce della ragazza lo fermò un’altra volta.

-Professore?-.

-Sì, Naminè?-.

-Grazie-.

Zexion sorrise, e si diresse verso l’aula professori.

Qualche minuto dopo, o forse qualche giorno prima, Zexion alzò lo sguardo fuori dalla finestra. Stava piovendo, e Demyx di sicuro si era rintanato sotto il piumone del loro appartamento.

Vide un ombrello grigio agitarsi sul viale che portava fuori dalla scuola, Arte e Poesia camminare insieme, mano nella mano, strette in qualcosa che si poteva chiamare Amore o anche Musica.

Sorrise. Negli ultimi tempi sorrideva troppo, accidenti, ma non poteva fare a meno di pensare alle parole che Naminè aveva pronunciato al suo Artista, fuori dal portone principale, durante la ricreazione, che lui aveva sentito perché amava tenere aperte le finestre durante i temporali.

-Kairi, vuoi sentire una storia?-

 

 

-Hey, Zexion- Demyx gli scosse la spalla fino a svegliarlo, ed erano le due di notte. Lo svegliava sempre a degli orari indecenti per dirgli cose secondo lui troppo importanti, o per chiedergli perché non esistevano i somari mannari e la pizza al gelato.

-Che c’è?-

-Ho capito quella cosa, quella delle cose belle senza senso e senza scadenze.-

-E allora?-

-Allora avevi ragione, io e la Nutella non scadiamo mai-.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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