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Autore: syderalcollision    19/04/2013    1 recensioni
C’è un momento, un momento preciso, in cui si dice che un bambino ‘cresce’.
Nello stesso esatto momento nasce un nuovo e preimpostato adulto, già formato dalla società e tante grazie.
Ma nello stesso esatto momento succede anche un’altra cosa, poco notata.
Anzi, totalmente dimenticata.
Il vero fattore che fa scattare il cambiamento nel bambino.
Controlli Neurologici Avanzati. CNA.
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap. 1
Take me out.

 

So if you're lonely 
You know I'm here waiting for you 
I'm just a crosshair 
I'm just a shot away from you 
Franz Ferdinand - Take me out


 

 

 

C’è un momento, un momento preciso, in cui si dice che un bambino ‘cresce’.

Smette di giocare, dimentica la fantasia, vede la realtà così com’è e non aggiunge altro.

Nello stesso esatto momento nasce un nuovo e preimpostato adulto, già formato dalla società e tante grazie.

Ma nello stesso esatto momento succede anche un’altra cosa, poco notata.

Anzi, totalmente dimenticata.

Il vero fattore che fa scattare il cambiamento nel bambino.

Controlli Neurologici Avanzati. CNA.

 

 

L’inaspettato arriva all’improvviso, senza prendersi la briga di presentarsi prima di sconvolgerti la vita.

A volte capita di sentirsi strani, diversi rispetto al resto delle persone, e soltanto poche di quelle volte non è solo una sensazione.

James Middler, quattordici anni di problemi psicologici generati da una probabile schizzofrenia si rese conto troppo tardi di essere una di quelle poche volte.

 

 

Chiuse gli occhi ed espirò.

Di nuovo.

Nella speranza che forse sarebbe riuscito a calmarsi, ma a quanto pareva, era una cosa impossibile.

Sentiva un dolore lancinante in tutto il corpo, come se lo avessero pugnalato durante la notte.

Era il 9 Aprile, la primavera stava iniziando a mostrarsi timidamente, ma quel giorno pioveva comunque.

‹‹James, sei in ritardo come al solito.››

La madre stava urlando dal piano di sotto, pronta per uscire con la sigaretta in mano.

Scese le scale rapidamente, incespicando nelle sue stesse scarpe, troppo grandi per i suoi piedi.

‹‹Sei un disastro. Almeno ti sei visto allo specchio?››

Il ragazzo annuì senza nemmeno ascoltare e corse verso la macchina.

In realtà si era guardato allo specchio, e ci aveva rinunciato subito a combattere contro il suo aspetto. Aveva i capelli neri più spettinati del solito e le lentiggini più evidenti che mai.

Fantastico, pensò.

Era il suo primo giorno nella sua nuova scuola, ma anche il primo nella nuova città. 

Si erano trasferiti da pochissimo, aveva avuto il tempo di passare lì un’estate.

Si sedette impaziente, implorando la madre con lo sguardo di sbrigarsi a gettare la miccia della sigaretta.

Forse sarebbe riuscito ad arrivere abbastanza in fretta.

Forse questa volta non li avrebbe visti.

Forse.

Si sentiva osservato, sempre più costantemente.

Uomini e donne vestiti di nero, incrociati casualmente a un angolo della strada, fermi davanti a una vetrina.

Ma tutti loro stonavano nel complesso.

La cosa che lo preoccupava ancora di più era che sia sua madre che il suo migliore amico,  Steve, non li vedevano.

Infatti si era rassegnato all’idea di essere un probabile schizzofrenico e fingeva che quelle persone non esistessero.

E ci stava anche riuscendo.

Poi, com’è ovvio che accada, non potè più ignorarli.

Il tragitto da casa sua verso la nuova scuola era terribilmente lungo.

Probabilmente le macchine stavano intasando la strada, perchè non si muovevano di un centimetro.

Sua madre si sporse, per vedere cosa stesse bloccando la fila, ma non vide nulla.

‹‹La strada è vuota, perchè non passa nessuno?››

Ed effettivamente l’incrocio era vuoto.

Aveva perso il conto dei semafori sorpassati, non aveva nemmeno idea di dove si trovassero, ma capì che non era la solita strada.

‹‹Mamma, perchè abbiamo preso questa strada?››

‹‹E’ la solita, James.››

‹‹Ma...››James scrutò nuovamente il paesaggio. Niente. Quella non era la solita strada.

Preferì tacere, sua madre lo credeva abbastanza pazzo.

Si sporse anche lui, per vedere cosa effettivamente bloccasse l’incrocio.

Lo vide.

Un uomo, vestito di nero, fisso e immobile.

Lo osservava.

Almeno, a lui sembrava che lo osservasse.

‹‹Il soggetto è stato acquisito.››

Scandì lentamente, come se parlasse direttamente a James.

Inclinò il collo.

Il tempo sembrava essersi dilatato fino a fermarsi.

‹‹Vieni con me.››

Come facesse a sentire precisamente le parole James non lo sapeva.

Socchiuse gli occhi per mettere a fuoco meglio l’uomo, per distinguerne i lineamenti, poi tutto si fece buio.

E improvvisamente si risvegliò nel suo letto, in pigiama, con la cartella vicino alla scrivania di mogano.

Sua madre recitò le stesse parole che aveva sentito pochi minuti fa.

‹‹E’ stato...un...sogno molto strano.››

Si preparò per la seconda volta, in fretta e scese le scale, con un senso di nausa opprimente.

Durante tutto il tragitto in macchina pensò che, probabilmente, la sua schizzofrenia era un problema più serio di quato pensasse.

Non che l’avesse mai reputato un problema.

Lungo il tragitto non vide uomini neri, incroci strani o code infinite.

Stava proseguendo tutto in modo abbastanza normale, riuscì addirittura ad arrivare al suo liceo, uno dei migliori di Londra, dicevano, il Saint John Institute. 

 

 

‹‹Ehi, James....James, giusto?››

James si accorse solo ora che il ronzio che sentiva non era nella sua testa, bensì un’odiosa campanella.

‹‹Perchè suona a ripetizione?››

‹‹Prova d’evacuazione. Vogliono farla il primo giorno, per risparmiare tempo per le lezioni successivamente.››

James si rese conto solo ora di chi fosse il suo interlocutore.

Era stato tutto il tempo a pensare, senza curarsi di quello che la strana insegnante con un tic all’occhio stesse dicendo.

Stava parlando con una ragazza, tutta riccioli rosso scuro.

‹‹Allora, ti sbrighi ad uscire? Non vorrei che riprendessero anche me per la tua eccessiva lentezza. E comunque, piacere, Elizabeth Gwen.››

James seguì la ragazza, immettendosi nel fiume di ragazzi che stava uscendo.

‹‹Niente panico, lo sapete che è solo un’esercitazione. Vi chiedo di stare nel cortile solo per cinque minuti, poi ritornete alle vostre lezioni.››

Il preside iniziò a ripetere questo messaggio negli altoparlanti, rendendo la mattinata ancora più odiosa e caotica.

Elizabeth e James si stavano facendo strada verso l’uscita, superando nugoli di ragazzi degli ultimi anni che ne approfittavano per fumare, bloccando i corridoi.

Quella scena, nella testa di James, era stranamente familiare.

Erano tutti fermi, accalcati, ed Elizabeth si sollevò in punta di piedi per vedere cosa stesse bloccando il flusso di ragazzi.

Stessa scena.

Stesso finale.

Un altro sogno?

‹‹Elizabeth...corri.››

‹‹Cosa? Non vedi che non possiamo muoverci? C’è una coda immensa. Ma questa scuola è così frequentata?››

Aveva ragione.

Effettivamente, quella mattina, nel cortile principale non c’era tutta questa gente ad aspettare per entrare.

‹‹Elizabeth, sono serio. Se vuoi seguirmi, seguimi.››

Sentiva il tempo dilatarsi, anche se forse era solo un prodotto della sua testa.

Non sapeva perchè si stesse portando dietro la ragazza, ma dopotutto gli piaceva avere qualcuno con cui parlare.

Iniziò a correre nella direzione opposta, sperando ci fosse un’altra uscita.

‹‹James, dove diamine stai andando? 

Almeno mi segue.

‹‹Risparmia il fiato e pensa ad un posto sicuro dove nasconderci. E con sicuro, intendo realmente inaccessibile.››

‹‹Va bene, seguimi.››

Continuarono a correre e trovarono una porta secondaria, che dava su un cortile abbastanza mal messo.

Avevano avuto fortuna.

Elizabeth condusse James in una serie di vicoli, zone poco frequentate della città, con solo qualche senzatetto particolarmente sveglio.

Dopo un apparente giro inutile entrarono in una porta, dietro un vicolo, e, chiusi lì dentro, si sedettero a riprendere fiato, entrambi stanchi per la lunga corsa.

‹‹Perché?››

James guardò la ragazza di sbieco, senza capire il senso della sua domanda.

‹‹Perché siamo corsi via. Perché anche io. Perchè.››

La ragazza non stava ponendo domande, stava cercando di capire qualcosa.

James scosse le spalle e, con la bocca completamente asciutta si sedette con la schiena contro il muro, troppo affaticato per riuscire a parlare.

Le mie capacità atletiche fanno schifo.

‹‹Hai tempo di ascoltare? Nessuno lo ha ormai.››

Elizabeth si fermò.

Stava camminando avanti e indietro per la stanza, borbottando milioni di epiteti a James e a quello che le aveva fatto fare. Teneva molto alla scuola.

‹‹Racconta.››

Scivolò anche lei lungo il muro, di fronte al ragazzo, nel silenzio di quel piccolo stanzino dimenticato, buio e polveroso.

 



So, here we are.
Ho voluto scrivere questa storia perchè non avevo idea di come occupare il tempo, non so quanto possa essere interessante.
Ho deciso di collegare ogni capitolo a una canzone, come d'altronde il titolo della storia stessa.
Spero vi possa piacere, nonostante non sappia nemmeno io cosa stia scrivendo esattamente.
*si smaterializza*
  
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