Primo
tentativo di fanfic in assoluto! L'ho scritta quando ancora non sapevo
come sarebbero andate le cose tra Lupin e Tonks, quindi potete
idealmente collocarla tra il quinto ed il sesto libro.
Spero vi piaccia!
Il Molliccio
rivelatore
Autrice:
menestrella07
Categoria:
Harry Potter
Genere:
romantico, sentimentale, commedia
Personaggi:
Nimphadora Tonks,
Remus Lupin
Pair:
Tonks/Lupin
Rating:
verde
Disclaimer: I personaggi di questa fanfic
non mi
appartengono, ma sono proprietà di J.K. Rowling e di tutti
coloro che ne
detengano i diritti. Questa storia è stata scritta senza
alcuno scopo di lucro.
Un
uomo osservava il suo riflesso contro
il vetro bagnato che gli restituiva un volto stanco, segnato da
numerose
cicatrici, le gocce di pioggia così simili a lacrime. Remus
Lupin guardava la
strada deserta al di là della finestra, senza realmente
vederla. La sua mente
era ingombra di pensieri, quelli tristi uniti a quelli felici.
Chiudendo gli
occhi, con il solo rumore della pioggia che picchiettava contro il
vetro
sporco, avrebbe potuto immaginare di trovarsi in un altro posto, forse
anche in
un’altra epoca, magari tornare a quel pomeriggio di tanti
anni prima in cui era
rimasto ad osservare la tempesta dalle finestre della Sala Comune,
mentre i
suoi amici scherzavano accanto al fuoco, accoccolati sulle comode
poltrone di
velluto scarlatto. James era da poco rientrato da un allenamento di
Quiddich ed
era completamente fradicio. Senza che nessuno se ne fosse accorto,
aveva
indossato il suo mantello dell’invisibilità ed
aveva combinato ogni sorta di
guaio, mettendo a soqquadro l’intero dormitorio prima di
essere tradito dalle
sue stesse impronte bagnate. Era stata Lily a smascherarlo per prima e
si era
rivolta a lui perché punisse il colpevole, ma Remus aveva
alzato le spalle,
invitando la ragazza a godersi quel pomeriggio di riposo. Subito una
mano si
era posata sulla sua spalla e una voce fiera aveva commentato:
“Ben fatto,
amico!”
...
Sirius.
Prima
James e poi lui.
Remus
appoggiò la fronte accaldata
contro la superficie gelida del vetro, cercando un po’ di
sollievo. Sembrava
che fosse passata una vita intera. E forse era così, ma gli
anni non cancellano
i ricordi. Quella stretta allo stomaco che aveva provato per la prima
volta
sedici anni prima e che da allora non lo aveva mai abbandonato si era
rafforzata nell’ultimo periodo. Nessuna sorpresa, visti gli
ultimi tragici avvenimenti.
Arthur, Molly e gli altri membri dell’Ordine avevano cercato
di consolarlo,
spiegandogli che la perdita di Sirius era ancora troppo recente, ma che
presto
il dolore si sarebbe attenuato, che non avrebbe fatto sempre
così male. Ma lui
sapeva che non sarebbe stato così. Non lo era stato per
James e non lo sarebbe
stato neppure per Sirius. Avrebbe dovuto imparare a convivere con
questo nuovo
peso sul cuore, perché ora dei Malandrini era rimasto
soltanto lui.
Perché? Se lo era chiesto
talmente tante volte
che era diventato una specie di ritornello, un pensiero fisso che di
continuo
attraversava la sua mente... Perché?
Un giorno aveva anche trovato la risposta, ma questo non aveva fatto
che
aggravare la sua sofferenza.
Lui
era vivo perché aveva rischiato di
meno. Perché non si era esposto, non come i suoi amici,
almeno. Talora gli
sembrava di poter avvertire la presenza di James vicino a lui, intento
a
guardarlo con un’espressione così colma di
rimprovero da fargli abbassare lo
sguardo, pieno di vergogna e di rimorso. Ora c’era anche
Sirius al suo fianco.
E poi c’era lei, Lily... neppure da morta riusciva ad essere
sgarbata con lui,
ma anche i suoi occhi erano duri... Gli chiedeva, di tanto in tanto, di
prendersi cura di Harry, ma anche questo sembrava non riuscirgli bene:
da
quando si era allontanato da Hogwarts gli era stato sempre
più difficile
seguire i passi del ragazzo.
Un
fracasso improvviso nel corridoio lo
distolse dai suoi pensieri. Remus si mise in ascolto, pronto ad
estrarre la
bacchetta, qualora ce ne fosse stata la necessità. Un tonfo
sordo, come di qualcosa
di grosso che si abbatte con violenza sul pavimento e poi...
“Ma
porca... miseria!”
un’imprecazione. “Ma perché deve
capitare sempre a
me?!”
“Chi
c’é?” domandò ansiosa Molly,
le cui
parole giunsero attutite dalla cucina.
“Sono
io, tranquilla!” le gridò in
risposta il nuovo visitatore. “Arrivo subito, mi tolgo solo
il mantell...”
Un
altro tonfo, ancora più potente del
primo e un altro commento, pronunciato con troppo foga, fecero
improvvisamente
risvegliare il terribile ritratto della Signora Black, che
iniziò a lanciare maledizioni
per tutto il corridoio.
“traditori
del proprio sangue, feccia babbana...”
“Oh,
no!”
Tonks. Come sempre aveva fatto il suo
ingresso in grande stile.
Remus
si lasciò sfuggire un sorriso ed
ebbe l’impressione che, se Sirius avesse potuto trovarsi in
quella stanza insieme
a lui, lo avrebbe condiviso.
Quel
sorriso si spense immediatamente
quando Lupin capì che avrebbe dovuto occuparsi personalmente
della Signora
Black. Tonks si era precipitata al ritratto, ma il suo pronto
intervento non aveva
fatto altro che peggiorare la situazione, se possibile.
“Zia,
ora smettila!” stava infatti
sbraitando la ragazza. “Non eri simpatica neanche da viva, ma
ora stai
esagerando!” commentò, cercando di richiudere le
tende.
“tu,
vergogna della famiglia... tu, immonda mezzababbana...”
“Lascia,
faccio io” si offrì Remus, dopo
averla raggiunta.
“Oooooh,
ciao Remus!” lo salutò la
ragazza un po’ imbarazzata, ritirando la mano che stava
cercando di chiudere la
bocca alla vecchia megera. “Non sapevo fossi in
casa...”
“Tonks.”
“Aspetta,
ti aiuto,” disse ancora
risoluta, afferrando un lembo della grossa tenda scura di broccato.
Remus
le fece un cenno ed entrambi
tirarono con forza, avvicinando le due metà della stoffa. A
dirla tutta, Tonks
ci mise un po’ troppa energia, cosicché
finì dritta addosso a Remus che, quasi
se lo aspettasse, la sostenne senza battere ciglio.
“Ops,
scusa... sono troppo forte!”
scherzò la ragazza, ma le guance le si colorarono
leggermente.
“Non
ti preoccupare, non ce l’avrei
fatta da solo.”
Tonks
azzardò uno sguardo su di lui e,
trovandolo sincero, lo ringraziò con un ampio sorriso.
«Che
facevi di bello?» chiese subito
dopo, mentre i due si incamminavano verso la cucina.
“Sistemavo
delle cose al piano di sopra,
sai... questa casa rivela sempre qualche sorpresa!”
“Sempre
al lavoro, eh professore?” lo
canzonò lei, mentre Lupin distoglieva lo sguardo.
Molly
la accolse con le mani piene di
sapone.
“Uh,
ci penso io!” esclamò subito Tonks,
avvicinandosi al lavello pieno di piatti sporchi; ma cogliendo
l’espressione
agitata della donna si fermò.
“Ecco,
cara...” Molly sembrava pensare
rapidamente. “Pensavo che forse potresti aiutare Remus a
sbarazzarsi di quel
molliccio che abbiamo trovato in soffitta. Un compito sicuramente
più
interessante per un giovane Auror come te...”
Tonks
seguì docilmente Lupin, mentre
questo la accompagnava ad affrontare il suo nemico, ma una parte di lei
sembrava rimuginare su quanto era appena accaduto. Remus, osservandola
con la
coda dell’occhio, notò che si torceva le mani,
immersa nei propri pensieri.
“Molly
farebbe qualsiasi cosa per
tenermi lontana dalle faccende domestiche...”
sbuffò, salendo le scale. “Insomma,
so di essere un tantino maldestra... però in fondo vorrei
solo potermi rendere
utile.”
“Tu
ci sei utile,”
ribatté Lupin, cedendole il passo di fronte
all’entrata
della soffitta. “Sei un Auror e lavori al Ministero. Sei una
continua fonte di
informazioni preziosissime.”
“Grazie.”
La
ragazza gli posò una mano sulla
spalla, prima ancora che lui potesse allontanarsi con qualche scusa.
“Grazie,
davvero,” ripeté quella,
stringendo un po’ la presa. “Da quando Sirius non
c’è più...”
iniziò, senza
però riuscire a continuare.
Remus,
si ritrovò a scrutare il suo
volto, individuandovi i segni di quella medesima sofferenza che doveva
essere
stampata sul suo stesso viso.
“So
bene che io non lo conoscevo da
tanto...” riprese Tonks, quasi intuendo i suoi pensieri.
“Però Sirius era una
di quelle persone che ti entrano dentro subito... Scusa!”
aggiunse subito,
notando il turbamento di Remus a quel suo ‘era’.
“Non
fa niente.”
La
sua voce suonò più sconsolata del
previsto, mentre gli occhi della ragazza si posavano su di lui. Lupin
si
costrinse ad affrontarli, sicuro di trovare sul suo volto la stessa,
insopportabile, espressione piena di compassione che spesso gli
rivolgevano i
suoi compagni.
“Davvero,
Tonks, non fa...” ripeté
determinato.
La
ragazza lo stava guardando, ma il suo
sguardo era deciso. Non vi era traccia di pietà, forse vi si
poteva scorgere solo
un po’ di preoccupazione.
“Vorrei
che tu sapessi che non sei
solo,” disse, tutto d’un fiato. “Noi ci
siamo, se hai bisogno. In qualunque
momento. Puoi chiamarmi quando vuoi!” insistette.
“Puoi mandarmi un gufo, se
preferisci, e comunque sappi che il camino di casa mia è
sempre libero e adora
le visite”.
Quest’ultimo
commento fece ridere Remus,
ma la ragazza non sembrò pronta a demordere.
“Parlo
sul serio! Anch’io so cosa vuol
dire perdere una persona cara; so come ci si sente dopo...”
Lupin
decise di interrompere quella discussione
penosa per entrambi.
“Tonks,
grazie... ma non ce ne sarà
bisogno. Sto bene.”
“Sì...
quanto una salamandra cieca alla
luce di mezzogiorno!”
Non
aveva voluto dirlo veramente, ma di
fronte all’aria affranta dell’uomo non era riuscita
a trattenersi.
“Sto
bene!” ripeté quello, sempre senza
guardarla, con una nota di impazienza nella voce.
Tonks
si rese conto di essersi spinta
troppo in là; già era strano riuscire finalmente
a parlargli a quattrocchi, ma
era meglio non approfittarne troppo. Eppure... qualcosa le impediva di
rimanere
zitta, di accettare in silenzio le sue menzogne.
“Senti,
tu c’eri quando io avevo bisogno
di aiuto,” proclamò in tono spiccio.
“Sei stato l’unica persona che sia
riuscita ad ascoltare finché ero al S. Mungo. Ora tocca a me
starti vicino.”
“Nessuno
deve starmi vicino, Tonks,
perché io...” provò di nuovo Lupin, con
tono stanco.
“Stai
bene, sì... lo hai già detto.”
La
ragazza di fronte a lui sorrise,
notando la strana espressione che si era dipinta sul suo volto.
“Non
ti arrendi mai, vero?”
“Mai.”
Remus
scosse la testa, sconfitto.
“Non
ti devi preoccupare per me,”
sussurrò, guardandola con un misto di tenerezza e di ansia.
“Qualcuno
lo deve pur fare, Remus...” la
sua voce era appena udibile “E vorrei essere io.”
Lupin
non comprese il significato di
quell’ultima frase, ma non poté chiedere
spiegazioni a colei che l’aveva
pronunciata dal momento che la loro conversazione fu bruscamente
interrotta:
qualcosa, dentro l’armadio alle loro spalle, aveva iniziato a
muoversi
violentemente, facendolo oscillare pericolosamente.
“Già...
il Molliccio... siamo qui per
questo,” disse Remus rapidamente. Fece per estrarre la sua
bacchetta, ma Tonks
gli afferrò il braccio costringendolo a fermarsi. Per
qualche strana ragione la
ragazza stava sorridendo.
“Me
ne libero da sola,” disse, puntando
la bacchetta contro l’armadio sobbalzante.
“Sicura?”
“Non
sarò brava come te, Prof., ma sono
pur sempre un Auror!” si difese.
“Come
vuoi, Ninfadora...”
Lo
aveva fatto volontariamente. Aveva
detto la parola magica. La ragazza, che tanto disprezzava il suo nome,
gli
puntò contro la bacchetta con aria oltraggiata.
“Come
osi?” sibilò
indignata. “Quante volte devo dirti di non chiamarmi
così?”
“E
quante volte devo dirti che non ho
bisogno di un’infermiera?”
Remus
la lasciò mentre ancora lo fissava
sbalordita. Scendendo le scale poté ascoltare il suo respiro
irregolare
divenire sempre più flebile, man mano che la soffitta si
allontanava dietro ai
suoi passi.
Tonks...
Era una ragazza stupefacente e
la prova evidente che le apparenze spesso ingannano. Non avrebbe mai
trovato il
coraggio di ammetterlo di fronte a lei, ma da tempo si era accorto di
averla
giudicata male. Quando l’aveva incontrata la prima volta
l’aveva trovata
quantomeno bizzarra. Il suo aspetto anticonvenzionale – i
Babbani lo avrebbero
definito rock –
l’aveva tratto in
inganno, proprio lui che conosceva molto bene quali abissi possano
aprirsi tra
l’essere e l’apparire. All’inizio aveva
visto in lei solo una ragazzina
spiritosa e inesperta, ma presto aveva capito che possedeva tante
qualità: era
intelligente e coraggiosa e leale; una presenza fondamentale per
l’Ordine,
nonostante la giovane età. A volte pensava che si stesse
esponendo a rischi
troppo grossi, ma non riusciva ad immaginare le riunioni a Grimmauld
Place
senza di lei: certo ci sarebbero stati meno disastri, ma
l’umore generale
sarebbe stato molto più grigio. Tonks possedeva il dono
dell’allegria e la sua
risata era contagiosa. Sapeva risolvere con una battuta di spirito
anche le
situazioni più spiacevoli e stare accanto a lei riempiva il
cuore di gioia. Nessun
dubbio sul perché Sirius tenesse così tanto a
lei: gli aveva detto che era figlia
della sua cugina preferita, l’unica della famiglia con cui
era rimasto in buoni
rapporti. Qualche giorno prima di morire gli aveva chiesto di tenerla
d’occhio
quando partecipavano insieme a qualche missione.
“È
ancora giovane e ha lo spirito dei
Black!” aveva spiegato Sirius. “Sarei
più tranquillo sapendo che è sotto alla
tua tutela.”
Sirius
gli aveva chiesto di proteggerla
ed ora era lei a volersi occupare di lui... quei due erano proprio
cugini!
Sapevano pensare agli altri prima che a se stessi ed erano pronti a
fare
qualsiasi cosa per le persone a cui volevano bene. Ma non poteva
permetterle di
affezionarsi troppo a lui: era naturale che la morte di Sirius
l’avesse
sconvolta, tuttavia non era una buona idea per lei cercare di
diventargli
amica. Aveva fatto una promessa a Sirius e l’avrebbe
mantenuta: avrebbe fatto
quanto in suo potere per difenderla, ma le sarebbe rimasto lontano. Per
come
stavano le cose in quel momento, era la miglior cosa che potesse fare
per lei:
Silente gli aveva annunciato di volerlo coinvolgere in una missione
delicata,
sulla cui entità si era già fatto
un’idea abbastanza precisa. Tonks aveva
appena perso un cugino, non meritava di perdere anche un amico. Meglio
dunque
che restassero colleghi, com’erano stati sino a quel momento.
Questo l’avrebbe
tenuta fuori dai guai, come Sirius aveva chiesto.
Eppure...
per un attimo, quando gli
aveva offerto il suo aiuto in cima alle scale, Tonks gli aveva
ricordato una
persona: Lily, l’unica vera amica che avesse mai avuto.
Entrambe erano così
cocciute quando si mettevano in testa una cosa, che era difficile farle
desistere. Come Lily, anche Tonks non sembrava spaventata dalla sua
condizione,
di cui certamente era a conoscenza. Non ne avevano mai parlato
direttamente, ma
non c’era paura nei suoi occhi quando lui le annunciava di
doversi preparare ad
una nuova notte di luna piena; non tremava quando gli stava vicino...
Prima gli
aveva anche appoggiato una mano sulla spalla, replicando senza saperlo
un gesto
che era stato tipico di Sirius...
Lupin
si bagnò il viso con dell’acqua
fresca, fissandosi allo specchio. Non doveva ripetere
l’errore di Sirius, che
aveva cercato nel giovane Harry tracce del carattere di suo padre.
Sirius era
morto e Tonks non poteva sostituirlo. Non spettava a lei. Ma anche
senza voler
vedere in lei il fantasma dell’amico perduto, Remus sapeva
quanto sarebbe stato
facile esserle vicino. La sua spontaneità, così
diversa dal suo carattere
introverso, lo attirava irreparabilmente; il suo umorismo era
l’unica cosa che
riuscisse ancora a rischiarare le sue giornate. Era consapevole di
dover
reprimere la naturale simpatia che aveva iniziato a nutrire nei suoi
confronti
e sapeva di essere perfettamente in grado di controllare i suoi
sentimenti...
tuttavia la faccenda si sarebbe complicata, qualora la ragazza si fosse
veramente messa in testa di occuparsi di lui. Se avessero iniziato a
frequentarsi di più, avrebbero finito con
l’imparare a conoscersi e qualcosa
gli diceva che Tonks, proprio come Sirius, fosse una di quelle persone
che, per
citare le sue stesse parole, sanno
entrarti dentro...
Un
grido lo distolse dalle sue
preoccupazioni. Remus udì dei singhiozzi provenire dalla
soffitta. Tonks! Il tempo di
materializzarsi e la
vide accoccolata ai piedi del corpo di un uomo.
“Tonks!”
gemette Lupin, aiutandola ad
alzarsi. “Tonks, che succede?”
La
ragazza non sembrava in grado di
rispondere; continuava a piangere convulsamente, senza distogliere gli
occhi
dall’uomo che giaceva a terra.
“Oh,
Remus!” riuscì infine a
pronunciare. “Mi dispiace, mi dispiace tanto... non riesco
neanche ad
affrontare un Molliccio...”
“Non
ti devi preoccupare, i Mollicci
sono creature peggiori di quanto siamo soliti presumere,”
disse lui in fretta, sperando
di poterla rincuorare.
La
ragazza alzò gli occhi su di lui e,
consideratolo per un attimo, gli gettò le braccia al collo.
“Oh,
Remus!” fu tutto quello che riuscì
a ripetere, singhiozzando sulla sua spalla.
Per
qualche istante Lupin rimase
perfettamente immobile, senza sapere come comportarsi. Poi
però, visto che
Tonks continuava a piangere ripetendo il suo nome, decise che fosse il
caso di
cambiare atteggiamento. Gettata un’occhiata verso la porta,
le cinse la vita
con le braccia, stupendosi di quanto quel gesto gli fosse riuscito
facile. Per
un attimo temette di aver esagerato, perché gli
sembrò che Tonks si irrigidisse,
ma subito dopo la ragazza si strinse ancora di più a lui,
circondandolo a sua
volta con le braccia. E fu allora che Remus realizzò a pieno
la situazione: si
stavano abbracciando. Gettando un altro sguardo preoccupato alla porta,
cercò
di staccarsi gentilmente da Tonks, ma quella sembrava decisa a non
abbandonare
la sua posizione e, peggio ancora, non aveva ancora smesso di piangere.
“Tonks,
avanti,” provò il professore,
sussurrandole qualche parola di incoraggiamento all’orecchio.
“Ti va se ci
sbarazziamo insieme di questo Molliccio?”
Gli
occhi ancora umidi della ragazza si
posarono sui suoi, rivelandogli un’espressione strana,
distante, come quella di
chi si sveglia improvvisamente da un sogno.
“Certo...”
disse lentamente, “... Il
Molliccio...”
Scioltasi
dal suo abbraccio, frugò con
impazienza nelle tasche, alla ricerca della bacchetta.
Remus,
avvistandola sul pavimento vicino
al Molliccio che giaceva ancora in attesa, si offrì di
recuperala.
“Ti
è caduta a terra,” disse,
indicandola. “Lascia, faccio io,” aggiunse, mentre
la ragazza stava già per
chinarsi.
Non
appena Lupin si fu avvicinato al Molliccio,
la creatura prese a contorcersi, scossa da violenti tremori, fino a
quando di
fronte a loro non apparve un grande cerchio argenteo, luminoso, che il
professore
affrontò con un secco “Riddiculus!”, a
cui fece immediatamente eco
l’incantesimo della fanciulla, pronunciato con una strana
rabbia. Il Molliccio
sembrò indeciso per qualche istante, incerto sulla forma da
assumere, e poi
sembrò percepire nella ragazza la fonte maggiore di paura,
perchè tornò a
trasformarsi in quel corpo che poco prima l’aveva tanto
spaventata. Desideroso
di conoscere che cosa avesse potuto turbare in quel modo Tonks, Lupin
fece
qualche passo in avanti, scoprendosi del tutto impreparato alla vista
di quanto
si disponeva di fronte ai suoi occhi.
C’era
un cadavere, disteso ai suoi
piedi. Il cadavere di un uomo vestito in abiti consunti, ingialliti
dalle
intemperie e dagli anni. Per un attimo, Lupin pensò con
orrore di trovarsi di
fronte al corpo di Sirius e non se la sentì di spingere il
suo sguardo fino al
volto di quella creatura demoniaca. Poi qualcosa attirò la
sua attenzione:
c’era una cicatrice sulla mano destra del cadavere, una
cicatrice identica alla
sua. I suoi occhi cercarono quelli del morto, che giacevano ancora
aperti, ma
privi di vita. Anche quelli erano identici ai suoi, così
come i capelli, il
naso, la bocca, le antiche cicatrici che ne rovinavano il volto.
“Riddiculus!”
fece ancora una voce alle
sue spalle, frantumando in mille pezzi quel corpo da cui Lupin non
riusciva a
staccare gli occhi di dosso.
L’esplosione
del Molliccio procurò un
grosso baccano, seguito da un silenzio di tomba. Remus, ancora
perplesso, non
osava alzare gli occhi dal pavimento.
“Be’,
ora lo sai.”
La
voce di Tonks era sicura, quasi
allegra.
Lupin
si decise a guardare verso di lei
e si accorse che era al suo fianco.
“Ora
lo sai,” ripeté quella,
sfiorandogli la guancia con una mano. “Meglio
così, no?” insistette. “Uno dei
due, prima o poi, deve decidersi a rompere il ghiaccio. Certo, speravo
fossi
tu, però va bene lo stesso...”
Remus
si alzò all’improvviso, forse un
po’ troppo bruscamente. Si avvicinò istintivamente
alla porta, ma poi pensò che
fosse meglio tornare indietro. Tonks studiava con attenzione i suoi
movimenti,
a metà tra il divertito e il preoccupato.
“Capisco
che tu possa sentirti un po’
frastornato,” concesse, “però
è più di un minuto che sei in silenzio; forse ora
dovresti dire qualcosa.”
“Di
cosa
stiamo parlando, Tonks?” riuscì a mettere allora
insieme Lupin, a cui si era
prosciugata la saliva.
“Ma...
di noi due!”
Tonks
lo guardava stupita, come un
insegnante di fronte ad un allievo brillante che improvvisamente si
riveli invece
particolarmente stupido.
“Noi...
due?!”
“Remus!”
lo rimproverò, invitandolo alla
riflessione. “Hai visto il Molliccio: ha preso la forma del
tuo cadavere. Ergo la mia peggiore
paura è che tu
muoia, ergo...” si
interruppe,
invitandolo a continuare la frase, ma Lupin sembrava incapace di
spicciare parola.
“Ergo
io ti amo,” concluse lei, come se gli avesse appena spiegato
un teorema
matematico.
Il
professore dovette impallidire di
colpo perché la ragazza accorse immediatamente al suo fianco
per sorreggerlo,
quasi temesse di vederlo svenire da un momento all’altro.
“Sto
bene, sto bene,” assicurò in fretta
alzando le mani, senza permettere a Tonks di toccarlo.
“Lo
sai, stai diventando
monotematico...” fece quella, strizzando un occhio.
Remus
agitò la bacchetta e fece apparire
dal nulla due sedie, che si premurò con cura di posizionare
ad una certa
distanza l’una dall’altra. Accomodatosi sulla
propria, con un debole gesto
della mano invitò Tonks a fare altrettanto, ma la ragazza
sembrò pensarci un
attimo e quindi estrasse la bacchetta, puntandola dritta contro Lupin.
“Ora,
non ti spaventare,” annunciò,
dandosi un certo contegno. “Che Molly ci creda o no, ho fatto
notevoli
progressi in questo genere di incantesimi,” e, chiudendo gli
occhi per trovare
una maggiore concentrazione, pronunciò a mezza voce una
piccola formula, che
trasformò all’istante la sedia su cui giaceva
Remus in un divano a due posti.
“Dunque...”
riprese, quando si fu
accoccolata vicino a lui, “dove eravamo rimasti?”
“Tonks!”
strillò Lupin, quando la
ragazza posò la mano sul suo braccio, facendola sobbalzare.
“Ma
sei pazzo?!” si inalberò quella,
portandosi una mano al petto. “Vuoi farmi morire di paura?!
Ti ricordo che sino
a qualche istante fa il morto eri tu!”
“Tonks,
ascoltami.”
La
voce di Lupin si era fatta seria,
grave quasi, tanto che la ragazza si spaventò sul serio.
“Tonks,
ascoltami bene e rispondi
onestamente: tu stavi scherzando prima, vero?”
Lo
sguardo di Lupin esprimeva
chiaramente tutta la sua angoscia, nonostante fosse posato sui cuscini
fucsia
del divano creato da Tonks.
“Quando
ho detto che ti amo?”
Neppure
la ragazza se la sentiva più di
giocare: le cose non stavano andando proprio come se l’era
immaginate.
Lupin
annuì, preoccupato, poi notando
che Tonks si accingeva a rispondere, la interruppe per una precisazione
che gli
stava particolarmente a cuore.
“Riflettici
bene, Tonks, perchè se la
tua risposta è sì allora possiamo farci insieme
una bella risata, ma se per
caso... se eventualmente...”
disse
Remus, lottando per continuare. “Se invece la tua risposta
fosse no, allora
avremmo un problema.”
“Non
abbiamo nessun problema, Remus,” rispose
Tonks, ma c’era una nota fredda che stonava nella voce di
solito così
armoniosa.
“Bene,”
la incoraggiò in ogni caso
Lupin.
“Ma
io ti amo, lo stesso. Per davvero!”
aggiunse, vedendo l’uomo distogliere adirato lo sguardo da
lei.
“Spiegami
qual è il problema!”
insistette la ragazza, notando l’impazienza del suo compagno,
che si era rannicchiato
nell’angolino più lontano del divano.
“Al
diavolo questo sofà!” sbraitò Tonks,
muovendosi verso di lui, “Avrei dovuto farlo più
piccolo!”
“Tonks,
ti prego,” implorò lui, sentendo
il proprio ginocchio vicino a quello della ragazza.
“Dimmi
qualcosa, Remus!” lo pregò a sua
volta Tonks, afferrandogli il volto con entrambe le mani per
costringerlo a
guardarla. “Parla con me!”
E
così Lupin fu costretto a guardarla,
ma non appena ebbe incontrato i suoi occhi, non riuscì
più a pronunciare una
parola, neppure uno di quei rifiuti che da qualche minuto affollavano
la sua
mente. La ragazza si rivelò più abile di lui, perché
colse quel suo piccolo
istante di esitazione, per posargli le labbra sulle sue. Per un attimo
Lupin
dimenticò tutto, persino il colossale guaio in cui sarebbe
andato a cacciarsi
se non avesse posto subito fine a quella storia. Ma poi Tonks si
staccò da lui,
anche se solo per abbracciarlo.
“Sì...”
la sentì mormorare vicino al suo
orecchio. “... Ora le cose stanno decisamente andando come le
avevo
immaginate...”
“Tu
lo avevi... immaginato?!” farfugliò
Remus, prendendo il tempo necessario per riprendersi.
“Oh, certo... due o tre mila volte...” fantasticò la fanciulla, perdendosi momentaneamente nei suoi pensieri.
§
fin
§