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Autore: Elsa Maria    20/04/2013    5 recensioni
Un mese di vacanza rovinato da un'iniziativa audace. Un mese in un Onsen ryokan, dall'aspetto tranquillo. Un mese in compagnia di un ragazzo misterioso e un cliente alquanto snervante. Un mese per provare tutte le emozioni che uno si porterà dietro per il resto della vita.
Un mese in cui i titubanti cuori di Sora e Roxas Sawamura, saranno messi alla prova.
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Questa è la prima fan fiction che scrivo su Kingdom Hearts, e mi sento più tosto agitata. Spero proprio di non aver prodotto qualcosa di indecente. Buona lettura.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Axel, Kairi, Riku, Roxas, Sora
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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“I miei boxer! Roxas i boxer!” La voce isterica di Sora era penetrata nella mente di Roxas, come un trapano che per errore faceva il buco nel muro.
“Alla tua destra.” Sbuffò coprendosi le orecchie con le mani.
“E’ tardi, tardi, tardissimo.” Ripeteva ossessivamente, come se dirlo avesse fermato il tempo.
“Mi ricordi il bianconiglio, sai.” Sora lo fulminò con lo sguardo.
“Invece di fare l’ironico e leggere, che ne dici di passarmi i vestiti?!”
“Alla tua sinistra.” Il castano grugnì, e nervoso infilò, disordinatamente, gli indumenti nella valigia. Poi prese qualche manga, i vari caricabatterie, una torcia –non si sapeva mai, ma poteva tornare sempre utile-, e alcuni CD (sperando che ci fosse uno stereo).
Si mise seduto sul bagaglio per chiuderlo, ma la roba era troppa e neanche i piagnucolii del ragazzo facevano scattare le sicure per tenere legate la parte superiore e inferiore, in modo che non si sarebbero più staccate. Roxas, sospirando spazientito e esausto, buttò giù Sora, sistemò gli oggetti in modo ordinato e chiuse la valigia con una facilità da risultare irreale.
“Adesso possiamo andare.” Prese il libro e lo mise sottobraccio. Afferrò il manico della valigia e scese le scale, Sora lo seguì. Per arrivare all’Onsen avrebbero preso il treno, poi, alla stazione, ad aspettarli ci sarebbe stato il nonno di Kairi, proprietario dell’albergo.
Per il viaggio i due fratelli non parlarono molto, per vari motivi: Roxas si era precluso con le cuffie e la musica a tutto volume, mentre leggeva L’occhio del Golem (*) che era intenzionato a finire presto, per iniziare il seguito; invece Sora si lesse nuovamente tutti e 23 i volumi di Soul Eater (**) e commentava AnoHana (***), con i lacrimoni, che stava guardando sul suo cellulare; coinvolgeva persino gli altri passeggeri, tra cui c’era chi godeva dell’esuberanza del ragazzo, chi invece gli avrebbe piacevolmente puntato un fucile alla testa –i più sadici, perché c’erano (Roxas ad esempio), immaginavano le peggio torture da infliggergli-. 
Dopo qualche ora arrivarono  nel luogo dell’appuntamento.
“Sora maledetto!” Ansimava il biondo. “Mancava poco e rimanevamo sul treno!”
“Alla fine, però, siamo qui. Guarda il lato positivo!” Disse energico. Roxas lo guardò storto. “Su, su, fratellino. Smile!” E gli tirò le guance facendogli fare un sorriso forzato.
“Roxa-kun, So-kun.” Disse un anziano signore avvicinandosi ai due.
“Vecchio Shinohara!” Lo salutò Sora, non rendendo contento il nonno di Kairi per quel ‘vecchio’.
“Salve signore.” Fu più cordiale l’altro.
“Il viaggio, tutto bene?”
“Magnificamente!” Esortò il castano.
“A parte il fatto che a causa sua – disse Roxas, indicando Sora- stavamo per andare chissà dove.” I fratelli si guardarono e ringhiarono come cane e gatto.
“Suvvia, ragazzi. Non sprecate così le vostre forze, poi chi penserà a tutto il lavoro che dovete svolgere, eh?” Si mise fra i due e cinse loro le spalle con le braccia.
Il castano alla parola lavoro si sentì come investito da un camion che correva a tutta velocità sull’autostrada. Entrambi fecero un mezzo sorriso e con il vecchio si diressero alla macchina, che li portò dritti verso l’Onsen.
“Questo luogo ci è stato tramandato da generazioni.” Disse Shinohara. “Tu Sora già lo sai, ma questa è per Roxas la prima volta che viene.”
“La seconda signore.” Lo corresse il ragazzo. “Comunque non mi è mai stata raccontata la storia dell’Onsen.” Sora fece dei gesti di rimprovero a Roxas, doveva starsi zitto, adesso il nonnetto non avrebbe più smesso di parlare.
“Ma davvero! Oh, oh, allora sarò lieto di raccontartela.” Ed iniziò a parlare. Da quando un suo trisavolo trovò la fonte dove scorreva l’acqua termale, fino ai giorni loro, elogiando più del dovuto la zona che aveva ereditato. Anche se, appena i ragazzi arrivarono, non poterono che concordare con lui, dopo il restauro concluso due mesi prima, sembrava un altro posto.
Quella della famiglia non era una semplice zona termale, ma era un ryokan (****). 
L’architettura semplice e tradizionale, appartenente a quella parte del Giappone che pian piano stava per essere sommersa dalla modernità e le nuove tecnologie, era composta da strutture di legno, carta, erba, bambù e pietra. Un piccolo ruscello scorreva accanto la stradina che conduceva all’entrata, per poi sfociare in un fiumiciattolo che, per attraversarlo, era stato costruito un ponte. Il luogo tranquillo e silenzioso, placò gli animi irrequieti dei due ragazzi che allegramente andarono all’atrio. Si levarono le scarpe, ma gli fu detto di tenerle con loro per non occupare gli armadietti (*****) utili agli ospiti. Furono condotti, poi, a una piccola casa staccata dall’albergo, che era sempre nello stesso stile dell’Onsen, dove gli fu data una stanza.
“Qui –riferito alla casa- ci dormiamo: io, mia moglie, Kairi e un altro ragazzo che, come voi, arriverà tra poco. Ora sistematevi con cura e alle 20, raggiungetemi in cucina.” E così il vecchio li lasciò soli nella stanza.
“Ti immagini, Roxas.” Disse Sora con sguardo sognante “Kairi con lo yukata (******).”
“Come ti pare.” Gli disse il biondo disinteressato.
“Lo sai che potrebbe esserci anche Nami-chan?  Lei e la sua famiglia sono clienti abituali dell’Onsen, ci vengono ogni volta che possono.” Disse malizioso. Roxas avvampò.
“Naminé?” 
“Oh, guarda come arrossisce cuore di pietra. Hai un debole per la biondina, eh.” Ghignò il ragazzo soddisfatto di quella reazione.
“Non ho nessun debole io, che cosa farnetichi.” Sistemò i pantaloni e le magliette in un cassetto del comò di bambù. 
Sora si spogliò. Quando Roxas si voltò e lo vide, si coprì gli occhi.
“Che fai demente! Non puoi rimanere così in mutande; non mentre io ti credo vestito, per lo meno.”
“Devo indossare lo yukata. Quale problema hanno le mie mutande?”
“A parte che sopra ci sono disegnati dei maialini stilizzati? Mah, nessuno. Comunque se devi cambiarti fallo dovunque tu voglia, ma non davanti a me.” Sora, per ripicca, andò dietro le spalle di Roxas e, passandogli le braccia intorno il collo, iniziò a baciargli dietro l’orecchio. 
“Perché sei tanto imbarazzato Roxa-kun? Non è che, per caso, non riesci a controllare i tuoi pensieri tanto perversi e quindi desideri saltarmi addosso?” Incominciò a sbottonargli la camicia bianca.
“Questa è la tua stanza.” Disse una voce fuori la camera, aprendo poi la porta scorrevole e mostrando, così, quella scena più che imbarazzante. Sora si voltò verso l’ingresso e ridacchiò per mascherare l’imbarazzo.
“Ciao Kairi-chan.” Con una spinta allontanò Roxas, che cadde faccia avanti.
“Ciao… Sora…” La ragazza deglutì. Non si sarebbe mai aspettata di rivedere in quella situazione tanto ambigua il suo migliore amico, dopo un anno di lontananza. Roxas, ancora disteso a terra, agitò la mano in segno di saluto.
“Che ci fate in questa stanza?”
“Tuo nonno ce l’ha assegnata.” Le rispose il ragazzo.
“Ma questa è la stanza di Riku… A proposito.” Si scansò mostrando un ragazzo: alto, albino, con gli occhi azzurro ghiaccio, muscoloso e con un espressione seria guardava i due. Non era né divertito, né scocciato, era indifferente. “Lui è Riku Takanashi, un mio compagno di classe.” Sorrise la rossa.
Sora sbatté le palpebre incredulo. Compagno di classe? Ma quella di Kairi, non era una scuola femminile?
“Kairi, ma non frequentavi una scuola femminile?”
“Si, però da quest’anno sono stati ammessi anche i ragazzi, visto che non erano molte le adesioni da parte delle ragazze.”
“Ah…” In quel momento, una strana idea, pervase la piccola mente del ragazzo. Se si fosse trasferito ad Osaka, frequentando la stessa scuola della ragazza, le percentuali di un possibile amore salivano a livelli stellari. Roxas, finalmente in piedi, gli diede un colpo con il gomito. Sora era rimasto fermo con la bocca aperta e gli occhi luccicanti di chi aveva avuto ‘l’idea da premio Nobel’.
“Allora sgomberiamo subito Kairi, e Sora.” Il biondo lanciò lo yukata, che era ben piegato sul futon (*******), al fratello. “Vestiti.” 
Il castano strinse l’indumento a se, poi abbassò il suo sguardo verso i suoi ‘amabili’ boxer, diventando rosso.
 “Ah, ah…” Rise nervoso. “Con permesso…” E passò tra Kairi e Riku.
“Patetico.” Sentì un sussurro all’orecchio. Si voltò verso l’albino che lo stava guardando, sempre con quel volto serio e impenetrabile. Sora tirò su con il naso stizzito, e, con un passo un po’ goffo, andò nella stanza accanto. Roxas lo seguì dopo aver raccolto le sue cose e, appena entrò nella nuova camera, notò con piacere il cugino vestito e seduto sul futon. Aveva le gambe e le braccia incrociate, la solita posizione che assumeva quando era arrabbiato. 
“Che è successo adesso?” Sospirò il biondo che aveva portato con se anche la valigia di Sora.
“Quel tipo dai capelli bianchi, mi ha dato del patetico.” Gonfiò le guance.
“Come biasimarlo.” Commentò l’altro. Sora, che si aspetta comprensione e appoggio, rimase sbigottito. 
Roxas lo convinse a sistemare i vestiti nel comò –uguale a quello dell’altra stanza- e di non rimanere imbronciato a lungo. Il ragazzo, prese quello che gli disse il fratellastro come una sfida, e, quando finì di mettere a posto per primo, si vantò, credendo di avere vinto chissà quale premio.
Quando uscì dalla stanza, lasciando solo Roxas, si scontrò con Riku.
“Fa attenzione.” Lo rimproverò.
“Scusa, scusa.” Borbottò. 
L’albino si abbassò al suo livello per guardarlo negli occhi.
“Che c’è?” Balbettò.
“Niente, volevo solo vedere gli occhi di una persona patetica.” Disse tranquillamente. Sora sbuffò. 
“Allora ci avevo sentito giusto, sei stato tu a dirmi patetico, prima.”
“Ma che personcina perspicace. C’è un cervello in questa testa.” E gli scompigliò i capelli.
“Ah, ah, che battuta scontata. Tutti la stessa cosa dite, cambiate per lo meno.” Gli rispose a tono, credendo di aver trovato la risposta perfetta per avere un punto a suo vantaggio.
“Perché cambiare, quando sei così sciocco da non riuscire a capirlo? Già il fatto che in molti te lo dicono, dovrebbe suggerirti qualcosa, non pensi?”
Il castano sbatté i piedi per terra in mancanza di risposta. “Io vado in cucina come mi è stato ordinato, ci si vede dopo.” Fece un passò avanti, ma l’altro lo fermò da dietro, portando le mani sul petto dell’altro. “Hai messo male lo yukata.” Indicò le pieghe che si erano formate davanti. Velocemente glielo sistemò. “Fatto.” E lo lasciò andare. 
“Non ti avevo chiesto nessun tipo di aiuto.”
“Ne avevi bisogno, però.”
Sora arrossì e se ne andò. In quel momento Kairi uscì dalla sua camera, proprio di fronte a quella di Riku. Vide il ragazzo guardare alla fine del corridoio e gli chiese: “Successo qualcosa?” Lui scosse la testa.
“Nulla di particolare. Da quanto conosci quell’essere senza cervello?” Le chiese.
“Chi, Sora? Da quando sono nata praticamente. Per lo meno così dice mia madre. Lui è due settimane di differenza da me. Comunque siamo amici di infanzia, però quando mio padre si è dovuto trasferire ad Osaka per lavoro, ci vediamo solo durante le vacanze, quindi questo periodo.” 
“Capisco. Mi finisco di preparare e arrivo subito.” 
“Certo.” Gli sorrise la ragazza.
Per le 20 tutti i ragazzi erano andati nella cucina, dove il signor Shinohara era pronto a dare ad ogni ragazzo il proprio compito. 
“Kairi tu, come Sora e Riku, penserete a portare i pasti nelle stanze degli ospiti, e sistemare le camere appena questi sono usciti. Roxas tu invece penserai alla pulizia degli spogliatoi ed aiutare qui in cucina, so che non sei male in economia domestica.”
“Vero, signore.”
“Ottimo. Oggi è domenica, voi inizierete a lavorare in modo attivo domani. Per adesso però aiutate. Voi due –indicò Riku e Sora- andate a pulire le stanze vuote, le voglio perfette, mi raccomando. Mentre voi due –indicò Roxas e Kairi- occupatevi dei bagni, e già che ci siete anche dell’altra casa. Andate pure.” Tutti quanti, moggi moggi, uscirono dalla cucina, non pronti ad affrontare quelle pulizie profonde. Le stanze erano troppe per essere contate, i bagni troppo grandi per essere misurati, la casa troppo disordinata per essere pulita non rovistandola da cima a fondo.
Però quello erano le loro mansioni, e dovevano eseguirle senza lamentarsi di niente. 
Così, ebbe inizio il primo giorno dei 31 che dovevano venire. 


 
 

 
(*) L’occhio del Golem: secondo libro del ‘La trilogia di Bartimeus’ –L’amuleto di Samarcanda, L’occhio del Golem, La porta di Tolomeo- di Jonathan Streud.
(**) Soul Eater: manga e anime di Atsushi Ohkubo, shonen, pubblicato in Italia dalla Planet Manga (il numero 23 non è ancora uscito in Italia)
(***) AnoHana: diminutivo di: Ano hi mita hana no namae wo bokutachi wa mada shiranai, anime di Tatsuyuki Nagai, shonen.

(****) Ryokan: locande in stile tradizionale.
(*****): per entrare nelle Onsen, bisogna levarsi le scarpe e metterle in un armadietto, ed indossare poi le geta.
(******) Yukata: leggero kimono di cotone.
(*******) Futon: si potrebbe definire un materasso che si mette direttamente a terra, senza la struttura di un letto.




Angolo dell'autrice:
Non so perchè, ma mi andava di scrivere Angolo dell'autrice e non N.d.A. come scrivo di solito, mah.... Chi mi capisce, è bravo.
Salve a tutti! Spero che questo capitolo non abbia annoiato e che "l'umorismo" -se così lo posso definire- non sia sembrato scontato e banale. Come avevo già anticipato ci sono tante -troppe- note, che probabilmente sono anche scontate, ma meglio metterle che non. Non ho molto da dire, oltre ringraziare i recensionatori, e i lettori invisibili (nei quali ripongo la speranza che prima o poi diventeranno visibili). Volevo chiedere anche scusa per il ritardo, ma, sapete com'è, quando i genitori sono peggio di guardie carcerarie tedesche, c'è poco da fare. 
Grazie per chi leggerà anche questo mio piccolo commento.
Alla prossima!
Here we Go!
   
 
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