– ANNIE SVEGLIATI!
Mi svegliai di soprassalto.
– Forza, alzati o farai tardi per la
colazione!
Ci misi un po’ a identificare Iris come la
mia sveglia.
– Oh, ciao, Iris.
– Alzati pigrona!
– Arrivo, dammi cinque minuti. – mi
rigirai nel letto e qualcosa cadde per terra.
– Se non arrivi veniamo io e Nathan e ti
buttiamo giù con la forza.
– Si, si okay. – dissi, ancora tutta
assonnata. Iris tornò nella sua stanza e iniziai a cercare il telefono. – Dove
l’ho messo? Oh, è caduto.
Lo tirai su e schiacciai un tasto a caso, ma
non si accese. Perfetto, scarico.
No, ora devo alzarmi!
Sbadigliai e mi tirai su controvoglia.
Avevo ancora gli occhi che mi si chiudevano ma ero abbastanza lucida. E poi ero
abituata ad essere in ritardo. Ricordai che quando ero arrivata il maggiordomo
dei Parrington aveva messo il caricabatterie in un cassetto…
Eccolo lì.
Mi diressi a tentoni verso il comodino e
aprii il cassetto. Mentre prendevo il caricabatterie la mia mano inciampò su
qualcos’altro. Misi in carica il telefono e vidi di cosa si trattava: l’album
di foto di famiglia. Mi ero completamente
dimenticata di averlo portato con me da Amburgo. In un lampo però, mi ricordai
che avrei dovuto chiedere a Dalton se i miei erano davvero morti in un incidente stradale.
Aprirlo significa
piantarello. Lo porterò via.
Lo misi nella cartella e mi vestii. Mi
ravvivai feci una coda abbastanza disordinata, e mi misi il mascara waterproof,
che in quel momento era il mio migliore amico.
Scesi le scale con la cartella su una spalla sola e trovai solo Nathan a
tavola.
– Uh, Iris fa tanto la sveglia ma alla
fine non è nemmeno a tavola… – mormorai, accennando un sorriso a mio cugino,
che però rivolse lo sguardo altrove. Decisi così di salutarlo. – Ehm, ciao
cugino.
– Ciao.
Questa freddezza non era da Nathan.
Che stia ancora
ripensando alla discussione di ieri sera?
– Va tutto bene, cugino? – gli chiesi.
– Si, tutto bene, grazie.
Freddo. Freddo. Freddo.
Ho i brividi.
Mi sedetti in fianco a lui. Che dovevo
fare, quello era il mio posto.
Arrivò anche Sophie.
– Ciao. –
la salutai.
Lei mi rivolse appena un cenno.
Pff, smorfiosa.
Dopo di lei arrivò zia Adrianne. Lei
invece mi baciò entrambe le guance, ma sembrava avesse pianto a lungo e che non
volesse darlo a vedere. Nathan lo notò.
Fantastico, di male in
peggio.
Arrivò anche Iris seguita dallo zio
Parrington. Si sedette vicino a me.
– Fai tanto l’arzilla ma alla fine sono
arrivata prima io.
Lei sembrava persa nei suoi pensieri ma
quando mi guardò riuscii a vedere i suoi occhi diventare da azzurrissimi ad
ambrati. Mi fece solo una linguaccia. Io la ricambiai.
Ma perché gli occhi di
Iris cambiano colore?
Non ci diedi molto peso per la seconda
volta, ma ora che ci penso avrei dovuto farlo. Parlammo durante tutta la
colazione allegramente, ridendo e scherzando. Iris mi ricordava molto mia
madre, e questa cosa un po’ mi faceva sorridere e un po’ intristire, ma non lo
davo a vedere. Invece, Nathan non disse nulla, era perso nei suoi pensieri e
nella sua colazione. Oh, certo, mi chiese cose tipo: “mi passi il burro?” oppure “mi
passi il succo?” e questa cosa mi dava sui nervi.
– Ragazzi, voi non dovete andare a scuola?
– chiese lo zio Parrington.
– Si. –
acconsentii.
– Oh, di già? – disse Iris, triste.
– Quando torniamo a casa potrai rimanere
nella mia camera quanto vuoi, fino a che non mi odierai talmente tanto da
scappare. – le sorrisi.
– Non ti odierei mai, cascasse il mondo.
Già, Iris era come la sorella minore che
avevo sempre desiderato.
– Andiamo, cugino?
Nathan si ficcò in bocca un pezzo di pane
con burro e zucchero sopra. – Arrivo
Annabell.
Annabell? Okay, la cosa
si fa enigmatica.
Prese la sua cartella e aprii la porta –
Ciao, famiglia!
Baciai Iris sulla testa. – Ciao, cugina!
– Ciao, Annie!
Io e Nathan ci catapultammo fuori di casa.
– Iris è davvero la sorellina che non ho
mai avuto, sai?
Lui continuava a camminare.
– Era buono il pane con burro e zucchero?
Mi piacerebbe tanto provarlo…
Non rispose.
– CUGINO – gli urlai in tedesco – potresti
almeno degnarmi di uno sguardo?
Lui si limitò a fermarsi e a voltarsi
verso di me.
– Oh, alleluia! Ora mi dici che cos’hai?
– Niente, non ho niente.
– Non fare il finto tonto, so che hai
qualcosa. Ne ho avuto la certezza a tavola, quando mi hai chiamato Annabell, invece che cugina.
– Cosa c’è di male? È il tuo nome, no?
– Ma tu non mi chiami mai così! Un conto
era se mi avessi chiamato Annie, ma Annabell
no! Nemmeno Jason mi…
– Ora non mettere in mezzo quello lì, per
favore.
– D’accordo. – alzai le braccia in segno
di resa – Ora mi dici cosa c’è che non va?
– Come te lo devo dire? Non c’è niente che non va, cugina. Ora va
meglio?
– Mi prendi per il culo o cosa? Sono tua
cugina, siamo due Note, ti capisco come nessun altro.
– Io non sono come te. – e detto questo si
avviò con passo veloce e deciso verso la scuola, ormai di fronte a noi.
Io non sono come te.
Mi avviai anche io verso la scuola.
– BUONGIORNO BELL!
Poteva essere solo una persona.
– Oh, David smettila!
– Ma l’hai vista com’è saltata?
– Ciao Dave, ciao Hope.
– Annie, perdona l’idiota di mio fratello.
– Ehi, sorellina!
– Non chiamarmi sorellina. Siamo gemelli,
solo che io sono nata qualche ora dopo.
Dave si rivolse a me – È la più piccola. –
mi bisbigliò.
Sorrisi.
– La smetti?
– No, mai. – Dave fece la linguaccia e
Hope alzò gli occhi al cielo. In quel momento vidi Nathan con Adrian e
circondato da ragazze e ragazzi che rideva. Probabilmente stava raccontando
qualcosa di divertente. Eppure, il suo sorriso mi era incredibilmente mancato.
Mi correggo: mi manca.
Io non sono come te.
In quel momento suonò la campana di inizio
lezione.
– Ciao, Hope, a dopo! – la salutai.
– Ciao sorellina! – la salutò Dave,
accentuando l’ ina. Hope alzò gli
occhi al cielo e mi salutò con un cenno della mano e ci precedette all’interno
dell’edificio. Nel frattempo ero tornata a guardare Nathan, che non aveva
smesso di sorridere. Dave mi mise un braccio intorno alle spalle.
– Cos’è successo? – mi bisbigliò.
– ‘Non
sono come te’ mi ha detto.
Dave inarcò un sopracciglio. – Okay,
useremo la mia tattica per parlarne. – mi fece l’occhiolino.
– Aaaah a proposito – abbassai la voce –
mi spieghi come diavolo hai fatto?
Dave si incamminò sempre cingendomi con un
braccio e fece spallucce – Teletrasporto. La cosa più semplice del mondo, ma te
l’avevo già detto.
– Davvero?
– Si, davvero.
Rapido ed efficace, non trovi?
Annuii.
–
Quindi, mi stai dicendo che sprecheresti quest’abilità per un mio
racconto? – gli chiesi.
– Sprecare,
che brutta parola. Io non spreco, la
uso per aiutare un’amica. – mi sorrise.
Io gli sorrisi di rimando. – Grazie.
Allora al’intervallo?
– Si, ma ora la morte. ABBIAMO STORIA!
Risi – Scienze? È così terribile studiare
i Romani?
– No, è la prof che è terrificante.
– Dave, hai paura?
– No, ma che dici?
– Hai paura, hai paura, hai paura! –
canticchiai.
– Voglio vedere quando la vedrai o ti
interrogherà o…
– Dave, stai tremando?
– Si, problemi?
– No, nessuno.
– Meglio per te, Ciamania.
Gli sorrisi. – Dai, andiamo a fare storia.
– SIETE IN RITARDO!
Si, è davvero
terrificante.
– METTETEVI SUBITO AI VOSTRI POSTI! – ci
urlò. Io e Dave corremmo in fondo alla classe e ci sedemmo ai nostri posti.
– Te l’avevo detto io…
– SILENZIO! – urlò di nuovo con una voce
stridula. – Aspetta, tu chi sei? – disse rivolgendosi a me.
– M-mi chiamo Annabell Davis, sono nuova.
– Bene, Davis, ti avranno detto come esigo che ci si comporti, vero? – feci
per aprire la bocca ma lei mi zittì subito. – Io sono Mrs. Finley, ora stai
attenta, potrei chiedere qualcosa anche a te.
Annuii e la prof iniziò a spiegare la sua
lezione. Fu un incubo, una strage. Ogni persona in quella classe aveva lo
sguardo terrorizzato.
Finita la sua ora, avevamo un’ora di
tedesco.
Tedesco? Mi prende in
giro?
La prof entrò nell’aula salutandoci in
tedesco. Quando gli chiesi come stava lei e rimase evidentemente sorpresa, ma
mi rispose comunque. Iniziò a spiegare un argomento di grammatica, il passato.
–
C’è qualcuno che può intuire come può essere la struttura? – chiese, ovviamente in tedesco.
Io alzai la mano e le dissi tutto mentre
alcuni ragazzi dovevano ancora capire la domanda. Allora la prof si rivolse
solo a me.
– Sei tedesca?
– Sono bilingue. Vivevo ad Amburgo, ma mia
madre mi ha sempre insegnato l’inglese, come se fossi madrelingua.
– Fantastico. Non ero stata informata di
questo. Ti terrò d’occhio, potresti essermi utile.
– D’accordo.
Oltre ad odiare di apparire debole, odio stare al centro dell’attenzione.
Tutti i ragazzi e ragazze mi fissavano.
Fantastico, ora penseranno
“è arrivata la secchiona, la favorita della prof.”
Passò quindi un'altra ora nella quale
evitai di parlare, ma la professoressa, Mrs. Schule, continuava ad
interpellarmi. Arrivò l’ora dell’intervallo.
– Vieni, Bell, so io un posto. – mi
informò Dave. Mi condusse in un’aula fredda e buia.
Congelo.
Dave si sedette sulla cattedra, dopo aver
acceso la luce. – Allora, dimmi tutto.
Iniziai il mio racconto dalla sera prima,
gli raccontai di quello che avevano detto gli zii sulla setta, di come aveva
reagito Nathan e di come non si fidasse più dei Custodi, di come era uscito
spazientito dalla mia stanza e di come mi aveva allegramente ignorato durante
tutta la mattina.
– Uau, che bel casino! – fu l’unico
commento di Dave.
– Già… cosa pensi che debba fare?
– So com’è Nathan. Quando ha in testa
qualcosa non da’ retta a nessuno.
– Fantastico! – mi sedetti di fianco a
lui. Sbuffai.
– A che pensi?
– Se Nathan non si fida più dei Custodi è
finita.
– Già, non sarete mai pronti. E di
conseguenza non potremo vincere la Guerra.
– Oh, Nathan. – mi misi la testa fra le
mani.
Se la voce ascolterai, e
non la ignorerai, nelle parole la risposta troverai.
Fitta alla bocca dello stomaco.
Cos’è questa... canzone?
Un’altra fitta.
– Bell, va tutto bene?
– No, per niente!
Mi girava la testa. Avevo le vertigini.
Cosa mi succede? Qual è
la voce che devo ascoltare?
– Che cos’hai? – mi chiese Dave,
preoccupato.
– Fitte alla bocca dello stomaco,
vertigini… sai di cosa si tratta?
– No…
Però io sapevo di cosa si trattava.
– AH!
Dopo le fitte, mi sentii strattonata, prima
da una parte e poi dall’altra. Udii una nota in sottofondo: un si. Era successo
di nuovo. Avevo di nuovo fatto un salto nel tempo.