III parte - Vissero tutti fottutamente felici e
contenti.
Non per sempre, ovviamente.
Se non avesse ricordato il
fatto di essere gay a quel punto della situazione se la sarebbe data a gambe
levate, spaventato dalle sue sensazioni e dalla sua eccitazione che, di punto
in bianco, sembrava essersi risvegliata. Il punto era che Ian Gallagher si era
eccitato, guardando il gesto involontario di quel ragazzo che continuava a
guardarlo, di tanto in tanto, di sottecchi, torturandosi con i denti il labbro
inferiore.
Chi era Mickey? Perché
nelle notti inconsce aveva sussurrato il nome di quel tipo così strano? E
perché tra tante volti, tra tanti nomi, presenti nella sua vita, ricordava
quello di un apparente sconosciuto, che aveva la facoltà di eccitarlo,
piuttosto che quello del fratello o della sua migliore amica? Certo, aveva
ricordato in un lampo le sembianze di Mandy, ma non era stata la stessa cosa.
Il nome di Mickey c’era stato subito dopo la bomba che l’aveva quasi ucciso,
c’era stato al suo risveglio nella casa dell’arabo, che gli aveva salvato la
vita, c’era stato nelle notti insonne e inconsce, torturandolo insieme a due
iridi, che ora sapeva, appartenevano a quel nome.
Due occhi azzurri, freddi,
profondi, curiosi, voluttuosi, insicuri. Gli occhi che ora lo guardavano
celando tutta la sorpresa, la felicità… Possibile che Mickey fosse felice e che
non volesse dimostrarlo?
Suo fratello Lip lo
osservava con gli occhi sbarrati, Mandy con uno strano sorrisetto malizioso e
gli occhi ancora lucidi per la commozione di aver ritrovato il suo migliore
amico. E poi c’era il silenzio, quel fottutissimo silenzio che nessuno voleva
spezzare per rispondere alla sua domanda: “Chi cazzo è Mickey per me?”
Il problema era uno
soltanto: Come avrebbero fatto a spiegare cos’era stato Mickey per Ian senza
farlo scappare nuovamente da loro? Nessuno aveva il coraggio di dire che la sua
partenza era stata a causa di quel tipo, che ora sembrava studiare il ragazzo
come se cercasse una falla che lo indulgesse a credere che non si trattava di
Ian, del suo Gallagher.
Poi lo sguardo di Ian
cadde sulle mani di Mickey, che, impavide, non volevano stare ferme un attimo:
prima appoggiate sulla porta d’ingresso, poi una sulla bocca per torturarsi il
labbro, quando i denti non bastavano più, mentre l’altra passava velocemente
sui capelli per spettinarli più del dovuto. E fu proprio in quel momento che
Ian vide ciò che non doveva vedere… una piccola circonferenza dorata
sull’anulare sinistro. Sbarrò gli occhi, mentre un flashback della sua vecchia
vita tornava a turbarlo.
Se ti frega almeno un po’ di me, Mickey. Non farlo.
Era stato lui a dire
quelle parole, era stato lui poi a vederlo mentre si sposava con una donna
decisamente troppo alta per Mickey. Era stato il suo cuore a spaccarsi in mille
pezzi. Era stato per lui che era scappato in guerra.
Si toccò la cicatrice,
abbassando lo sguardo, mentre una smorfia di dolore si mostrava sul suo volto,
seguita da un mugugno appena pronunciato.
Non lo sapeva che
ricordare sarebbe stato doloroso.
Sia Mandy che Lip
scattarono in avanti verso Ian per sorreggerlo e accertarsi che non gli stesse
accadendo nulla di male.
“Stai bene?” Chiese il
fratello, all’unisono con la sua ex ragazza. Ian non rispose, alzò
semplicemente lo sguardo e studiò il ragazzo che continuava a fissarlo con
cipiglio.
Mickey non sapeva cosa
fare. In meno di dieci minuti aveva riavuto tutto ciò di cui aveva bisogno,
tutto ciò che aveva perso e che non aveva avuto la possibilità di tenersi
vicino, di custodire. In meno di dieci minuti aveva ritrovato il senso perduto
della sua vita, aveva ottenuto tutto ciò che lo aveva portato in cinque mesi a
pregare la notte il suo fottutissimo ritorno. Eppure ora aveva paura anche solo
di aprire la bocca e rovinare tutto. Perché lui era questo che faceva: rovinava
ogni cosa.
Ian non ricordava, gli era
stato portato indietro dalla morte senza il ricordo di tutto ciò che era
accaduto. Anche questa cosa per Mickey sembrava una concessione divina affinché
tutto potesse risolversi. Eppure sapeva che quel blackout, nella mente di Ian,
non sarebbe durato per sempre, che prima o poi avrebbe ricordato tutto il dolore
che gli aveva procurato, tutti i calci e i pugni che gli aveva sferrato, tutti
i silenzi che li avevano allontanati definitivamente. Ian avrebbe ricordato la
sua incapacità di dire ciò che era, ciò che provava, ciò che non voleva
accadesse e che invece era accaduto. Ian avrebbe ricordato il suo matrimonio,
avrebbe ricordato cosa suo padre lo avesse costretto a fare. Ian avrebbe
ricordato tutti i suoi errori e sarebbe scappato di nuovo. Stavolta forse non
in guerra, ma se ne sarebbe andato da lui. E questo Mickey non poteva
sopportarlo.
“Entrate dentro” Aveva
semplicemente detto. La sua indole lo avrebbe portato a cacciarli fuori,
evitando così che il suo Gallagher
ricordasse tutto e chiudesse per sempre ciò che era già chiuso. Eppure lo voleva
vicino per tutto il tempo a disposizione, anche una manciata di minuti andavano
bene. Perché era un egoista, Mickey, lo era sempre stato. E in cinque mesi non
era cambiato niente. Il suo sentimento taciuto non si era affievolito nemmeno
di una virgola, il suo egoismo non si era smussato, il suo orgoglio non era
crollato, la sua debolezza non lo aveva abbandonato.
Soltanto Ian Gallagher se
ne era andato, cambiandolo irreversibilmente. Solo lui era cambiato nella sua
vita, passando da una presenza indispensabile a un’assenza irrevocabile.
E per questo motivo, per
l’assenza di Ian - e non il matrimonio con una puttana - che la vita di Mickey
sembrava completamente diversa, insignificante, vuota e inutile. Non era
cambiato nulla, in Mickey, ma era cambiato tutto senza Ian. Come se,
improvvisamente, aprendo gli occhi, gli fosse stato mostrato ciò che era, cosa
aveva fatto… anzi, cosa non aveva
fatto.
E cosa avrebbe fatto, ora?
Ora che aveva avuto una seconda
possibilità?
Lip e Mandy portarono Ian
dentro casa, sistemandolo poi su una vecchia e malandata poltrona.
“Vuoi avere tu l’onore?”
“Cos’è un rosario per giganti?”Affermò con
sarcasmo.
“No!” Sorrise divertito, abbassando lo sguardo.
“Eh?”
“No, sono palline Ben wa.
Me le ficchi nel culo e poi le tiri fuori molto delicatamente…” Spiegò senza
vergognarsi. Mickey aveva la capacità di passare da un eccesso all’altro. O
tutto o niente.
“E dov’è il divertimento per me?”Aveva detto Ian,
dopo aver osservato quella serie di palline con gli occhi sbarrati. Qualcuno,
in questioni gay, era più strano di lui. Un record se poi si constatava il
fatto che “il più strano” fosse proprio Mickey Milkovich.
“E dai… Ok, ok, va bene. Ma vacci piano con la
chiappa ferita.”
Il dolore alla tempia di
Ian aumentò, seguito da degli spasmi involontari per tutto il corpo, mentre
ricordava. Quel divano… cos’era stato quel divano?
Quella casa era un cimelio
di ricordi. E Mickey era l’epicentro di tutto ciò che doveva ricordare, forse. O
che non doveva ricordare?
Eppure ancora non sapeva
rispondere a una semplice domanda: cos’era Mickey per lui?
“Ian?” Titubò Mandy
all’ennesimo ansimo di dolore del ragazzo. Mickey era scomparso dietro di loro,
mentre Lip osservava indifeso il volto della ragazza, con la speranza di
trovare, nel volto di Mandy, la soluzione al dolore di suo fratello.
Non trovò nulla, se non
tutti i vecchi sentimenti che aveva tentato più volte di abbandonare ovunque
potesse. Si era accorto di essersi innamorato della sua migliore amica, Karen,
quando era stato troppo tardi. Ed era ricaduto nel medesimo errore anche con
Mandy, si era accorto dell’importanza che aveva avuto nella sua vita soltanto
quando, con il diploma in mano, era stato ammesso al M.I.T. con borsa di studio
e sapeva che la sola persona a cui doveva dire grazie era lei, Mandy.
Perché era sempre stata
lei, l’unica, a credere in lui.
Quando Mickey tornò nel
salotto lo fece con un bicchiere tra le mani, Lip e Mandy lo fissarono, quasi
con stupore come se non fosse possibile per uno come lui fare un gesto semplice
come quello. E lo osservarono con cipiglio anche quando avvicinandosi a Ian,
che intanto si era piegato su se stesso, tentando di contenere il dolore, si
inginocchiò per essere al suo pari e lo afferrò per il mento, alzandolo verso
di lui, per farlo bere un po’ d’acqua.
“Tieni, bevi” Aveva detto
semplicemente, posando sulle sue labbra il bicchiere di vetro. Ian lo ringraziò
con lo sguardo e il dolore diminuì notevolmente quando, con la gola
rinfrescata, le sue iridi incontrarono quelle chiare e accoglienti di Mickey.
“Va meglio?” Chiese inverosimilmente Mickey con la voce leggermente attutita.
Ian si limitò ad annuire e a prendere in mano il bicchiere d’acqua che l’altro
stringeva ancora accanto alla sua bocca.
Le loro mani,
incontrandosi, provocarono in Ian una piacevole scossa elettrica e lo sguardo
di Mickey, rivolto verso quell’impercettibile incontro fra le loro pelli, gli
disse che, anche lui, come Ian, aveva sentito ciò che era successo.
Chi era Mickey?
“Chi sei tu per me?”
Farfugliò Ian, piegando appena il capo e osservando il ragazzo che, nel
frattempo, si era riportato in piedi e aveva osservato prima Lip e poi Mandy,
come se volesse chiedere loro il permesso per parlare. Lip ricambiò con uno
sguardo inespressivo, come faceva di solito, Mandy invece sorrise appena,
annuendo come se lo incitasse a rispondergli.
“Ero…” Iniziò, gettando lo
sguardo ovunque senza il coraggio di incatenare i suoi occhi in quelli curiosi
del suo Gallagher. “Sono stato la
causa della tua partenza.” Tagliò corto, quando, con coraggio, andò ad
osservare il viso accigliato del ragazzo che aveva perso la memoria. Lip,
seduto sul bracciolo del divano, strinse i pugni e indurì la mascella,
scendendo a guardare il fratello, che sedeva poco distante da lui, sperando che
l’affermazione di Mickey non lo sconvolgesse più di quanto già non lo fosse.
“Perché abbiamo scopato,
nonostante tu sia… sposato?” Chiese Ian con un filo di voce, scendendo a
guardare la fede d’oro sulla mano sinistra di Mickey. Mickey si mosse sul
posto, toccandosi la fede e alzando lo sguardo al cielo, inveendo chissà quale
imprecazione. Non era cambiato poi di tanto, ancora era difficile ammettere di
essere irrevocabilmente gay.
Tu mi ami e sei gay. Ammettilo. Solo questa volta.
Cazzo, ammettilo!
Si ripiegò su se stesso
quando un’altra parte di verità gli fu chiara. “No, perché abbiamo scopato e
poi tu ti sei sposato…” Si corresse Ian, toccandosi la cicatrice e ansimando
per il dolore fisico e mentale che tutto ciò stava comportando. Ricordò le
botte, ricordò il silenzio di Mickey. Ricordò Terry.
Sebbene fosse tutto ancora
confuso nella sua mente. Perché ricordava Mickey, ma non ricordava ancora se
stesso.
Come era possibile? E
perché doveva ricordare tutto ciò che faceva male e niente che fosse…
piacevole?
Poi alzò lo sguardo sull’altro
e Mickey capì che qualcosa di ciò che non avrebbe dovuto ricordare subito, era
invece entrato prepotentemente nella mente del suo Gallagher. E maledì chiunque si divertisse tanto ad avercela
con lui per non avergli dato modo di poter rimediare, di poter dire la sua…
anche se era sempre stato incapace a dire ciò che provava, ciò che era e
sentiva di essere.
Lip osservò il fratello e
rabbrividì. Sarebbe scappato di nuovo, quando il ricordo di Mickey fosse stato
limpido nella sua mente? O sarebbe rimasto per la sua famiglia, per lui o
semplicemente per la sua migliore amica?
Chi era più forte nel
cuore di Ian, ora? Quel Mickey, che sembrava non essere cambiato affatto,
nonostante il miracolo del ritorno di Ian, oppure tutti coloro che lo amavano e
lo volevano vicino?
“Voglio tornare a casa…”
Aveva farfugliato Ian, alzandosi dal divano e osservando bieco il fratello. Lip
annuì, mentre Mickey, silenzioso, guardava ovunque con gli occhi azzurri già innacquati.
Doveva fare qualcosa,
prima che fosse troppo tardi, eppure – come sempre – non riusciva a fare
niente.
Nella sua mente
riecheggiavano troppe parole, alcune fin troppo squallide per essere dette ad
alta voce. Guardò sua sorella, disperso, disarmato. Non voleva che la sua unica
possibilità gli scivolasse di mano senza poter fare qualcosa. Sì, ma cosa
poteva fare?
Non tutti riescono a sputare fuori quello che cazzo
provano ogni minuto.
Poi Ian si bloccò sul
posto, a pochi passi dalla porta d’ingresso. E si girò verso Mickey,
guardandolo con dispiacere.
“Ho come la sensazione di
ricordare ciò che, con tutto me stesso, avrei voluto dimenticare.” Tagliò corto
senza la paura di dire nuovamente troppe cose, troppe verità.
Lui era così, non lo
sapeva, non lo ricordava ancora, ma sapeva che esagerare, dimostrare troppo era
nella sua indole di buono, innocente e che fosse completamente e
irrevocabilmente un’idiota.
Quando uscirono da quella
casa, Mandy incrociò le braccia al petto e osservò il fratello per
rimproverarlo.
“Che cazzo vuoi?” Ululò
Mickey, asciugandosi velocemente le lacrime prepotenti che accennavano a voler
uscir fuori dai suoi meravigliosi occhi.
“Certe volte mi lasci
senza parole…” Farfugliò velocemente la sorella, osservando il bicchiere di
vetro sopra il tavolo. “Altre invece mi dimostri soltanto quanto mio fratello
sia una checca caga sotto!”
*
“È vero quello che dice
Mickey? Che sono andato in guerra a causa sua?” Chiese Ian, dopo pochi passi
fuori dalla casa Milkovich. Lip negò velocemente con la testa, ricacciando le
mani all’interno delle tasche del giubbino.
“Hai sempre desiderato
entrare nell’esercito, soltanto che…ti serviva una spinta!” Rispose il
fratello, sorridendogli. Ian lo osservò accigliato, non credeva affatto a
quelle parole. Erano uscite come una sorta di… rassicurazione. “Per lo meno mi
hai detto così! Per me è sempre stata una fottutissima balla!” Continuò Lip,
accentuando il sorriso sul suo volto bianco. Ian annuì e sorrise in risposta.
“Cosa puoi raccontarmi su
di lui?” Chiese poco dopo Ian, alludendo a Mickey.
“Oltre al fatto che è un
coglione?” Sbottò Lip. Ian rise e annuì lievemente. “Sì, oltre al fatto che è un coglione.”
“Vediamo… Il padre è un
nazista perditempo e se ti chiedi dove arrivi la coglionaggine di Mickey, beh,
basta guardare Terry”
Ian rabbrividì. Terry. Era
quello che aveva rovinato tutto. Questo lo ricordava bene, ora.
“Mandy è il miracolo di
quella casa, Mickey dovrebbe avere un po’ della sua tenacia…”
“Sei ancora innamorato di
lei?” Chiese Ian, sorridendo sornione. Lip lo osservò con cipiglio.
“Pur non avendo la memoria,
dici un sacco di cose a sproposito, seppur sensate” Rispose Lip, abbassando lo
sguardo e riportandolo velocemente verso suo fratello. “Ma non ti ho detto
ancora nulla su Mickey… Non so, Ian, sei tu ad avere la particolarità di vedere
il meglio nelle persone. Sinceramente non so cosa vedevi in lui, so però che
c’era qualcosa, perché altrimenti non c’avresti mai perso il tuo tempo!”
Continuò subito dopo. Ian rimase a bocca aperta.
“Sei sempre stato così
orgoglioso di me oppure la mia assenza ti ha aiutato a capirlo?” Disse con
sarcasmo il rosso, mentre Lip gli dava una spallata in risposta. Risero per un
po’, mentre entrambi si accendevano una Marlboro.
“L’unico problema di
Mickey è l’essere cresciuto con le idee sbagliate. Era gay, ma il padre gli ha
sempre detto che esserlo era sbagliato, che quelli che lo prendono in culo sono
deboli e vanno picchiati. Forse, poi, quando aveva bisogno di una carezza riceveva
una sprangata… Lui non sa essere come sei tu, Ian. Non sa dare il meglio di se
stesso, ma soltanto il suo peggio. E dimostra ciò che, per gli altri, è giusto
mostrare, mentre nasconde ciò che è, perché pensa che sia sbagliato. Tu non hai
mai avuto problemi, se non inizialmente, a dimostrare che fossi gay. Lui non sa
nemmeno accettarlo. E per questo motivo è un coglione.” Concluse Lip, mentre un
Ian silenzioso lo ascoltava accondiscendente.
“Quindi tu pensi che ci
sia di meglio lì fuori per me?” Farfugliò titubante Ian, inalando una boccata
di fumo. Lip, invece, ricacciò l’aspirata dal naso e gettò lo sguardo sul viso del
fratello ritrovato.
“Io penso che, prima, tu
debba ritrovare la memoria e poi fare chiarezza. Senza scappare, questa volta.
Anche perché non te lo lascerò più fare, fratellino. Non te lo permetterò,
intesi?” Affermò, avvicinandosi al corpo di Ian per abbracciarlo sbrigativo,
prima di riportarsi al suo posto.
Ian guardò il fratello e
si illuminò, come il suo sorriso. Philip Gallagher, Lip. Iniziava a ricordarlo.
Veramente questa volta.
“Sei tu che mi hai
scoperto per primo, vero?” Farfugliò Ian, poco dopo, buttando ciò che restava
della sua sigaretta a pochi passi da loro. Lip lo guardò con un sorriso
melanconico, ricordandosi quel giorno così lontano.
“Sì, ho trovato una tua
rivista… è stata dura anche per me, all’inizio!” Affermò, ricordando poi di
averlo condotto da Karen per tentare di riportarlo sulla retta via. Sorrise,
scompigliandosi i capelli con un gesto veloce della mano. Ian annuì.
“Sì, ricordo anche il
pompino di… Karen” Affermò Ian, mentre pian piano i ricordi diventavano più
nitidi.
“Oh, avrei voluto che
quello non lo ricordassi!” Borbottò, ridendo. Lip si ritrovò felice, nonostante
ciò che era appena accaduto in casa Milkovich, perché suo fratello stava
tornando. Lentamente, ma stava facendo ritorno a casa.
*
Una settimana più tardi i
ricordi avevano, quasi tutti, fatto ritorno nella mente di Ian Gallagher e le
giornate aveva ripreso a correre con la quotidianità che, cinque mesi prima,
aveva deciso di abbandonare.
Era stato un percorso
difficile, soprattutto ricordare ciò che per lui era stato più doloroso affrontare
e che, sarcasticamente, si era riportato a galla prima di ogni ricordo: Mickey.
L’ultimo ricordo che tornò
a fargli visita fu il loro addio alla fermata dell’autobus; se di “Addio” si
potesse parlare, visto che Mickey gli aveva detto di “Non farlo” e lui era
salito sul mezzo, abbandonandolo senza aggiungere nemmeno una parola. Ma quello
era stato l’ultimo ricordo, così come era stato anche l’ultimo incontro tra
loro, nella successione degli eventi.
Il problema era che,
avendo ritrovato se stesso e ogni ricordo, non aveva la più pallida idea di
cosa fare. Ora sapeva. Sapeva che amava una persona che poi aveva abbandonato
perché questa lo aveva scelto troppo tardi. E sapeva anche che Mickey era stato
l’unico a restare ancorato nella sua mente, anche quando questa aveva subito un
trauma.
Una bomba gli era
scoppiata a un palmo dal culo e aveva, come ricordo di quell’avvenimento, una
cicatrice sulla testa e la memoria perduta temporaneamente. In tutto questo, però,
Mickey era rimasto ben saldo nella sua testa. Non se ne voleva andare a nessun
costo, o semplicemente non voleva lasciarlo andare per nessun motivo, nemmeno
un trauma come la perdita di memoria. Un miracolo, insomma.
Era assurdo se poi, nella
realtà, Mickey era sempre stato l’unico a tirarsi indietro, a scappare, a non
accettare nulla di loro, della loro relazione.
Ciò che non avrebbe voluto
fare, però, era chiaro: Non voleva tornare a rivendicare. Perché Mickey era
sposato e perché nonostante sapesse del suo ritorno, dopo quel pomeriggio
insolito a casa Milkovich, non aveva avuto nessuna visita da parte sua e
perché, fondamentalmente, voleva che fosse proprio Mickey a fare un passo, se
c’era la possibilità di trovare una soluzione.
Quel passo che, Ian
sapeva, non avrebbe mai fatto, ora che sapeva di riconoscerlo, ora che riusciva
a ricordarlo pienamente.
Quel pomeriggio di giovedì
era solo in casa, stranamente. Così quando sentì bussare alla porta andò
svogliato a vedere chi fosse.
“Ciao smemorato! Ti
ricordi di me?” Affermò Mandy, buttandosi velocemente tra le braccia del suo
migliore amico. Ogni giorno la ragazza passava a trovarlo, ogni giorno Ian era
contento di stringerla tra le sue braccia.
Quando Ian la fece entrare
in casa, la scortò verso il divano con l’intenzione di guardare un film e stare
tranquillamente avvolti in una coperta a non fare nulla di impegnativo. Mandy
però sembrava titubante, ogni tanto gli gettava addosso sguardi carichi di
qualcosa che non aveva il coraggio di dire.
“Avanti, dimmi quello che
stai cercando di tirar fuori da quando sei arrivata!” Sbottò Ian dopo dieci
minuti dall’inizio del film.
“Mickey ha sbattuto fuori
casa sua moglie” Ammise dopo qualche secondo di esitazione. Lo stomaco di Ian
fece una capriola involontaria, che il ragazzo giustificò con la scusa di aver
mangiato troppo.
Perché non gli faceva
nessun fottutissimo effetto sapere che Mickey aveva lasciato sua moglie.
Nessunissimo effetto, perché comunque non era venuto a dirglielo in faccia.
“Quando?” Chiese, tentando
di assumere un tono privo di espressione.
“Ieri notte. Terry era
furibondo, gliene ha date di santa ragione, ma Mickey ha resistito…” Rispose
Mandy, osservando lo schermo davanti a lei con un sorrisetto contento in volto.
“Sbaglio o sei orgogliosa
di tuo fratello?” Chiese Ian, sorridendo sarcastico. Mandy gli diede una
spallata in risposta, aggiungendo poi: “Non esageriamo, però… a te non dice
niente tutto questo?” Chiese, osservando il migliore amico di sottecchi.
“Mh, no… cosa dovrebbe
dirmi?” Mentì. In realtà qualcosa aveva smussato il muro che circondava i
ricordi su Mickey, però sapeva anche che non era sufficiente. “Non è mica corso
da me per dirmelo…” Continuò subito dopo, guardando la migliore amica con un
sopracciglio alzato.
“Vorresti che lo facesse?”
Domandò nuovamente Mandy, sorridendo a mezza bocca.
“Basta con
l’interrogatorio, Mandy, guardiamo questo fottuto film”
Ovvio che avrebbe voluto
che lo facesse, cazzo.
“Terry è finito in
prigione” Sbottò dopo un quarto d’ora, facendo sussultare sul posto il ragazzo
che ora lo guardava con gli occhi fuori dalle orbite.
“Sia lodato chiunque sia
riuscito a farlo!” Ululò Lip, rincasando proprio nel momento più adatto.
*
Il suo matrimonio era
stata una cazzata. L’aveva capito quando ogni mattina, svegliandosi, rivedeva
gli occhi prepotenti del suo Gallagher che gli ricordavano quanto fosse gay e
quanto desiderasse ancora che fossero posati sul suo corpo.
L’aveva capito guardando
il corpo della moglie, desiderando che questo, magicamente, si trasformasse nel
corpo statuario dell’uomo che era entrato dentro di lui, a volte delicatamente
ma spesso con ferocia, facendogli perdere ogni volta il senso della ragione e
conducendolo spesso verso le porte del loro paradiso, chiamato “orgasmo”.
L’aveva capito quando Lip
lo aveva picchiato, dandogli la colpa della morte del fratello. L’aveva capito
quando l’idea di non rivedere più il viso del suo Gallagher, il sorriso bonario, accentuato ogni volta che
stavano per scopare, e di non poter toccare più il corpo, che riusciva a farlo
eccitare come nient’altro ci riusciva, si era instaurato nella sua mente come
un’ossessione.
L’aveva capito quando gli
era stata concessa una seconda possibilità e si era ritrovato Ian davanti.
L’aveva capito quando Ian
diceva di ricordarsi solamente di lui e di nessun altro.
L’aveva capito e basta.
Sapeva che se doveva fare un passo verso di lui, doveva fare un passo indietro
nella sua vita.
Perciò l’aveva cacciata di
casa, la troia. E aveva accolto fiducioso tutte le sue conseguenze: le botte
del padre, ma anche il sorriso della sorella che, alla scoperta di ciò che
aveva fatto, lo aveva guardato per la prima volta con orgoglio. E gli era
bastato per sapere che aveva fatto una cosa giusta, per una volta.
In un certo senso sapeva
che, ora, poteva perdere un padre, che forse non aveva mai avuto veramente, ma in
cambio otteneva qualcosa di più vero e onesto: riguadagnava una sorella, che
era sempre stata lì, pronta a esserci a differenza di Terry.
Difatti la sorella aveva
chiamato la polizia, in soccorso del fratello, e Terry era velocemente finito
dietro le sbarre con l’accusa di violenza sui propri figli. E sarebbe rimasto
dentro per un bel po’, grazie a Mandy.
E Mickey si era sentito libero
per la prima volta. Libero di poter fare ciò che voleva da sempre: avere la
possibilità di accettarsi ed essere chi realmente era.
Bisognava vedere se era
capace a farlo, ma per quello c’era il tempo ad aiutarlo: prima o poi avrebbe
imparato. Prima o poi sarebbe stato pronto per il suo Gallagher.
Mickey, quel pomeriggio,
sentì bussare alla propria porta. Mandy era uscita da poco meno di un’ora,
quindi immaginò fosse lei già di ritorno. Così, quando si alzò lentamente dal
divano e si trascinò vicino alla porta d’ingresso tutto dolorante a causa dei
lividi, non immaginò di ritrovarsi Ian Gallagher, con il respiro affannato,
causato probabilmente da un’inspiegabile corsa fatta da casa sua fin lì, e lo
sguardo felice.
“Cosa ci fai qui,
Gallagher?” Boccheggiò dolorante Mickey, mentre nel suo stomaco era iniziata
una festa. Fottute farfalle.
“M-mandy. Mi ha detto…
Cosa? Hai fatto! Come stai… conciato?” Incespicò tutti i suoi pensieri in una
frase che aveva poco a che fare con qualcosa di senso compiuto. Mickey accennò
un sorriso, anche quello fece male.
“Ammaccato, come puoi
notare. E la tua memoria?” Biascicò Mickey, facendosi da parte per farlo
entrare. Ian accettò di buon grado l’invito e si fece spazio in quella casa
sempre più disordinata. Si guardò attorno, prima di tornare a guardare il corpo
malridotto di Mickey Milkovich, il quale aveva preso a fissarlo
insistentemente. Alzò un sopracciglio chiedendosi perché lo guardasse in quel
modo, prima di avvicinarsi a Mickey per aiutarlo ad arrivare fino al divano
sano e salvo. Mickey glielo concesse, cosa che prima non avrebbe mai fatto, e
si lasciò aiutare dal corpo atletico del ragazzo che, adesso poteva ammettere
anche soltanto a se stesso, voleva a tutti i costi.
“È tornata” Affermò,
quando lo lasciò sedere sul divano, accompagnandolo fino all’ultimo e soffiando
quelle due parole a un palmo dal viso di Mickey. Si guardarono, studiandosi a vicenda:
i loro sguardi incatenati l’uno in quello dell’altro, ammaliati, voluttuosi,
indecifrabili.
“P-perciò hai sbattuto
fuori tua moglie” Affermò dopo qualche secondo, sciogliendo il legame che aveva
iniziato già a caricare l’aria di quella elettricità, che spesso li faceva
finire l’uno dentro il corpo dell’altro.
“Già!” Rispose Mickey,
mostrandogli la mano sinistra priva della fede nuziale. Ian sorrise contento,
guardandosi intorno.
“E tuo padre è andato
dietro le sbarre…” Continuò, puntando le sue iridi sul corpo malridotto di
Mickey.
“Già…” Biascicò l’altro.
“Posso chiederti perché?”
Chiese Ian, ficcandosi le mani nelle tasche dei jeans.
“Perché mio padre è finito
in galera? Non è palese?” Domandò Mickey, gli antidolorifici stavano facendo il
loro effetto.
“No, perché hai mandato
via tua moglie...” Sorrise Ian, indietreggiando e appoggiandosi appena sul
tavolo e incrociando le braccia al petto.
L’altro aprì la bocca
senza emettere però nessun suono. Se fosse stato il vecchio Mickey lo avrebbe
azzittito con un “Fottiti” o qualcosa di vagamente simile a quella parolaccia,
ma il nuovo Mickey, quello che era cambiato giusto un pochino, sapeva che, se
voleva tenersi Ian vicino, doveva aprire bocca e dargli fiato nel modo corretto.
Doveva parlare, dicendo la verità. Dicendo quello che, probabilmente, non
avrebbe mai detto considerato com’era cresciuto, considerate le idee che gli
avevano propinato fin da piccolo. Eppure sentiva che, per Ian, quello era un
passo che andava fatto. Perché dopo averlo perso, non una ma bensì due volte,
era giusto che, per farlo riavvicinare, lui dimostrasse qualcosa. Un piccolo
spiraglio.
“Togliti dalla mente il
pensiero che possa averlo fatto per te.” Lo sbeffeggiò, mentendo. Ian sorrise
rammaricato, riconoscendo l’ironia nella voce dell’altro.
Era palese che l’avesse
fatto per lui, ma non era questo il piccolo passo che Mickey doveva fare. Era
altro ciò che doveva dire, ciò che doveva ammettere. “Forse perché sono
irrimediabilmente gay? Cazzo, quella non riusciva proprio a farmelo venire
duro!” Risero entrambi, dopo tanto qualcosa iniziava a farli riavvicinare.
E questa volta era stato
proprio Mickey a ottenerlo. Non aveva rovinato niente, anzi, per una volta,
aveva costruito qualcosa: quella risata.
Se ogni volta che faceva
qualcosa di buono otteneva la risata del suo
Gallagher, allora l’avrebbe fatto più spesso.
Sorrise, mordendosi il
labbro, gesto che Ian non si lasciò sfuggire.
“Oh, no… Non farlo!” Sbottò, mentre Mickey alzava
un cipiglio d’incomprensione. Cosa, questa volta, non doveva fare? “Il labbro…”
Aggiunse Ian, indicando il movimento che i suoi denti stavano facendo a quel
povero labbro. Poi socchiuse appena gli occhi, voleva essere lui, con la sua bocca,
a torturare le labbra di Mickey. Era quella la verità. Mickey sorrise, sagace,
intuendo che qualunque cosa stesse facendo, provocava una reazione –
interessante – nell’altro.
“Non sapevo ti desse
fastidio, Gallagher” Lo beffeggiò, mentre osservava il ragazzo avvicinarsi a lu,i come un felino pronto a mangiare la preda. Mickey
rabbrividì per l’eccitazione che, ormai, girovagava per l’aria.
“Non mi dà fastidio,
vorrei essere io a farlo” Farfugliò, sedendosi al fianco del ragazzo senza il
coraggio di guardarlo negli occhi. Nuovamente Ian Gallagher aveva dato fiato ai
suoi pensieri sconsiderati. Ogni tanto, lo sapeva, doveva rimanersene in
silenzio. Invece era più forte di lui: le frasi uscivano incontrollate dalla
sua bocca, senza filtro. Mickey abbozzò un sorriso, quella era una
caratteristica del suo Gallagher che lo faceva impazzire. Se lui era quello
controllato e che, spesso e volentieri, si rimangiava qualsiasi cosa carina
uscisse dalla sua bocca, Ian era il suo contrario. E ammirava il suo essere
spigliato, lui non ne era capace. E voleva imparare a farlo.
“Insegnami…” Aveva
sussurrato a quel punto Mickey, afferrandolo per un braccio, con l’intenzione
di farlo girare verso di lui. Ogni minimo gesto gli provocava delle fitte
dolorose, però guardarlo negli occhi era un’ottima medicina. Ian alzò un
cipiglio. “Cosa dovrei insegnarti?”
“A dire tutte le stronzate
mielose che spesso escono fuori dalla tua bocca. Voglio… mh, farti sentire cosa
cazzo si prova!” Boccheggiò, mentre con fatica si avvicinava al corpo di Ian,
con un sorriso canzonatorio a dipingergli il volto ammaccato.
“E cosa provi? Imbarazzo?”
Chiese Ian, guardando Mickey che gli si avvicinava a fatica. Era sul punto di
picchiarlo? Ci sarebbe riuscito, soprattutto?
“No” Rispose, a pochi centimetri
dal volto di Ian. “Felicità, idiota” Continuò, poco prima di accostare le sue labbra
sulla bocca di Ian e baciarlo come aveva sempre voluto fare, anche quando
affermava che gli facesse schifo e che se solo Ian ci avesse provato, lui gli
avrebbe staccato la lingua a morsi. Ian sorrise sulle labbra dell'altro, prima di moderle come aveva desiderato fare.
E quello era solo un nuovo
inizio. Una nuova occasione. Ian Gallagher era tornato in città da poco più di
una settimana ed era già finito tra le gambe di Mickey Milkovich. Perciò non
potevano farci nulla, loro, perché era nel loro gene.
Era il loro fottuto
destino a volerli insieme.
Fine.
Ah beh! Questa terza parte
è voluta venir fuori così. A me non convince, però non ho nemmeno voglia di
cambiarla perché, dentro di me, sapevo che sarebbe comunque uscita in questa
maniera! Spero in ogni caso di non aver deluso nessuno e spero di ricevere
tanti dei vostri pareri!
Confido nel fatto che
presto tornerò con una nuova Gallavich – eh no, loro
non mi stufano mai!
Un abbraccio,
DolceVenereDiRimmel