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Autore: cOstanza    21/04/2013    1 recensioni
Lea è una ragazza di diciassette anni, timida, impacciata, ma sa come divertirsi, anche se a volte preferirebbe stare in camera sua a leggere.
Cristian è il tipico ragazzo sicuro di sé, senza peli sulla lingua, che crede alla sua immortalità, pensa che il mondo sia suo. E potrebbe anche essere così.
Sarà complice uno sguardo, o c'era il Destino che complottava contro di loro?
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Il rating sarà giallo perché potrebbe essere trattato un tema spinoso, che si scoprirà solo leggendo.
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I personaggi sono inventati. Qualsiasi riferimento a fatti o persone già esistenti è puramente casuale.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Can I open my eyes?'
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Capitolo 10
 
 
Vedere Cristian mi aveva confuso. Non mi sarei mai immaginata una sua improvvisata, così, su due piedi. Non eravamo più tanto amici, avevo fatto una scenata al lago e lo avevo lasciato su due piedi quella mattina stessa per colpa di una stupida sensazione che si stava impadronendo di me, quella stupida voglia di staccare la testa a Jessica.
Ma, allora, per quale motivo era venuto lì, nonostante io non mi fossi comportata "esattamente bene" con lui?
-E ti ricordi di quella volta...-.
La sua voce era ricca di sentimento e passione. Ogni volta che raccontava qualcosa a Matilde o a mio fratello, che ascoltava con attenzione le dinamiche adolescenziali di quelli che un tempo erano anche suoi amici, sembrava fosse sul punto di scoppiare a ridere in faccia. 
Tenevo stretta tra le mani infreddolite la tazza di té e seguivo rapita le avventure di Cristian, attratta dal modo in cui gesticolava e dal modo in cui le sue labbra si curvavano in un piccolo sorriso. E mi rendevo sempre più conto quanto non conoscessi il motivo per cui avevo smesso di giocare con loro a sei anni. Mi ero allontanata automaticamente dopo la morte di mio padre, dopo aver passato mesi a cercare di dare una ragione alla sua morte, attratta dall'idea di cercarla altrove. Ma avevo sei anni, e la mia fantasia era più grande del mio cuore. Sognavo ad occhi aperti di ricongiungermi con lui, un giorno, non molto lontano, e che insieme avremmo potuto essere finalmente felici, perchè l'avevo capito: senza mio padre non ero felice. Era per quello, forse, che avevo smesso di essere amica di Lorenzo e di Cristian. Perché non ero più felice. Le uniche persone che volevo al mio fianco erano Matilde e mio fratello. 
Quando il té si raffreddò del tutto, Matilde e Lele si alzarono per spostarsi in soggiorno e si prepararono per uscire. 
Cristian, d'altro canto, rimase accanto a me, a mettere a posto la cucina e a farmi un po' di compagnia.
Mi piaceva stare con lui, in compagnia di qualcuno che non fosse Matilde o Gabriele. Riusciva a farmi dimenticare almeno per qualche momento, con una battuta stupida e qualche sorriso, le cose che attanagliavano il mio cuore e lo trasportavano nelle tenebre. 
-Perché abbiamo smesso di vederci, Cristian?- domandai all'improvviso.
Lui si fermò all'istante.
-Intendo, quando avevamo sei anni..-.
Cristian si voltò verso di me e osservai i suoi occhi. C'era un misto di confusione, di preoccupazione e di sofferenza.
-Ricordo ben poco della mia infanzia. Tu venivi sempre da Lorenzo e giocavi insieme a Matilde. Stranamente, non odiavi i maschi come lei-. Sorrise all'idea e mise la tazza di té nel lavandino. -Stavamo molto spesso insieme. Ma poi...-. Chiuse gli occhi ed abbassò lo sguardo. -Tu non sei più stata la stessa. Hai cominciato a non venire più, a non stare più con noi. Ti stavi dimenticando di noi.- 
Sospirai. Sapevo il motivo per cui mi ero allontanata, ma avevo paura ad ammetterlo.
-Ti chiedo scusa...Credo che la morte di mio padre mi abbia condizionato più di quanto pensassi. In effetti...- affermai, pensando a mia madre -ha condizionato tutta la mia famiglia.-
Cristian si sedette sulla sedia e mi guardò. 
-Posso solo immaginare quanto ti faccia male..-
Presi un altro respiro. Parlare di mio padre mi provocava sempre un dolore più forte di quanto potessi pensare, quindi avevo bisogno di tutto l'ossigeno della stanza. Potevo mentire, dire che no, non mi faceva più tanto male, che erano passati ormai quasi dodici anni dalla sua morte e che quindi dovevo essermi abituata alla sua assenza. Potevo dimostrarmi una ragazza forte, più di quanto fossi in realtà. 
Ma non lo feci. 
Mi sedetti di fronte a lui e lo guardò.
-Mi fa sempre male. Ogni giorno apro gli occhi e prego affinché gli ultimi anni della mia vita siano stati solo un sogno e che lui sia ancora qui, a prepararmi la colazione, a giocare, a provare le sue moto. Ma poi mi alzo, vado in cucina e trovo mia madre da sola, con la bottiglia di tequila o di vodka o di rum davanti a lei e mi rendo conto, che non è così. Niente è cambiato, e che tutto era solo una mia illusione.- Tirai su con il naso, per impedire che le lacrime scivolassero giù, sulle guance, ma non ci riuscii. -Mi manca così tanto.- 
Abbassai in fretta il capo, per nascondere le mie guance in fiamme e le lacrime che le rinfrescavano un po', che si appiccicavano al mio collo. Non volevo farmi vedere da lui così, ridotta in quello stato così pietoso. Mi aveva visto affrontare con forza il mio ex ed in quel momento non riuscivo a combattere contro il fantasma del mio passato? Odiavo farmi vedere in lacrime da chiunque non fossero Matilde e Lele, ma con Cristian...
Con lui era diverso.
Con i capelli di fronte al mio viso, vidi comunque la sua mano avvicinarsi al mio mento e pronto ad alzarlo. Lo strinse tra due dita e la sua mano si aprì verso il resto della mia guancia. L'accarezzò delicatamente,asciugando la lacrima solitaria, provocando milioni di brividi sulla mia schiena. Mi emozionò subito il suo modo gentile di accarezzarmi, di guardarmi negli occhi, mentre il mondo intorno a noi si bloccava per l'ennesima volta. Ormai ero abituata a questa sensazione che bloccava il tempo, quasi come se il mondo ci lasciasse l'opportunità di stare noi due, soli, nell'intero universo, come se contassimo più di tutti gli altri. La sua mano arrivò fino dietro il collo, senza mai lasciare la mia pelle, in fiamme per il suo gesto.
Si avvicinò e appoggiò delicatamente le sue labbra sulle mie. 
Il mondo ebbe un esplosione, come se vulcani, terremoti, maremoti e tzunami si riversassero su di esso nello stesso identico momento. Avevo la sensazione di essere in balia delle mie emozioni, che lottavano contrastanti. Da una parte, il mio cuore mi diceva di stingerlo a me e sussurrargli di non andare mai via; dall'altra la mia ragione diceva che dovevo andarci piano. La storia con Giacomo non mi aveva insegnato niente? 
Però, la storia con Giacomo, i baci di Giacomo, non erano niente in confronto a quello. Quella morsa che mi serrò lo stomaco, quel cerchio alla testa che sembrava mandarmi in paradiso, quella mano stretta intorno alla mia, tutto era diverso da prima, tutto era diverso.
Le sue labbra erano morbide e delicate, protese in attesa che schiudessi le mie. Quando lo feci, ogni parte razionale di me andò a farsi benedire. Gli mise le mani sul petto e, pieno, risalii fino al collo, dove lo strinsi a me. La sua mano percorse guancia, collo, il mio braccio, fianco fino a giungere alla schiena. Mi cinse con forza e mi avvicinò a lui, mentre dentro di me gioivo.
Non ero mai stata così felice in tutta la mia vita. Nonostante inizialmente non avessi chiari i miei sentimenti, in quel momento ne ero del tutto certa.
Mi stavo innamorando di Cristian.
 
 
 
Per la prima volta in vita mia, ringraziai il mio coraggio. Quel coraggio che forse per anni mi avevo buttato in un mare di guai, in quel momento mi stava facendo impazzire di gioia.
L'avevo baciata.
Dio, l'avevo baciata sul serio! E lei non si era spostata, non mi aveva rifiutato, anzi! Aveva risposto con entusiasmo al bacio, ed era stato il più totale oblio. Non mi ricordavo bene quello che successe dopo. Ricordo che la strinsi forte a me e continuai a baciarla con passione. No, non con passione. Con amore. Non avrei voluto fare altro. Tenerla accanto a me, tra le mie braccia, era già sufficente a farmi morire felice. Pregai affinché riuscissi a rimanere lucido, ma ogni movimento di lei, ogni bacio, mi mandava sempre più in confusione. Mi rendeva così entusiasta, così preso, da dimenticare completamente il mondo intorno a noi. Dimenticai completamente la mia vita, il mio passato, le mie emozioni e mi concentrai totalmente su di lei.
Lea.
Cielo, Lea. Lea. Lea. Non mi sarei mai stancato di chiamare il suo nome, di cercarla, di sfiorarla.
Non potevo negarlo più.
Mi stavo innamorando di Lea. 
 
Un colpo di tosse ci fece staccare. 
Lele e Matilde ci guardavano con occhi sgranati. O meglio, il fratello la guardava preoccupato e poi si rivolse verso di me con uno sguardo di odio. Matilde, invece, sorrideva, anche se con lieve stupore. 
Tossii anche io e, con mio dispiacere, mi allontanai ancora da Lea. 
-Forse...- mormorai. Poi feci un altro colpo di tosse. -Forse è meglio se vado..-.
Lea annuì, rossa in viso, ma con un sorriso delicato. Ci alzammo contemporaneamente e lei mi accompagnò alla porta. Quando l'aprì, rimasi un secondo a contemplarla. Aveva i capelli lievemente arruffati, per colpa delle mie mani, le guance rosse, per colpa dell'emozione, e le labbra rosse, meravigliosamente opera mia. 
Ci guardammo negli occhi e sorridemmo complici. Poi mi sporsi verso di lei e le scoccai un ultimo bacio sulla fronte, delicato, per assaporare il suo dolce profumo. Poi, uscii dalla porta e mormorai un semplice: -ciao-.
Con il mio casco in mano, andai a prendere il motorino. Togliendo la catena e mettendolo in moto, notai come il mio sorriso fosse finalmente genuino. Era da molto tempo che non sorridevo così, e dovevo tutto a lei.
Chissà, forse il cambiamento era davvero arrivato.





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