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Autore: SenBreeze93    21/04/2013    0 recensioni
Un materiale curioso rinvenuto su Urano e Nettuno. Un uomo potente che ne viene in possesso. La possibilità di poter creare un "essere migliore". Uomini e donne sottoposti a test di laboratorio, con mortalità pari all'80%. Esseri potenti, senza coscienza.... fino a lei.
Kay è una ragazza, strappata via dalla propria famiglia e privata della propria memoria. L'unica femmina nel suo genere. Starà a lei decidere del proprio destino: utilizzare le proprie abilità per uccidere o per proteggere?
Genere: Azione, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Una nuova famiglia.











 

La ragazza sul giornale era lei. Sì, osservando con più attenzione poteva notare molte similitudini: lo stesso viso paffuto, i grandi occhi, il corpo minuto, i lunghi capelli... non tanto quanto in quel momento però. E i capelli non erano azzurri, bensì rossi e gli occhi castani. Ci assomigliava così tanto... eppure allo stesso tempo non c'entrava nulla con lei.

Sienna le aveva proibito di anche solo toccare quel giornale, ma Kay non aveva resistito e durante la notte, quando tutti dormivano profondamente, ignari di tutto, era scesa in punta di piedi fino al mobile della cucina in cui aveva visto Sienna nasconderlo.

Avendo cura di non essere scoperta, si rinchiuse nel sudicio bagno della baracca e accese una piccola torcia elettrica per riuscire a vedere meglio. Dopo un primo momento di difficoltà, riuscì a decifrare i simboli neri che ricoprivano l'intero foglio: lettere, frasi.

Il nome della ragazza scomparsa era Keira Hedlund. Aveva diciassette anni ed era scomparsa un paio di mesi addietro, dopo essere uscita dal liceo. Nessuna traccia, nessun testimone, solo due genitori e un fratello disperati per la sparizione della famigliare, ritenuta probabilmente morta dalle autorità.

Si accigliò. Lei non era morta! Anzi, era viva e vegeta! Un po' diversa forse... e con qualche annetto smarrito nella memoria... ma pur sempre viva!

Voleva vedere la città da cui l'avevano rapita: Londra. Aveva vissuto in quel luogo per diciassette anni ed era sicura che, semmai avesse provato a rimetterci piede, la memoria avrebbe potuto ritornare. Tentare non nuoceva...

Non poteva dirlo a Sienna: non avrebbe mai approvato e quasi sicuramente le avrebbe fatto una lavata di testa tale da farla diventare riccia. No, non era il caso.

Si alzò da terra, spegnendo la torcia e solo in quel momento si chiese come avessero fatto a saltarle alla mente certe metafore che facevano tanto sorridere al pensiero.

Stese le labbra in un sorriso divertito e uscì dal bagno.

Doveva andare a Londra. Sayb aveva detto che erano parecchio vicini, quindi non doveva distare tanto. Sospirò, poggiando una mano sulla maniglia della porta. Non era troppo sicura che fosse una buona idea... ma d'altronde era un dovere che sentiva di possedere verso se stessa. Quella era stata la sua vita e provare a ritornarci le pareva il minimo che potesse fare, ora che era libera.

Prima di avere il tempo di ripensarci, abbassò la maniglia e uscì all'umida aria notturna.

 

 

Sayb sbadigliò rumorosamente. La nottata non era stata per niente piacevole. La mancanza del suo letto “ricaricatore” si faceva sentire e i movimenti si facevano sempre più difficoltosi, quasi ogni giuntura si stesse poco a poco calcificando di ruggine.

Sbuffò, smuovendo un braccio e facendolo cigolare.

  • Hai bisogno di una bella oliata? – Jay gli era arrivato alle spalle con in mano una tazza di quel vecchio caffè macinato che avevano trovato in un barattolo di metallo.

  • Fai poco lo spiritoso, ragazzo... Temo che presto dovrò trovare un modo per ricaricarmi le batterie... o diventerò un ferro vecchio e ingombrante. –

  • Dovevi pensarci quando hai deciso di scappare dalla RUNC. –

  • Sai, non è che ho avuto poi tanto tempo per preparare le valige. – rispose ironicamente il cyborg, facendo schioccare un ginocchio. Jay assistette alla scena con una faccia infastidita e al tempo stesso ironica.

  • Bhe... nessuno di noi penso voglia vederti diventare un ferro vecchio. Bisognerà trovare una soluzione alla svelta. –

  • Mi stupisci Jay! Stai dicendo che ti preoccupi per me? – la provocazione malcelata non sfuggì al ragazzo, che si affrettò a sbuffare e a bere un sorso di caffè... per poi fare una smorfia disgustata.

  • Bleah, ma che cos'è sta roba?! Sa di carburante per stufe! –

  • Non ti chiederò come fai a saperlo... –

  • Buongiorno, signori! – Sienna entrò nella stanza, spettinata come se avesse dormito a testa in giù. Ma d'altronde era una cosa del tutto normale, vista la loro situazione. La crocchia con cui normalmente si teneva legata i capelli era completamente disfatta e le lunghe ciocche lisce e scarmigliate le ricadevano scompostamente sulle spalle.

Sayb le rispose con un cenno della testa, mentre Jay si limitò a darle le spalle e lasciare la stanza. Sienna stirò le labbra, non essendosi aspettata niente di meglio.

Il sorriso però le morì non appena si voltò, scorgendo qualcosa: il cassetto in cui il giorno prima aveva riposto il quotidiano era spalancato. Senza aspettare un solo secondo ci si avvicinò e lo prese tra entrambe le mani. Il giornale era sparito.

Sayb poté leggerle negli occhi quell'ombra tetra di comprensione che le oscurò gli occhi per alcuni interminabili istanti.

La donna scattò come un felino, correndo su per la scala. Sayb rimase in silenzio, non avendo ancora chiaro cosa fosse successo di così tanto grave. L'urlo che però arrivò dall'ultimo piano della baracca dovette farlo ricredere.

Non fece nemmeno in tempo ad alzarsi in piedi, che Sienna ricomparve sulla soglia, pallida come un cadavere.

  • Kay non è più nella sua stanza! È sparita!!!–

     

 

Londra. Finalmente l'aveva raggiunta. Durante il tragitto aveva avuto la fortuna di incontrare un signore con un grosso mezzo munito di tantissime ruote (camion) che aveva avuto la gentilezza di darle un passaggio.

Certo, per tutto il tragitto era rimasto a fissarla con insistenza, rischiando talvolta di andare a canale, e le aveva fatto domande strane che lei non era riuscita a comprendere. Per esempio “C'è qualche fiera in vista?” o “Sei per caso una cosplayer?”.

Bhe, lei non aveva idea di cosa fosse una fiera, anche se il termine non le giungeva nuovo, e men che meno cosa fosse una cosplayer. Tuttavia si era limitata ad annuire e ad essere il più cortese possibile, approfittando della sua disponibilità per mostrargli il giornale che si era portata appresso e chiedere informazioni.

L'uomo non aveva saputo fare altro se non ripeterle cose che già sapeva: la ragazza è stata rapita, ormai si pensa che sia morta, ecc, ecc...

L'aveva fatta scendere davanti ad un grosso palazzo marroncino, ornato da una grande torre munita di un maestoso orologio. Immediatamente quella vista le sbloccò nella mente una serie di informazioni a lei ora del tutto familiari: quell'orologio si chiamava Big Ben e la torre era la Clock Tower; l'edificio affianco era il Palazzo di Westminster e ricordava perfino il nome di una delle cinque campane dell'orologio, la Great Bell.

Sorrise estasiata dal ricordarsi tutte quelle cose con così tanta facilità. Pareva quasi che più allenasse la mente con ragionamenti e i pensieri, più i ricordi affioravano con facilità.

Inspirò a pieni polmoni. Quell'aria aveva un profumo particolare, che le smuoveva emozioni all'interno dello stomaco, che non riusciva tuttavia a decifrare. Conosceva quel posto, ogni cellula del suo corpo si ricordava di quel marciapiede, del profumo dell'aria, del vociare dei passanti...

Abbassò lo sguardo e notò che molte persone, passandole affianco, la osservavano: chi con occhi stupiti, chi curiosi e chi addirittura spaventati o dubbiosi.

Non capiva cosa attirasse tanto l'attenzione su di sé. Si guardò le mani: avevano cinque dita, esattamente come le loro. E aveva due braccia e due gambe. Allora perché la gente continuava a fissarla a quel modo?

  • Scusami... – un gruppo di ragazzine l'avevano avvicinata. Una era munita di una piccola scatola nera e lucida: una macchina fotografica. – Hai una parrucca meravigliosa! Sei una cosplayer? Possiamo fare una foto con te? –

Kay non seppe cosa rispondere. Ancora con quel “cosplayer”. Che cosa significava? E poi.... “parrucca”? Ma i suoi erano capelli normalissimi!

D'un tratto le balenò un'ipotesi alla mente. Il colore del capelli! Si guardò attorno e notò che nessuno si avvicinava neppure lontanamente al suo azzurro slavato. Era forse quella la stranezza che tanto monopolizzava l'attenzione su di sé?

Acconsentì a farsi fotografare, sorridendo con fare incerto. Fu una cosa naturale: mettersi davanti all'obiettivo e stirare le labbra. Le ragazzine la ringraziarono mille volte, facendole anche i complimenti circa certe lenti colorate che, sempre secondo loro, doveva indossare in quel momento.

Fu allora che decise di chiedere anche a loro informazioni riguardo la famiglia Hedlund, ma non seppero dirle nulla che non sapesse già.... un'altra volta.

Girovagò per la città si ritrovò in una grossa piazza. Quattro leoni scolpiti torreggiavano alla base di una grande colonna e alcune magnifiche fontane spruzzavano acqua verso il cielo.

  • Trafalgar Square... – mormorò tra sé e sé e un altro sorriso, stavolta più largo, le illuminò il viso.

Si ricordava tutto! Perfino che nel periodo invernale, in quella stessa piazza, veniva eretto un enorme e bellissimo albero di Natale.

Sentì sghignazzare alle proprie spalle e quando si voltò vide una scolaresca di bimbi uscire dalla National Gallery. La indicavano e sorridevano ammirati.

Era così bello... stare lì, respirare l'aria fresca e udire il vociare sommesso delle persone o i clacson delle vetture. Si sentiva... a casa. Non credeva davvero che fosse possibile raggiungere un tale apice di felicità.

Stava ancora godendo di tale sensazione, quando un assordante rumore ritmico occupò tutto il suo udito. Alzò lo sguardo e ciò che scorse fu un velivolo che la sovrastava: era abbastanza grande da contenere quattro persone e le due ali laterali erano dotate di turbine interne, che lo mantenevano sospeso nel cielo.

Non dissero nulla. Non una parola o un cenno. Semplicemente... spararono. La folla si disperse tra mille grida e il vento generato da quello strano elicottero schiaffava in ogni dove carte e terriccio.

Erano loro! Ne era sicura! Gli uomini di Daniel. Stava per correre via, quando si rese conto di qualcosa che le tolse il respiro: le pallottole a lei non avrebbero fatto nulla... e allora perché sparare a quel modo?

Si voltò e notò che ad essere presa di mira non era lei, bensì le persone che erano attorno a lei! Ma perché? Cosa potevano fare, che problemi potevano dare? Non capiva!

La scolaresca cercava di fuggire nuovamente verso i portici della National Gallery. I mitra dell'elicottero puntarono verso di loro. Una bambina inciampò...

Kay non ci vide, ne sentì più nulla. Balzò in avanti, creando una patina ghiacciata sotto ai piedi che le consentisse di avanzare speditamente e coprendo almeno venti metri in meno di un secondo. Si gettò sulla bambina, proprio mentre veniva aperto il fuoco.

Le grosse pallottole la colpirono ripetutamente alla schiena, strappandole un rantolo di dolore e facendola accasciare a terra, sopra la bambina. Il dolore era davvero insopportabile, tuttavia non una aveva avuto la forza di trapassare la sua pelle.

Aprì gli occhi e subito incrociò quelli della sua protetta, azzurri e grandi di paura. Era come paralizzata e le mani le tremavano violentemente. Quella vista la fece soffrire più dei lividi sulla schiena: come potevano seminare tanta distruzione e dolore? Come potevano sparare a gente innocente, uccidere bambini?!

Trovò le forze per tirarsi su e strinse più che poté la bambina tra le braccia. Corse verso il punto in cui insegnante e compagni si erano già rintanati e l'elicottero sparò ancora su di loro. La bimba gridò, ma Kay ebbe la cura di coprirla totalmente.

Aveva quasi raggiunto il portico, quando un colpo la raggiunse al polpaccio, facendola inciampare e cadere a terra. Strillò di dolore e sorpresa, reggendosi la gamba. Con il braccio libero spintonò la bambina verso l'insegnante, che non esitò oltre ad afferrarla, tirandola indietro.

  • Via! Andate dentro! Scappate!!! – urlò Kay, ferendosi quasi la gola.

Non serve dire quanto alla svelta maestra e alunni si dileguarono. Alle sue spalle, le turbine battevano impietose il loro sommesso ritmo, quasi l'elicottero e i suoi passeggeri attendessero che si girasse verso di loro.

Kay strinse i pugni, scossa da una potente ira. Come potevano aver osato tanto? Come?!?

Si voltò di scatto, urlando e falciando l'aria con un braccio: una ventata gelida colpì in pieno una delle due ali, trasformandola letteralmente in un denso agglomerato di ghiaccio, che fece perdere visibilmente quota al velivolo.

Un altro colpo, un altro grido straziato dalla rabbia e dal dolore... e il mezzo si schiantò definitivamente a terra. Ma non era ancora finita: gli sportelli si aprirono e a uscirne furono alcuni ragazzi dai capelli che andavano dal bianco al grigio scuro e dagli occhi ardenti come tizzoni. Le bastò incrociare quelle iridi vitree per capire chi avesse difronte: i Burattini. E a giudicare dal colore scuro della pelle e chiaro dei capelli, dovevano, come Jay, essere stati sottoposti alle radiazioni Uranine.

Alcuni di loro la attaccarono frontalmente e Kay non ci mise molto a bloccarli, pestando un piede a terra e innalzando spesse lastre di ghiaccio contro cui andarono a cozzare. Ma nemmeno un secondo dopo altri due scavalcarono quella barriera improvvisata, lanciandole contro vampe incandescenti che non fece in tempo a schivare.

Cadde a terra, in completa balia dei suoi avversari. Vide uno di loro calare su di lei un pugno incandescente, ma riuscì a rotolare di lato appena un istante prima dell'impatto. Con una capriola si rimise sui due piedi, colpì con un potente calcio il ragazzo, che atterrò su un suo compagno, mandando entrambi gambe all'aria.

Udì uno sfrigolio alle proprie spalle e alzò istintivamente un braccio, parando un calcio diretto al suo collo. Afferrò quindi la caviglia del Burattino e lo strattonò quel tanto che le consentì di raggiungere la collottola. Lo agguantò e lo lanciò in aria, sbattendolo contro l'obelisco.

Per ogni volta che li buttava a terra, quei maledetti si rialzavano sempre e comunque. Potevano avere una gamba rotta o non avere più la forza di reggersi in piedi, tuttavia rimanevano sempre lì, a fissarla con quegli orridi e spaventosi pupille impassibili.

Per la prima volta Kay dubitò che quegli esseri potessero sentire il dolore. E se l'unico modo per fermarli fosse stato ucciderli? No... si rifiutava. Non poteva farlo, l'aveva giurato.

Doveva trovare un modo per guadagnare tempo.

Aspettò che si raggruppassero tutti nello stesso punto, pronti ad aggredirla nuovamente, quindi riempì i polmoni con tutta l'aria che erano in grado di contenere.... e soffiò. Una forte raffica di vento polare li investì, mutandoli poco alla volta in perfette statue di ghiaccio.

Continuò finché non fu sicura che non le fosse rimasto neppure un grammo d'aria in corpo, quindi si piegò in avanti, poggiando le mani sulle ginocchia. Il suo piano era riuscito, ma non sarebbe stata una soluzione duratura: loro potevano emanare calore dai pori della pelle, proprio come lei poteva generare il gelo; non sarebbe passato molto prima che riuscissero a liberarsi.

Provò a fare un passo, ma le gambe non la ressero. Cadde in ginocchio, ansimante. Si sentiva... esausta. Il respiro le veniva a fatica e ogni singolo muscolo del corpo tremava neanche volesse schizzarle via.

Notò alcune cartacce affianco a sé venire sospinte da un forte vento. Si voltò di scatto: un secondo velivolo la puntava dal tetto della National Gallery. Come aveva fatto a non accorgersene prima?!

L'elicottero sparò. Stavolta Kay non avrebbe avuto il tempo si scansarsi. Un colpo la prese alla spalla, un altro all'addome e un terzo in piena fronte, mandandola lunga distesa a terra, intontita. Non riusciva ad alzarsi. Il mondo le girava attorno come in un mulinello.

L'elicottero si stava abbassando di quota, pronto a recuperarla, quando...

BOOM.

Una delle ali esplose in una vampa di fuoco. Precipitò, schiantandosi sulla strada. Un istante prima che esplodesse, una grossa figura piombò su Kay, coprendola appena in tempo dal fuoco e dai pezzi metallici che volarono in ogni dove, conficcandosi perfino nella pietra delle colonne del museo o ammaccando i leoni ornamentali.

Le orecchie le si riempirono di un sommesso ronzio e la vista le si annebbiò poco a poco, sempre di più.

Qualcuno la schiaffeggiò sul viso, ma non riuscì a mettere a fuoco nulla. L'unica cosa che poteva ancora vedere erano due figure in controluce chine su di lei. Poi.... tutto divenne buio.

 

 

La prima cosa che percepì furono forti dolori per tutto il corpo, in particolar modo sulla fronte. Provò ad alzare un braccio, per poggiarvi sopra la mano, ma scoprì di non riuscire neppure a scostarlo dal morbido materasso su cui si trovava.

Quando finalmente la vista le concesse qualche rada immagine a fuoco, riconobbe il soffitto legnoso e colmo di ragnatele della baracca. Non ricordava cosa fosse successo e per un attimo si chiese se tutte quelle immagini confuse che le passavano davanti agli occhi non fossero state tutte un sogno.

  • Kay! –

Al suo fianco, seduta su una sedia, c'era Sienna. La osservava con un misto di sollievo e rabbia... ma il sollievo fortunatamente prevaleva.

  • Finalmente! Temevo non ti saresti svegliata più! –

  • C'era.... c'era questa ipotesi? – la voce le uscii roca e a fatica. Si chiese da quanto fosse in quelle condizioni.

  • Sì che c'era! Non ci hai dato ascolto, Kay! Hai voluto fare di testa tua! Non potevi ancora combattere! Non sei stata addestrata, non sai dosare la tua forza! Potevi rimanere uccisa da te stessa, te ne rendi conto?!? È solo un bene che Sayb e Jay ti abbiano trovata in tempo! –

Non seppe cosa rispondere. Era vero, Sienna aveva ragione.... aveva maledettamente ragione, su tutto.

Non riuscendo a spiccicare una parola, il suo corpo decise di aiutarla ad esprimere ciò che provava facendole rotolare una grossa lacrima a lato degli occhi.

  • Tesoro... – la professoressa sospirò, accarezzandole i capelli. – Perché sei andata a Londra? Cosa pensavi di trovare? –

  • Io... volevo... volevo trovare loro. –

  • Loro chi? –

  • La mia famiglia. O almeno... ciò che un tempo è stata la mia famiglia. –

  • Kay.... –

Sienna si passò una mano nei capelli scarmigliati, pesando bene le parole da usare, ma Kay la anticipò. Perfino lei lo capiva...

  • Lo so, ho agito da stupida... – mormorò, mentre le lacrime scendevano sempre più copiose – Io non ho più una famiglia. Quella era di Keira Hedlund, mentre io mi chiamo semplicemente Kay. Non ho nulla a che fare con loro e ho sbagliato a pensare di potermi presentare come se niente fosse... –

Non riuscì neppure a finire la frase che un singhiozzo le chiuse la gola. Sienna si accucciò su di lei, continuando ad accarezzarla come solo una mamma avrebbe fatto... o almeno quello fu il pensiero che le attraversò la mente.

  • Tu non sei sola, se è questo che pensi! Hai già una nuova famiglia! L'hai avuto nello stesso momento in cui sei Rinata. Siamo noi, Kay. Questa nostra piccola combriccola è tutto ciò che a ognuno di noi rimane. Ed è proprio questo dipendere gli uni dagli altri che fa di noi una famiglia! –

  • Sicuro! – Sayb entrò nella stanza, rischiando di sbattere la testa contro l'architrave della porta. – Sienna è la mamma, mentre io sono lo zio! – disse gioviale.

  • E perché non il papà? – gli suggerì ironica la donna. Il cyborg si accigliò, facendo finta di pensarci.

  • Direi di no. Troppe responsabilità! Il ruolo dello zio invece mi permette di viziare di più i miei nipoti! –

Kay sorrise, combattendo contro quella tristezza che la stava devastando da dentro. Quella risata fu come un toccasana, che le sciolse quel nodo che le attanagliava lo sterno con una forza sovrumana.

    • E Jay.... bhe, potrebbe essere il fratello maggiore... –

    • Io non faccio il fratello di nessuno! – risuonò la voce del ragazzo dal piano inferiore. Allora stava ascoltando!

    • Eh va bene! Cugino, allora! –

    • La vuoi piantare con 'sta menata?! È una cosa ridicola!!! –

    • Ehi, porta rispetto! Se tu sei il cugino, d'ora in avanti pretendo che tu mi chiami papà! –

    • Ma fammi il favore! Il termine giusto sarebbe pagliaccio! –

Kay e Sienna risero di gusto davanti a quel siparietto e anche l'ultimo alone di tristezza abbandono definitivamente la ragazza.

Si rendeva perfettamente conto che Sayb aveva fatto tutto quello nel tentativo di farla sorridere e che Jay gli avesse retto il gioco senza neppure accorgersene.

Lo aveva giudicato male. Sayb era davvero una persona buona, di cui fidarsi. O meglio, lo zio Sayb.






  
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