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Autore: Faggiana    21/04/2013    1 recensioni
Camminava tra le strade di Brixton sempre più convinta di non percorrerle mai più. Doveva ricominciare a vivere come i suoi sogni le dicevano di fare. Non sapeva cosa le sarebbe successo da quel momento in poi, come non sapeva anche che il suo più grande dolore l'avrebbe portata alla felicità.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chapter one.




Isabella

 


Con la mano destra mi tirai su il manico della borsa che per l'eccessivo peso stava scivolando dalla mia spalla. Camminavo tra le strade di Brixton sempre più convinta di non percorrerle mai più. Girai a destra senza avere nessuna idea di dove mi trovassi, ma non me ne importava, dovevo solo arrivare ad Oxford Street, lì ci sarebbe stato John, un amico che avevo conosciuto al Wellington Pub, che mi avrebbe sicuramente ospitata per la notte. 
Mentre i miei occhi perlustravano la zona, le parole di mio padre occupavano i miei pensieri senza che io riuscissi ad eliminarli.

 

- Fai come ti ho detto! Sei la mia puttana, chiaro? -. La voce nitida e forte di mio padre raggiunse le mie orecchie appena varcai la soglia di casa. Gettai il mio zaino vicino al tavolino sulla destra dell’ingresso e corsi in cucina capendo che mio padre aveva bevuto più del normale. Capitava spesso ultimamente. Papà era sempre stato un uomo sopra le righe, ma in quel periodo era diventato irriconoscibile. Non riuscivo a vedere il suo viso, però dai movimenti violenti e decisi delle sue braccia, intuii che il suo intento non era sicuramente una carezza, che ormai la guancia di mia mamma non vedeva da un po’. Non si accorse di me quando decisi di provare a fermarlo. Corsi alle sue spalle afferrando il suo braccio destro che era in posizione di rincorsa ed avvertii sotto le mie dita il muscolo contratto; la rabbia si impossessava di me sempre di più vedendo quelle scene, ma nonostante questo feci leva con tutta la forza del mio corpo: ero lo stesso troppo debole per poter porre resistenza a quel movimento così aggressivo.
Mio padre si girò velocemente: non feci in tempo a fissare i suoi occhi pieni di odio che mi ritrovai per terra con la schiena fissa al mobile della cucina. Mi si fermò il respiro per alcuni secondi. La paura dentro me cresceva sempre di più. Mi sentivo così impotente di fronte alla sua rabbia.
- Bella, ti prego, scappa! - urlò mia madre con la voce rotta dal pianto e dalla paura. La guardai trovandola bloccata all’angolo della cucina con le mani bloccate dalla presa irremovibile di quell’uomo che non volevo nemmeno guardare in faccia. Piccole ciocche di capelli mossi, ormai uscite dall’elastico, si poggiavano pesanti sul suo volto straziato, i suoi occhi marroni erano spenti, disperati.

Non sapevo cosa fare: la mia mente mi diceva di scappare mentre il cuore non pensava, nemmeno lontanamente, a lasciare da sola mia madre. Era esile e indifesa come me, da sola non ce l'avrebbe mai fatta.
- Lascia scegliere a lei. - esclamò la figura ripugnante di fronte a me, - Tua madre non soffrirà, se te ne andrai! -.
Il panico si impossessò di me: perché reagiva così? Perché doveva bere ogni volta? Perché faceva del male alle donne che amava? Ero sua figlia e non avevo mai avuto così paura di un uomo come con lui. Mi aveva messa davanti a una condizione che non potevo gestire. Cercai di alzarmi da terra facendo attenzione ai frammenti di vetro che erano sul pavimento.
- Amore mio, non ti preoccupare, vai via! - si sgolò per l'ultima volta prima di ricevere uno schiaffo che la gettò a terra.
- Mamma! - urlai cercando ci avvicinarmi, ma mi bloccai non appena incrociai quegli occhi nocciola che mi imploravano di fuggire da quella vita piena di odio, violenza e lacrime.
Lanciai un’ultima occhiata a quella meravigliosa donna, presi la borsa mettendoci dentro quello che mi sembrava fosse più utile non curante di come veniva disposto all’interno e uscii di casa chiudendo la porta alle mie spalle con l’intento di non riaprila mai più.



Le scene di ciò che era avvento poco prima continuavano a ripetersi all’infinito nella mia testa, come uno spillo che ripercorreva sempre lo stesso tratto ferito.
Le strade di Brixton non erano per niente sicure, ma mi sentivo protetta lontana da quell’uomo che avevo giurato di non chiamare più “papà”.
Ero troppo occupata a pensare, che non diedi retta alla strada. Ogni cosa mi era sconosciuta. Mi ero allontanata troppo e se anche provavo a pensare a dove andare, la concentrazione mi riportava sempre a quegli attimi.
Mi avvicinai ad un bar con l’insegna gialla e rossa ancora illuminata all’estero facendomi capire che era aperto. “Paul’s”, si chiamava. Vi entrai con l’intento di nascondermi da qualche parte per chiudere un attimo gli occhi.
- Mi scusi, signorina. Dove sta andando? – chiese una voce proveniente da destra. Un uomo sulla cinquantina mi fissava. Aveva dei capelli brizzolati, gli occhi scuri si intravedevano appena attraverso le folte sopracciglia. Si vedeva solo la giacca verde che ricopriva una canotta bianca, il resto del corpo era nascosto dal bancone.
– Mi scusi cercavo il bagno. – risposi spiazzata verso l’uomo.
– Mi sa che fai prima a cercare un dottore. Ti sanguina la mano. – Fissai la mano destra, per poi portare lo sguardo subito sulla sinistra. Aveva ragione, sanguinava. Il taglio era profondo e ormai sporco. Afferrai un tovagliolo dal tavolino più vicino e lo pressai sulla mano. Rimasi sorpresa dal menefreghismo del proprietario che, dopo avermi avvertita, tornò a sistemare delle carte vicino alla cassa.
Il vetro su cui accidentalmente mi ero appoggiata a casa aveva lacerato la mia pelle, ma il dolore non era nulla paragonato alla rabbia e al disprezzo che avevo addosso.
 
 
Ritornai su quelle strade cercando di non pensare alla ferita che incominciava a bruciare sempre di più.
Poco dopo, invece, iniziai ad apprezzare quel taglio che mi fece togliere l'attenzione da ciò che era successo.
Il sangue continuava a fuoriuscire dal fazzoletto ormai zuppo. Avevo capito che dovevo fare qualcosa. Seguii le indicazioni della strada che portavano all'ospedale. Passai attraverso le ambulanze parcheggiate in uno spiazzo vasto e illuminato. Ero sola. Feci leva con il gomito sulla porta d'ingresso per non sforzare la mano. La mia spalla aprii la porta facendomi ritrovare circondata dalle sedie della sala d'aspetto. Presi posto affianco ad un uomo che, con espressione di dolore, aveva le pani poggiate sulle tempie e i gomito puntati sulle ginocchia.
Nell'attesa decisi di levare il fazzoletto, ormai in pessime condizioni, che ricopriva la mia mano. Fissai quest’ultima finché una signora dai capelli lunghi e castani munita di camice, interruppe il silenzio. Alzai lo sguardo per fissare la figura che si diresse verso due ragazzi seduti di fronte a me. La donna si avvicinò a uno dei due borbottando qualcosa a bassa voce. Ci doveva essere stata parecchia confidenza perché l'infermiera prese da parte il ragazzo con la maglia blu e incominciò a parlargli in maniera molto intima.
Ad un tratto il ragazzo scostò l'attenzione nella mia direzione, interrompendo il discorso.
- E tu cosa guardi? Pensa alla tua mano! – esclamò poi. Scrutai attentamente quella figura: capelli lisci castani portati in maniera disordinata verso destra ricoperti da un cappellino invernale grigio, gli occhi azzurri mi fissavano con un fare altezzoso e una maglia blu e stropicciata ricopriva il fisico leggermente abbronzato. Rimasi indifferente a quelle parole, niente era capace di farmi reagire. La donna si voltò dalla mia parte facendo si che i miei occhi evitassero il suo sguardo. Ricominciai a fissare la mano, fino a quando la donna, prima di incitarmi ad entrare nella stanza, esclamò – Louis e Harry, vi prego, smettetela!-.
Harry doveva essere il ragazzo a fianco. Sembrava più tranquillo del suo amico dal momento che senza fiatare continuava a toccarsi i riccioli con la mano destra. Ad un tratto alzò lo sguardo puntando le iridi verdi nella mia direzione.
Rimasi a sostenere lo sguardo di sfida finché la donna notando la situazione, mise una mano sulla mia spalla portandomi con sé.


Entrai nella stanza. Era completamente bianca con gli oggetti sistemati in modo ordinato. Sulla destra vi era il letto ricoperto di carta. L'infermiera si avvicinò a me è incominciò a medicarmi la mano con cura.
La situazione era imbarazzante.
- Cos'hai fatto a questa mano? - domandò la donna senza alzare lo sguardo. La sua voce era calma e calda, mi metteva sicurezza.
- Sono… scivolata! - affermai prontamente.
-Sei sicura che si tratti solamente di una scivolata? -. Non mi aspettavo questa domanda, mi aveva colta impreparata. Cercai di trovare una bugia credibile, ma la dottoressa mi sembrava troppo sveglia. Ripercorsi con la mente tutti i momenti di terrore che da qualche anno a quella parte mio padre mi aveva fatto provare. L'espressione di mia madre ferita mi fece salire il magone. La gola cominciò a stringere. Cercai di reprimere le lacrime. Non volevo che quella sconosciuta sapesse i punti deboli della mia vita e io ero abbastanza forte da poterlo fare.
Senza che me ne accorgessi, però, i miei occhi incominciarono a gettare gocce salate. Lentamente scendevano sul mio viso mentre i miei occhi azzurri diventavano sempre più cupi. Una lacrima caduta sulla mano della donna le fece alzare lo sguardo verso di me. Era troppo tardi. Tutta la rabbia, delusione e dolore avevano prevalso sulla mia forza.
La donna, senza dire una parola, mi abbracciò. Rimasi immobile, non capivo perché lo facesse. Il suo abbraccio, però, era sincero.
 


  
***
Buonaseraaaa :)
Eccomi qui con un'altra storia che però è scritta a quattro mani. 
Io e 
Might as well abbiamo avuto questa idea e allora adesso la stiamo scrivendo, quindi diteci che ne pensate se no non continuiamo neanche :)
Spero vi possa piacere e spero che non sia la solita FF!
Un bacio :)
A preeeeesto! 
  
  
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