Serie TV > Glee
Segui la storia  |       
Autore: cup of tea    22/04/2013    2 recensioni
[Endgame!Klaine]
Blaine Devon Anderson, promettente neolaureato in medicina, ha di fronte a sé una brillante carriera ma si è sempre sentito una persona particolarmente sola. Dopo aver incontrato quello che sente essere l’amore della sua vita, scopre che strane circostanze e inquietanti personaggi armati di agende e cappelli eleganti tramano per tenerlo lontano da Kurt e impedire il loro rapporto.
Cosa devi fare quando il destino ti è contro?
FF liberamente tratta dal film "I Guardiani del Destino" (The Adjustment Bureau) basato a sua volta su un racconto di Philip K. Dick, "Squadra riparazioni".
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

THE WINDS OF CHANGE ARE BLOWING WILD AND FREE
Capitolo 2

 



La sveglia di Blaine suonò molto presto, quella mattina.

L’ultima volta che l’aveva puntata alle cinque e trenta risaliva al giorno in cui era partito per il college, perché aveva avuto il terrore di perdere l’aereo che finalmente avrebbe messo chilometri tra lui e la sua pressante famiglia.

Quel giorno invece, aveva appuntamento con il primario del Bellevue Hospital Centre - l’ospedale affiliato con il suo College - per prendere accordi sul suo primo mese di prova. Avrebbe svolto una semplice attività ambulatoriale, dopodiché, se fosse stato all’altezza delle voci che circolavano sul suo conto, avrebbe potuto esercitare come pediatra. Almeno la scelta di qualificarsi per lavorare a contatto con i bambini era sicuro fosse stata sua, e una delle ragioni per cui il Bellevue era famoso era proprio il centro pediatrico specializzato nelle ustioni.

Era già passata una settimana dalla cerimonia per la sua laurea, ma sembrava fosse volata. Aveva avuto un milione di cose da fare e a cui pensare - dal lasciare la stanza che divideva con Sam al College, al stabilirsi nel suo nuovo appartamento, al rispondere alle offerte di lavoro che sembravano piovergli in testa. A quanto pare era davvero il più promettente medico della sua generazione e il discorso che Kurt gli aveva ispirato – condito di “Seguite i vostri sogni” e “Siate voi stessi” o anche “La vita che abbiamo è una sola, non sprecatela” - non aveva fatto altro che conferirgli l’immagine di role model che tutti si aspettavano.

Kurt.

Anche nel pieno delirio di quei giorni, non aveva smesso un attimo di pensare a lui.
I suoi occhi, le sue mani, le sue labbra, i suoi baci. Oh, i suoi baci.

Come avrebbe fatto a ricontattarlo?

E se non avesse voluto essere ricontattato? Magari scappare via era stata una mossa voluta. Magari non era stato tanto piacevole quanto lo era stato per lui. O magari non era il primo che baciava in un bagno e che poi lasciava così. Magari, magari.
Sospirando rumorosamente, zittì la sveglia del cellulare con un dito e si alzò dal letto. Lo specchio appeso al muro gli urlò che era il caso di darsi una sistemata se non avesse voluto spaventare qualcuno, così si avviò verso il bagno, strascicando i piedi ancora mezzo addormentato.

Entrò nella doccia e, dopo essersi dato una veloce sciacquata giusto per svegliarsi del tutto, controllò l’orologio da polso che prima aveva appoggiato sul bordo del lavandino. Segnava le sei e venti. Non aveva assolutamente intenzione di fare tardi, perciò tornò in camera e si vestì in fretta con la camicia a maniche corte a quadretti blu, il golfino leggero della stessa tonalità che lasciava intravvedere il colletto e il papillon, e il paio di pinocchietto scuri che aveva preparato la sera prima. Gli rimaneva giusto il tempo per darsi una mano abbondante di gel sui riccioli ribelli, ma non abbastanza per riuscire anche a fare una buona colazione. Decise che avrebbe comprato un cappuccino medio da Starbucks prima di salire sull’autobus.

Infine, infilò i mocassini e prese la tracolla ma lasciò il cappotto autunnale sull’appendiabiti – fortunatamente quell’ottobre non aveva ancora portato il freddo. Così, uscì.  

 

***


Seduto su una panchina di Central Park alle sei e trenta del mattino, elegante nel suo nuovissimo completo scuro e con indosso il borsalino, Noah era intento a giocherellare con la spilla che si era guadagnato solo il mese prima.

Se la rigirava soddisfatto tra le dita, la lucidava quando rimanevano le ditate, ma soprattutto la osservava compiaciuto. Sul metallo chiaro si leggevano chiaramente il suo nome e il suo dipartimento.

 

Noah Puckerman

Adjustment Bureau – Prima Divisione


Come giovane recluta, quella era la prima vera missione che gli veniva affidata.
Non era la prima volta che aveva a che fare con Blaine Anderson, ma quel giorno era diverso. Non era affiancato da nessun superiore, come era invece avvenuto in passato: era solo. Lui, Anderson e il destino da compiere.

“Ricordati, deve rovesciarsi addosso il cappuccino alle sette e cinque.” Shannon Beiste, il capo della sua divisione, gli stava ricordando per l’ennesima volta cosa doveva fare. Come se le cento volte precedenti non fossero state abbastanza.

“Sissignora. Me ne occupo io.” Rispose prontamente, per poi vederla aggiustarsi il proprio cappello e dissolversi in lontananza.

Noah appuntò la spilla all’interno della giacca. Era la regola: le targhette non dovevano essere visibili ai civili, perché non dovevano essere riconoscibili ma confondersi tra la folla. Guardò poi l’orologio: le sei e quarantasette minuti.

Non gli rimaneva che aspettare, perciò si concesse di chiudere gli occhi per qualche minuto prima di entrare in azione.

La notte precedente era stata abbastanza agitata, per lui. Chi l’avrebbe mai detto che uno come lui sarebbe riuscito a passare l’esame per diventare Guardiano? Ok, era solo nella Prima Divisione, ben lontano dalle alte sfere, ma aveva già ottenuto una missione, e questo poteva solo significare che ciò che aveva davanti era una graduale e profumata carriera. Si immaginò prima Supervisore, poi Burocrate e infine… no, forse non sarebbe mai arrivato a sostituire Lui, però sognare non costava niente.
Un fastidioso raggio di sole lo costrinse ad aprire gli occhi. Com’era possibile che fosse già alto? Si tirò su di scatto. No, non poteva essersi addormentato! Non poteva essere già così tardi! Non poteva… controllò l’orologio da taschino: le 7.09.

“No! NONONO!!” esclamò, afferrando quella che, all’apparenza per un occhio inesperto, poteva sembrare una comune agenda in pelle nera. La aprì e il puntino scuro e lampeggiante che rappresentava Anderson si stava muovendo velocemente lungo quella che, sempre per un occhio inesperto, poteva sembrare una piantina della città.

Doveva fermarlo al più presto! Doveva rovesciare quel cappuccino! Non doveva assolutamente prendere quell’autobus!

Chiuse le pagine con un tonfo e si lanciò verso la fermata dell’autobus, che era già arrivato. Vide Anderson salire e scomparire dietro le porte automatiche.

“No!!” Sbattè un pugno su di esse, appena chiuse.

 

***

“Mi scusi” disse Blaine, una volta salito sul bus. Si era rivolto al conducente, che si stava preparando a far ripartire il mezzo. “Un signore deve salire... e sembra proprio che si in ritardo per qualcosa…”

“C’è un altro pullman già in arrivo” gli rispose questi, quindi bevve un sorso del suo cappuccino medio da asporto e si avviò alla ricerca di un posto a sedere.

“Non posso crederci” Sentendosi chiamare, Blaine si voltò in direzione della voce. E… Oh, Dio. Ci mancò poco che sputasse tutto quello che aveva bevuto.

“Kurt! Ehi! Che Bello vederti!” Gli rivolse un sorriso ancora più meravigliato e disteso di quelli che riservava solo alla vista di barattoli di gel in superofferta al supermercato o a svendite di papillon da Barney’s.

“Ma guarda un po’! Il bel medico neolaureato! Quante vite hai già salvato?” Lo salutò Kurt, mentre spostava un borsone da palestra dal sedile accanto a sé per fargli posto.

“Io? Oh nessuna, al momento. Inizio a lavorare oggi, per la verità.” Si passò una mano sulla nuca, come in imbarazzo. “Ma tu – proseguì – tu hai di certo salvato la mia, settimana scorsa! Non fosse stato per te, quel discorso sarebbe stato uno schifo.” Gli sorrise.

“Lo so, non posso fare a meno di essere indispensabile.” Si vantò bonariamente il ragazzo di cui evidentemente aveva dimenticato la bellezza, perché in quel momento Blaine lo trovava anche più incantevole e magnetico della prima volta che l’aveva visto.

“Ehi?? Sei ancora sulla Terra?” No, credo di essere in Paradiso, perché è evidente che tu sei un angelo. Che paragone banale, eppure com’era vero!

“S-sì, scusa, è che… i tuoi occhi. Te l’hanno mai detto che sono splendidi?” Idiota! Così lo spaventi a morte! Cosa ti è saltato in mente?

“Oh.” Le guance di Kurt avvamparono, mentre sorrideva timidamente. Se anche fosse stato un abituè dei baci agli sconosciuti in bagni pubblici di casuali hotel, forse non era poi così abituato a semplici e sinceri complimenti. Blaine si compiacque della reazione – inaspettata, perché Kurt gli era sembrato una persona molto sicura di sé - che aveva provocato e si rilassò.

“Grazie… tu invece stai bene, così… voglio dire, quel papillon ti dona.” Azzardò Kurt.

“Sei gentile, ma non devi dirlo solo perché io ho fatto un commento sui tuoi occhi.” Rispose Blaine, abbassando lo sguardo.

“No! Davvero! Sei un po’ più tu. Si vedeva che la cravatta era stata scelta da qualcun altro… questo papillon è… da Blaine!” Ridacchiò Kurt.

“Da Blaine?” Ripeté allegramente lui. Anche se era ovvio che Kurt non potesse sapere davvero cosa fosse da lui e cosa no, si sentì come se quel ragazzo lo conoscesse da sempre. Si sentiva capito, perché – in effetti – il papillon era sul serio una cosa da lui. Come faceva un quasi sconosciuto a essergli così affine?

L’autobus improvvisamente inchiodò.

Il bicchiere che teneva ancora in mano esplose, schizzando cappuccino medio ovunque. Anche sulla camicia di Kurt.

“Oddio, scusami. Ti prego perdonami!” Blaine sperò che un meteorite avesse appena colpito la terra e avesse creato una voragine nella quale avrebbe potuto tuffarsi direttamente, lanciandosi fuori dal finestrino dell’autobus, per scomparire nel buio più totale. O qualcuno avrebbe dovuto risvegliarlo da quell’incubo, perché non era possibile che avesse rovesciato un caffè addosso a uno che si imbucava alle conferenze stampa di Marc Jacobs. Come minimo quella camicia doveva valere un sacco di soldi, e lui poteva dire addio al futuro con Kurt, invecchiare insieme, trasferirsi a Provincetown, comprare un faro e avviare una colonia di artisti.

“Non preoccuparti…” disse Kurt.

“No, davvero! Ti ho rovinato la camicia!” Poteva leggergli il disappunto in quegli occhi che si agitavano nel panico; era chiaro che Kurt fosse solo troppo perfetto per sbattergli in faccia il danno enorme che gli aveva appena inflitto.

“Ehi, vado in giro con un cambio in borsa proprio per casi come questi!” Lo rassicurò Kurt, appoggiando una mano sulla sua spalla con una tale dolcezza che Blaine pensò si sarebbe sciolto sotto il suo tocco.

“C’è anche questo sul manuale?” si sforzò di non piagnucolare mentre lo chiedeva.

“E’ in una nota a fondo pagina” scherzò Kurt. “Se c’è una qualche possibilità che lo sconosciuto del bagno abiti nella tua stessa città e possa prendere il tuo stesso autobus con un cappuccino medio di Starbucks in mano, portati un cambio nella borsa.” Disse, con risolutezza.

Blaine sospirò. Come poteva essere così meraviglioso, quell’uomo?

“Facciamo così” disse, frugando nella tracolla e tirando fuori un pezzo di carta e una penna. “Scrivi qui l’indirizzo della lavanderia e il tuo numero. Vado a ritirarti la camicia quando sarà pronta e ti pago il conto.”

“Non è necessario, sul serio! L’ho comprata in saldo…”

“Insisto.”

Kurt sorrise, e cedette. Blaine osservò le sue dita prendere cautamente la penna e scrivere sul pezzo di carta con la grafia più bella che avesse mai visto.

“Appena in tempo, questa è la mia fermata. Ma ora sai come trovarmi” Disse sorridendo Kurt, restituendogli tutto, compresa la speranza di rivedersi. Per un attimo le loro ginocchia si sfiorarono, mentre Kurt lo stava superando per avvicinarsi alle porte.

Appena aperte, Kurt scese sul marciapiede e raggiunse il finestrino corrispondente al sedile di Blaine. Un cenno di una mano per salutarlo, e Blaine non riuscì a tapparsi la bocca. “Penso a te da quel giorno in hotel!” e l’ultima cosa che vide, mentre l’autobus ripartiva, fu un grande sorriso a labbra strette disegnarsi sul suo viso.

 

***


“Sam…Sam! Ho rivisto il ragazzo del bagno! Sì, quello che ho baciato. No, non ho un appuntamento. Ma ho il suo numero! E’ già qualcosa, no? Oh, scusa non sapevo fossi a lezione. Ok, intanto io sono arrivato al Bellevue. Ci sentiamo più tardi!”

Blaine interruppe la chiamata ed entrò nell’ingresso del grande ospedale, passando attraverso il bel cortile curato e le grandi porte a vetri del reparto di pediatria. Sapeva esattamente dove andare, perché era lì che aveva svolto il suo tirocinio, durante il secondo anno all’università. Salutò Margareth, l’infermiera all’accettazione, e non diede peso al fatto che non lo avesse degnato nemmeno di un cenno con la mano, perché sembrava concentrata in una conversazione al telefono, o magari non si ricordava di lui. Attraversò il corridoio bianco in fondo al quale si trovava l’ufficio del Dottor Schuester, il primario.

Tutto era come lo ricordava. L’odore di disinfettante, la luce fredda che penetrava dalle finestre, il pavimento di un materiale plastico facile da pulire. Ma non quell’innaturale silenzio. Non quella pace quasi inquietante. Non quella… totale immobilità. Perfino Margareth non aveva ancora detto niente, nonostante avesse la cornetta attaccata all’orecchio da almeno cinque minuti.

Tutto ciò mise in Blaine una punta d’agitazione; ma trovò l’ufficio di Schuester socchiuso, così non ci pensò due volte e bussò spingendo appena la porta.

Ciò che si trovò davanti non era certo ciò che si sarebbe aspettato: un donnone vestito in giacca, cravatta e cappello e quattro uomini vestiti nello stesso modo stavano passando un aggeggio spaventoso intorno alla testa di Schuester. E come se questo non stesse già terrorizzando Blaine, il dottore appariva in piedi, piegato verso la scrivania, fermo, immobile nel gesto di segnarsi un appunto nell’agenda.

Cinque sguardi in un misto di stupore e minaccia si rivolsero verso di lui.

Che diamine succede?!

L’improvvisa consapevolezza di aver assisto a una cosa proibita gli iniettò la giusta quantità di adrenalina necessaria per attivare la fuga. E corse via.

L’ultima cosa che sentì fu il donnone ordinare: “Prendetelo.”

 

***


Blaine correva più veloce che poteva – lungo il corridoio, giù per le scale, girando a destra e a sinistra cercando di essere il più casuale possibile – ma non importa quanto cercasse di seminarli, quegli uomini lo raggiungevano. Alcuni riuscivano incredibilmente a precedere le sue azioni.

La sua fuga non durò molto.  

Non servì a niente nemmeno chiudersi in un bagno e comporre il 911 con il cellulare.

La linea telefonica era bloccata e fu raggiunto anche lì.

Qualcuno buttò giù la porta, mentre il donnone tuonava un “Non può scappare, Anderson. Così rende solo le cose più difficili.” E qualcosa su un torero e un toro che Blaine non afferrò del tutto. Fu bloccato da due uomini e cessò di lottare contro di loro solo quando un ragazzo che non poteva essere più grande di lui gli premette su naso e bocca un fazzoletto impregnato di una qualche sostanza sedativa.
 


Il buio.

Poi la confusione.

Si sentì cullare, poi trascinare, poi sballottare.

E poi di nuovo il buio.

Dove lo stavano portando? E chi erano quegli uomini?

Forse non gli importava veramente…  perché ora era un adolescente, alla Dalton, a cantare con gli Usignoli in qualche jam session improvvisata. Le Regionali erano vicine ed era felice. Ma i suoi genitori non dovevano saperlo… Doveva corrompere Cooper di nuovo, in qualche modo, perché lo coprisse. Avrebbe puntato il dito, così lo avrebbe preso più sul serio.
E infatti eccolo ora sul palco di un auditorium. Cantava ed era felice. Era con quelli che erano ciò che si avvicinava di più a degli amici, ed era felice. Guardava il pubblico, ed era felice. Guardava gli avversari – c’era un angelo tra di loro, molto simile a Kurt - mentre alzavano la coppa, ed era felice lo stesso. Perché quello era ciò che amava fare. 

“Non si vive di musica, Blaine.”

“Lo so papà.”

Si sentiva le guance in fiamme. E gli bruciavano gli occhi, forse erano le lacrime. Voleva strofinarseli, ma aveva le mani bloccate. Così li aprì piano piano. La luce era accecante.

Si ritrovò seduto su una sedia, in quello che sembrava il deserto parcheggio al coperto dell’ospedale.

Cominciò ad agitarsi ricordando più o meno gli ultimi avvenimenti, ma uno degli uomini che lo avevano bloccato in bagno gli mise una mano sulla spalla. Non in modo minaccioso… sembrava piuttosto accondiscendente. Quel gesto non lo mise per niente a suo agio.

Scosse la testa per diradare le ultime nebbie del sedativo e incrociò lo sguardo del donnone che sembrava essere il capo di quella strana squadra. Stava parlando al telefono con qualcuno e non capì una parola di quello che stava dicendo al suo interlocutore. Quando interruppe la conversazione fu solo per parlare con uno dei suoi uomini. Gli stava mostrando una agenda di pelle nera dicendo strane cose come “Se non lo resettiamo continuerà a cercare di scoprire la verità, per tutta la vita. L’Effetto Onda sarà infinito, e noi dovremmo continuare a sorvegliarlo, come un pastore con le sue pecore.”

“Non possiamo resettarlo” diceva l’altro. “Lui non sarebbe d’accordo. E’ stato un suo errore.” E indicò il ragazzo che lo aveva sedato.

A quel punto non ce la fece più.

“Chi diamine siete?!” sbraitò, e l’uomo che gli teneva la mano sulla spalla ora aumentò la presa per farlo stare fermo.

Il donnone che parlava per metafore rusticheintanto gli si avvicinò.

“Noi ci accertiamo che tutto vada secondo il Piano. Mi chiamo Shannon Beiste.”

Quella donna doveva essere pazza. Blaine annuì come si annuisce agli psicopatici nei loro deliri (magari quegli uomini erano proprio sfuggiti al controllo dei loro medici) e, approfittando della distrazione dell’uomo che aveva ancora la mano sulla sua spalla, scattò in avanti per cercare di scappare. Ma un gradino che prima non c’era lo fece inciampare e cadere rovinosamente sul pavimento. Si chiese se si fosse rotto una caviglia, mentre si sforzava di non imprecare.

Due uomini lo raggiunsero prontamente e lo risistemarono sulla sedia.

“Blaine, credeva davvero che non potessi prevederlo?” disse la Beiste. “Posso leggere le sue intenzioni. Come un fantino esperto sa domare il suo cavallo imbizzarrito.”

“La può piantare con queste immagini?!” sbottò Blaine, ma la Beiste lo ignorò.

“Allora, crede ancora di poter scappare?” gli disse invece.

A quel punto Blaine credette di essere il prossimo a venire ricoverato nel reparto di psichiatria. Avrebbe voluto portarsi le mani alla testa, ma erano ancora bloccate. Non potendo fare altro per calmarsi, strinse gli occhi. “Non capisco che sta succedendo.” Sentì l’angoscia crescergli nel petto ogni secondo che passava.

“Ha visto una cosa che non avrebbe dovuto vedere. Qualcosa che per lei non avrebbe dovuto neanche esistere. Immagino sia una scoperta sconvolgente. Non è colpa sua. Il suo percorso nel mondo avrebbe dovuto essere aggiustato: avrebbe dovuto versarsi addosso il caffè andando verso la fermata dell’autobus, così sarebbe stato costretto a tornare a casa a cambiarsi e avrebbe perso quel bus. Non arrivando in tempo all’ospedale, non sarebbe arrivato in orario all’appuntamento con Schuester… e non ci avrebbe visto.”

Grazie al cielo evitò altre metafore. Era già abbastanza incredibile così.

“Dovevo rovesciarmi addosso il caffè?!” ripeté.

 “Lo chiamiamo Aggiustamento. Ti rovesci addosso il caffè, o internet non funziona, o perdi le chiavi. Molte volte siamo noi che cerchiamo di aggiustare il vostro percorso perché seguiate il Piano. Le coincidenze non esistono. Quando però non ci riusciamo, dobbiamo intervenire e cambiare direttamente il tuo pensiero. Come abbiamo fatto con il Dottor Schuester – sta bene come un gattino alla sua prima poppata, non deve preoccuparsi.”

Ci risiamo con le metafore. Ma la lasciò continuare.

“C’è una cosa che deve sapere, se la lasciamo andare.”

“Ok.”

“Lei non avrebbe dovuto vederci. Nessuno ci ha mai visto, e se anche fosse successo sarebbe finita male. Ma io voglio essere buona con lei – mi sta simpatico nonostante tutto quel gel. E’ libero di andarsene, ma se vengo a sapere che ha spifferato qualcosa sul nostro conto, e stia sicuro che lo verrò a sapere, le cancellerò la memoria. La resetterò. Le sue emozioni, i suoi ricordi, non esisteranno più. Per le persone che conosce sarà semplicemente impazzito… mentre lei non proverà un bel niente. Ha capito?”

Questo lo mise ancora più in agitazione, ma allo stesso tempo fu grato di poter far finta che non fosse successo niente, così annuì. Cercò di alzarsi, credendo che la conversazione fosse finita. Ma la Beiste non la pensava allo stesso modo, perché lo bloccò.

“Ancora una cosa. Stamattina ha incontrato un uomo, sull’autobus. Kurt.”

“Cosa c’entra lui?” sbuffò Blaine.

“Non avrebbe dovuto rivederlo.”

“Non capisco, che importanza ha?!”

“Ne ha.” Disse lei con un fastidioso, saccente ed evasivo modo di fare, mentre con un gesto dava l’ordine a uno dei suoi di frugare nelle tasche di Blaine. Trovarono il portafoglio in cui era inserito il foglietto con il numero di cellulare di Kurt.

“Vi prego, no.” Ma lo stavano già bruciando con un accendino.

La Beiste sorrise. “E’ libero di andare, ora.” E Blaine sì sentì spingere attraverso una porta e cadere sul pavimento, dall’altra parte.

“Che ci fa lì per terra?!” Era la voce di Schuester. Era piombato nel suo ufficio.

 
 
 
 





 
La tavola di cup of tea
Nessuna comunicazione di servizio, solo GRAZIE.
E, se mi concedete un piccolo momento pubblicità, ho pubblicato una OS e potete trovarla qui: “Ogni giorno è uguale e diverso – il ritratto”
*Vi passa un cupcake*
Cup of tea

 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Glee / Vai alla pagina dell'autore: cup of tea