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Autore: Sophie_Wendigo    22/04/2013    1 recensioni
- Piano la presa si allentò, il dio lasciò scivolare i gelidi palmi fino ai suoi polsi, cingendoli quasi dolcemente, poi si avvicinò al volto della donna, deviando all’ultimo verso il suo collo.
“Ti ho detto di non giocare con me…" sussurrò su di esso -
Genere: Erotico, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Lemon, Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Tante, troppe cose affollavano la mente di Natasha; in quel silenzio che era sceso nell’androne spoglio, nei suoi occhi che parevano così colpevoli e sinceri, la donna annegava lentamente.
Neppure quelle dita affusolate e fredde, che percorrevano avanti e indietro la pelle umida del suo viso, riuscivano a farle riprendere il controllo di se, e lo stesso era per il tiepido calore che la perla emanava sul suo petto, sfiorandolo ad ogni respiro.
Quei contrasti, quella situazione surreale, avevano il solo effetto di farla affondare ancor di più nelle sue domande, che si potevano riassumere in una sola: è davvero sincero?
Non riusciva proprio a trovare una risposta, in quel momento, le era impossibile riflettere lucidamente, mettere in fila tutte le cose che erano successe e capire se diceva la verità, o se stava ancora giocando con lei.
Restò immobile cercando in ogni modo di collocare in ordine le sue parole, che adesso premevano contro le tempie con insistenza, e fu proprio allora che la sua testa si svuotò completamente, senza preavviso, lasciandola stupita e libera di respirare.
“Te l’ho detto, tutto quello che ho sempre voluto, è stato il tuo bene…” sussurrò con un sorriso dolce ed enigmatico il Principe degli Inganni. “Va meglio?” chiese protendendosi appena verso di lei, cercando una risposta nei suoi occhi ancora lucidi.
Soltanto adesso Natasha si accorse del suo indice e medio, che si erano spostati furtivamente sulla sua tempia sinistra.
Era stato lui: le aveva svuotato la mente, aveva percepito il suo disagio e l’aveva alleviato.
La donna abbassò il viso, nascondendolo sotto alcune ciocche di capelli rossi, poi rispose al suo sorriso.
“Si, va molto meglio.” Poi alzò lo sguardo su di lui, mantenendo il capo basso. “Immagino che tu voglia una risposta, dopo quello che mi hai detto.”
“No. Non è necessario in realtà, posso dedurla da solo…”
“Sono così facile da interpretare?” chiese lei con uno strano sorriso sulle labbra: sembrava punta sul vivo, ma anche piacevolmente divertita.
“Al contrario. Ma io lo sono: dopo ciò che ho fatto, non mi aspetto nient’altro che un: –addio bastardo-…”
“In effetti la voglia di assecondare la tua deduzione è davvero molta, e sarebbe anche la cosa più semplice da fare: andarmene e convincermi che quello che mi hai detto erano solo altre bugie, sarebbe semplicissimo. Ma ormai dovresti sapere che mi piacciono le cose complicate…” disse la donna, mordendosi le labbra. Era pienamente convinta di ciò che stava per fare, ma c’era ancora una parte di lei che si opponeva a quella pazzia incoerente.
 
Si allontanò appena dal corpo di Loki, strisciando all’indietro, poi, ignorando il suo sguardo, si abbassò, accovacciandosi lentamente fra lesue gambe e accoccolandoglisi sul petto.
“Che stai facendo?!” chiese il dio, sgranando gli occhi.
Quando l’aveva vista allontanarsi, aveva pensato che stesse per andarsene, proprio come aveva previsto, invece: eccola sistemarsi sul suo torace, e intrecciare involontariamente le gambe con le sue.
“Te l’ho detto, mi complico la vita.” Rispose Natasha, come se quella fosse una reazione normale dopo tutto quello che avevano passato. “Ti fanno male le ferite se sto qui?” domandò con indifferenza.
“No…” sussurrò Loki, con un’espressione piacevolmente sorpresa ad increspargli il viso.
“Ammettilo, ti ho stupito.” Fece la donna divertita, sistemandosi in modo da poterlo guardare negli occhi.
“Hai proprio un brutto ascendente su di me…” disse lui scuotendo il capo e sorridendo, poi circondò finalmente il suo corpo con le braccia, andando ad accarezzare distrattamente la sua chioma rossa.
“A me sembra tutto il contrario: andiamo, fra i due ero io che potevo andarmene, e guarda dove sono invece!”
“E secondo te è da me questo?” disse indicando con lo sguardo sue le mani, che adesso la stavano accarezzando dolcemente.
“Diciamo pure che la coerenza non è il nostro forte…” sussurrò lei, abbassando di nuovo il volto e chiudendo gli occhi.
In quel momento, a differenza di ciò che sarebbe potuto sembrare dall’esterno, a dispetto della loro vicinanza fisica, erano lontani, quasi intimoriti l’una dall’altro. Dopo quello che era successo, nonostante la buona volontà e ciò che provavano reciprocamente, ci sarebbe voluto del tempo: mancava qualcosa, c’erano ancora delle cose che dovevano dirsi, qualcosa che li avrebbe finalmente uniti, e che avrebbe cancellato quella leggera nota di freddezza che li teneva separati.
 
“Dicevi sul serio prima?” chiese piano Natasha, senza muoversi per cercare di nuovo il suo sguardo, limitandosi a fissare l’oscurità della cella.
“Riguardo cosa?”
“Alla perla. E’ passata in secondo piano prima… E’ davvero il feto?”
“Si.”
“E starà bene? Voglio dire… non soffre?”
“Non preoccuparti, te l’ho detto: è semplicemente assopita, per lei è come essere ancora nel tuo ventre.”
Lei…” ripeté la donna, sfiorando distrattamente la superfice leggermente ruvida del piccolo monile.
Loki la strinse di più a se. Un nuovo ingenuo tentativo di trasmetterle le sue scuse; sentiva distintamente il suo tormento, era più che comprensibile, ma non riusciva a sopportare l’idea di esserne il responsabile.
“Come l’avresti chiamata?” domandò a tradimento la donna.
“Co-come l’avrei chiamata?” balbettò appena il dio, sorridendo confuso.
“Scusa… era solo per parlare un po’.”
“No, va bene… Solo che non so se ne sono capace.”
“Tutti ne sono capaci, sarebbe stata tua figlia dopotutto… E’ una delle poche cose della vita che non devono essere insegnate, vengono e basta...”
Haely.” Disse quasi senza lasciarla finire. “L’avrei chiamata Haely se ne avessi avuto la possibilità.”
“Cosa significa?” chiese Natasha, quel nome le aveva mosso qualcosa dentro: sarebbe stato il nome della loro figlia mai nata, lo sentiva chiaramente, come se avesse sempre conosciuto quella parola, come se fosse stata marchiata a fuoco nella sua mente tanti anni prima.
“E’ un vocabolo antico, vuol dire tante cose: tesoro, gioiello e tutti i sinonimi che ti possono venire in mente. Era la parola che usavano gli anziani per etichettare qualsiasi cosa avesse un enorme valore… Infatti, è da lì che prende il nome la pietra più rara e preziosa presente su Asgard, che puoi vedere al tuo collo in questo momento.” Spiegò Loki, rimirando un punto indefinito della stanza buia.
“Haely è il materiale che compone la perla?”
“Esattamente. Troppo sentimentale?” Chiese la divinità. Per lui era tutto così nuovo, temeva sempre di sbagliare qualcosa, e l’equilibrio che si era creato fra loro era fin troppo precario per commettere un altro errore.
“Affatto…” rispose la donna in un sussurro, stringendo Haely nel palmo, traendone quel piacevole tepore che emanava.
 
“Ho fatto un sogno strano quando te ne sei andato.” Quel momento, ne erano entrambi consapevoli, sarebbe stato l’ultimo in cui chiarirsi, l’unico senza conseguenze, dove si sarebbero detti tutto ciò che avevano taciuto, ed era proprio ciò Natasha che stava facendo.
“Un sogno?” Chiese Loki appena compiaciuto.
“O almeno credo che lo fosse… Non prendermi per pazza, ma sembrava davvero reale! … Stai ridendo?!” Domandò stizzita la giovane, alzando il capo e fulminando la divinità sorridente.
“Affatto, mi chiedevo solo quando me ne avresti parlato.”
“Sapevi del mio sogno?”
“Non era un sogno. Era reale, eri dentro di me, lo era la tua anima. Se devo dire la verità, non ho idea di che fenomeno sia, ma ne ho sentito parlare qualche volta: è una sorta di collegamento che avviene fra due esseri, a dir poco raro… Il mio spirito si è aperto al tuo, ti ha lasciato libero accesso. E così hai potuto vedere ciò che c’è dentro di me: la distesa di ghiaccio, Fenrir, e il mio tesoro più grande.”
“Hai usato la tua magia?”
“Non è opera di magia, mi è impossibile manipolare la mia anima. Credimi, ci ho provato…” Il tono della sua voce, colpì Natasha: sembrava stesse parlando da un luogo lontano nel tempo e nello spazio.
“Ci hai provato?” ripeté lei piano.
“Ci sono cose che non sai di me, piccolo ragno.” Disse Loki, ridendo appena, nel tentativo di chiudere lì il discorso. Ma la donna rimase immobile, in attesa. “Cose di cui non vado fiero.” Aggiunse a voce bassa, sapeva che l’avrebbe vinta lei, sarebbe sempre stato così, e non valeva la pena tentare di opporsi. “Prima di arrivare qui, sulla terra, sono cambiato molto. Fin da piccolo, come sai, ho sempre cercato di essere degno del titolo di Figlio d’Odino. Ma c’era sempre qualcosa che non andava: non ho mai reso fiero il Padre degli Dei per quanto ci avessi provato. Mi riempii di rabbia, troppa da contenere, sapevo che quella sarebbe stata la mia ultima chance. Provai a distruggere Jötunheim con il Bifrost, il collegamento che può unire tutti i pianeti di Yggdrasil; Thor riuscì a fermarmi, ma dovette distruggere il ponte, e durante quell’esplosione, cademmo nel vuoto. Fu Odino a salvarci, e fu in quel momento che lessi il disprezzo nei suoi occhi. Così, l’unica via che mi rimaneva, era il vuoto. Lasciai la presa, vagai nello spazio per un tempo indefinito, e durante quel mio viaggio, capii che in realtà il mio non era odio nei confronti di Asgard e del suo re, ma odiavo me stesso per non essere stato all’altezza del suo trono. Credetti che ci fosse qualcosa di sbagliato in me, credetti che fosse la mia anima gelida la causa di tutto, e mentre erravo nel vuoto dell’universo, appresi ogni magia di ogni popolo che incontrai. Ho imparato incantesimi tanto potenti da poter cancellare una galassia intera, magie nere e oscure, e per quanto fossero potenti, nessuna di queste poteva mutare il gelo del mio spirito in qualcosa di migliore. Quando persi anche l’ultima speranza, e mi abbandonai al mio risentimento, intravidi una via secondaria, quella della vendetta. Perché dovevo essere io quello sbagliato? Perché non loro? Chi lo aveva deciso? Per questo richiesi l’aiuto dei Chitauri e del Tesseract, e mi diressi qui, per distruggere il pianeta tanto amato da mio fratello… Ho provato ad essere diverso, l’ho fatto, ma è scritto nel destino, è scritto sulla mia pelle, il fato non mi riserva niente di nuovo: sono nato per uno scopo, e per quanto sia terribile, per quanto tenti di cambiare le cose, lo porterò a termine…”
In quei giorni che aveva passato con lui, Natasha mai si era posta il problema di capirlo. Pensava che non ci fosse poi molto da intendere o spiegare: certe persone sono crudeli e basta, non devono avere un motivo per esserlo, e aveva sempre ritenuto Loki appartenente a quella categoria.
Ma dopo le sue parole, adesso che conosceva come tutto era iniziato, capiva che non era così. Quella nota di umanità che albergava in fondo ai suoi occhi, quella piccola sfaccettatura che emergeva solo con lei, ora sapeva cos’era: il tentativo di soddisfare dei canoni, il disperato sforzo di appagare il bisogno di essere diverso, il dolore di non poter cambiare le cose, il vuoto
La donna non seppe come rispondere, forse perché, almeno per quella volta, non c’era bisogno di parole. Si limitò a rannicchiarsi meglio contro dilui, raggiungendo la sua mano che le accarezzava dolcemente i capelli, intrecciando le dita alle sue.
Continuarono a parlare per ore, di cose futili e di cose importanti, alcune volte si sciolsero in risate, altre si chiusero in silenzi lunghi e pieni di pensieri.
Ma, chi per coraggio, chi per paura, non era riuscito a dire quelle poche parole, quelle importanti, che entrambi sentivano e che avrebbero cambiato tutto.
 
“Natasha, promettimi una cosa.” Disse Loki improvvisamente, interrompendo quell’ultimo silenzio. “Voltati, ti prego.” Sussurrò la divinità, aiutandola a girarsi. Adesso era seduta fra le sue gambe, lateralmente, abbastanza da poter guardare i suoi occhi cangianti. “Devi farmi una promessa.”
“Che genere di promessa?”
“Ho bisogno che tu mi prometta di sorridere sempre…” quella frase colpì la donna dritta al petto, tanto che il cuore le mancò di un battito, e fu costretta ad abbassare il volto per non darlo troppo a vedere. “Devi promettermelo. Tu non hai idea di quante persone vivano per il tuo sorriso, per vederti raggiante mentre illumini le loro giornate…” continuò lui, sforzandosi di guardarla dritto negli occhi, con un tono serio e dolce al tempo stesso.
Il Principe degli Inganni aveva già pronunciato frasi simili, a molte persone, giusto per testare le sue capacità; ma non le aveva mai davvero sentite, non aveva mai provato qualcosa di simile, qualcosa di tanto forte e profondo. “Me lo prometti Natasha?” chiese dopo alcuni secondi, sollevandole il viso con l’indice e il pollice puntati delicatamente sul mento. Scoprì così due grandi occhi arrossati e di nuovo gonfi di lacrime. “Nessuno merita le tue lacrime, tantomeno io. Smettila, ti prego. Devi costudire anche loro, sono più preziose delle gemme più rare…” continuò scuotendo il capo, sorridendo appena, sfiorando la pelle morbida delle sue guance, appena inumidite.
Natasha non riusciva a respirare: possibile che poche parole avessero la capacità di scatenare tale reazione? L’istinto le gridava di spalancare la bocca e riempire i polmoni, ma la sua testa, la parte razionale di sé, si rese conto che non aveva bisogno d’ossigeno, aveva bisogno di lui.
La distanza che li separava era minima, bastò un impercettibile slanciò perché le labbra di lei sfiorassero le sue.
Restarono immobili, si rubarono l’aria a vicenda, e solo allora la donna non avvertì più quell’oppressione che le attanagliava le viscere.
“Promettimelo…” sussurrò Loki, allontanandosi appena dal viso di lei dopo un tempo che parve infinito.
“Te lo prometto…” rispose Natasha, con gli occhi serrati, ad un soffio dalle sue labbra.
“E’ tardi, dovresti riposare adesso, sono giorni che non chiudi occhio, sbaglio?” la donna non rispose neppure, ormai non faceva più caso a quei trucchetti. Rimase ancora un istante ad un palmo dal suo volto, facendo incetta del suo respiro, poi si voltò di nuovo, accoccolandosi sul suo petto. “Cerca di dormire, ti sveglio io.”
“Ci sarai stavolta?” chiese lei, riferendosi all’ultima volta in cui aveva sentito quella frase.
“E’ una promessa.” Rispose sorridendo dolcemente la divinità, cingendole le spalle con le braccia e riprendendo ad accarezzare i suoi capelli cremisi.
  
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