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Autore: shewolf_    23/04/2013    5 recensioni
"-Sedetevi pure.- disse il professore di musica,con un sorriso accennato.
Ecco,per Kimberly,quell'uomo era la prova che la perfezione esisteva.
Non avevano mai avuto musica prima d'ora,era stata una riforma scolastica di settembre dell'inizio dell'anno. [...] Nessuno sporse lamentele,soprattutto dopo aver visto l'insegnante.
Le professoresse lo descrivevano come “un uomo piacente”,giusto per non sforare e mantenere quel decoro che viene loro richiesto in ambito lavorativo.
Tant'è che inizialmente nessuno ci credeva. Cosa potevano sapere delle donne abbastanza attempate,di cosa era ritenuto bello al giorno d'oggi?
E invece.. eccolo lì. Il professore di musica più affascinante che potesse esistere.
Si chiamava Jared Leto,e grazie a lui,musica era la materia più attesa della settimana."
Questa è la prima FF che pubblico su questo sito, spero vi attiri e vi piaccia come è piaciuto a me scriverla :)
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 55.

 Cos we lost it all
Nothing lasts forever

 Il tempo sembrava essersi completamente fermato, e Kimberly si riteneva ufficialmente confusa.
I due uomini si guardavano in un modo davvero strano, non riusciva neanche a categorizzare le loro espressioni essendo un misto tra lo scandalizzato, il confuso, l’incredulo, l’amareggiato, l’adirato, il rancoroso.. cercava di leggere sui volti di entrambi un segno, un indizio di quello che stava passando nelle loro teste.
Con uno scatto rabbioso, Jared si voltò verso Kim. –Avevi detto che il tuo cognome era Bloomwood.- le ringhiò contro.
-Cosa c’entra adesso il mio cognome!- esclamò la ragazza, sussultando per l’aggressività con cui le si era rivolto.
-Perché mi hai mentito?- le chiese, con la stessa furia.
-E’ la verità, ho il cognome di mia madre!- rispose cercando di imitare lo stesso tono del suo interlocutore. Cosa gli prende?  Pensò tra sé e sé.
Era vero, da quanto ne sapesse lei il motivo per cui non portava il nome di suo padre era dato dal fatto che lui fosse una personalità molto nota e i suoi genitori avevano deciso unanimemente che non volevano la figlia fosse coinvolta in un qualche modo.
Era stata riconosciuta da Max ed era legittimamente sua figlia, semplicemente non portava il suo stesso cognome.
-Jared.- pronunciò finalmente suo padre. La voce aveva un che di ironico. –Ho faticato a riconoscerti, l’ultima volta che ti ho visto avevi quell’assurda pettinatura asimmetrica bionda.- si giustificò, le labbra piegate in una smorfia disgustata.
Kim era sicura di non aver mai visto suo padre guardare una persona in quel modo. Come se si stesse trattenendo dal sfondargli il cranio contro il muretto di marmo della fontana.
Il professore non poté trattenersi dal sorridergli, ma non nel modo genuino e amorevole che conosceva Kim, quell’espressione si avvicinava più alla desolazione, alla rassegnazione dell’aver perso, ancora una volta.
Kimberly era convinta di aver già visto quell’espressione sconsolata, ma le cose stavano accadendo in modo talmente repentino che non riusciva a ricongiungere la memoria
-Max Danes.. quanto tempo.- disse infine Jared, gli occhi persi nei ricordi. –Ho sempre pensato al giorno in cui ci saremmo rincontrati, ma mai avrei immaginato un contesto simile.-
Suo padre sbuffò, scuotendo incredulo il capo. –Sapevo che eri una persona eccentrica, è per questo che ho creduto tanto in te. Ma vendicarti con mia figlia.- il modo in cui pronunciò le ultime parole fece sinceramente paura a Kim, la quale sgranò gli occhi e portò lo sguardo attonito sul professore.
-Jared.. di cosa sta parlando?- chiese con voce spezzata la ragazza.
Lui vedendo come gli occhi di lei si fossero rapidamente velati di lacrime, scosse lievemente più volte la testa e velocemente le circondò il volto con entrambi i palmi aperti.
Lei sentiva i pollici forti dell’uomo accarezzarle le guancie. –Non credergli Kim, per favore non dargli retta.- negli occhi limpidi vi lesse affanno e sincera paura.
-Kimberly, non permettergli di toccarti.- ordinò poi suo padre con un tono talmente brusco che le fece automaticamente portare lo sguardo sul suo volto paonazzo.
Spaventata la ragazza guardò un’altra volta Jared, come per trovarvi sostegno.
-Lo sai che non ti farei mai e poi mai del male.- continuò l’uomo di fronte a lei, con quella voce vellutata e rassicurante. –Lo sai.- ripeté in un bisbiglio.
Per un secondo si ricordò quando il suo professore di filosofia, in una delle solite divagazioni, aveva spiegato alla classe del perché tra innamorati si tende a guardarsi negli occhi tutto il tempo.
Quando mentiamo, involontariamente le nostre pupille si restringono; vedendo quindi le pupille del proprio partner continuamente dilatate o per lo meno stabili, dovrebbe essere segno di completa e totale sincerità.
A dire il vero Kimberly non credeva affatto a questa stupida spiegazione, forse perché non amava particolarmente filosofia o forse perché qualora il partner avesse gli occhi scuri come nel suo caso, ci si troverebbe perennemente nel dubbio; ma in quella circostanza non poté fare a meno di assicurarsi che le pupille di Jared non lo tradissero.
Non era insicura a causa dell’unica volta in cui il professore le aveva mentito, si era ripromessa che non avrebbe mai e poi mai basato i suoi criteri di giudizio su quel particolare caso in tutta la loro storia.
Dovette accertarsene perché quello che c’era in ballo era molto più importante di una lite tra fidanzati.
Non aveva capito ancora bene quale fosse il problema tra i due uomini, ma si rese conto di trovarsi di fronte ad una scelta che non prevedeva premi, solo una pena: scegliere uno, le avrebbe irrimediabilmente fatto perdere l’altro.
Il cuore le si strinse, mentre col respiro affannato e gli occhi lucidi, cercò con tutte le sue forze di non essere debole per una volta e affrontare questa situazione mantenendo i suoi principi.
Guardò un’ultima volta suo padre con la coda dell’occhio e infine riportò la completa attenzione sul magnifico viso del professor Leto. Nell’esatto momento in cui i loro occhi si ritrovarono, non ebbe più dubbi.
-Sì.- annuì lei, portando una mano su quella di lui, ancora appoggiata al suo volto. Si fidava ciecamente di quegli occhi celesti, e quel giorno erano talmente chiari che sembrava riflettessero l’animo trasparente di Jared.
Quest’ultimo le sorrise dolcemente, sinceramente rincuorato e facendo ballare lo sguardo dalle labbra agli occhi profondi dell’alunna.
Avrebbe trascorso l’intera giornata fissando quei due pozzi senza fondo, e sembrava che il petrolio fluido con cui lo stava osservando non stesse aspettando altri che lui.
-Kimberly!- urlò carico di angoscia Max.
La ragazza spaventata si tolse le grandi mani di Jared dal volto. –Cosa sta succedendo?- chiese poi, domanda riferita ad entrambi.
-Avanti Max, lascio a te l’onore.- disse con un sorrisetto ironico l’uomo accanto a lei.
-Non sono affari che la riguardano.- grugnì il padre, gli occhi pece come quelli di Kim, carichi di fuoco.
-Neanche Anya era un affare tuo, ma tu te la sei deliberatamente presa!- sibilò poi Jared, col cuore che gli martellava nel petto.
Kim sussultò vistosamente, puntando lo sguardo sconcertato sul padre.
Automaticamente portò le mani a coprirsi bocca e naso, mentre il suo cervello lavorava e riavvolgeva tutti gli avvenimenti al contrario.
Finalmente, evviva la scaltrezza, riusciva a spiegarsi molte cose.
Dove aveva visto lo sguardo lacerato di Jared; perché si conoscevano e sembravano non andarne contenti; quella stranissima domanda che il professore le aveva rivolto riguardo il suo cognome; l’assurda storia della vendetta prima citata da suo padre.
Lei era la figlia del famoso e detestabile produttore, quasi testimone ed ex-amico che aveva fatto sì che l’artista emergente perdesse tutto.
Colma di incredulità, Kimberly giunse alla conclusione che nessuno, nemmeno il suo adorato papà, fosse perfetto.
Max, vedendo come lo stava fissando sua figlia, abbassò il capo non riuscendo a mantenere il contatto visivo.
-L’hai fatto davvero, papà?- domandò ingenuamente la ragazza. La voce tradiva un nodo alla gola talmente grosso che avrebbe potuto essere la chiusura di un cappio con cui si sarebbe volentieri impiccato.
-Non ne vado fiero, ma sì Kim. Ci sono tante stupidaggini che fanno gli adulti, pensando che queste non influiscano mai sulla vita dei propri figli.
Probabilmente questo caso del destino è stato un modo per farmela pagare.- ripose lui, indicandoli entrambi, facendo riferimento alla casualità con la quale tutto quello fosse successo.
Quante possibilità c’erano che l’uomo che più lo odiava e sua figlia si trovassero e s’innamorassero, nonostante l’incredibile differenza d’età e le dimensioni del Globo?
Il fato gli aveva giocato proprio un bello scherzetto, non c’è che dire.
-Questo non significa che il vostro rapporto non sia deplorevole e.. malato.- continuò poi, col volto raccapricciato. Solo a pensarci per più di un secondo gli veniva una nausea immediata e una gran voglia di ficcare la testa di quel Leto nell’acqua gelata della fontana, finché non smettesse di dimenarsi e respirare.
Purtroppo però, aveva notato come i due si guardavano prima e con sconcerto e disperazione aveva capito che non ci sarebbe stato niente da fare; se non avesse
accettato questa storia, avrebbe perso senza neanche un ripensamento Kimberly.
Calò un silenzio assordante. Uno di quei silenzi che valgono più di parole, grida, liti e gesti.
C’era solo uno scambio di sguardi, molto espressivi, sguardi che parlavano chiaramente.
-E’ meglio che vada.- concluse infine Max Danes, guardando la figlia con occhi tristi, la quale ricambiò con lo sgomento nel cuore.
-Aspetta.- lo fermò Jared sull’attenti. –Quindi non hai intenzione di intrometterti? Di farmi arrestare? Di spedire Kim a milioni di miglia lontano da me?-
Il produttore sospirò con una tale intensità che il proprio corpo si gonfiò e sgonfiò visibilmente.
-No. Dopotutto ti devo una ragazza, giusto?- cercò di sdrammatizzare, ma tutti e tre la trovarono una battuta fuori luogo. – Tranquillo non sono un padre degenere, se non avessi la certezza di come tratti le ragazze mi sarei mobilitato all’istante.- diede una rapida occhiata a Kim, prima di proseguire. –Anya mi
diceva sempre di quanto fantastico e dolce fossi.. Per questo non è mai riuscita a rifiutarti.- ghignò a mo’ di presa in giro. Era chiaro che fosse mirato a farlo star male.
Jared però non reagì, stette immobile analizzando il suo dolore in modo da renderlo estremamente superficiale. Stava vincendo questa volta e non si sarebbe mai piegato al cospetto di quel despota, non gli avrebbe permesso di rovinare tutto un’altra volta.
-Papà smettila.- lo difese Kimberly, immaginando come questo potesse farlo stare.
Il volto di Max si irrigidì. –La tua fortuna Kim, è che sei anche molto giovane, sono sicuro ti renderai conto di essere dentro una follia e ne uscirai prima del previsto.-
-Ti sbagli.- lo contraddisse con prontezza e decisione. Per tutto il tempo non si era mossa dal fianco di Jared, come per fargli capire che gli sarebbe rimasta accanto, no matter what.
La faccia con cui suo padre la fissava però, le stava lentamente rompendo qualcosa dentro. Era uno sguardo amaro, deluso.
Uno di quegli sguardi che ti pesano a vita sulla coscienza.
Ciò che non si sarebbe mai perdonata era causargli una delusione, e invece eccola lì, stoica nella sua decisione; determinata a continuare a deluderlo.
-Non vuoi dare un ultimo abbraccione al tuo vecchio?- le chiese poi, aprendo le braccia e indicandole il proprio petto.
Con un groppo enorme in gola e le lacrime che spingevano per poter essere liberate, Kimberly scosse la testa e fece un ulteriore passo indietro, sempre più vicina invece al suo insegnante.
Quella decisione le avrebbe spezzato il cuore non appena se ne fosse resa conto a mente lucida, lo sapeva bene.
Aveva un profumo unico, che sapeva di casa, amore, calore. Sarebbe stato il suo rifugio ideale a vita e in quel momento era esattamente quello che voleva fare con tutto il suo essere.
Suo malgrado, continuò nella sua determinazione, scuotendo la testa. -No.- sussurrò flebilmente, il tono di voce talmente basso che il padre non lo sentì neppure.
Aveva messo i suoi principi prima di tutto, suo padre aveva sbagliato come persona e lei stava moralmente dalla parte del professore.
Jared accanto a lei non era fiero di quello che aveva causato, sebbene la rabbia nei confronti di quell’uomo non gli sarebbe mai passata.
Non era di certo uno spettacolo piacevole assistere ad un padre e una figlia che si separano.
Max, rassegnato, chiuse gli occhi e sospirò. –Stai certo Jared che questa me la paghi. Se c’è anche solo una minuscola possibilità che tu diventi qualcuno, te lo giuro sulla mia bambina, io la polverizzerò.- lo minacciò.
Sebbene quella fosse la peggiore minaccia che potessero fargli, il musicista riuscì a sostenere lo sguardo del suo rivale per tutto il tempo, senza lasciar trasparire nessuna fragilità al riguardo.
La ragazza invece, spalancò gli occhi, carica di sgomento e dispiacere nel rendersi conto che l’unico, vero motivo di esistere per l’uomo che amava, fosse appena stato dissolto nel nulla.
Diede un’occhiata a Jared e tornò sul padre, il quale si era di nuovo incamminato verso la macchina.
-Papà!- lo chiamò poi, presa da un impulso viscerale.
Crescendo aveva imparato a controllare molte emozioni e impulsi. Aveva imparato a trattenere le risate dopo essersi accertata che la persona caduta rovinosamente davanti ai suoi occhi stesse bene.
Aveva imparato a controllare la rabbia e il tono di voce quando qualcuno l’aggrediva verbalmente.
Purtroppo però, continuava ad essere la stessa bambina fragile che si sentiva mancare la terra sotto i piedi vedendo l’uomo che l’aveva generata, andarsene.
Era qualcosa a cui non si sarebbe mai abituata, era una cosa innaturale. I figli dovrebbero allontanarsi dai genitori, non il contrario.
Lui si voltò e la guardò.
Uno sguardo spento, davvero poche volte in vita sua aveva visto così poca vita negli occhi di Max.
Durò anche molto poco a dir la verità.
In quel breve contatto visivo però, Kimberly ebbe la crudele sensazione che quella fosse l’ultima volta che l’avrebbe visto.
 

I’m sorry,
I can’t be perfect.

Note finali: eheheheh allora?? Cosa ne pensate?
La immaginavate così? Obiettivamente anche io me la immaginavo più drastica e drammatica, capelli strappati, occhi cavati e colli sgozzati ma non so per quale motivo invece mi sia uscita questa via di mezzo non completamente indolore, ma neanche tragicissima.
Forse ero troppo indecisa su quale legame spezzare e alla fine ho optato per "mantenerli" entrambi. Boh, in ogni caso questo è il risultato e spero che vi convinca.. per qualsiasi cosa invece, se aveste preferito qualcosa di diverso fatemelo sapere.. non lo cambierò ma mi farebbe piacere immaginare finali alternativi :)

La canzone è Perfect (en pendant con la storia, insomma) dei Simple Plan. Credo di averla inconsciamente scelta perchè nella canzone è trattato il rapporto col padre.
Va beh, vedetela come volete dovrei smetterla di spiegare tutto quello che faccio, sta diventando irritante ahaha.

Perchè abbiamo perso tutto
niente dura per sempre

Mi spiace
ma non riesco ad essere perfetto.

Ahi, mi vida risollevatemi voi che oggi è una giornata da scazzamento totale!!!
Spero abbiate gradito e vi sarei gratissima se mi facciate sapere cosa ne pensate :)
xxoxoxoxoxoxo
  
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