Capitolo
55.
Nothing
lasts forever
I due uomini si
guardavano in un modo davvero strano, non riusciva neanche a
categorizzare le
loro espressioni essendo un misto tra lo scandalizzato, il confuso,
l’incredulo,
l’amareggiato, l’adirato, il rancoroso.. cercava di
leggere sui volti di
entrambi un segno, un indizio di quello che stava passando nelle loro
teste.
Con uno scatto
rabbioso, Jared si voltò verso Kim. –Avevi detto
che il tuo cognome era
Bloomwood.- le ringhiò contro.
-Cosa c’entra adesso il
mio cognome!- esclamò la ragazza, sussultando per
l’aggressività con cui le si
era rivolto.
-Perché mi hai
mentito?- le chiese, con la stessa furia.
-E’ la verità, ho il
cognome di mia madre!- rispose cercando di imitare lo stesso tono del
suo
interlocutore. Cosa gli prende? Pensò tra
sé e sé.
Era vero, da quanto ne
sapesse lei il motivo per cui non portava il nome di suo padre era dato
dal
fatto che lui fosse una personalità molto nota e i suoi
genitori avevano deciso
unanimemente che non volevano la figlia fosse coinvolta in un qualche
modo.
Era stata riconosciuta
da Max ed era legittimamente sua figlia, semplicemente non portava il
suo
stesso cognome.
-Jared.- pronunciò
finalmente suo padre. La voce aveva un che di ironico. –Ho
faticato a
riconoscerti, l’ultima volta che ti ho visto avevi
quell’assurda pettinatura
asimmetrica bionda.- si giustificò, le labbra piegate in una
smorfia
disgustata.
Kim era sicura di non
aver mai visto suo padre guardare una persona in quel modo. Come se si
stesse
trattenendo dal sfondargli il cranio contro il muretto di marmo della
fontana.
Il professore non poté
trattenersi dal sorridergli, ma non nel modo genuino e amorevole che
conosceva
Kim, quell’espressione si avvicinava più alla
desolazione, alla rassegnazione
dell’aver perso, ancora una volta.
Kimberly era convinta di
aver già visto quell’espressione sconsolata, ma le
cose stavano accadendo in
modo talmente repentino che non riusciva a ricongiungere la memoria
-Max Danes.. quanto
tempo.- disse infine Jared, gli occhi persi nei ricordi. –Ho
sempre pensato al
giorno in cui ci saremmo rincontrati, ma mai avrei immaginato un
contesto
simile.-
Suo padre sbuffò,
scuotendo incredulo il capo. –Sapevo che eri una persona
eccentrica, è per
questo che ho creduto tanto in te. Ma vendicarti con mia
figlia.- il modo in cui pronunciò le ultime parole
fece
sinceramente paura a Kim, la quale sgranò gli occhi e
portò lo sguardo attonito
sul professore.
-Jared.. di cosa sta
parlando?- chiese con voce spezzata la ragazza.
Lui vedendo come gli
occhi di lei si fossero rapidamente velati di lacrime, scosse
lievemente più
volte la testa e velocemente le circondò il volto con
entrambi i palmi aperti.
Lei sentiva i pollici forti
dell’uomo accarezzarle le guancie. –Non credergli
Kim, per favore non dargli
retta.- negli occhi limpidi vi lesse affanno e sincera paura.
-Kimberly, non
permettergli di toccarti.- ordinò poi suo padre con un tono
talmente brusco che
le fece automaticamente portare lo sguardo sul suo volto paonazzo.
Spaventata la ragazza
guardò un’altra volta Jared, come per trovarvi
sostegno.
-Lo sai che non ti
farei mai e poi mai del male.- continuò l’uomo di
fronte a lei, con quella voce
vellutata e rassicurante. –Lo sai.- ripeté in un
bisbiglio.
Per un secondo si
ricordò quando il suo professore di filosofia, in una delle
solite divagazioni,
aveva spiegato alla classe del perché tra innamorati si
tende a guardarsi negli
occhi tutto il tempo.
Quando mentiamo,
involontariamente le nostre pupille si restringono; vedendo quindi le
pupille
del proprio partner continuamente dilatate o per lo meno stabili,
dovrebbe
essere segno di completa e totale sincerità.
A dire il vero Kimberly
non credeva affatto a questa stupida spiegazione, forse
perché non amava
particolarmente filosofia o forse perché qualora il partner
avesse gli occhi scuri
come nel suo caso, ci si troverebbe perennemente nel dubbio; ma in
quella
circostanza non poté fare a meno di assicurarsi che le
pupille di Jared non lo
tradissero.
Non era insicura a
causa dell’unica volta in cui il professore le aveva mentito,
si era ripromessa
che non avrebbe mai e poi mai basato i suoi criteri di giudizio su quel
particolare caso in tutta la loro storia.
Dovette accertarsene
perché quello che c’era in ballo era molto
più importante di una lite tra
fidanzati.
Non aveva capito ancora
bene quale fosse il problema tra i due uomini, ma si rese conto di
trovarsi di
fronte ad una scelta che non prevedeva premi, solo una pena: scegliere
uno, le
avrebbe irrimediabilmente fatto perdere l’altro.
Il cuore le si strinse,
mentre col respiro affannato e gli occhi lucidi, cercò con
tutte le sue forze
di non essere debole per una volta e affrontare questa situazione
mantenendo i
suoi principi.
Guardò un’ultima volta
suo padre con la coda dell’occhio e infine riportò
la completa attenzione sul
magnifico viso del professor Leto. Nell’esatto momento in cui
i loro occhi si
ritrovarono, non ebbe più dubbi.
-Sì.- annuì lei,
portando una mano su quella di lui, ancora appoggiata al suo volto. Si
fidava
ciecamente di quegli occhi celesti, e quel giorno erano talmente chiari
che
sembrava riflettessero l’animo trasparente di Jared.
Quest’ultimo le sorrise
dolcemente, sinceramente rincuorato e facendo ballare lo sguardo dalle
labbra
agli occhi profondi dell’alunna.
Avrebbe trascorso
l’intera giornata fissando quei due pozzi senza fondo, e
sembrava che il
petrolio fluido con cui lo stava osservando non stesse aspettando altri
che
lui.
-Kimberly!- urlò carico
di angoscia Max.
La ragazza spaventata
si tolse le grandi mani di Jared dal volto. –Cosa sta
succedendo?- chiese poi,
domanda riferita ad entrambi.
-Avanti Max, lascio a
te l’onore.- disse con un sorrisetto ironico l’uomo
accanto a lei.
-Non sono affari che la
riguardano.- grugnì il padre, gli occhi pece come quelli di
Kim, carichi di
fuoco.
-Neanche Anya era un
affare tuo, ma tu te la sei deliberatamente presa!- sibilò
poi Jared, col cuore
che gli martellava nel petto.
Kim sussultò
vistosamente, puntando lo sguardo sconcertato sul padre.
Automaticamente portò
le mani a coprirsi bocca e naso, mentre il suo cervello lavorava e
riavvolgeva
tutti gli avvenimenti al contrario.
Finalmente, evviva la
scaltrezza, riusciva a spiegarsi molte cose.
Dove aveva visto lo
sguardo lacerato di Jared; perché si conoscevano e
sembravano non andarne
contenti; quella stranissima domanda che il professore le aveva rivolto
riguardo il suo cognome; l’assurda storia della vendetta
prima citata da suo
padre.
Lei era la figlia del
famoso e detestabile produttore, quasi testimone ed ex-amico che aveva
fatto sì
che l’artista emergente perdesse tutto.
Colma di incredulità,
Kimberly giunse alla conclusione che nessuno, nemmeno il suo adorato
papà,
fosse perfetto.
Max, vedendo come lo
stava fissando sua figlia, abbassò il capo non riuscendo a
mantenere il
contatto visivo.
-L’hai fatto davvero,
papà?- domandò ingenuamente la ragazza. La voce
tradiva un nodo alla gola
talmente grosso che avrebbe potuto essere la chiusura di un cappio con
cui si
sarebbe volentieri impiccato.
-Non ne vado fiero, ma
sì Kim. Ci sono tante stupidaggini che fanno gli adulti,
pensando che queste
non influiscano mai sulla vita dei propri figli.
Probabilmente questo
caso del destino è stato un modo per farmela pagare.- ripose
lui, indicandoli
entrambi, facendo riferimento alla casualità con la quale
tutto quello fosse
successo.
Quante possibilità
c’erano che l’uomo che più lo odiava e
sua figlia si trovassero e
s’innamorassero, nonostante l’incredibile
differenza d’età e le dimensioni del
Globo?
Il fato gli aveva giocato
proprio un bello scherzetto, non c’è che dire.
-Questo non significa
che il vostro rapporto non sia deplorevole e.. malato.-
continuò poi, col volto raccapricciato. Solo a pensarci
per più di un secondo gli veniva una nausea immediata e una
gran voglia di
ficcare la testa di quel Leto nell’acqua gelata della
fontana, finché non
smettesse di dimenarsi e respirare.
Purtroppo però, aveva
notato come i due si guardavano prima e con sconcerto e disperazione
aveva
capito che non ci sarebbe stato niente da fare; se non avesse
accettato questa
storia, avrebbe perso senza neanche un ripensamento Kimberly.
Calò un silenzio
assordante. Uno di quei silenzi che valgono più di parole,
grida, liti e gesti.
C’era solo uno scambio
di sguardi, molto espressivi, sguardi che parlavano chiaramente.
-E’ meglio che vada.-
concluse infine Max Danes, guardando la figlia con occhi tristi, la
quale
ricambiò con lo sgomento nel cuore.
-Aspetta.- lo fermò
Jared sull’attenti. –Quindi non hai intenzione di
intrometterti? Di farmi arrestare?
Di spedire Kim a milioni di miglia lontano da me?-
Il produttore sospirò
con una tale intensità che il proprio corpo si
gonfiò e sgonfiò visibilmente.
-No. Dopotutto ti devo
una ragazza, giusto?- cercò di sdrammatizzare, ma tutti e
tre la trovarono una
battuta fuori luogo. – Tranquillo non sono un padre degenere,
se non avessi la
certezza di come tratti le ragazze mi sarei mobilitato
all’istante.- diede una
rapida occhiata a Kim, prima di proseguire. –Anya mi
diceva sempre di quanto
fantastico e dolce fossi.. Per questo non è mai riuscita a
rifiutarti.- ghignò
a mo’ di presa in giro. Era chiaro che fosse mirato a farlo
star male.
Jared però non reagì,
stette immobile analizzando il suo dolore in modo da renderlo
estremamente
superficiale. Stava vincendo questa volta e non si sarebbe mai piegato
al
cospetto di quel despota, non gli avrebbe permesso di rovinare tutto
un’altra
volta.
-Papà smettila.- lo
difese Kimberly, immaginando come questo potesse farlo stare.
Il volto di Max si
irrigidì. –La tua fortuna Kim, è che
sei anche molto giovane, sono sicuro ti
renderai conto di essere dentro una follia e ne uscirai prima del
previsto.-
-Ti sbagli.- lo
contraddisse con prontezza e decisione. Per tutto il tempo non si era
mossa dal
fianco di Jared, come per fargli capire che gli sarebbe rimasta
accanto, no matter what.
La faccia con cui suo
padre la fissava però, le stava lentamente rompendo qualcosa
dentro. Era uno
sguardo amaro, deluso.
Uno di quegli sguardi
che ti pesano a vita sulla coscienza.
Ciò che non si sarebbe
mai perdonata era causargli una delusione, e invece eccola
lì, stoica nella sua
decisione; determinata a continuare a deluderlo.
-Non vuoi dare un
ultimo abbraccione al tuo vecchio?- le chiese poi, aprendo le braccia e
indicandole il proprio petto.
Con un groppo enorme in
gola e le lacrime che spingevano per poter essere liberate, Kimberly
scosse la
testa e fece un ulteriore passo indietro, sempre più vicina
invece al suo
insegnante.
Quella decisione le
avrebbe spezzato il cuore non appena se ne fosse resa conto a mente
lucida, lo
sapeva bene.
Aveva un profumo unico,
che sapeva di casa, amore, calore. Sarebbe stato il suo rifugio ideale
a vita e
in quel momento era esattamente quello che voleva fare con tutto il suo
essere.
Suo malgrado, continuò
nella sua determinazione, scuotendo la testa. -No.- sussurrò
flebilmente, il
tono di voce talmente basso che il padre non lo sentì
neppure.
Aveva messo i suoi
principi prima di tutto, suo padre aveva sbagliato come persona e lei
stava
moralmente dalla parte del professore.
Jared accanto a lei non
era fiero di quello che aveva causato, sebbene la rabbia nei confronti
di
quell’uomo non gli sarebbe mai passata.
Non era di certo uno
spettacolo piacevole assistere ad un padre e una figlia che si separano.
Max, rassegnato, chiuse
gli occhi e sospirò. –Stai certo Jared che questa
me la paghi. Se c’è anche
solo una minuscola possibilità che tu diventi qualcuno, te
lo giuro sulla mia
bambina, io la polverizzerò.- lo minacciò.
Sebbene quella fosse la
peggiore minaccia che potessero fargli, il musicista riuscì
a sostenere lo
sguardo del suo rivale per tutto il tempo, senza lasciar trasparire
nessuna
fragilità al riguardo.
La ragazza invece,
spalancò gli occhi, carica di sgomento e dispiacere nel
rendersi conto che
l’unico, vero motivo di esistere per l’uomo che
amava, fosse appena stato
dissolto nel nulla.
Diede un’occhiata a
Jared e tornò sul padre, il quale si era di nuovo
incamminato verso la
macchina.
-Papà!- lo chiamò poi,
presa da un impulso viscerale.
Crescendo aveva
imparato a controllare molte emozioni e impulsi. Aveva imparato a
trattenere le
risate dopo essersi accertata che la persona caduta rovinosamente
davanti ai
suoi occhi stesse bene.
Aveva imparato a
controllare la rabbia e il tono di voce quando qualcuno
l’aggrediva
verbalmente.
Purtroppo però,
continuava ad essere la stessa bambina fragile che si sentiva mancare
la terra
sotto i piedi vedendo l’uomo che l’aveva generata,
andarsene.
Era qualcosa a cui non
si sarebbe mai abituata, era una cosa innaturale. I figli dovrebbero
allontanarsi dai genitori, non il contrario.
Lui si voltò e la
guardò.
Uno sguardo spento,
davvero poche volte in vita sua aveva visto così poca vita
negli occhi di Max.
Durò anche molto poco a
dir la verità.
In quel breve contatto
visivo però, Kimberly ebbe la crudele sensazione che quella
fosse l’ultima
volta che l’avrebbe visto.
I’m
sorry,
I
can’t be perfect.
Note finali:
eheheheh allora?? Cosa ne pensate?
La immaginavate così? Obiettivamente anche io me la
immaginavo più drastica e drammatica, capelli strappati,
occhi cavati e colli sgozzati ma non so per quale motivo invece mi sia
uscita questa via di mezzo non completamente indolore, ma neanche
tragicissima.
Forse ero troppo indecisa su quale legame spezzare e alla fine ho
optato per "mantenerli" entrambi. Boh, in ogni caso questo è
il risultato e spero che vi convinca.. per qualsiasi cosa invece, se
aveste preferito qualcosa di diverso fatemelo sapere.. non lo
cambierò ma mi farebbe piacere immaginare finali alternativi
:)
La
canzone è Perfect
(en pendant con la storia, insomma) dei Simple Plan. Credo di averla
inconsciamente scelta perchè nella canzone è
trattato il rapporto col padre.
Va beh, vedetela come volete dovrei smetterla di spiegare tutto quello
che faccio, sta diventando irritante ahaha.
Perchè
abbiamo perso tutto
niente dura per sempre
Mi
spiace
ma non riesco ad essere perfetto.
Spero abbiate gradito e vi sarei gratissima se mi facciate sapere cosa ne pensate :)
xxoxoxoxoxoxo