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Autore: Inathia Len    23/04/2013    1 recensioni
Non ho mai creduto nella relazione tra Haymitch e Maysilee, ma se invece fosse stata un'altra la ragazza a fargli perdere la testa... una ff ambientata l'anno dopo la vittoria di Haymitch, con nuovi tributi ma una Capitol City sembre uguale a se stessa. dalla storia "...Il treno si mise in moto e mi sembrò ancora più silenzioso dell’anno passato. Il paesaggio ci sfrecciava attorno, mentre i nostri boschi si fondevano con la pianura e le grandi praterie. Tutto sembra esattamente identico, stesso lusso, medesima destinazione, nessuna idea di come tutto questo sarebbe andato a finire.
Ma non era davvero tutto uguale. Quell’anno mi sembrava che le poltrone comode e i pasticcini farciti avessero perso la loro attrattiva. Forse perché sapevo che nulla di tutto questo sarebbe cambiato mai, mentre i due visi che mi guardavano in quel momento non sarebbero stati mai più gli stessi.
Ero un mentore. Il loro, più precisamente..."
leggete e recensite. :)
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Caesar Flickerman, Effie Trinket, Haymitch Abernathy, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Corsi, corsi fino a quando ebbi fiato in corpo, fino a quando l’alternativa al fermarsi era saltare dalla terrazza.
Corsi, con le lacrime che avevo trattenuto per mesi che mi solcavano il viso.
Corsi con un unico pensiero in testa.
Al non era morto, peggio.
Al era un senza-voce.
Al era un servo di Capitol City.
Quando arrivai sulla terrazza le mie gambe si fermarono, ma la mia mente e il mio cuore continuarono a correre.
 
-Haymitch Abernathy!-
La voce squillante di Donna Flower chiamò il mio nome e sul Distretto 12 calò un silenzio di morte. Sapevo che tutti fino all’ultimo avevano sperato che non avrebbero scelto davvero due tributi maschi e due femmine, ma ora che anche il mio nome era stato estratto, i cinquantesimi giochi potevano cominciare.
Mi avviai come un automa verso il palco, seguendo la strada che avevano percorso pochi minuti prima Grace Willow, Maysilee Donner e Michael Francis. Strinsi la mano agli altri tre e vidi delle lacrime spuntare dagli occhi della piccola Grace. La conoscevo di vista, a volte Al andava a casa sua a giocare, dopo scuola, lei gli faceva da baby-sitter.
-Non piangere- le sussurrai all’orecchio, quando mi chinai per stringerle la mano. –Non dargli questa soddisfazione.-
Grace strinse gli occhi, quasi a voler trattenere le lacrime e devo ammettere che fu brava.
Non scese nulla lungo le sue guance.
In un battere di ciglia ci trovammo separati, ognuno ad attendere i saluti dei suoi cari.
Vagavo da un punto all’altro della stanza come una trottola impazzita, cercando di ricordare le cose da dover dire a mamma ad Al. Non era il momento di perdersi in sentimentalismi, ovvio che non potevo dire loro addio nei due minuti che ci davano. Meglio guardare al lato pratico e aiutarli a sopravvivere.
Ma non avevo calcolato tutto.
Quando la porta si aprì, un rude Pacificatore li spinse dentro.
-Avete due minuti- borbottò, prima di richiudere la porta.
-Mitch- sussurrò Al, rimanendo immobile attaccato alla gonna della mamma. Il mio fratellino sembrava aver paura di me.
-Ehi, Al, vieni qui, sono ancora io, va tutto bene- provai, ma lui si nascose ancora di più.
Scrollai le spalle, frustrato, e mi rivolsi a mia madre.
-Andate avanti come avete fatto fino ad oggi. Non- dissi, sottolineando la parola, -non permettergli di iscriversi per le tessere. Quando tornerò avremo cibo in abbondanza, non voglio che corra rischi inutili.-
-Haymitch…- tentò lei, ma la interruppi. Non potevo ascoltare il tremore nella sua voce.
-I Willow vi aiuteranno, forse anche i Francis e i Donner. Siete tutti nella stessa barca… Potrei anche consigliarvi di cacciare, ma nessuno dei due è in grado e fuori sul Prato se prendi l’erba sbagliata sei morto. No, evitate la caccia. Comunque, quando tornerò avremo cibo in abbondanza…-
-Haymitch…- ritentò mia madre, e questa volta mi lasciai abbracciare.
La strinsi a me con tutto me stesso, come facevo sempre prima di uscire e andare a scuola.
-Non permettergli di guardarlo. Non voglio che veda la mia morte in diretta.-
Le sfuggì un singhiozzo, ma riprese subito il controllo di sé.
-Forse ce la fai davvero…- sussurrò Al, guardandomi finalmente negli occhi.
-Ma certo che ce la faccio, fratellino. E quando torno, ti compro la torta più bella che i Mellark abbiano mai confezionato.-
-Al cioccolato?- chiese lui, con gli occhi che, se possibile, diventavano ancora più grandi per lo stupore.
-Piena zeppa di cioccolato. E anche con la panna montata.-
Storse la bocca.
-Mitch, la panna montata non mi piace! Però ce la possiamo mettere se piace a te e a mamma.-
-Va bene campione. Tu fammi uno schizzo così non mi sbaglio.-
 
Il cielo non mi era mai sembrato così opprimente come quella sera. Mi passai una mano sul volto, cercando di scacciare le lacrime e l’angoscia, ma non ci fu nulla da fare. Tutto quello a cui riuscivo a pensare era Al là sotto, senza la sua lingua e magari con ancora il disegno della torta da qualche parte. Mille domande saettavano nella mia mente. Mamma, Emma? Che ne era stato di loro? Perché Al era qui e loro no? Al sapeva cosa era successo alla mamma?
Sospirai sconsolato.
Non era da me piangere in quella maniera, ma ogni volta che chiudevo gli occhi, altri ricordi riaffioravano.
 
-Vi prego, vi prego lasciatemi entrare!-
La voce di Emmaline mi riscosse. Feci per andare verso la porta e aprirla e, per poco invece, non mi finì in faccia.
-Haymitch! Haymitch!- stava ancora urlando quando la presi tra le braccia.
-Emma, Ems, va tutto bene- tentai di rassicurarla.
-No che non va bene! Non va bene niente. Adesso io vengo a Capitol City con te e sistemiamo la cosa. Hanno già Michael Francis, il loro tributo maschio, cosa vogliono da te?-
La strinsi forte e la sentii piangere sulla mia spalla. Amavo questo suo spirito combattivo, ma ora c’era ben poco da fare.
-Ems, non puoi venire con me. Stai qui, aiuta mamma e Al. Per favore- la implorai e la vidi annuire risoluta. Il momento delle sue lacrime era finito. Sapevo che avrebbe pianto quella notte, lontana da tutti e da tutto, ma ora non voleva farlo davanti a me.
-Sì, sì, scusami hai ragione. Che stupida che sono. Io qui a lagnarmi quando è di te che si parla…-
-Tranquilla. Sarò a casa in batter di ciglia.-
-E se non tornassi?-
Respirai profondamente. Non mi dava fastidio l’idea che non credesse nel mio ritorno, ci credevo ben poco persino e io. E almeno con lei non dovevo fingere che andasse tutto bene. Lei poteva essere forte per tutti e due, era brava in questo.
-Aiuterai mamma e Al, vero? Non li farai morire di fame?-
-Certo che no!-
La sua espressione sconvolta mi sollevò. Andava tutto bene, ora potevo morire in pace.
-Ah, un ultima cosa- urlai, mentre già lei aveva la mano sul pomello della porta. Eravamo già d’accordo che non avremmo dato spettacolo, sarebbe uscita da sola, nessun Pacificatore avrebbe dovuto staccarla da me. –Compreresti ad Al una torta?-
 
-Ehm, posso rimanere?-
Una voce mi fece voltare. Isabel era dietro di me. Anche se non indossava più l’abito nero, per me era comunque bellissima.
Le feci cenno con la testa.
-Conoscevi quel senza-voce?-
Il mio sguardo iroso le fece paura, la vidi rabbrividire.
-Ti ho portato un calice di… vinò, credo che lo abbia chiamato così Donna. Giù stanno festeggiando il successo di questa sera- disse, porgendomi la coppa.
-Vìno- la corressi io,  ma accettai il bicchiere che offriva. Le bevvi troppo velocemente, ma la sensazione che seguì mi piacque. Mi sembrava di galleggiare, di camminare sulla panna montata. Di certo, in quelle condizioni non potevo deprimermi pensando ad Al.
-Ne hai altro?-
Isabel mi mostrò la bottiglia.
-Visto come sei scappato prima, ho pensato che non avresti avuto voglia di tornare giù.-
-Sei perspicace, dolcezza- commentai, mentre mi versavo dell’altro vino. Al secondo bicchiere di fila, Isabel si riprese la bottiglia e la appoggiò accanto a sé, sedendosi per terra.
-Vieni- mi disse, facendomi cenno.
Mi abbandonai per terra, appoggiando la testa sulla sua spalla con davvero poca grazia e mi allungai per prendere la bottiglia.
-Haymitch, basta- tentò lei, allontanandola da me. -Hai già bevuto abbastanza per uno che non è abituato.-
Sbuffai e mi abbandonai completamente contro di lei.
-Vuoi dirmi cos’è successo?-
Scossi la testa così violentemente che la terrazza intera cominciò a ruotare. Non avevo mai ingerito così tanto vino da sentirmi in quella maniera, ma non era male.
-Facciamo un gioco? Ogni volta che rispondi a una mia domanda, puoi bere un sorso.-
Annuii vagamente.
-Cominciamo da una cosa semplice, va bene?-
Borbottai un sì e rimasi in attesa. Visto che non arrivava del vino, protestai.
-Ma quella non valeva come domanda!-
-Vino. Un po’ di incoraggiamento, dolcezza.-
Isabel sospirò e mi riempì il bicchiere, che svuotai in un sorso.
-Procedi.-
-Conoscevi il senza-voce? È per questo che sei scappato?-
-Sì, sì. E questa vale due.-
Lei alzò gli occhi al cielo, ma non obiettò. Colpa sua che aveva fatto le regole, non mia.
-Chi era?-
Mi presi un po’ per rispondere, come a voler mettere in fila le parole nella mia mente. Tutto mi sembrava sempre più vago e in movimento.
-Mio fratello.-
Questa risposta la spiazzò talmente tanto che quasi non si accorse del fatto che scolai mezza bottiglia.
-Al?-
Annuii e mi feci avanti per un altro sorso, ma lei afferrò la bottiglia.
-Piantala.-
Alzai le mani in segno di resa.
-Ma che ci fa qua? E vedi di darmi una buona risposta e non parlare a monosillabi solo per farmi fare più domande.-
In un attimo di estrema lucidità, le raccontai tutto. Il vino aveva sciolto la mia lingua come l’incontro con Al aveva sciolto le mie lacrime.
-Accadde dopo che vinsi i Giochi l’anno scorso. Ero tornato da due settimane, andava tutto bene. Una sera tornai a casa più tardi del solito, ero rimasto da Emmaline per cena. Capii subito che qualcosa non andava, il Villaggio dei Vincitori non era mai illuminato, ci abitavamo solo noi. Ma, quella notte, splendeva come se fosse giorno…
 
Cominciai a correre a perdifiato, consapevole che qualcosa non andava. Emmaline era al mio fianco, correva con me anzi, era quasi più veloce. Fu la prima a notare la porta spalancata.
-Haymitch, la porta!-
Seguii con lo sguardo il suo dito e impallidii.
-Mamma! Al!- gridai e un Pacificatore comparse sulla soglia.
Impallidii.
-Cosa ci fate in casa sua? Non avete alcun diritto di stare qui- esclamò Emma. In un qualunque altro contesto sarebbe stata un ottimo avvocato. Non provai nemmeno a zittirla, sarebbe stato inutile.
-Signorina…?- chiese il Pacificatore sulla porta, guardando ora lei, ora il foglio che aveva in mano.
-Delawear. Emmaline Delawear- scandì lei.
Orami eravamo arrivato in casa. Dentro era il caos più assoluto. Mobili rovesciati, cibo per terra…
Mamma e Al erano in salotto, circondati da un vero esercito di Pacificatori, mentre altrettanti frugavano in giro.
-Haymitch!- esclamò mia madre, vedendomi comparire. –Che succede?-
È la vendetta di Capitol City, avrei dovuto dirle. Ma come potevo?
 
Per un po' nessuno parlò. Non osavo guardare Isabel, avevo paura che, una volta scoperto cosa fosse successo a mamma, Al ed Emma, avrebbe giudicato pericoloso anche solo stare sulla terrazza con me.
E non potevo permettermelo.
Avevo bisogno di lei, che la sua spalla reggesse la mia testa, delle sue dita tra i capelli... Avevo abbandonato ogni riserva, ma non glielo potevo assolutamente dire.
-Haymitch... Mi dispiace. Davvero, non so cosa dire...-
-È che... Ho passato dei mesi a chiedermi che fine avesse riservato Capitol loro. Ho immaginato la loro morte in tanti modi... Ma non avrei mai...-
-Ma è ovvio, come avresti potuto...?-
-A queste condizioni, preferirei saperlo morto.-
Il silenzio calò su di noi è questa volta nessuno dei due sembrava intenzionato a romperei. Isabel calcio via le scarpe (portava ancora i tacchi, forse Donna voleva che si abituasse a portarli) e si sdraiò per terra. Io feci lo stesso e questa volta fu lei ad appoggiarsi a me.
La presi tra le braccia e mi sembrò che, con la sua testa incastrata sotto la mia, tutto l’universo fosse di nuovo a posto. Per quanto fossi stato bene con Emma, per quanto affetto avessi provato per lei, non avevo mai sentito dei sentimento così intensi. Con Emmaline, da amici eravamo diventati qualcosa di più, ma era stata più l’abitudine a farci proseguire nella nostra relazione. Era la mia migliore amica, di fatto, ma non penso che ci saremmo mai lasciati. La Tostatura sarebbe stato il passo successivo. Ma i Giochi si erano messi tra di noi e poi era arrivata Isabel... con la sua corazza da dover smantellare attimo dopo attimo, la sua durezza e i suoi silenzi, con i suoi occhi che facevano trasparire  più umanità di quanta volesse...
Non penso che l’avrei mai baciata se non avessi bevuto quasi una bottiglia intera di vino. Quando le nostre labbra si incontrarono, sentii che quello era esattamente quanto sarebbe dovuto succedere. Più la baciavo, più sentivo il bisogno delle sue labbra, del suo corpo... di lei.
Ci separammo appena un attimo e la vidi sorridere.
-Che hai?- le chiesi, sorridendo a mia volta.
-Niente, ora è tutto a posto.-
E io la baciai di nuovo.
 
La prima cosa di cui mi resi conto la mattina dopo, fu che Isabel non era più tra le mie braccia. Poi arrivò la consapevolezza di essere nella mia camera e infine il mal di testa e la sensazione che tutto ruotasse. Persino Donna.
-Donna, stai ferma? Smettila di girarmi intorno- sbottai senza nemmeno chiedermi perché fosse lì.
-Non sono io che giro, Haymitch. Sei tu che sei uno stupido irresponsabile.-
Feci per alzarmi dal letto, ma tutto quello che ottenni fu cascare per terra, arrotolato nel lenzuolo. Lei si fece avanti e mi tirò su di peso.
-Che muscoli- biascicai e Donna ebbe il buon gusto di non dire nulla. Mi trascinò un bagno, mi lavò e mi vestì, poi fece chiamare Antinoo. Tutto senza rivolgermi la parola, ma, almeno, quando lo stilista entrò, avevo un aspetto normale.
Mi fecero sedere sul letto e si misero di fronte a me, sbarrando la porta.
-Che volete?- esordii, quando vidi che nessuno dei due parlava. Volevo che la smettessero di guardarmi male e mi dessero qualcosa per il mal di testa.
Donna sospirò e fece un’uscita teatrale, ma Antinoo rimase.
-Che hai combinato per sconvolgerla tanto?- mi chiese, sedendosi accanto a me e abbandonando l’aria ufficiale che aveva tenuto fino a quando c’era stata Donna.
-Non so cosa lei sia venuta a sapere. Ne ho fatte abbastanza da tenerla arrabbiata per un mese.-
Lo vidi sorridere sotto i baffi.
-Quello che so io è che vi ha trovati in terrazza abbracciati, con una bottiglia di vino vuota accanto.-
Scrollai le spalle.
-Guarda che a me non interessa quello che fate tu e Isabel nel privato, siete già abbastanza grandi. Quello che non tollero, Haymitch, è che un mentore si ubriachi con un suo tributo il giorno prima che comincino le sessioni di allenamento.-
-Ho bevuto solo io...-
-Non mi interessa! Non lo dovresti vedere nemmeno in fotografia, il vino. Passi un bicchiere tutti insieme per festeggiare, ha bevuto persino Rhys, ma una bottiglia intera?!-
Abbassai lo sguardo. Mi sentivo come quando mi rimproverava mio padre, non c’era rabbia nella voce di Antinoo, ma solo delusione. Ed era quella la cosa peggiore.
-Hai capito che lo dico per te? Non servi a nessuno ubriaco, tanto meno a Isabel. Se la ami, promettimi che non berrai più-
-Non trattarmi come un alcolista- dissi con una voce rauca che non sembrò nemmeno la mia.
-Come scusa? Parlo con lo steso ragazzo che questa notte si è scolato una bottiglia di vino da solo, senza averne mai bevuto un goccio in tutta la sua vita?-
-Tu non sai niente- dissi e feci per alzarmi, ma Antinoo mi ributtò sul letto.
-Allora spiegami. Non ho la sfera di cristallo, non sono nella tua testa!-
-Il senza voce di Rhys è mio fratello Al. Per questo ieri sera ho bevuto e per questo non posso prometterti che non accadrà più. Fine della storia.-
Antinoo aprì e chiuse la bocca un paio di volte, ma le parole non uscirono.
-Vado a fare colazione e a cercare una cavolo di pillola, dato che nessuno sembra prendersi la briga di portarmela- dissi e aprii la porta ma, quando vidi con la coda dell’occhio Al dirigersi in una delle stanze, la richiusi e mi accasciai sul pavimento, tenendomi la testa tra le mani.
-Rimetti a letto, ti vado a prender qualcosa io.-
Lo sentii uscire e parlottare con Donna, ma poi mi persi nei miei sogni.
Almeno lì, il mondo era ancora perfetto.
 
-Mitch, Mitch alzati!-
Aprii gli occhi e capii che il terremoto che sentivo era Al che saltava sul mio letto.
-Vattene via, piccola peste- borbottai, girandomi dall’altra parte.
-No, Mitch, ti devi alzare. Lo sai che giorno è oggi?-
Riemersi brontolando dalle coperte. Finalmente stavo dormendo decentemente da quando ero tornato dall’Arena e ora Al mi aveva svegliato...
-Che giorno è oggi?- lo scimmiottai.
I suoi occhioni si spalancarono ancora di più e si riempirono di lacrime.
-Mitch...- mormorò mentre gli tremava il labbro inferiore.
-Vieni, te lo dico in un orecchio- sussurrai a mia volta, facendogli cenno di avvicinarsi.
Al trotterellò accanto a me.
-Oggi... è il tuo compleanno- urlai, cominciando a fargli il solletico.
-No, Mitch, lasciami lasciami!-
Cominciammo a inseguirci per la stanza, fino a quando mamma non entrò. Da quando ero tornato, era sempre sorridente, di buon umore. Passava il suo nuovo tempo libero cucinando e portando cibo agli altri abitanti del Distretto. Io le davo spesso una mano, avevo deciso che quello sarebbe stato il mio talento, così avrei avuto più tempo da passare con lei. Mi piaceva stare con la mia mamma, mi divertivo ad osservarla e a sentirla cantare.
-Ecco i miei uomini- esclamò, scoccando un bacio ad Al mentre io la abbracciavo.
-Dove sono i miei regali?- chiese Al, speranzoso.
-Regali?- chiesi io, guardando la mamma che scoppiò a ridere.
-Sono di là- rispose lei e Al scappò in salotto.
-Verrà anche Emma a pranzo, spero non sia un problema.-
-Assolutamente no. Hai invitato qualcun altro?-
Sapevo a chi stesse alludendo, inspiegabilmente trovava Donna la persona più simpatica e acuta di Panem. Ogni volta che la vedeva, pendeva letteralmente della sue labbra.
-Sono impegnati nei preparativi per il Tour della Vittoria, forse passano per un saluto nel pomeriggio.-
La mamma annuì e si allontanò canticchiando un vecchio pezzo.
  
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