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Autore: _joy    23/04/2013    4 recensioni
«E di me ti fidi?»
«Posso fidarmi?» rispondo «Dimmelo tu» 
«Sì» risponde senza esitazione. 
 
Gin/Ben
[Serie "Forever" - capitolo IV]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forever'
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Del resto, è assolutamente reciproco.
 
Voglio dire: sono sicura che la mia antipatia per l’agente di Ben è assolutamente reciproca.
È una di quelle cose che si capiscono a pelle, da subito.
 
Quando siamo arrivati a Londra, tra le persone che Ben mi ha presentato per prime c’era anche il suo agente, visto che lavorano a strettissimo contatto e – stando a quel che dice il mio ragazzo – sente più lui che sua madre.
E così, Gin meets TJ.
 
E a TJ Gin non è piaciuta affatto.
 
Lo so, ne sono certa.
 
È stato falsamente cortese e totalmente disinteressato per tutto il tempo che abbiamo passato insieme: poco, per giunta, perché ha garbatamente sottolineato che la mia pessima pronuncia gli impediva di condurre una conversazione degna di questo nome.
Poi ha fatto una risatina falsa, ma la sostanza resta.
Per tutto il resto della serata mi ha ignorata apertamente, tranne quando Ben era accanto a me, momenti nei quali diventava assurdamente complimentoso (e altrettanto falso).
 
All’inizio sono rimasta di sasso.
Non capivo da cosa dipendesse questo suo comportamento.
E quando l’ho chiesto a Ben, lui all’inizio ha negato, poi ha ammesso che la prima reazione di TJ è stata di sorpresa, perché è preoccupato che io distragga Ben dal lavoro.
«E ha ragione» ha mormorato Ben quella notte, mentre mi spogliava delicatamente «Tu mi distrai. E parecchio»
 
Solo che Ben sottovaluta questo stato di cose: secondo lui io sto simpatica a chiunque.
Ho provato un paio di volte a dirgli che TJ non mi tollera, ma lui non vuole sentirne parlare.
E siccome TJ davanti a Ben è il ritratto della cortesia (falsa, ma cortese), alla fine ho lasciato perdere perché non voglio sembrare una con i complessi di persecuzione.
 
Ok, sto sulle balle al suo agente.
Va bene.
Io lo, TJ lo sa.
Me ne frega qualcosa?
Anche no.
Io vivo benissimo.
 
Certo, poi ci sono i momenti, come oggi, in cui siamo costretti a vederci… ma pazienza.
Posso sempre immaginare di essere stesa su una spiaggia dei Caraibi a prendere il sole, mentre loro parlano di lavoro.
 
Entriamo nello studio e TJ sorride a Ben precipitandosi ad abbracciarlo.
Ben gli dà una pacca sulla spalla e poi mi tira dolcemente per la mano.
«Ah, eccola qua» commenta l’agente, il sorriso raggelato «E così, Ginevra, sei ancora a Londra…meraviglioso…»
Il “meraviglioso” arriva con un certo ritardo.
Io faccio un sorriso freddo e educato e gli rispondo in inglese che io ormai vivo qui e mi ci trovo pure benissimo.
Lui, con la faccia da culo che mostra evidentemente solo con me e con quelli che non gradisce, ribatte:
«Sorry… what?  I can’t understand…»
 
Arrossisco.
Ma vaffanculo.
 
Ben interviene subito.
«TJ, guarda che Gin vive qui, non è in vacanza…»
«Ah, ma… Bè, certo un trasferimento è una cosa impegnativa… Anche per te, Ben. Non puoi permetterti di restare legato ora…»
Ma che dice?
Sgrano gli occhi, ma Ben mi abbraccia e mi sfiora la tempia con un bacio.
«Non ci siamo capiti» dice, tranquillo «La mia vita privata è e resta privata. Ginny è qui perché lo abbiamo deciso insieme e questa è una decisione solo nostra. Poi, che ho dei doveri lavorativi io lo so bene. Tranquillo, non ti farò scherzi. Ma non c’entra con noi due»
 
Lo amo.
Lo amo alla follia.
Gli passo le braccia attorno alla vita e scocco un sorrisino soddisfatto in direzione di TJ, che è sbiancato.
 
«Ah, Ben, ma che belle parole…» tenta subito lui di recuperare «Ma certo, certo… io volevo solo dire che sarai molto all’estero quest’anno…. Del resto il grande cinema si fa in America e tu devi pensare alla tua carriera… ma so che Ginevra è d’accordo con me!»
 
Ah, adesso parlo abbastanza bene da poter essere interpellata?
 
Comunque, annuisco.
Voglio che Ben sia felice e il suo lavoro lo rende felice.
Quindi, c’è poco da dire.
«Bè, per l’America, stavo pensando…» Ben mi guarda «Magari vuoi… Bè, potresti venire con me…per lavoro. Insomma, tipo… assistente?»
Lo dice in tono esitante e arrossisce leggermente, come se si vergognasse a dirlo.
Io sgrano gli occhi: non mi aveva mai parlato di questa idea.
Sono combattuta.
Da una parte, voglio fare da sola e essere indipendente.
Non ho cinque anni e lui non può passare il tempo a preoccuparsi per me.
Dall’altra… l’America. Con Ben.
Sticazzi.
 
«Non è una buona idea» interviene TJ, stavolta lapidario.
Sia io che Ben ci irrigidiamo, ma lui prosegue.
«Non devi metterla in questa situazione, Ben. Innanzitutto tu non puoi farle da balia e lei non può farlo a te. Farebbe male al vostro rapporto. Poi, sai che su un set si viene a sapere tutto e che figura ci faresti a portare la tua ragazza come assistente? Nella migliore delle ipotesi vi riderebbero tutti dietro. Mi sembrava di aver capito che Ginevra ha altre competenze»
Ben arrossisce.
«Io… Scusa Gin. Scusami!» mi guarda, preoccupato «Non volevo offenderti!»
Parla mezzo in italiano e mezzo in inglese per l’agitazione, ma io gli sorrido.
«Amore, tranquillo, non mi sono offesa! È una bellissima idea!»
Guardo male TJ, ma lui resta impassibile.
«Lo so che lo hai detto per portarmi con te, come potrei dispiacermi? Ma se questo può anche solo lontanamente causare problemi  a te, allora vorrà dire che verrò in America come tua fidanzata in vacanza. Che ne dici?»
Ben sorride e annuisce.
So che questo non risolve del tutto la questione, perché lui starà in America per un tempo molto più lungo di una vacanza… ma qualcosa ci inventeremo.
«Ginevra, se vuoi…» interviene TJ «Ben mi ha detto che cerchi un qualche lavoro, in attesa del film»
Faccio un cenno con il capo.
«Bè, se vuoi fare esperienza su un set posso trovarti qualcosa…»
Scrolla le spalle e io esito.
Non mi fido affatto di lui.
Ben invece sembra contento.
«Ehi, non male come idea! Che dici tesoro? Niente di troppo impegnativo e che sia un set tranquillo, sia chiaro»
Rivolge a TJ uno sguardo penetrante e a me uno radioso.
Ecco.
Quando fa così, io come dovrei fare a dire no?
 
Quindi acconsento, ma dall’occhiata che mi rivolge TJ ho idea che me ne pentirò.
 
Ma non ho tempo di preoccuparmene ora.
Ben ha in programma qualche intervista e un servizio fotografico per lanciare i prossimi film.
E io posso andare con lui.
 
 
La mattina dopo ci alziamo, recupero qualcosa da mettere al volo tra le macerie del mio trasloco mentre Ben borbotta in sottofondo e usciamo.
Dopo colazione andiamo allo studio dove si farà il servizio fotografico.
Sono emozionata.
Saltello per le scale e Ben ride e mi dice:
«Amore, ma tu lo sai com’è un servizio fotografico, ne hai già seguiti per lavoro!»
«Ma non ho mai visto un  tuo  servizio fotografico!» ribatto «Non è la stessa cosa!»
Lui ride di nuovo e all’improvviso mi bacia.
Finisco con la schiena contro il muro, ma non intendo lamentarmi.
Sospiro e infilo le dita tra i suoi capelli scuri, mentre la sua lingua stuzzica e rincorre la mia.
Inizio a sentire un certo languore al basso ventre, quando sento una porta aprirsi e qualcuno dire qualcosa in inglese.
Ci stacchiamo di botto e Ben si ricompone in un secondo e saluta la ragazza che ci ha aperto la porta.
Io devo avere un’aria meno composta, a giudicare dall’occhiata che mi lancia lei.
«Prego, accomodatevi» mormora, prima di farci strada lungo un corridoio stretto e invaso di scatole e scatoloni.
«Non dire più che casa mia è disordinata» mormoro a Ben e lui sogghigna, prima di passarmi una mano tra i capelli per sistemarmeli.
Dei due, sicuramente io ho un aspetto disastrato, mentre lui è perfetto come sempre.
 
Arriviamo sul set e Ben incontra il fotografo e i suoi assistenti, poi, dopo aver parlato un po’, si fa avanti una ragazza che lo accompagna al trucco.
Ben mi dà un bacio discreto.
«Prendi un caffè, se vuoi… ci metteranno un po’»
«No, perché sei già perfetto» mormoro io sulle sue labbra «Tu lo vuoi un caffè?»
Lui annuisce e si allontana, mentre io vago per lo studio.
Non è propriamente uno studio, è a metà tra un set e un appartamento: sono stati ricreati degli ambienti domestici, tra cui un soggiorno e una camera da letto.
Ci sono persone che montano le luci e provano delle inquadrature.
Alla fine trovo l’angolo ristorazione e chiedo due caffè.
Una ragazza molto gentile me li prepara e mi fa qualche domanda.
Ammetto con imbarazzo che non capisco tutto, ma lei è molto paziente e quindi chiacchieriamo lo stesso.
Mi chiede cosa faccio lì, da dove vengo, dove abito, se mi piace Londra, se lavoro nel settore…
Rispondo con il mio inglese oxfordiano (ahahah), le faccio anche io delle domande e non dico nulla di Ben, ma quando le dico che devo andare lei sorride e non mi trattiene.
 
Apro qualche porta a caso, disturbando persone non identificate: trovo un ripostiglio, la stanza dove sono ammassati i vestiti, due bagni.
Quando sto iniziando a chiedermi dove sono finita, sbircio dentro l’ennesima stanza e faccio un salto tale da rovesciarmi quasi il caffè addosso.
 
Ben è in piedi in un angolo della stanza, vestito di un paio di boxer neri e nient’altro.
Come se niente fosse, due tizie gli stanno davanti, parlando tra loro e indicandolo.
Una gli posa persino per un attimo una mano sulla spalla per farlo voltare un po’ a destra.
 
Per un attimo ci vedo – letteralmente - rosso.
Credo che i tori nell’arena si sentano esattamente così.
 
Marcio nella stanza con istinti omicidi e quando sono vicina al terzetto Ben volta la testa, incrocia il mio sguardo e alza gli occhi al cielo.
Ha poco da fare quell’aria saputa, per quanto mi riguarda.
«Ehi!» sbotto, gelida, facendo fare un salto per lo spavento a una delle due ragazze «Ma insomma, cosa credete di fare?»
Tre paia di occhi mi fissano, quelli di Ben rassegnati e quelli delle ragazze impauriti.
Io ho uno sguardo omicida, soprattutto nei confronti della tizia che ha osato toccarlo, ma prima che possa dire qualsiasi cosa Ben mormora una scusa, mi prende per mano e mi porta verso un camerino, spingendomi dentro.
Quando entra anche lui io finisco con la schiena poggiata allo specchio: lo spazio è così minuscolo che faccio quasi fatica a incrociare le braccia sul petto.
Ben chiude la porta e mi incombe letteralmente addosso.
 
Mezzo nudo, per giunta.
 
Ok, concentrati Gin.
Sei arrabbiata.
Non distrarti.
 
«Ok. Ti ascolto» sospira lui.
«Ah sì? Ma io non ho niente da dirti!» sbotto.
Lui fa un sorrisino.
«Sì, te lo leggo in viso… proprio niente vero?»
«Ok, aspetta, mi è venuta in mente una cosa: che ci facevi lì davanti a tutti, mezzo nudo?»
Il suo sorriso si allarga.
«Stavo aspettando che mi dicessero cosa devo mettermi per fare il servizio fotografico»
«Ah sì? E non potevi aspettare qui dentro e spogliarti dopo, quando avevi pronti i vestiti da mettere?»
Si morde un labbro per non ridere.
«La scelta del vestito è della stylist, amore… è il suo lavoro e deve poter vedere cosa veste…»
«Davvero? Ma pensa! A chi mando un curriculum per diventare stylist? Deve essere proprio un bel lavoro!»
Lui poggia le mani sullo specchio, a lato dei miei fianchi, imprigionandomi.
«Non credo proprio» mormora, avvicinando il viso al mio «Non sarei contento se la mia ragazza facesse un lavoro del genere, con uomini mezzi nudi che le sfilano davanti…»
Volto il capo di lato e mi impongo di non cedere al potere ipnotico dei suoi occhi.
Capisco dal suo sguardo che si sta divertendo, ma io sono gelosa da morire e al momento sono anche furiosa.
Ma siccome so che è capacissimo di farmelo dimenticare solo sorridendomi,  fisso cocciuta un appendino bianco conficcato nel muro.
«Invece a me deve stare bene che il mio ragazzo sfili mezzo nudo davanti a qualunque donna, assistente, stylist o chi diavolo sono quelle là fuori?» domando, polemica.
Sento il suo fiato sulla guancia quando ride dolcemente e poi le sue labbra che si posano sulla mia tempia.
«Assolutamente no. Ma il tuo ragazzo è qui solo ed esclusivamente per lavoro e tutto quello che sta facendo è lavorare. Fa il servizio, che è una seccatura totale e non è per niente divertente, e poi porta a pranzo la sua fidanzata che è la parte bella della mattinata. Che ne dici?»
Sento le sue labbra tracciare una scia di baci leggeri sul profilo del mio viso.
«Che sei comunque troppo nudo»
Lo sento ridere con le labbra sulla mia gola.
Chiudo gli occhi.
Merda, non mi ricordo già più dove sono.
Dannato Barnes.
«Posso fare di meglio, in realtà» mormora, provocante.
 
Riapro gli occhi di scatto.
Accidenti.
In questo buco di camerino improvvisamente la temperatura sale dallo zero polare della mia incazzatura a mille gradi centigradi, dovuti al corpo seminudo di Ben che preme contro il mio.
 
No, Gin, tieni duro.
 
«E non vuoi che chiami la tizia così può controllare se vai bene?»
 
Ok, sto diventando patetica alle mie stesse orecchie.
Ma è più forte di me.
Se penso a quanti servizi fotografici ha fatto e farà…
 
«No, grazie, l’unica che può controllare sei tu…»
Mi prende una mano e dolcemente la posa sul suo addome, proprio sull’elastico dei boxer.
La ritraggo di scatto, sempre senza guardarlo.
«Non è divertente» mormoro, piano.
Le mani di Ben risalgono a circondarmi il viso e dolcemente mi fa voltare verso di lui.
Quando io abbasso gli occhi, posa la fronte sulla mia.
 
Ok, sono circondata.
È dappertutto.
Il suo odore, la sua pelle.
Sento che la mia resistenza è sul punto di alzare bandiera bianca.
 
«Amore mio, guardami» dice, adesso serio.
Alzo gli occhi e mi mordo un labbro.
«Sei davvero arrabbiata o sei solo gelosa?»
«Solo gelosa?» sbotto «Solo? Bè sono solo molto gelosa e anche un po’ arrabbiata.»
«Sei arrabbiata con me?» chiede e i suoi occhi scuri si fanno subito tristi.
 
Ha il potere di farmi sentire stronza.
Se mi guarda così l’unica cosa che vorrei fare è abbracciarlo.
Non può approfittarsene, non è giusto.
È immorale.
 
«Ben, sono arrabbiata perché sembra che spogliarti davanti a chiunque non sia un problema. Non voglio fare la bigotta, ma per me vedere delle donne che ti studiano mentre non hai niente addosso non è così scontato. Che ti tocchino lo è anche meno. E sì, sono gelosa!»
Lui mi bacia il naso, ma io faccio una smorfia.
«Ascolta, amore: hai detto bene. Studiano. Non è una cosa…fisica. È solo lavoro. Per me e per loro. A loro importa che i vestiti che devono usare cadano bene e a me importa di fare la mia parte e posare per queste foto. Questa è come…una prova. Come se facessi…la brutta copia di un comunicato stampa»
«Sì, è proprio uguale!» alzo la voce e lui sorride di nuovo.
«Gin, io sono solo un corpo per loro. È il mio mestiere. Un attore ci mette il corpo, il viso, l’interpretazione. Ma come non sono io i personaggi che interpreto, questo non è un Ben che si spoglia consenziente ma uno che presta il corpo per questo servizio fotografico. Sono solo…merce»
«Io lo so…lo so in teoria» dico, nervosa «L’ho visto con altri…ma tu per me non sei merce e non sei solo un corpo. Non pensavo mi facesse questo effetto… ma davvero mi manda fuori di testa!»
Mi scema la voce e lui mi passa le braccia dietro la schiena e mi stringe più forte.
«Perché, scusa…quanti uomini nudi hai accompagnato a fare foto?!»
Gli do una leggera spinta e lui ridacchia.
«La mia piccola gelosa» mormora poi, con il viso tra i miei capelli «Ma non lo sai che per me ci sei solo tu?»
Mugugno qualcosa mentre le mie braccia gli circondano la schiena.
È inutile, non riesco a resistergli.
Resto tra le sue braccia mentre lui mi mormora parole dolcissime e mi riempie di baci il viso e il collo.
Poi gli poso una mano sul petto e sento il suo cuore accelerare il ritmo.
«Dovresti sapere che l’effetto che mi fai tu quelle ragazze non me lo farebbero nemmeno se si impegnassero» si china in avanti per imprigionare le mia labbra con le sue.
E quando faccio correre le mani sul suo corpo nudo schiude le labbra e la sua lingua esplora avida la mia bocca.
«Gin…» dopo un po’ si stacca e ansima «Adesso sei tu a essere decisamente troppo vestita…»
Mi infila le mani sotto la felpa e il mio respiro si fa pesante.
«Ben…non possiamo…»
«Chi l’ha detto?» fa lui, con voce roca.
«Ma tu stai lavorando…»
«Veramente stavo rassicurando la mia ragazza… e mi sembra che non ci sia modo migliore di questo di dimostrarle che nella mia testa e nel mio cuore c’è solo lei…»
«Maniaco» gli dico scherzando e lui ride.
«Con te, sì» dice poi, categorico, mentre slaccia il bottone dei mie jeans.
«Ben, dai…scommetto che quelle stanno origliando qui fuori…»
«Peggio per loro» ribatte lui.
So che, quando ha quel tono di voce inflessibile, non si riesce a dissuaderlo.
Solo che la situazione mi sembra un tantino strana.
Non so se riesco a lasciarmi andare sapendo che fuori da questo cubicolo c’è gente che entra, esce, monta cose, porta attrezzi… insomma, che passa.
E cosa facciamo se lo chiamano?
O se qualcuno entra?
Già forse abbiamo alzato troppo la voce poco fa…
 
Ma quando Ben riesce a sfilarmi la felpa e la t-shirt smetto di pensarci.
Mi stringo a lui, mentre fa correre le mani sui miei fianchi e mi abbassa i jeans.
Ma stiamo davvero per farlo qui?
Ok.
Poi lui esce e io resto qui, nascosta.
Ottimo piano.
Nessuno si ricorderà di quella che voleva uccidere la stylist.
 
Ma sul più bello, ovviamente, qualcuno bussa alla porta.
Non piano (perché probabilmente sa che non sentiremmo) ma come se volesse sfondarla.
Io faccio un salto per la paura.
Ben mi affonda il viso tra i seni e impreca a bassa voce.
Poi, una voce flautata trilla:
«Tutto bene? Perché noi saremmo pronti!»
 
Incrocio lo sguardo di Ben e entrambi scoppiamo a ridere, cercando di non farlo troppo fragorosamente.
«Allora, vieni con me?» mi chiede lui, quando riusciamo a smettere di sghignazzare.
Io scuoto la testa, ma lui mi afferra la mano e socchiude la porta.
«Ben!» ansimo io, affrettandomi a allacciare i jeans.
Lui si limita a sorridere e mi aiuta a rivestirmi, poi si passa una mano tra i capelli e in un attimo riacquista l’espressione neutra e gentile che ha quando lavora.
Usciamo dal camerino e io mi sento addosso gli occhi di tutti.
Divento paonazza e inciampo nei miei stessi piedi, mentre Ben (che fino a prova contraria è pure quello senza vestiti) cammina tranquillo come se niente fosse.
Le due ragazze ci guardano impassibili e lui sorride, si scusa educatamente per l’attesa e poi mi tira al suo fianco.
«La mia ragazza» dice con semplicità, presentandomi «Spero non vi dispiaccia se resta con me»
Loro annuiscono e io borbotto un saluto per poi crollare a sedere, sperando di sprofondare sotto terra.
 
Devo ammettere che sono professionali.
Per quanto io spii ogni battito di ciglia, effettivamente guardano Ben come se fosse un pezzo di manzo e sembrano solo preoccupate della tasca interna della giacca che alla fine scelgono di fargli indossare.
Non sono normali, chiaramente.
 
Ben è il ritratto dell’indifferenza e della cortesia.
Aspetta pazientemente che gli scelgano gli abiti, che lo trucchino leggermente, che gli sistemino i capelli, che decidano le scarpe, che gli facciano cambiare la cravatta, che gli facciano sbottonare la camicia, che facciano tragedie su una sciarpa da collo di una nuance più chiara rispetto a quella necessaria.
E lui, per tutto il tempo che serve, resta fermo a meno che non gli chiedano di muoversi o di fare qualcosa in particolare.
Ma come fa?
Di solito è vulcanico.
 
«Ti annoi?» mi chiede ad un certo punto prendendo la mia mano e baciandomi il palmo.
Un tizio gli sta spettinando ad arte i capelli.
Allungo la mano per accarezzargli il viso.
«Per niente, guardarti è il mio passatempo preferito»
Lui sorride – uno di quei sorrisi che potrebbero tranquillamente uccidermi – e mi bacia le dita, una ad una.
Ci guardiamo negli occhi e ci sorridiamo ed è come se fossimo da soli e non in mezzo a tutto questo casino.
«Sai, le persone non lo immaginano ma i servizi fotografici sono molto lunghi e noiosi»
«Ho visto» borbotto io e lui ride.
«Oggi in effetti è stato abbastanza movimentato…»
«Ok» dice a quel punto il parrucchiere «Fatto. Che dice la tua ragazza?»
Io gli sorrido, anche se penso che Ben non abbia bisogno di hair-stylist o make-up: è perfetto così com’è.
Infatti non è che devono migliorarlo, solo prepararlo per le luci dello studio.
Poi Ben mi dice che non porta mai le sue ragazze sui set di lavoro.
«Le tue ragazze?!»
Lui scuote il capo alzando gli occhi al cielo.
«Dicevo in generale, fino ad oggi. E poi arrivi tu… e cambi anche questo»
«Pensa che noia, prima di me… nessuno che voleva picchiare le assistenti…»
Ben ride e si dice d’accordo.
«Però non mi è mai sembrato così leggero, il lavoro»
 
Ah bene.
Perché io invece mi sento schizofrenica.
 
Ma deve essere l’effetto dell’averlo vicino, è come se avessi continue scariche di adrenalina.
Quando il fotografo inizia a scattargli le foto per il servizio mi siedo in un angolo e me lo divoro con gli occhi… tanto per fare qualcosa di diverso.
 
E di nuovo mi stupisco per la sua pazienza infinta.
 
Sorride a comando, si muove come gli viene chiesto, riesce persino a fare a comando delle espressioni.
Io, che non riesco a stare ferma il tempo di uno scatto fotografico amatoriale, sono senza parole per questa sua abilità.
Ma seriamente.
Se gli dicono cose stupide tipo “Fai una faccia sensuale” o “Immagina di doverti spogliare” lui ci riesce.
Senza avere davanti nessuno.
Certo, immagino che se il tuo lavoro è fare l’attore devi saper controllare le tue espressioni a comando.
Io probabilmente riderei tutto il tempo a ogni ordine idiota, mi sentirei una perfetta cretina a dover improvvisare pose o situazioni davanti a un telo bianco e per finire perderei la pazienza e urlerei addosso a tutti.
Ben, invece, è il ritratto della calma e della compostezza.
E questo servizio dura ore.
 
Dopo tipo duecento scatti di cui ne useranno uno o due e in cui ha dovuto fare sguardi da seduttore all’obiettivo mentre il fotografo abbaiava ordini, deve cambiarsi d’abito.
Il tutto per fare altre duecento foto, di cui ne verrà scelta una.
E i cambi d’abito in scaletta sono quattro.
 
Ben scende dal set e passa accanto a me tendendomi la mano.
Io allungo subito la mia e lui mi tira in piedi.
Torniamo in camerino e stavolta la stylist ha già pronto l’abito successivo.
«Mi cambio di là se non ti dispiace» le dice Ben, prendendo il vestito e tirandomi verso lo stanzino di prima.
Entriamo e si mette davanti a me:
«Mi aiuti?»
«A fare che?» sono perplessa.
Lui ride.
«A togliermi i vestiti»
«Stai scherzando?» studio la sua espressione «No, non stai scherzando. Avevo capito che devi cambiarti in fretta»
«Infatti. A volte le stylist ti aiutano e volevo evitare che uccidessi quella povera ragazza»
Io digrigno i denti.
«Cosa?»
«Gin è solo…»
«Lavoro, già» completo la frase io «Questo è l’unico servizio fotografico di quest’anno, vero?»
Lui fa un sorriso candido.
«Lasciamo perdere, sono già stressata»
Gli sbottono la camicia mentre lui si abbassa i jeans e poi lo aiuto a rivestirsi cercando di vedere anche la minima imperfezione, ma fuori la stylist si prodiga a togliere peli invisibili e a lisciare pieghe inesistenti per dieci minuti buoni, durante i quali io fisso stoicamente il muro e Ben cerca di non ridere di fronte alla mia espressione.
 
Altri scatti, altro cambio.
«Potrebbe piacermi davvero, fare la stylist» mormoro la terza volta che si cambia.
Stavolta la stylist ha bloccato il camerino infilandoci un appendiabiti (furba) e Ben si cambia nella stanza, con me che casualmente gli sto proprio davanti (contro i guardoni, sapete).
«Niente da fare, sono geloso» mi dà un bacio e si abbottona il maglione.
«Davvero? Io per niente» dico, altezzosa «Sono la fidanzata più rompipalle che abbiano mai visto qui?»
Lui ride.
«Figurati. Sono abituati a isterismi e scene da prime donne. Solo che la gelosia non è molto comune… te l’ho detto, siamo solo manichini che camminano»
«È impossibile che chiunque ti veda come un manichino» ribatto, convinta.
Sorride, con una luce negli occhi.
«Sei di parte» mi bacia ed è pronto per tornare sul set.
 
Quando finisce tutto, sono le 17.
Siamo qui da ore.
Ben ringrazia e saluta tutti e poi usciamo e prendiamo un taxi (adoro i taxi a Londra) e Ben mi porta a Hyde Park.
Camminiamo abbracciati lungo i sentieri e io mi godo il tramonto e il braccio di Ben attorno alla vita.
«Ancora arrabbiata con me?» chiede lui, dopo un po’.
«Non sono mai stata arrabbiata con te» ribatto.
«Sempre gelosa?» sorride allora.
«Sì» dico, categorica «Tu sei arrabbiato?»
«Per cosa?»
«Perché mi sono comportata come una stupida. Scusami, non voglio interferire con il tuo lavoro…»
«Gin, non sei stupida. Se fossi stata al posto mio anche io sarei stato geloso. Sono felice che tu sia gelosa di me»
Appoggio la testa sulla sua spalla.
«Non è stato facile… Non mi abituerò mai a donne che ti mettono le mani addosso…. Anche se è per lavoro» lo prevengo.
«Gin, lo sai che nei miei film ho recitato con donne e ho recitato senza vestiti…»
«Lo so…ma io non c’ero…»
Lui si china a baciarmi, ma prima mormora:
«Ed era tutto grigio e noioso…»
 
Quando ci separiamo, mi sorride.
«Andiamo a casa? Non abbiamo finito quello che stavamo facendo oggi in camerino…»
 

Mi prendo solo un attimo per ringraziare chi segue questa storia e chi la recensisce... grazie di cuore, mi fate felice! :)

Vi ricordo la mia pagina facebook, per qualsiasi cosa:
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Un bacione!



 
 

   
 
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