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Autore: La neve di aprile    23/04/2013    1 recensioni
Chiudere gli occhi non significava trovare la pace di un buio forzato, ma rivivere con metodica, precisa sofferenza ogni singolo istante che avevano condiviso assieme. I sorrisi separati solo da una scrivania e la brutta copia di un bancone, la consistenza ruvida delle sue carezze nell'incavo del collo, il rumore dei suoi respiri mentre dormiva, la gentilezza con cui le aveva scostato i capelli fradici di pioggia la fatidica sera in cui aveva attraversato ogni confine e infranto ogni regola per avventurarsi sull'insidiosissimo terreno di una felicità precaria al punto da implodere in se stessa, lasciandosi alle spalle un cimitero di speranze e possibilità infrante.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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I

Quattro mesi prima

 

« Salve! » trillò Viola allegramente, alzando lo sguardo dal computer e precedendo di qualche attimo il saluto della signora che arrancava in cima alle scale con addosso una vecchia canottiera scolorita e degli orrendi pantaloncini corti sformati.
« Ciao stellina » ricambiò questa, allargando un sorriso sbilenco e facendosi aria con una mano nel tentativo di riprendere fiato prima di arrivare alla reception.
Faceva caldo per essere fine settembre, e dal grande lucernario spalancato sul soffitto piovevano raggi di sole che rimbalzavano sul pavimento bianco, raccogliendosi in una polla di luce quasi accecante sulle piastrelle ben pulite. Oltre il vetro opaco, il cielo era di un azzurro porcellana, senza una sola sbavatura di nubi, e parlava di un pomeriggio ozioso da trascorrere in riva al mare, non nel caldo umido soffocante che saliva impietoso dalla piscina al piano di sotto.
« Eccoci qui, anche quest'anno » fece la nuova arrivata, lasciando cadere pesantemente il borsone a terra per sporgersi non verso la ragazza seduta dietro la scrivania, ma verso il sottilissimo spiffero d'aria che il ventilatore soffiava via con un ronzio sofferente « Sicura di voler stare così vicina a quel coso? Sembra stia per esplodere, da un momento all'altro. »
« Guardi, piuttosto che patire il caldo correrò il rischio! » Viola si strinse nelle spalle, maledicendo per l'ennesima volta l'orribile polo verde acido che era costretta ad indossare.
Non solo il colore non le stava per niente bene, facendola sembrare molto più pallida di quanto già non fosse dopo un'estate trascorsa china sui libri, ma la qualità della maglia era talmente scarsa che aveva come l'impressione indossare plastica pura, e non il presunto cotone che aveva creduto fosse ad una prima occhiata.
« Non posso darti torto... » convenne la donna, premendo la fronte contro il palmo della mano grassoccia e poi tirando indietro l'infelice frangetta che da anni si ostinava a portare. Senza commentare, Viola sorrise e si concesse l'ennesimo sorso d'acqua. Era relativamente presto, con un po' di fortuna e la collaborazione del computer si sarebbe sbrigata con l'iscrizione in meno di dieci minuti, rubando un po' di tempo a quel che restava del suo turno per dare una letta agli appunti di Economia dello Sviluppo portandosi un po' avanti con il ripasso.
« Allora, se gentilmente mi compila questo modulo, io vedo di stampare la quota associativa e... »
« Sempre trenta euro? »
« Sempre trenta. Sempre corsi fitness? »
« Si, stellina. »

Le avessero dato cinque euro di premio per ogni cliente di cui ricordava, da un anno all'altro, non solo il nome ma anche i corsi frequentati, sarebbe stata ricca.
Aveva iniziato a lavorare in quella palestra un po' per caso e un po' per necessità, quando i suoi genitori le avevano detto di non potersi permettere di pagarle niente di più che le tasse universitarie e l'affitto del minuscolo monolocale dove si era trasferita dopo sei mesi da incubo in un appartamento sovraffollato da individui con un altissimo tassi di quella che lei era solita definire “stronzaggine acuta”. Dopo due settimane di isteria pura passate a tentare di capire dove le sue cose sparissero, chi facesse colazione con i suoi cereali e perché qualcosa di rosso era finito nell'unica lavatrice che avesse mai fatto tingendo di rosa tre quarti dei suoi indumenti, l'idea che la convivenza con altri studenti non era cosa per lei si era fatta strada tra le svariate ipotesi di omicidio e suicidio cui si dedicava con stacanovismo assoluto prima di andare a dormire, optando per l'una o l'altra a seconda del grado di disperazione con cui la giornata si concludeva.
Il monolocale lo aveva trovato per caso, spulciando tra gli infiniti annunci appesi un po' per tutta l'università nelle infinite ore in cui preferiva bighellonare in giro piuttosto che rientrare a casa, ed era stato amore a prima vita. L'affitto, invece, non era piaciuto a nessuno. Tantomeno ai suoi genitori che avevano sganciato la bomba nel bel mezzo del semestre, a contratto firmato e trasloco faticosamente ultimato. E dal momento che rinunciare non era un'opzione considerabile, sfogate rabbia e lacrime e ingurgitati innumerevoli barattoli di Nutella, si era rimboccata le maniche e aveva deciso di trovarsi un lavoro.

« Mensile, vero? » indagò per sicurezza, mentre la stampante sputava fuori due identiche copie della quota d'iscrizione di Diana Columbo.
« Si, stellina. E pago con il bancomat. »
« Ecco qua: iscrizione, mensile e tesserino. Per pagare con il bancomat deve scendere giù e se si ricordasse di portarmi su lo scontrino mi farebbe davvero un gran favore.. » si sbilanciò in un ampio sorriso, nella speranza di rabbonire la reazione della donna che, puntualmente, esplose prima ancora riuscisse a terminare la frase. Cosa che succedeva succedeva, del resto, ad ogni inizio mese da quattro anni.
« Ma non è possibile, ancora non avete un bancomat qua su? Quanti anni sono che va avanti questa storia? È indecente costringere le persone a salire su per pagare e poi le si facciano tornare giù senza il minimo di riguardo! »
Si strinse nelle spalle con aria fintamente desolata, guardando la donna barcollare via e fermarsi davanti all'ascensore senza smettere di inveire nei confronti della discutibile gestione della palestra, dove veniva per far fatica durante i corsi e non per pagare i corsi. Cercando di non farsi vedere prese di soppiatto il cellulare e digitò rapida un sms all'unica persona che sapeva avrebbe apprezzato la sottile ironia della situazione. Le porte dell'ascensore non si erano ancora chiuse che Claudia, una delle sue migliori amiche, già le aveva risposto con una sonora risata.
Era stata proprio Claudia a farle sapere che nella palestra frequentata dalla madre cercavano una ragazza da impiegare alla reception: aveva colto la palla al balzo e non aveva esitato quando si era trattato di farsi dare una piccola spintarella. Dopo settimane girate a vuoto consegnando curriculum nei luoghi più strani, sentendosi proporre i lavori più indecenti e più sottopagati dell'intera città, era disposta a qualsiasi cosa pure di trovare un impiego con orari ragionevoli, in un edificio non fatiscente e con uno stipendio che le permettesse di sopravvivere compensando quello che i suoi genitori non erano più in grado di assicurarle. Tutto sommato, indossare una polo verde acido per quattro ore al giorno, cinque giorni alla settimana e qualche week-end ogni tanto, era un compromesso più che ragionevole per tirare avanti dignitosamente. E in assoluta libertà.

« Come va? »
Paola comparve al suo fianco, chiudendosi alle spalle la porta che dava sul ballatoio, reduce dalla lezione di Pilates appena conclusa. Responsabile della palestra e di tutti i corsi, trent'anni appena compiuti, capelli corti biondissimi e occhi di brace, la giovane donna trasudava energia da tutti i pori e mai una sola volta l'aveva vista accusare la stanchezza.
« Caldo... » si lamentò Viola con un sospiro, soffiando via una ciocca di capelli scuri con uno sbuffo. Neanche a tenerli legati trovava sollievo, e come sempre verso le sei di sera l'aria tornava a farsi irrespirabile in maniera irragionevole.
« Non dirmelo, oggi si muore. Tanta gente? » chiese senza aspettare risposta, acciuffando il cellulare e avviandosi verso i divanetti sistemati in un angolo della grande stanza, subito fuori gli ingressi degli spogliatoi.
« E' tornata la Columbo. »
« Puntuale come una disgrazia. » la bionda alzò gli occhi al cielo e sospirò, immergendosi poi in una fitta telefonata con il suo ragazzo, secondo uno schema che si ripeteva immutata dal primo giorno in cui aveva iniziato a lavorare: finiva la lezione, chiedeva come andava, telefonava. Metodica, ad ogni lezione, ogni giorno. C'era stato un periodo in cui, cinica come solo una single potrebbe essere, si era spesso chiesta cosa diavolo avesse poi di così urgente da dire ad un ritmo di sessanta minuti al colpo. Si era addirittura inventata un pretesto per andare a sbirciare una lezione, in un pomeriggio invernale di calma piatta, nel tentativo di capire se tra un esercizio di pilates e l'altro accadesse qualcosa di sensazionale che meritasse di esser raccontato.
Senza commentare, senza più stupirsi, Viola si abbandonò contro lo schienale di plastica della sedia, premendo le mani sugli occhi chiusi. Faceva troppo caldo e l'esame imminente la prosciugava di ogni energia. L'ultimo, poi sarebbe stata in pari giusto in tempo per l'inizio del nuovo semestre.
Studentessa di Scienze Politiche, laureata senza infamia e senza lode alla triennale in Relazioni Internazionali, aveva scelto la magistrale in Cooperazione e Aiuti allo Sviluppo con la consapevolezza che nella migliore delle ipotesi sarebbe finita a lavorare in un banca e, nella peggiore, in un call-center. Ipotesi che cercava di scacciare con tutte le sue forze, terrorizzata com'era al pensiero di parlare al telefono anche con sua madre, sforzandosi di mantenere una buona media con cui poter sperare di aspirare ad una lode al termine del percorso e avere qualcosa cui aggrapparsi per costruire un futuro. Le piaceva però pensare di poter lavorare, un giorno, per aiutare le persone.
Fino ad allora avrebbe venduto abbonamenti e ingressi per lo spinning, assicurandosi che almeno gli iscritti all'Associazione Fitness San Giovanni ricevessero tutto il suo aiuto possibile nella lotta ai rotolini di grasso.

« Ciao » la salutò qualcuno che invece non aveva alcun bisogno di aiuto per combattere i chili di troppo, strappandola all'avvincente lettura di un libro scritto troppi anni prima per poter essere anche solo vagamente comprensibile.
Viola raddrizzò la schiena come se avesse preso la scossa, incrociando gli occhi scurissimi di un giovane sulla trentina. Capelli castani, maglietta di cotone grigia e jeans, le sorrideva gentilmente porgendole un tesserino giallo e blu che prese sforzandosi di tenere le dita ferme e, sopra ogni altra cosa, di non arrossire. Alle spalle del giovane fecero la comparsa altri quattro visi, similissimi tra loro nei modi e nell'espressione, intonando tutti lo stesso identico, svogliato, saluto.
« Oh, Enrico, stai di nuovo tentando di farti fare lo sconto? » lo canzonò uno, l'unico biondo, slargando un sorriso vagamente lascivo mentre le porgeva a sua volta il tesserino. Fingendo di non ascoltare, Viola segnò l'entrata e cancellò il nome di entrambi dall'elenco che occupava buona parte della scrivania in virtù del raccoglitore gigante dove era stato pinzato.
« No, Gian, sei tu quello che elemosina sconti. » s'intromise il terzo, tale Marco Benvenuti che sorrise e scrollò le spalle indifferente quando gli fece notare come gli mancassero solo due ingressi prima di terminare il blocchetto.
Enrico rise per qualcosa che Viola non aveva colto, e il cuore della ragazza perse un colpo.
Sapeva di essere arrossita senza motivo, sentiva le guance incandescenti e sapeva che se avesse sollevato lo sguardo dal quaderno delle prenotazioni la situazione sarebbe irrimediabilmente precipitata. Mentre scalava gli ingressi agli ultimi due, per un attimo, ebbe persino l'illusione di averla scampata.
« Senti, ma... »
Lo fece senza pensare, alzando il volto verso Enrico in un riflesso automatico.
E lo ritrovò vicino, un gomito appoggiato al bancone e il volto abbandonato nel palmo di una mano. Era abbronzato e negli occhi custodiva il brillio implicito di un sorriso mai completamente spento, sulle braccia il rilievo dei muscoli era segnato da una soffice peluria bionda, schiarita dal sole. Contrasse le dita in uno spasmo automatico, trattenendosi dall'allungarle in una carezza.
« Si? » indagò invece, vagamente stridula, stordita dalla vicinanza e dalla nuvola di profumo muschiato che l'avvolse consumando rapidamente tutto quel poco d'aria che le era rimasto in petto. Si sentiva esattamente come quell'unica volta in cui si era concesso il lusso di fumare una sigaretta, ad un capodanno di tanti anni prima. Dopo il primo tiro la testa le era diventata improvvisamente leggera, rispondendo al rapidissimo consumarsi d'ossigeno, e si era sentita come senza peso. Intontita, frastornata. Incantata.
« C'è mica posto per giovedì? »
No, non c'era posto. Lo sapeva, aveva già controllato nel primo pomeriggio quando un cliente aveva chiamato per chiedere la stessa cosa. Eppure girò le pagine senza fretta, scrutando le date come se le vedesse per la prima volta, e quando corrugò la fronte dispiaciuta confermando che no, posti proprio non ce ne erano, il suo dispiacere era sincero. Il giovedì, in fondo, era di turno.

**

« Sei scandalosa! » strepitò Giada, in preda alla convulsione per le troppe risate, scomparendo momentaneamente dallo schermo del computer.
« La webcam, è precipitata di nuovo. » sbuffò Viola, mentre rimpiccoliva la finestra di skype e apriva Facebook con un click annoiato in attesa che l'amica ricomparisse e prendesse posto del nero pesto comparso al posto del suo viso.
« E quindi quando lo rivedi? » si sentì chiedere da una voce cavernosa, tanto da distoglierla dalla nuova, orrenda foto profilo di una sua ex compagna di classe del liceo.
« ...Giada? » indagò prudentemente, allarmata dai rumori che gracchiavano dagli altoparlanti del computer « Tutto bene? »
Ci fu come uno strappo, un'imprecazione, poi il viso rotondo dell'altra ricomparve, tutto occhi azzurri e capelli biondi perennemente raccolti.
« Non cambiare discorso, Violetta. »
« E tu non chiamarmi Violetta. Comunque si, l'ho pensato davvero e non me ne pento. Dovresti vederlo, è così... »
« ...figo! » sospirò la bionda, sbattendo le ciglia con aria teatrale « Lo so, ogni lunedì è sempre la stessa storia. »
« Non credere che il fatto di essere a Roma ti garantisca di prendermi per il culo così impunemente! » s'indignò la mora, passando una mano tra i capelli e strattonando le dita rimaste puntualmente impigliate tra i nodi. « Dovrei tagliarli. » riprese, liberandosi finalmente dalla trappola mortale di ciocche troppo lunghe e troppo annodate.
« Dovresti, almeno un po' » convenne Giada, avvicinandosi allo schermo come cercasse di valutare da sé, attraverso la scarsa qualità della webcam, le condizione delle doppie punte dell'amica « Sono decisamente orrendi. »
« Tu dovresti proprio piantarla, sei troppo esuberante questa sera e sai benissimo come gli insulti a distanza non mi riescano! »
« Smettila, quando ti arrabbi diventi tutta rossa e non sei affatto carina. »
« GIADA! »
« VIOLA! »
Si guardarono, una a Trieste e l'altra nel cuore della capitale, fronteggiandosi in silenzio. Poi, scoppiarono a ridere.
Si erano conosciute quattro anni prima, il primo giorno della triennale, quando avevano condiviso un seggiolino sbilenco in un'aula troppo affollata, e ben presto aveva scoperto di condividere la stessa identica, atroce dipendenza dal caffè. Di caffè in caffè l'amicizia si era cementata da sé nel corso del tempo, e neppure la lacrime piante in aeroporto quando la bionda era partita per frequentare la magistrale in Scienze Diplomatiche a Roma erano bastate ad indebolire il loro rapporto.
« Dovresti parlarci però.. » si riprese Giada, sventolando le mani davanti al volto « Con il ciclista, dico. Parlaci, se ti piace così tanto. »
« Ma ci parlo! Quando deve comprare gli ingressi per lo spinning, gli chiedo se ha convenzioni valide con la palestra e quanti ne vuole comprare. » disse Viola, fingendo di non aver capito cosa l'amica stesse tentando di consigliarle.
« ...e poi ti stupisci pure di essere single! »
« Giada, siamo serie per un attimo. Ok, è divertente parlare di lui, fare finta che sia l'uomo a cui vorrei dare dei figli, pensare che davvero ci sia la possibilità che succede qualcosa. È un sacco divertente, sicuramente mi da qualcosa di bello su cui rimuginare quando non ne posso più di studiare, ma oltre questo c'è ben poco, te l'assicuro. Ho come il sospetto sia a malapena consapevole della mia esistenza, l'altro giorno mi ha chiamata Sara. Sara! Che tipo è la persona che meno mi somiglia sulla faccia della terra! »
« L'è un fià zocco.1 » commentò caustica Giada, inarcando le sopracciglia bionde. Dall'altra parte dello schermo, Viola affondò il viso tra le mani e sospirò, corrucciandosi in una smorfia impensierita.
« Però se a te piace.. »
« No, non lo so se mi piace. E' bello da vedere, questo si, e ha pure una bellissima voce, ma finisce qui. » decretò la mora con fermezza, stringendosi nelle spalle.
« Viola. »
« Non dirlo, per favore, lo so. »
« Viola, io devo perché ogni volta te ne dimentichi o fingi di non sapere e sappiamo benissimo cosa succede poi. »
La mora sporse il labbro inferiore e finse di piagnucolare un po', nel tentativo di impietosire l'amica e non farle dire che
« Tu t'innamori della voce, prima che della persona. »
Un tonfo sordo accompagnò la testa di Viola mentre precipitava sulla scrivania.
« E non fare queste scenate, lo dico per te! » proseguì Giada imperterrita.
« E tu non storpiare la grammatica italiana, non si mette due volte il soggetto in una frase. » brontolò, raddrizzando la schiena e guardando lo schermo; sporse il labbro inferiore in una pantomima di pianto, strappando alla bionda un sorriso. Rimasero in silenzio per un po', mentre fuori dalle finestra alle spalle dello schermo del computer di Viola la notte riluceva timidamente delle luci dei condomini e, più in là, si accendeva intermittente il faro.
« Quindi giovedì prossimo, insomma. » riprese, intonando il ritornello preferito delle loro ultime conversazioni da un paio di settimane.
« Sissignora! »
« Bon, allora vedo di recuperare il resto della truppa e ti veniamo a prendere noi con il benestare della signora Madre. Adesso devo proprio andare, il ripasso chiama e ho l'ansia già adesso. »
« No ansia, andrai bene! »
« Si, andrò al martirio e cercherò di uscirne con almeno un briciolo di dignità addosso. » una pausa, poi « Mi spiace che ti perdi il compleanno di Max, però! »
« E che ti devo dire, padrona Luiss non perdona ed è già un miracolo che riesca a scendere per la Barcolana guarda. »
« In effetti.. »
« Dai, ti lascio studiare.. un bacio pupiz, ci vediamo tra una settimana! »
Viola fece ciao con la mano un paio di volte, fino a quando Giada non interruppe la conversazione, e sospirò. Tra una minaccia e l'altra si era dimenticata di dirle che era vero, giovedì non c'erano posti liberi, ma che venerdì invece ne era rimasto uno. E quell'unico posto se lo era aggiudicato Enrico. Sorrise mentre il computer si spegneva e tirò sulla scrivania la pila di libri e appunti, preparandosi psicologicamente ad una eterna notte di ripasso.

**

« Ho una faccia che fa schifo » esordì la mattina dopo, sballottolata tra le impossibili curve che l'autobus affrontava senza rallentare e le troppe persone stipate al suo interno. Mia, al suo fianco, sollevo il viso contratto in un'espressione sofferente.
« Io ce l'avevo una faccia decente da mostrare al mondo, quando sono uscita, ma inutile dire che la lascerò tutta in questo 'bus. »
« Vorrà dire che saremo brutte assieme » Viola si strinse nelle spalle, strattonando la tracolla della borsa con un gesto automatico e premendo la fronte contro il vetro lercio della vettura. La città filava veloce, arrampicandosi lungo i profili tutt'altro che dolci che facevano da preludio al Carso subito dietro, lasciando intravedere sprazzi di mare scintillante tra i tetti delle case. Pensare a quanto sarebbe stato bello farsi accompagnare a lezione al mattino le venne spontaneo, e si ritrovò a sorridere al pensiero di una canzone di sottofondo e un bel viso abbronzato al suo fianco da baciare e a cui augurare una buona giornata.
« Ho sentito Giada ieri » prese a dire, nel tentativo di scacciare via ogni rossore inopportuno che già sentiva invaderle la faccia, mentre si aggrappava ad un sostegno metallico e l'autobus inchiodava spalancando le porte e riversava in strada una fiumana di gente. Tenendosi strette le borse che minacciavano di essere trascinate via dalla piccola folla, Viola e Mia tirarono un sospiro di sollievo quando – per il tempo di una fermata soltanto – poterono finalmente tornare a respirare.
« Ma va! Come sta? Dovevamo sentirci sabato ma tra una cosa e l'altra non abbiamo fatto in tempo.. »
« Oh, sta benone. Era particolarmente in forma ieri, una frecciatina dopo l'altra! » sbuffò, assecondando la seconda frenata e poi scendendo i tre gradini che la separavano dal marciapiede.
« Scommetto che ha avuto da ridire sul ciclista. » Mia sorrise, con aria furba, e la precedette di qualche passo verso la scalinata che si arrampicava fino al grande piazzale antistante l'edificio centrale dell'Università. Tutta presa a sistemare la sciarpa al collo, Viola ci mise qualche attimo a cogliere la battuta.
« Finirà che non vi racconto più niente, siete delle stronze di proporzioni epiche. Io vi confido questa cotta assolutamente imbarazzante confidando nella vostra comprensione e voi mi ripagate rinfacciandomela ad ogni occasione! » sbottò in ritardo, inseguendo la figura minuta di Mia che risaliva i gradini di buona lena. Il caschetto di capelli biondo platino brillava nel sole mattutino, come a voler contrastare l'abbigliamento totalmente nero che la ragazza indossava con disinvoltura nella bella giornata di fine settembre.
« Perché un conto è confessare, un conto è tartassare! » rise questa, voltandosi per regalarle un sorriso radioso. Viola sapeva, senza aver bisogno di vederli oltre la sfumatura scura degli occhiali da sole, che gli occhi della amica ridevano senza cattiverie, verdi e dolci come acini d'uva.
« Lavori stasera, comunque? »
« Stacco alle nove e mezza, perché? Non ditemi che avete organizzato un ennesimo aperitivo politico! »
« L'idea era quella, ma nessuno mi risponde. Dovresti venire una sera però, tutto quel cloro ti sta facendo diventare una vecchia babbiona. »
« Ne riparliamo dopo un caffè » chiosò Viola senza grazia, incupita.
Odiava gli aperitivi politici.
Odiava trovarsi costretta a stare in mezzo a persone ubriache di vino che gridavano ai quattro venti le loro prodezze del sabato sera, si mettevano in imbarazzo dimostrandosi di incapaci di restare in piedi e soprattutto si riempivano la bocca di insulti e bestemmie per le ragioni più stupide, dando conferma alla regola che voleva la futura classe politica del paese esattamente identica a quella che l'aveva preceduta. Intrisa di volgarità, arroganza e assoluta mancanza di buon senso e umiltà. Ma più di ogni altra cosa odiava gli assistenti che si univano a loro e non mancavano mai di condividere le esperienze di altissimo valore culturale che avevano modo di fare viaggiando per l'Europa a spese dell'ateneo – cioè a spese sue, con i soldi che regolarmente versava per la retta ogni sei mesi – e che la facevano pentire di non aver mai appoggiato l'uso della violenza, cosa che per coerenza le impediva di spaccare loro in testa bicchiere e brocca pur di farli tacere.
Stava ancora rimuginando, assorta nel tentativo di estrapolare una scusa che non avesse già utilizzato, quando il viso sorridente di una barista fece la sua comparsa, porgendole il primo caffè della mattinata. La ringraziò con un cenno e tornò al tavolo già occupato da Mia e da un ragazzo alto e magro, capelli raccolti in uno stretto codino e grandi occhi azzurri; prevenne entrambi, alzando una mano e imponendo il silenzio.
« Zitti voi, non voglio sapere perché dovrei venire questa sera! » esordì, rompendo la prima bustina di zucchero che guardò affondare nella schiuma spolverata di cacao.
« No, in realtà stavamo parlando del fatto che dovremmo prendere un regalo a Max » la corresse il ragazzo, allungando una a scompigliarle i capelli con affetto « Ma già che ci siamo in effetti potremmo effettivamente discutere le infinite ragione per cui stasera potresti farci onore con la tua presenza... »
« Prima tra tutte il piacere della nostra compagnia! » le fece notare Mia, lo sguardo verdissimo acceso da uno scintillio divertito e attento a seguire il pigro rimestare del cucchiaino di Viola che, colta in contropiede, sospirò.
« Se la mettete così, prometto di farci un pensierino.. » si arrese, concedendosi un morso di brioches.
« Un pensierino su cosa? » s'intromise una voce alle sue spalle, femminile « Sul fatto di parlare una volta tanto con il ciclista invece di ammorbare noi? »
Lucrezia abbracciò Viola, affondandole il mento tra i capelli, come a voler farsi perdonare per il commento infelice. Capelli ramati e occhi scuri sempre perfettamente truccati, da quando aveva messo piede nel bar si era già guadagnata le occhiate compiaciute di una decina di ragazzi ma, inconsapevole della sua bellezza, non vi aveva neppure fatto caso. Scostò una sedia, facendosi spazio, e raccolse in punta di dita una briciola che portò alle labbra un attimo più tardi.
« Non ti ci mettere anche tu, Lù »
« No invece, ha ragione! » le fece notare Mia « Sarebbe proprio il caso che tu trovi il coraggio di dirgli qualcosa, abbiamo davanti due interi semestri di lezione e non ho intenzione di sentirti blaterare di bici, abbonamenti e su quanto sia sempre bellissimo e abbronzato. No, Matteo? » concluse, rivolgendo un'occhiata eloquente al ragazzo che aveva seguito lo scambio con aria palesemente spaesata.
« Chiaro. Non ho idea di chi sia questo ciclista ma sono d'accordo. » convenne lui senza troppa convinzione, incrociando le braccia sul tavolo e guardando Viola come a volerla invitare ad approfondire il discorso. Questa mugolò sconfortata, imbronciandosi.
Sarebbe stata una lunga, lunga, lunghissima giornata. Ed era appena cominciata.



 


1 Letteralmente, "è un po' duro", di lenta comprensione.
Arieccoci! Visto che il terzo capitolo ormai può dirsi concluso, non vedo perché non aggiornare. 
Sono un po' di corsa - in realtà sto rubando la connessione al lavoro lol! -, quindi lascio un bacio grande alle mie due splendide lettrici e vi ricordo che, per aggiornamenti, basta un mi piace alla mia pagina facebook. Creata in un momento di megalomania appena ieri. Ok, vado a nascondermi, cieu <3

   
 
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