Anime & Manga > Uta no Prince-sama
Segui la storia  |       
Autore: but honestly    24/04/2013    2 recensioni
«Diventa chi vuoi, studia quello che vuoi: noi saremo amici, al di là di tutto questo.» lo sguardo di Ren si fece improvvisamente più sicuro «Per sempre, giuralo!». Questa è la richiesta che un Ren Jinguuji di 11 anni rivolge al giovane erede degli Hijirikawa. Ma, dopo il debutto degli STARISH nel mondo della musica, l'affascinante biondo sembra improvvisamente perdere interesse per il gruppo, distaccandosene apparentemente senza ragione. Cosa lo spinge a questa fuga immotivata? Il filo rosso del loro destino, logorato dalle pressioni familiari e dai contrasti di rivalità, terrà stretti i cuori dei due ragazzi o finirà con lo spezzarsi?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Masato Hijirikawa, Ren Jinguuji
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

«Ancora una volta.» i suoi occhi chiusi, il respiro regolare, mentre dondolava le piccole gambe sotto la sedia, lentamente, ritmicamente. Sembrava stesse riposando, rilassandosi e lasciando la testa abbandonata alla forza di gravità: con tutte quelle ciocche lisce e blu che gli scendevano dolcemente davanti al viso, accarezzandoglielo; invece no: era concentrato.
 
Stava ascoltando. Ascoltava le note musicali che uscivano in rapida sequenza dal sassofono che Ren teneva tra le piccole mani, già incredibilmente esperte per la sua giovane età. «Di nuovo?» protestò lui, sbuffando lievemente e riponendo lentamente lo strumento nella sua custodia nera «Basta, sono stanco! ». Suonava da un paio d’ore: quello spazio di tempo che aveva ritagliato tra un impegno e un altro, solo per far visita a quel suo caro amico da cui mai avrebbe voluto separarsi.
Aveva solo dodici anni, il biondino, ma la sua agenda era completamente piena di impegni d’ogni genere: incontri con famiglie altolocate, imprenditori importanti, cerimonie. Ognuno di questi eventi andava ben lungi dai suoi interessi. Accettava, certo, purchè potesse avere ogni giorno il tempo necessario a vedere Masato e a divertirsi anche un paio d’ore con lui. Il suo unico amico. L’unico  e solo: e non avrebbe mai potuto chiedere altro.
 
«E’ tardi, meglio che me ne vada.» ammise, nascondendo una certa riluttanza a riporre il sassofono e a varcare la porta d’uscita. Il compagno riaprì gli occhi di scatto, come colto d’improvviso da un colpo al petto: «Ca-Capisco…» balbettò, incerto, le iridi azzurre che si piantavano lentamente sul terreno, quasi potesse trovare nella trama scura del legno una soluzione.
Ren gli rivolse uno sguardo fugace; passò gli occhi celesti sui suoi lineamenti gentili, su quell’incarnato candido, come di porcellana finissima, che sembrava bramare qualcosa di inesprimibile.
Chiedimi di restare.
Richiuse la custodia del sassofono, producendo un sibilo leggero.
Chiedimi di restare.
Aspettò cinque, dieci secondi. In piedi, davanti a lui, attendendo qualcosa. Un gesto, un solo gesto, anche minuscolo, sarebbe bastato a convincerlo. Sì: al diavolo la scuola, i doveri familiari, tutto. Altri dieci minuti non avrebbero distrutto i suoi piani per il futuro. No?
Ma Masato non si mosse. Non aprì bocca: dalle sue labbra fine non uscì alcun suono. Solo il respiro regolare, i suoi pugni chiusi.
Ren sospirò appena e si voltò. «Beh… Ci vediamo, Masa.» lo salutò con un cenno della mano. Si avvicinò alla porta con passo lento, varcarla significava tornare nella vita insignificante che conduceva ogni giorno. Quella vita in cui nessuno gli avrebbe mai riconosciuto il suo talento: la vita di Jinguuji Ren, l’ultimogenito di un imprenditore, che avrebbe fatto strada in virtù del suo solo cognome, mai per qualche sua qualità.
 
Jinguuji è un nome importante. Avrà sempre tutto, non gli sarà negato nulla.
Queste parole gli venivano rivolte continuamente, mentre lui si limitava a rispondere con un sorriso di cortesia, velando una certa noncuranza. Ma rispecchiavano la verità?
 
Il sassofono gli sembrò incredibilmente più pesante rispetto a quando era entrato.
«No!» un mormorio appena percettibile, ma sufficientemente udibile per bloccare il biondino a pochi centimetri dall’uscita.
Qualcosa lo trattenne per la manica della camicia, non seppe definire se si trattasse della mano del compagno o, più probabilmente, solo della sua immaginazione. Si voltò appena e lo vide. Il suo sguardo supplice, il suo sorriso timido che affiorava appena sulle sue gote candide lievemente tinte di rosso. «A-Aspetta…» balbettò, irrigidendosi di colpo «Quella canzone… Me la suoneresti di nuovo? ».
Quello sguardo. Quegli occhi limpidi. «Una volta sola… per favore.».
Ren sorrise. Non un sorriso falso e puramente formale, di quelli che mostrava continuamente alle cerimonie, alle uscite pubbliche con la famiglia, ai ricevimenti. Il suo era un sorriso spontaneo, semplicemente felice di ciò che si apprestava a fare. Un sorriso appagato e finalmente gioioso.
«Uff… Va bene, ma una volta sola!» cercò di fingere irritazione, ma quel suo sorriso dovette far crollare ogni copertura. Il volto di Masato s’illuminò improvvisamente.
Suonò fino a sera. Suonò per lui, per vederlo sorridere in quel modo. Se avesse potuto vederlo sorridere per sempre, non avrebbe mai fermato quelle sue dita sottili che scorrevano sapientemente sui tasti dorati del sassofono:  avrebbe soffiato fino a perdere del tutto il fiato.
Per l’unica persona che lo apprezzava per quello che era davvero. Per Masato. Per lui.
Forse lo realizzò solo allora.
Quanto il suo cuore accelerasse, avvicinandosi a lui.
 
 
 
Ren spalancò gli occhi.
La luce del sole, che trapelava dalle foglie sui rami dell’albero che gli faceva da sostegno, gli ferì gli occhi limpidi. Doveva essersi addormentato.
Si passò la mano sinistra tra i capelli fluenti e morbidi, massaggiandosi appena il capo, mentre con l’altra cercava il telefono nella tasca dei pantaloni. Quanto aveva dormito?
Dopo aver chiamato Haruka, inventando una scusa a caso per non recarsi alle prove, si era semplicemente steso a terra, nei giardini dell’Accademia Saotome, completamente incurante del fatto che qualcuno avrebbe potuto notarlo e, magari, avvertire i suoi compagni.
Non trovando alcuna occupazione utile per il suo tempo, aveva finito con il riflettere e conseguentemente addormentarsi. I pensieri che gli avevano concesso una tregua, durante il sonno, tornarono d’improvviso ad invadergli la mente con il loro ronzare caotico.
Prese un respiro profondo, cercando dentro di sé quella calma che non gli era mai appartenuta. Si sforzò di trovarne quanta ne bastava per scacciare il ricordo che il sogno gli aveva riconsegnato.
Un regalo indesiderato, specialmente in un momento come quello.
Un gioiello prezioso che voleva restasse chiuso nel suo scrigno ancora  per un po’.
 
«È passato tanto tempo… » un sussurro leggero gli sfiorò appena le labbra fine e rosse, per dissolversi nel vento leggero che gli scompigliava le ciocche bionde, destinando quelle parole a non essere mai udite da nessuno «…adesso non ha più importanza, no? ». O almeno, così avrebbe  voluto. Ma sembrava che questo ragionamento valesse soltanto per uno dei due ragazzi. Per quanto si sforzasse, Ren non riusciva a nasconderlo: non riusciva a celare quel vuoto incolmabile che la separazione da Masato aveva aperto nel suo cuore, nella sua anima.
Il suo unico e solo amico. L’unica persona a cui avesse mai tenuto. Sbuffò. No, non l’avrebbe mai ammesso apertamente.
Non posso.
Il ricordo di quel giorno era ancora una ferita dolente e aperta. Gli faceva troppo male anche solo per dimenticarla e ricominciare.
Era sufficiente alzare gli occhi verso lo sguardo implacabile di Masato, verso la sua totale indifferenza verso i suoi gesti per accorgersene.
Si passò ancora una mano tra i capelli, sbattendo appena la nuca contro il tronco dell’albero. Lasciò scorrere le dita lungo il viso, digrignando i denti. «Maledizione. » sibilò, deglutendo come per ingoiare un boccone amaro, un sorso di una medicina dal terribile sapore.
Chiuse ancora gli occhi, si ordinò di mantenere la calma. Il cellulare iniziò a squillare, ma lui non ci fece neanche caso: stava già esplorando i meandri della propria mente, alla ricerca di una spiegazione che valesse tutta quella fatica.
Quando era cominciato quel profondo cambiamento nel loro rapporto? Il passaggio all’adolescenza era stato così brusco?
Ren inspirò profondamente. Le immagini nella sua mente si fecero mano a mano più nitide, i loro contorni più netti e definiti.
 
 
 
Era primavera. Si, lo si capiva dai fiori di ciliegio che inondavano le strade, inebriando i passanti con il loro profumo delicato.
Un cancello di ferro dipinto di un nero lucido, che la luce del sole faceva risaltare. Ne riconosceva l’insegna in alto, semicircolare, in evidenza; sì, era l’insegna della sua scuola media. Quella scuola che condivideva con Masato, ovviamente un istituto d’élite, nel quale era entrato grazie al suo nome, piuttosto che per la sua condotta o per i suoi meriti scolastici.
 
Oh, ma lui si impegnava. Si impegnava enormemente, in qualsiasi attività svolgesse: studio, ricorrenze familiari, incontri con personaggi emergenti dell’alta società; eppure, sembrava sforzarsi enormemente per far intendere il contrario.
Chiunque avesse parlato di lui, l’avrebbe indicato come Jinguuji, il “ragazzo ribelle” di quella famiglia d’imprenditori rivaleggiante con gli Hijirikawa. E lui era ben lungi dal smentire queste affermazioni.
Semplicemente, né l’opinione pubblica, né tantomeno l’opinione di suo padre lo interessavano minimamente. Considerava già il fatto di tagliare i legami con i suoi parenti, non appena ne avesse avuta la possibilità.
 
Tutta quella forza di volontà era necessaria a perpetuare un solo scopo: raggiungere lui.
Masato, che era sempre un passo avanti a lui in tutto. Non sembrava neanche doversi applicare in ciò che faceva: come se tutto gli risultasse infinitamente semplice e spontaneo, come se si trattasse di una realtà già insita nella sua natura.
E Ren voleva raggiungerlo.
Non l’avrebbe mai ammesso, mai: troppo era l’orgoglio che gli riempiva il petto. O forse, beh, forse si trattava soltanto di quell’inspiegabile batticuore che gli impediva di esprimersi come avrebbe voluto. Di fargli capire che in ogni momento, in ogni minuto che trascorreva dentro quella scuola, l’avrebbe voluto per  sé soltanto.
 
Invece eccolo lì: Masato, nell’aula di musica a suonare il pianoforte con tutta la sua passione, con il suo innato talento che lo rendeva incredibile agli occhi di tutti gli studenti che lo attorniavano.
Anche ai suoi occhi.
E lui? Lui se ne stava in cortile: seduto su un ramo di un grosso albero, lasciando correre le dita lungo i tasti del sassofono e soffiandovi per suonarlo al meglio, per far sì che quel suono si udisse oltre ogni altro commento e raggiungesse il suo orecchio.
La sua musica doveva essere più forte di qualunque altro suono avesse mai sentito.
Avrebbe dovuto rompere ogni barriera, solo per gridarlo al mondo: per urlare quelle parole. Lui appartiene a me.
Il suo tesoro più prezioso, che non avrebbe condiviso con nessuno, ma che tutti  sembravano possedere al suo posto. Non gli bastava guardarlo da lontano, il suo unico anelito era recuperare il loro antico rapporto. Ascoltami. Loro due, poi il resto del mondo. E ben presto, quel suo desiderio di raggiungerlo si trasformò, agli occhi di tutti, in una tacita competizione.
 
Riesci a sentirlo? Senti il battito del mio cuore?
 
Non ci volle molto a visualizzare quel momento.
Il cancello, la scuola: già, quel giorno stava aspettando. Doveva passare George, il suo maggiordomo, a prenderlo con la limousine per scortarlo presso un ricevimento dato da alcuni amici di suo padre.
Un’altra noiosa giornata che avrebbe preferito passare con qualcun altro, piuttosto che a sorridere cordialmente ad un branco di sconosciuti sciacalli, che non avrebbero esitato un istante a divorarlo se non fosse stato con suo padre.
Ma, da qualche tempo a quella parte, quell’assurda rivalità montata sui suoi gesti male interpretati aveva portato Masato sempre più lontano da lui. Il compagno non riusciva a cogliere la sfumatura leggera nascosta nei suoi gesti.
Il velato sentimento nascosto in ogni bizarro metodo escogitato per attirare la sua attenzione.
 
Sempre più raramente si concedevano dei pomeriggi insieme o si incontravano al di fuori degli orari scolastici anche solo per parlare qualche minuto.
La famiglia Hijirikawa sembrava esercitare pressioni sempre più gravose sull’erede più responsabile, mentre i Jinguuji erano sempre più indirizzati a fare di Ren una perfetta presentazione per gli sponsor dell’azienda.
E così, il loro rapporto si era ridotto a uno scambio di sguardi, di cenni, di frasi sfuggevoli. Persino il biondino aveva cominciato ad entrare nel ruolo del provocatore, ad abituarsi a quella sorta di conflittualità che credeva potesse permettergli di trasmettere un messaggio.
 
Riesci a sentirlo?
 
Poi, quella ragazza. Si era avvicinata con un sorriso gentile, i suoi boccoli castani che le scendevano morbidamente lungo le spalle. « Jin…Jinguuji-senpai? » mormorò, con voce candida e limpida, affatto fastidiosa ma, addirittura, melodiosa.
Magari un’ennesima, giovane ammiratrice, pronta a domandargli un appuntamento.
Quando Ren la vide, impiegò poco più di un secondo a ricollegare il suo volto ad un nome, riconoscendola. Himawari Kinomoto. La giovane figlia di un altro imprenditore affine alla sua famiglia. Aveva avuto modo di incontrarla durante un evento di marketing indetto da suo padre e, continuamente, a scuola, a parlare con Masato, ad ascoltarlo suonare, a farsi aiutare da lui nello svolgere esercizi complessi.
S’irrigidì d’improvviso.
L’aveva visto. Lo sguardo che Masato le aveva rivolto.
Uno sguardo pericolosamente gentile, caldo. Quegli occhi blu e profondi, che ormai non erano più interessati a lui. Perché non guardi me…?
 «Uhm?» mormorò appena, voltandosi verso la ragazza. In un’altra occasione, si sarebbe presentato con garbo e palesando uno sguardo seduttore che pareva fare grande scalpore tra le sue coetanee, ma no, non con quella giovane. Lei esibì ancora quel sorriso innocente, pieno di gentilezza, che lo metteva a disagio. Come un senso di fastidio che non sapeva spiegarsi.
Si scostò una ciocca di capelli dal viso, scrutandola dalla sua alta angolazione.
«Jinguuji-senpai… hai qualche minuto da dedicarmi? Non ti disturberò più, promesso!» esclamò, squillante, in un cinguettio degno di un canarino. Ren annuì brevemente, stirando le labbra fine in un sorriso sfacciato. «Purchè tu sia breve; vado di fretta, dolcezza.» rispose, seccamente. Mentiva, Himawari doveva averlo intuito, ma il suo interesse per la sua reazione rasentava lo zero. Probabilmente, non avrebbe neanche prestato attenzione alle sue parole. Avrebbe finto di capire, poi si sarebbe congedato in fretta. George l’avrebbe raggiunto altrove.
Himawari si dilungò in alcune formule di cortesia che al giovane giunsero come un eco distante. Si perse completamente nella prima parte del discorso rivoltogli, mentre annuiva fingendo coinvolgimento. I suoi pensieri erano rivolti a tutt’altro.
Non si spiegava il motivo di quel suo comportamento, né tantomeno tentava di comprendersi. Faceva tutto parte di un lato istintivo del suo essere.
«Tu sei molto amico di Hijirikawa, non è vero?». Ren raddrizzò la schiena di colpo, come colpito da un pugno, per poi lasciar cadere la schiena sulla cancellata che decise di sfruttare come sostegno. Sollevo il capo, per squadrare la giovane dall’alto di quell’angolazione.
Già semplicemente il fatto che l’avesse intuito, andava fuori dal comune. Tutti li avevano sempre considerati rivali, mai più di questo.
«Sì, diciamo di sì.» tagliò corto, scrollando le spalle salde. Masato faceva parte di un intero universo che non doveva riguardarla in alcun modo.
Come una rosa profumata e meravigliosa, coperta da una campana di vetro.
Non gli interessava quanto avrebbe dovuto sporcarsi le mani, per difenderla.
L’unico, il solo, vero cavaliere.
 
Dalle dita affusolate della ragazza fece capolino una busta di carta, da recapitare a qualcuno. «Potresti… Potresti portare questo invito a Hijirikawa da parte mia?» Ren non riuscì a nascondere una certa sorpresa in quelle parole «Ho provato a parlargliene di persona, ma sono troppo insicura per farlo… e so che tu hai la possibilità di incontrarlo.». Il volto dai lineamenti morbidi le si nascondeva tra le ciocche castane, mentre gli consegnava la lettera con le mani tremanti. Ren la prese.
Respirò a fondo, passando lo sguardo tra la carta e la bella giovane. Non rispose. Non riusciva a dire nulla. In lui si era accesa una scintilla che lo stava rapidamente consumando. Un presagio inaccettabile.
Poi, raccolse il coraggio di fare qualcosa.                                     
«Non accetterà.» affermò, con un’espressione sfacciata «Non accetterà, non ha tempo per queste cose. E ti farà soffrire.».
Himawari inarcò un sopracciglio, in un sussulto. «Q-questo… dovrebbe deciderlo lui, non trovi?» rispose, stizzita.
 
Decidere.
 
Quelle parole. Quelle parole gli avevano appena suggerito la soluzione al problema.
La sua rosa blu doveva essere protetta, non importava a quale costo.
Himawari era sul punto di aggiungere qualcosa, quando George sopraggiunse, alla guida della limousine bianca. «Certo, senz’altro.» commentò, scrollando le spalle, per poi sfiorarle il mento con l’indice della mano libera, quasi in una carezza «Allora ci vediamo, little lamb.». Sorrise, mentre si faceva scortare alla macchina e vi entrava, producendo un suono sordo nel richiudere la portiera.
 
«Accelera, George.».
 Osservò la ragazza allontanarsi, chiusa nelle spalle, come confusa dal comportamento a cui aveva assistito. Le scoccò un’occhiata fugace e penetrante, prima di essere troppo lontano per scorgerla ancora.
Poi, la sua attenzione si posò sulla lettera. Prese un respiro profondo, ne afferrò i due lembi e… strap. Il danno era fatto. In pochi secondi, l’aveva completamente ridotta in minuscoli brandelli, tanto da renderla impossibile da ricomporre. Non aveva avuto neanche interesse nel leggerla, il suo unico desiderio era stato sbarazzarsene.
Abbassò il finestrino e gettò i pezzetti di carta in strada, liberandoli in una danza che avrebbe destinato un importante messaggio a non essere mai recapitato.
Appartiene a me.

_________________________________________________________________________________________________________

Note dell'autrice ~

Eccoci qui ancora una volta! Anzitutto, spero che il mio secondo capitolo  vi sia piaciuto (e chiedo venia per aver impiegato tanto tempo a postare, ma sono impegnata con la maturità, comprendetemi!). Ho fatto di tutto per risultare meno piatta possibile, ma necessitavo almeno di un altro capitolo per introdurre il punto di vista di Ren. Comunque, l'ultima parte ho cercato di renderla un po' più movimentata. I prossimi capitoli dovrebbero essere meno riflessivi e più incentrati sull'azione, ma da brava autrice non vi anticipo nulla u.u
Spero di essere stata chiara nell'intrecciare il presente coi ricordi, comunque da qui in poi dovrei riuscire a rendere flashback meno confusi xD E magari ad essere più breve x°
Detto ciò, recensite e ditemi cosa ne pensate ;) Grazie per aver letto e al prossimo capitolo! (speriamo di finirlo presto x°°)

River ~

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Uta no Prince-sama / Vai alla pagina dell'autore: but honestly