Anime & Manga > Uta no Prince-sama
Segui la storia  |       
Autore: but honestly    28/03/2013    2 recensioni
«Diventa chi vuoi, studia quello che vuoi: noi saremo amici, al di là di tutto questo.» lo sguardo di Ren si fece improvvisamente più sicuro «Per sempre, giuralo!». Questa è la richiesta che un Ren Jinguuji di 11 anni rivolge al giovane erede degli Hijirikawa. Ma, dopo il debutto degli STARISH nel mondo della musica, l'affascinante biondo sembra improvvisamente perdere interesse per il gruppo, distaccandosene apparentemente senza ragione. Cosa lo spinge a questa fuga immotivata? Il filo rosso del loro destino, logorato dalle pressioni familiari e dai contrasti di rivalità, terrà stretti i cuori dei due ragazzi o finirà con lo spezzarsi?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Masato Hijirikawa, Ren Jinguuji
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

«Ehi, Masa! Guarda qua!». Masato si voltò di scatto, udendo nel bel mezzo della festa una voce familiare chiamarlo per nome. Eccolo, sì, lo vide: scorgeva distintamente la sua chioma bionda sbucare dalla tovaglia del tavolo accanto, fortunatamente ancora vuoto, mentre gli faceva cenno di avvicinarsi. Ren, sei il solito stupido! Pensò, passandosi la piccola mano sui lineamenti morbidi che costituivano il suo viso di bambino. Aveva dieci anni.
Si guardò intorno. I genitori erano troppo occupati nelle loro conversazioni concernenti affari e frivolezze per curarsi di lui. Con un gesto goffo, ma studiato, si lasciò scivolare di mano la forchetta di proposito, che cadde appena sotto la sedia, con un tintinnio vivace. Nessuno vi fece caso. Le diede un  calcio, facendola scivolare sotto il suo tavolo, all’oscuro della tovaglia. Quindi, a sua volta, si chinò per recuperarla e colse l’occasione per gattonare verso l’amico, a pochi metri di distanza. Quando lo raggiunse, nulla potè salvare il giovane e spavaldo Ren da un rimprovero: «Sei impazzito!? Cosa ti dice il cervello?» esclamò, pur mantenendo il tono di voce ad una tonalità bassa, affinché nessuno li scoprisse (accortezza cui il biondino, al contrario, non aveva pensato). «Se ci scoprono, mia madre mi chiuderà in casa a vita! Te ne rendi conto?» lo guardò dritto negli occhi di un celeste chiaro e limpido, ma la sua espressione noncurante e, anzi, perfino vagamente divertita, gli suggeriva che il compagno non doveva aver recepito il concetto. «Allora!?» lo esortò ad esprimersi, spazientito, mentre il volto gli si coloriva di un rossore lieve. Ren tirò un sospiro, sistemandosi con la mano una ciocca di capelli biondi e spettinati che gli solleticava la fronte. «Sei troppo agitato,» considerò, annuendo con convinzione a conferma delle sue stesse parole «dovresti rilassarti di più, come faccio io.». L’espressione di indecifrabile irritazione che assunse il compagno a quelle parole fu una risposta  più che sufficiente a provocargli una grossa risata. «Stai zitto, imbecille!» lo rimproverò ancora Masato, portandosi l’indice alla bocca ed imponendogli di abbassare il tono della voce «Che c’è di importante?».
Ren sfoggiò ancora il suo solito sorrisetto, sfacciato al punto che il giovane lo avrebbe volentieri schiaffeggiato, se non fosse  stato docile per natura. Già, in qualche modo, gliela faceva sempre passare liscia. Solo allora  notò che aveva una mano nella tasca anteriore destra dei pantaloni, alla ricerca di qualcosa. Quando l’ebbe trovata, assunse un’espressione vittoriosa. «Dammi la mano.» ordinò, senza troppi complimenti, quindi il compagno obbedì senza riflettere. Il ragazzino dalla chioma dorata, allora, gli lasciò cadere qualcosa tra le dita; Masato guardò, curioso. Un intreccio di fili rossi, piuttosto semplice, neanche troppo bello a vedersi, ma evidentemente realizzato a mano con impegno. «Che ne pensi?» domandò l’evidente autore, con un sorriso trionfante, ma il destinatario del regalo si trovò spiazzato nel dover dare immediatamente una risposta e rimase interdetto  per qualche istante. «Che roba è?» domandò, infine, ponendo fine ad ogni suo dubbio, ma innescando anche un  senso di desolazione nel compagno, che fino a quel momento era rimasto in trepidante attesa di un verdetto positivo e che fu obbligato a realizzare quanto male fosse riuscito il suo lavoro. «Idiota, è un braccialetto!» spiegò, assumendo un’espressione di sufficienza che sfumava sempre più nell’offesa, mentre l’altro s’irrigidì di colpo «Ne ho fatto uno uguale anche per me.».
Masato passò più volte  lo sguardo tra il piccolo oggetto e il volto imbarazzato del compagno (che cercava invano di nascondersi dietro la frangia, non abbastanza lunga da coprirlo) senza darsi una spiegazione precisa. Cercava il colore intenso dei suoi occhi, mentre lui pareva sfuggirgli, eludendo ogni suo tentativo di leggergli dentro. Forse non aveva ben  chiara la divisione tra i due operata dalla rivalità delle loro famiglie? Non avrebbero più potuto vedersi per molto, molto tempo.
Non rispose. Non sapeva cosa dire.
«Non voglio che ti dimentichi di me.» esordì allora il biondo, pronto a spiegarsi come sempre «Non mi interessano i pareri di mio padre e neanche il tuo futuro come capofamiglia.»; Masato inarcò un sopracciglio, ma continuò ad ascoltare ignorando la propria perplessità «Diventa chi vuoi, studia quello che vuoi: noi saremo amici, al di là di tutto questo.» lo sguardo di Ren si fece improvvisamente più sicuro «Per sempre, giuralo!».
Dagli occhi azzurri, appena coperti dalla  frangia blu, il giovane lanciò al compagno un’occhiata interrogativa. Il suo tono aveva assunto quella serietà improvvisa che, in lui, non aveva mai notato. Sentiva la sua forza impetuosa travolgerlo d’improvviso, senza che potesse reagire. Cosa significa tutto questo?
«Giurare cosa?»
«Che non lo dimenticherai. Io lo giuro, su questo bracciale, lo giuro! Fallo anche tu.»
Masato sorrise brevemente, un sorriso spontaneo e pieno di vita.
«Lo giuro.»
 
Il ticchettare ritmico della lancetta dei secondi, su quell’orologio tondo, bianco, anonimo, appeso alla parete di fondo dello studio di registrazione. Continuava ad avanzare, nel suo inesorabile incedere ritmico: si muoveva, si fermava, si muoveva ancora. Gli occhi brillanti, come due zaffiri incastonati nel suo viso incredibilmente candido, erano puntati su quell’immagine da più di un’ora, senza che quel piccolo, forse inutile orologio potesse risolvere il problema. Si morse appena il labbro inferiore, trattenendolo tra i denti e quasi graffiandosi, poi si scostò dalla fronte una ciocca di capelli blu notte, mentre essi emanavano un riflesso pallido della luce elettrica nella sala. «Non verrà,» concluse Syo, appoggiando la schiena al muro e calandosi il cappello sugli occhi celesti «lo sapevo! Come al solito, è inaffidabile!». Masato si voltò appena in sua direzione, le braccia conserte, le pupille vibranti contornate dalle iridi azzurre e limpide che si alternavano tra la figura del biondino e quella di  Otoya, che già si avvicinava al compagno alterato per cercare di placarlo. «Avrà avuto un contrattempo, non essere così severo con lui… avanti.» cercò di giustificare il compagno assente, attraverso delle parole alle quali lui stesso pareva credere poco. Masato lo aveva compreso perfettamente con l’aiuto di un solo sguardo, non appena era riuscito a incrociare il suo con quello del ragazzo dalla chioma vermiglia; si erano scambiati delle occhiate cariche di significato, eppure indecifrabili: quasi si stessero esortando a vicenda a prendere una decisione, senza essere in grado di giungere ad una conclusione. Si morse ancora il labbro, stavolta  finchè non sentì la fitta di dolore che lo invitò a desistere con non troppa grazia. In verità, avrebbe potuto benissimo chiamarlo, aveva il suo numero memorizzato nella rubrica del telefono da parecchio. “Jinguuji”. Ma la possibilità di ricevere in risposta la solita scusa da parte del compagno di stanza lo affliggeva più che mai. Perché avrebbe mentito: sì, ne era perfettamente consapevole e, inspiegabilmente, questa era la parte  di tutto ciò che stava accadendo che gli causava più pensieri, più angoscia. Più timore.
Da quando gli Starish avevano cominciato ad essere un gruppo Idol di successo, Ren si era  allontanato sempre più dai suoi compagni. Inizialmente, non ci aveva fatto neanche caso: la loro separazione era cominciata molto prima del loro rincontro alla Saotome Gakuen, in maniera quasi forzata dai loro genitori. Certo, anche Masato si era adoperato con impegno al fine di inculcarsi in testa la decennale rivalità della sua famiglia, Hijirikawa, con quella dell’amico. L’amicizia era improbabile, se non impossibile… no?
«Jin… Jinguuji-san?» la voce delicata di Haruka sembrò ricondurre gentilmente il giovane idol dalla pelle lattea alla realtà. Sollevò il volto,  che nel frattempo si era chinato verso il basso, mentre era immerso nei suoi pensieri, senza che se ne rendesse conto. La ragazza aveva cominciato a preoccuparsi ed aveva deciso di effettuare un tentativo col proprio cellulare. Fortunatamente, Ren era stato abbastanza educato da rispondere ad una giovane amica, piuttosto che attaccarle il telefono in faccia: ma l’espressione che lentamente andava delineandosi sul suo viso andava ben lungi dal sollievo. Masato riconobbe la delusione negli occhi della compagna e tirò un sospiro profondo. «Capisco. Allora ci vediamo domani, alle prove.» fu l’ultima frase di quella conversazione telefonica; prima che Haruka fosse in grado di spiegare, tutti avevano già compreso quanto si era verificato. «Ohi!» tuonò Syo, ancora una volta, sbattendo con violenza il pugno contro la parete della stanza, alle sue spalle «Sono stufo di questo suo  atteggiamento! È la terza volta in due settimane!». Subito intervenne Natsuki, sistemandosi gli  occhiali sul naso e passandosi una mano tra i capelli: «A me non piace davvero avanzare polemiche…» si prese una pausa; Tokiya ebbe il tempo di voltarsi verso di lui, per guardarlo in volto, negli occhi verdi e chiarissimi. «Ma Syo ha ragione. Non possiamo concederci il lusso di rilassarci, non adesso che siamo in vetta. Il suo comportamento non è affatto professionale.» concluse il biondo, serio. La ragazza trattenne il respiro per qualche istante. Il volto di Shinomiya, privato  del suo sorriso entusiasta, non preannunciava nulla di buono.
Nello stesso momento, Masato si alzò in piedi. Lo sguardo basso, il volto inespressivo come sempre, la testa che gli si faceva pesante, al punto che pensava di non poterla più sostenere sulle spalle. «A questo punto, me ne torno a casa anch’io.» annuncia, avviandosi verso la porta, sotto gli occhi di tutti, «Non possiamo registrare se non siamo al completo.». Loro malgrado, anche gli altri componenti della band dovettero dargli ragione. Per sua fortuna, Natsuki trovò immediatamente  consolazione nello scattare qualche fotografia del volto del piccolo Syo, mentre esibiva un’espressione corrucciata. «Ohi, Natsuki, smettila!» fu l’ultima frase che Masato udì prima di uscire.
Mosse un passo dopo l’altro, lentamente, allontanandosi gradualmente dalla porta dello studio ed attraversando con lo sguardo basso il corridoio del piano di registrazione. La frangia scura gli solleticava la fronte e seguiva lentamente il movimento dei suoi passi, oscillando. Improvvisamente, avvertiva il bisogno impellente di aria fresca, di uscire dalle pareti chiuse che lo circondavano.
Accelerò il passo e raggiunse il terrazzo del quarto piano: con una piccola pressione esercitata sulla maniglia, riuscì ad aprire la porta e ad uscire. La pressione che sembrava opprimergli i polmoni ed impedirgli di respirare sparì di colpo; sospirò appena, passandosi una mano tra le ciocche blu e morbide, mentre rapidamente realizzava che, al contrario, quell’angoscia che l’assenza del compagno gli provocava non era svanita.
Non si era mai dissolta, neanche per un istante, da quando si erano separati da bambini.
Era rimasta al suo fianco come una compagna fedele, una sorella sciagurata ed una consapevolezza pesante da trascinarsi dietro a forza: qualcosa  alla quale si era  rassegnato da tempo. Schioccò le labbra tra loro, socchiuse gli occhi e inspirò profondamente: no, non era solo angoscia. Non era solo ansia a tamburellare nel suo cranio come un picchio impazzito.
C’era dell’altro; qualcosa che nessuno avrebbe potuto comprendere meglio di lui. Non si trattava di una frase, né di un’offesa che Ren gli aveva anche involontariamente rivolto. Era qualcosa di più sottile e meno percettibile, ma sicuramente di più tagliente.
Il suo sguardo. Sì, quello sguardo sfacciato, rilassato, ma allo stesso tempo nervoso e penetrante. Quegli occhi celesti e limpidi che indagavano nei suoi, ogni volta che i loro visi si scontravano. Che lo scrutavano come una preda da aggredire, ma, allo stesso tempo, come un completo estraneo al quale non si rivolge attenzione per disinteresse, al quale non si fa caso: distante, irraggiungibile, inarrestabile, quegli occhi significavano tutto questo.
Quegli occhi che lo accusavano e, senza alcuna compassione, lo giudicavano.
Perché Ren aveva saputo ribellarsi. Aveva sempre posseduto la faccia tosta di rispondere con un “no” secco ad ogni proposta che gli veniva fatta. Sempre. Con tutta probabilità, perfino l’accademia era stata un suo capriccio che i suoi genitori  avevano deciso di assecondare, vero?
Quello sguardo significava un rimprovero sincero e doloroso, carico di sdegno, ma privo di qualunque parola: era un castigo che il ragazzo aveva deciso di infliggergli dal momento in cui Masato era stato costretto a porre un termine alla loro amicizia.
Strinse i denti e i pugni, graffiandosi appena i palmi delle mani con le unghie. «Jinguuji…» sibilò, assottigliando lo sguardo verso il cielo appena visibile tra le fronde degli alberi che circondavano l’edificio. Se solo avesse saputo le responsabilità gravose che influivano nella sua vita di primogenito degli Hijirikawa, allora avrebbe compreso. Invece no: il biondino era l’ultimo della famiglia, il più giovane e, tutto sommato, i suoi compiti non aveva mai avuto la necessità di portarli a termine.
Così come ora stava abbandonato le prove per una presa di posizione priva di fondamento, allo stesso modo aveva adottato un comportamento estremamente irriverente nei suoi confronti. E non aveva ancora compreso quanto questo potesse ferirlo.
Per un istante, quel ricordo balenò nella sua mente in un lampo bianco ed intenso: quelle labbra sottili che balbettavano incerte qualcosa, mentre le sue mani si muovevano in un fremito sul suo corpo quasi cogliendo un frutto proibito.
Si raccolse nelle spalle, scuotendo il capo e scacciando via quel pensiero che pareva averlo turbato parecchio. Prese un profondo respiro, lo sguardo tremante che lentamente scendeva verso il tronco della grande quercia innanzi a lui.
«Al diavolo.» concluse, volgendo le spalle al robusto albero e a quella sorte infelice, che sentiva di non possedere la forza di cambiare. 

___________________________________________________________________________

Note dell'autrice ~
Wah! Non posso credere di aver pubblicato questa storia perchè, ad essere sincera, pur avendo ben chiara in mente lo svolgimento successivo della trama (a eccezioni delle idee che probabilmente mi verranno strada facendo) questo primo capitolo non mi soddisfa pienamente nella sua seconda parte. Spero di aver introdotto bene il rapporto che lega profondamente Ren e Masato in questa fic e di risultare un po' meno piatta nel prossimo capitolo!
Personalmente, sono molto legata a questa coppia e confido davvero in un buon risultato! Grazie mille per aver letto questo primo capitolo, ci vediamo nel prossimo ~

River

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Uta no Prince-sama / Vai alla pagina dell'autore: but honestly