Le
ombre si mescolavano l'un l'altra nel buio della camera; una leggera
brezza di Agosto faceva danzare le tende, creando nuove ombre grazie
alla luce dei lampioni che proveniva dalla finestra.
Katie
si svegliò, dolcemente, come se una voce l'avesse chiamata,
e
d'improvviso sentì che il sonno era scomparso. La sua mano
era
stretta in una mano più grande; un'altra, calda e sicura, le
cingeva
il fianco e lei sorrise, avvolta nel suo abbraccio. George,
tornato tardi dal lavoro, l'aveva stretta a sé mentre lei
dormiva;
stava dormendo
profondamente,
sdraiato di fianco, russando lievemente per la stanchezza.
Si
sporse e gli carezzò la guancia ruvida, facendolo mugolare
nel
sonno. Trattenendo una risatina Katie si girò, facendo
scivolare la
mano di lui dal fianco sulla pancia; le due mani intrecciate le
posò
sul cuore. Rimase immobile a guardare il soffitto della camera
trapunto di stelle di plastica Babbane, che rilucevano flebili grazie
alla magia: un suo capriccio, a cui George non aveva saputo opporsi.
Rimirò
la più grande scintillare, ricordando con affetto il momento
in cui
le avevano comprate.
Cinque
anni prima, ma come se fosse stato il giorno prima.
George
aveva perso un orecchio e lei lo aveva saputo una settimana dopo,
mentre tutti sembravano sapere come, dove, perché fosse
successo. A
lei non importava cosa gli altri sapessero, ricordava solo che non
appena aveva ricevuto la notizia, aveva lasciato che le provette di
pozioni le scivolassero dalle mani, frantumandosi al suolo, preda di
una paura bruciante, ed era corsa via.
Via
dal San Mungo, si era Materializzata a Diagon Alley davanti ai
“Tiri
Vispi Weasley”, il camice verde di apprendista Guaritrice
ancora
addosso, e aveva spalancato la porta con forza. Nel negozio
all'improvviso era sceso il gelo, le risatine dei clienti si erano
affievolite mentre tutti la fissavano, furente e scarmigliata,
incorniciata dalla porta. Aveva raggiunto il bancone, dietro il quale
un perplesso George Weasley la fissava attonito, un mezzo sorriso
perplesso sulla faccia.
“Cosa
diamine credi di fare?” gli aveva urlato contro nell'insolito
silenzio del negozio.
“Sto
vendendo Torroni Sanguinolenti” aveva risposto il ragazzo un
po'
spaventato, mostrando le scatole all'amica.
“Non
fare il furbo! Sto parlando del tuo orecchio! Hai forse cercato di
farti ammazzare?” aveva gridato lei puntando un dito verso la
sua
testa, furente. Perché George non aveva capito, non sapeva
quanto
lei fosse spaventata. E quanto male le facesse guardare quella
ferita, quanto l'avesse terrorizzata l'idea che potesse morire.
George
era trasalito e, lasciate le scatole sul bancone, aveva tirato via
Katie, trascinandola nel suo ufficio, dove aveva chiuso bene le tende
per non essere spiati.
“Cosa-Diavolo-Ti-Prende?”
aveva domandato una volta sicuro, scandendo le parole una a una, per
essere certo che lei cogliesse la sua rabbia. “Non sai che
non si
parla del mio orecchio? Se facessero domande o pettegolezzi, saremmo
nei guai!”
Katie
aveva sostenuto lo sguardo infuocato di George, decisa a non
desistere.
“Beh,
è tardi per quello! Come pensi che l'abbia saputo? Le teorie
della
tua ferita sono sulla bocca di tutti! Perché non mi hai
detto nulla?
Perché ho dovuto sapere una cosa del genere da degli
estranei?” lo
aveva investito risentita, ergendosi in tutta la sua altezza,
arrivando a malapena al suo mento.
“Per
non farti preoccupare. E perché non è una cosa
così grave come
pensi. I pettegolezzi spariranno presto, dato che non sono
morto”
aveva risposto lui, facendo spallucce, come se lei stesse reagendo in
maniera esagerata.
Katie
aveva continuato a fissare il lato della sua testa, notando la pelle
annerita e bruciata, provando dolore per quella ferita che sapeva non
potesse essere da niente come lui cercava di farle credere. Era
probabilmente opera di una magia proibita, di qualcosa di oscuro.
Perché George era entrato in contatto con quel tipo di
magia? In che
cosa era invischiato? Nel
clima di terrore in cui vivevano al tempo, ogni scenario le era parso
orribile.
“Come
hai perso quell'orecchio?” aveva incalzato ancora, sempre
più
arrabbiata.
“Non
posso dirtelo. Non è affar tuo.”
Dopo
averle risposto così freddamente, George le aveva girato le
spalle
di scatto, diretto verso la porta. La mano sulla maniglia si era
bloccata nel sentire un singhiozzo. Girandosi
l'aveva trovata in lacrime.
Katie
Bell, la cacciatrice formidabile, maschiaccio violento, il cinismo
fatto persona, donna di ghiaccio spezza cuori, che non aveva versato
una lacrima nemmeno quando Ron le aveva rotto il naso con la Pluffa,
che aveva affrontato una maledizione mortale, stava piangendo nel suo
ufficio senza ritegno. Era rimasto immobile a fissarla, senza sapere
che fare, molto più spaventato di quando lo aveva perso
davvero
quell'orecchio.
Quando
la ragazza aveva alzato gli occhi castani pieni di lacrime su di lui,
tuttavia, il suo sguardo era fiero.
“Sì
che è affar mio. Perché mi fa impazzire l'idea
che tu possa morire,
idiota. Perché ti amo. Non l'hai ancora capito, stupido
George
Weasley!” aveva urlato con tutta l'anima. Persino nel negozio
dovevano averla sentita.
Il
ragazzo si era pietrificato con il viso inespressivo, forse fulminato
dalla notizia. Erano sempre stati amici, solo amici. Era stata la sua
spalla, la sua migliore amica, quella con cui confidarsi e chiedere
consigli sulle ragazze. Katie
l'aveva guardato andare al ballo con Vivian, una ragazza del suo
anno; flirtare senza speranza con Alicia; cercare di attirare le
attenzioni di Janelle di Corvonero, e di chissà quante altre
ragazze
mentre era ormai fuori da Hogwarts, e mai, mai, aveva osato dirgli
cosa provasse realmente.
E
in quell'istante gliel'aveva gridato addosso, furiosa per la poca
fiducia che riponeva in lei, per il poco affetto che aveva per lei;
arrabbiata con sé stessa perché era ancora
innamorata di lui, dopo
tutto quel tempo; spaventata all'idea di perderlo.
George
si era riscosso, fissando le lacrime cadere sul parquet dell'ufficio.
“Tu
sei...tu mi...da quando?” aveva mormorato stupito.
“Da
sempre, idiota! Dal mio primo anno a Hogwarts, quando non eri che un
moccioso stupido che faceva scherzi stupidi agli altri, eppure
incredibilmente adorabile. Eri un idiota! Sei un idiota! Idiota,
idiota, stupidissimo Idiota” aveva ripetuto Katie, cercando
di
sfogare la frustrazione. Non voleva piangere davanti a lui e
più si
vergognava per averlo fatto, meno riusciva a fermare le lacrime;
ormai la diga dei sentimenti si era aperta e non poteva mettere un
freno.
George
le si era fatto vicino e l'aveva abbracciata, spiazzandola.
Perché
mai si era immaginata quel tipo di reazione, quando aveva
fantasticato di confessargli i suoi sentimenti.
“Sai
perché ti chiedevo consigli sulle ragazze?” le
aveva chiesto
tranquillamente mentre lei assaporava il calore di quell'abbraccio;
aveva scosso la testa, attonita.
“Per
farti ingelosire, sciocca! Perché mi piacevi, oh, se mi
piacevi, ma
eri un maschiaccio intrattabile, una scimmietta acida. Avevo gettato
la spugna, avevo perso ogni speranza di poterti far interessare a me,
o a qualsiasi essere umano. ”
Katie
aveva fatto una faccia semi offesa, poi erano scoppiati a ridere alla
definizione calzante, stretti l'uno all'altra, e non si erano
lasciati più.
Quella
stessa sera, a passeggio nella Londra Babbana, Katie aveva regalato a
George quelle stelle di plastica, chiedendogli di metterle sul
soffitto della sua stanza, per far sì che pensasse sempre a
lei. E
lui aveva riso, colpito dal gesto molto femminile.
Avevano
appeso una stella insieme per ogni momento speciale: la prima volta
che si erano baciati; il loro primo viaggio; il primo incontro con i
genitori; la prima volta che avevano fatto l'amore: una a una, le
stelle avevano invaso il soffitto della stanza, ricoprendolo d'amore.
E
la stella grande era la sua preferita, tra tutte: la stella della
prima volta in cui George le aveva detto 'ti amo'. Gliel'aveva
sussurrato all'orecchio, una sera, sotto un vero cielo stellato,
prendendola alla sprovvista, emozionandola fino alle lacrime,
facendola ubriacare di felicità.
Un
grugnito di George la riscosse dai ricordi e si girò a
guardarlo,
temendo che si fosse svegliato; dormiva beatamente, ma forse stava
sognando qualche nuovo progetto a cui stava lavorando, che non gli
dava tregua. Rimase a fissarlo nella penombra, assorta, cercando di
intravvedere la sua espressione nel sonno, quasi certa che
sorridesse, anche se stanco. Ogni
giorno George si impegnava duramente, mettendo tutta l'anima perfino
nelle più piccole cose, dando il 200%, anche per Fred.
Quando
il suo gemello era morto, quattro anni prima, George era quasi morto
con lui. Quel giorno, al termine della battaglia, Katie aveva
guardato l'amico giacere senza vita e l'uomo che amava desiderare di
raggiungerlo, distrutto in maniera profonda ed eterna. Quel giorno le
stelle sul soffitto avevano smesso di brillare e per molto tempo
erano rimaste spente. C'erano
voluti anni, amore e pazienza per recuperare George, che si era
sentito smarrito, dilaniato, vuoto; Katie era rimasta al suo fianco
ogni secondo, sopportando le sue crisi nervose, gli stati depressivi,
la sua apatia, senza mai vacillare. Gli aveva dimostrato il suo amore
e il suo appoggio, giorno per giorno, facendogli ricordare che c'era
ancora chi gli voleva bene e aveva bisogno di lui, finché
non era
ritornato a vivere, a sorridere, ad amare, a inventare i prodotti che
lui e Fred avevano pensato per divertire la gente.
Sospirando a quel ricordo doloroso, allungò la mano verso il comodino, in cerca della brocca dell'acqua, forse nel pensiero inconscio di far scendere il dolore giù insieme al liquido, ma la sua mano si chiuse su un foglio, che si accartocciò. Il suo cuore mancò un battito e allontanò in fretta la mano, come se scottasse; si era perfino dimenticata che fosse lì. Adesso capiva il suo sonno inquieto e leggero.
Tornò
a guardare il soffitto, col pensiero di quella lettera nella mente.
La lettera che l'Ospedale Magico di Ginevra, comunemente conosciuto
con il suo acronimo OMG, le aveva inviato quella mattina, in cui le
veniva offerto un prestigioso posto di lavoro come Guaritrice
responsabile al reparto 'lesioni della memoria da incantesimi,
maledizioni, malattie magiche e pozioni', grazie alla sua tesi che
rivelava come unire la magia ad alcuni ritrovati Babbani sortisse
delle graduali guarigioni in casi dichiarati senza speranza.
Tesi
con cui avrebbe finito la sua specializzazione in Malattie Magiche
della Mente al San Mungo, di lì a due mesi, coronamento di
un
faticoso percorso, fatto di duro lavoro, di prove e sperimentazione,
di nottate insonni a studiare e fare ricerche.
Il
lavoro era allettante, di prestigio, eppure ricevere quell'offerta
non le aveva dato alcuna gioia; l'idea di trasferirsi a Ginevra non
l'allettava, non le piaceva. Avrebbe dovuto separarsi da tutti i suoi
amici, da Leanne, dal Guaritore Fawley che per lei era come un padre,
da Londra, che amava da impazzire; avrebbe dovuto conoscere colleghi
nuovi, abitudini nuove, ambientarsi a ritmi lavorativi massacranti e
un po' ne era spaventata.
E
avrebbe dovuto allontanarsi da George, vederlo solo una volta al
mese, forse anche ogni due, dato che probabilmente avrebbe lavorato
moltissimo, ad orari assurdi. Non aveva paura che lui si stancasse di
aspettarla o che la tradisse mentre era lontana o che la lasciasse
per via della lontananza; aveva paura a vivere senza di lui, senza
parlargli ogni giorno, senza vederlo, abbracciarlo, baciarlo.
Perché
Katie sapeva già, senza alcun bisogno di provare per essere
certa,
che non poteva vivere senza George. Il
solo pensarlo le metteva l'ansia, dandole i brividi.
Tuttavia
non aveva ancora risposto, sapendo che sarebbe sembrata ingrata agli
occhi della comunità medica magica; stava prendendo tempo,
cercando
le parole più giuste e garbate per rifiutare.
Perché avrebbe
rifiutato, ne era certa. Nessun lavoro valeva la pena di stare
lontano da George.
“Perché
non dormi?” chiese la voce di lui nel buio, impastata dal
sonno,
facendola trasalire.
“Stavo
pensando” rispose Katie avvicinandosi, assaporandone il
profumo,
mentre il cuore accelerava i battiti, emozionato.
“A
cosa?” biascicò George, gli occhi aperti che
riflettevano il
bagliore delle stelline.
“A
noi. Non siamo straordinari?” replicò sorridendo,
mentre lui
starnutiva per colpa dei suoi capelli sul viso.
“Mhm,
tu sei passabile, io sono fantastico! Adesso ho sonno, ma domani
mattina ti darò la caccia, vedrai”
mugugnò facendola ridere.
George
tornò a stringere le mani attorno al suo corpo, amorevoli.
Era
lì che doveva stare, era li che voleva stare, stretta tra le
braccia
di George, a dormire mano nella mano.
Note:
Salve!
Sono
tornata con una Gatie, il mio otp. Per chi avesse letto l'altra
storia che ho scritto su questo pairing: non ha nulla a che fare con
quella. E' più come se fosse un altro universo rispetto a
quello, un
altro modo in cui i due si sono innamorati.
Questa
storia è stata scritta per un contest, purtroppo
è stata l'unica
storia a partecipare, perciò è stato
disdetto. Il
compito era di scegliere un album e di scrivere dei capitoli per ogni
canzone, usando il titolo della stessa. Io ho scelto
“Pipes&Flower”
di Elisa.
Spero
che vi piaccia!
^_____^
Mimì
Nick su efp: Mimiwitch
Nick su ffz: Mimiwitch
Titolo: Pipes&Flowers (Titolo dell'album da cui sono tratti i titoli)
Rating: Giallo
Genere: Sentimentale, drammatico
Personaggi e pairing: George Weasley, Katie Bell.
Avvertimenti: nessuno
Credits: Pipes&Flower, Elisa 1997, etichetta Sugar
Note dell'autore: “Sleeping in your hand” è doppia nel cd. Ne ho approfittato per aprire e chiudere la storia con la stessa canzone.
Introduzione: George e Katie sono fidanzati da molti anni e stanno compiendo quei passi necessari ad essere sempre più uniti. Ma una lettera e una richiesta si mettono sulla loro strada, cambiando i loro progetti.