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Autore: ValeA    24/04/2013    8 recensioni
Quattro mesi.
Oggi erano quattro mesi dalla morte di Cassie, la mia migliore amica.
Quattro mesi fa è iniziato il mio incubo, quell'incubo non ancora finito.
Sono viva, è vero. Ma l'essere viva è diverso dal vivere, io non vivo più. Sopravvivevo. La mia non la si può neanche più definire vita.
La gente mi crede pazza, crede che sia stata io ad uccidere Cassie. Crede che io l'abbia attirata in quella casa abbandonata solo per ucciderla, sicura che non l'avrebbe trovata nessuno.
Ma la gente parla senza sapere davvero come andarono le cose quella sera.
Jess e Vic hanno testimoniato che non fu mia l'iniziativa di inoltrarmi lì, che io la stavo solo accompagnando per non lasciarla da sola, ma chi davvero credeva a loro?
Pensavano che mi stessero coprendo, che fossero mie complici.
*Seguito della One-shot "Revenge".
Per comprendere meglio questa, è meglio dare prima un'occhiata a quell'altra ;)
ATTENZIONE: con questo mio scritto, pubblicato senza alcun scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere delle persone presenti, né di offenderle in alcun modo.
Ci tengo inoltre a precisare che i loro comportamenti non sono assolutamente da prendere come esempio.
Genere: Dark, Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Louis Tomlinson, Niall Horan, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Revenge'
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(1)  I'm not crazy.

Quattro mesi.
Oggi erano quattro mesi dalla morte di Cassie, la mia migliore amica.
Quattro mesi fa è iniziato il mio incubo, quell'incubo non ancora finito.
Sono viva, è vero. Ma l'essere viva è diverso dal vivere, io non vivo più. Sopravvivevo. La mia non la si può neanche più definire vita.
La gente mi crede pazza, crede che sia stata io ad uccidere Cassie. Crede che io l'abbia attirata in quella casa abbandonata solo per ucciderla, sicura che non l'avrebbe trovata nessuno.
Ma la gente parla senza sapere davvero come andarono le cose quella sera.
Jess e Vic hanno testimoniato che non fu mia l'iniziativa di inoltrarmi lì, che io la stavo solo accompagnando per non lasciarla da sola, ma chi davvero credeva a loro?
Pensavano che mi stessero coprendo, che fossero mie complici.
Anche loro non riuscivano ad accettare la morte di Cassie, era stato un brutto colpo per tutte. Tutte le volevamo bene.
In questi quattro mesi erano cambiate  molte cose.
Alcune volte Jessica e Victoria sembravano un po' spaventate da me come se potessi ucciderle da un momento all'altro, la gente a scuola mi evitava come la peste, i vicini di casa non facevano altro che mettere false voci in giro sul mio conto, i miei genitori non mi parlavano quasi più. Ero sola, abbandonata a me stessa.
L'unica persona che davvero mi ascoltava era una psicologa, i miei genitori non sapendo come comportarsi hanno preferito lasciarmi in mano di chi è competente più di loro. 
E l'unica persona che mi ascoltava, era l'unica persona con cui non volevo parlare. Io non sono pazza.
Non mi è mai piaciuto aprirmi alla gente sconosciuta, soprattutto se cerca di fare la simpatica con me per farsi andare a genio.
Erano le otto e un quarto, ero in ritardo per la scuola. Ma non mi interessava, non più.
Mi diressi al mio armadietto e presi i libri che mi servivano per le prime ore, la gente guardava, scrutava ogni mio movimento, parlava sottovoce con il vicino e non appena io alzavo lo sguardo, loro cambiavano argomento e si concentravano su altro. 
Ero diventata lo zimbello del liceo.
Tutti pensavano che io fossi un'assassina, tutti pensavano che avessi ucciso Cassie per invidia.
Ma di cosa dovevo essere invidiosa? Era la mia migliore amica, le volevo bene e non le avrei strappato nemmeno un capello biondo dalla sua testa.
Vidi Jess e Vic, mi salutarono con un cenno con la mano che io ricambiai subito dopo e prima che si avvicinassero, cambiai direzione. 
Le evitavo, lo facevo più che altro per loro. Non volevo che avessero anche loro il mio stesso trattamento dalla gente.
Glielo dovevo. Loro quella sera mi salvarono.
Avevano chiamato i soccorsi, erano preoccupate perchè nè io nè Cassie eravamo uscite da quella casa dopo un'ora e mezza.
Mi avevano trovato agonizzante sul pavimento vicino la porta, poco più distante di me Cassie, priva di vita. Di lui non c'era più nessuna traccia, era sparito.
Quando avevo raccontato tutto, i poliziotti che si occupavano del caso mi avevano presa per pazza.
Ma come potevano fare altrimenti?
Io, una ragazzina che raccontava di aver visto la sua migliore amica morire per mano di un fantasma e che stava perdendo lei stessa la vita sempre per colpa di quel fantasma. Chi poteva credermi?
Io stessa non credevo ai fantasmi prima di quel maledetto giorno.
Lui, Louis, mi aveva rovinato la vita. 
Non ero più tornata in quella casa ma nonostante tutto io vedevo Louis ovunque, in qualunque momento. Soprattutto la notte, compariva nei miei sogni rendendoli incubi. Finivo sempre per dormire poco, passavo la notte in bianco sempre per paura di rivederlo.
Arrivai davanti la porta del mia classe, afferrai la maniglia e l'abbassai con lentezza. 
Il professore alzò gli occhi dal libro che stava leggendo e sbuffò come ogni mattina. 
«Knight.» mi guardò con rimprovero. «La lezione è iniziata cinque minuti fa!» alzò di poco la voce, tutte le mattine la stessa storia. «Va' a sederti.» mi diressi verso il mio banco, isolato da tutti e da tutto. 
Nessuno voleva accanto a sè una pazza. 
«Non capisco cosa faccia la mattina da arrivare sempre in ritardo.» continuò a lamentarsi il professore, parlando piano.
«Forse premedita qualche nuovo omicidio.» commentò qualcuno, un' idiota.
Tutta la classe si mise a ridere per quella stupidaggine, di solito non reagivo, li lasciavo parlare e aspettavo che prima o poi la smettessero. 
«Magari sto organizzando proprio il tuo.» non so nemmeno io con quale coraggio lo dissi. Ero stufa di quella situazione, per quanto tempo ancora doveva andare avanti?
Almeno ero riuscita a distruggere il sorriso da quella faccia da idiota che si ritrova quel che dovrebbe essere un mio compagno di corso.
Vidi per un secondo Louis che mi sorrideva, chiusi gli occhi e mi voltai verso il professore sperando che nessuno avesse visto quel mio gesto improvviso.
«Che ne dite di continuare la lezione?» tutti finalmente tolsero lo sguardo verso di me concentrandosi sull'insegnante. 
Aprì una pagina a caso del mio libro e il professore continuò la sua spiegazione.
Speravo che suonasse al più presto, già ero arrivata al limite della sopportazione.
 
 
Finalmente suonò anche l'ultima campana che segnava la fine dell'ultima ora scolastica.
Tutti correvano verso l'uscita, vogliosi di tornare a casa il più presto possibile. Io feci tutto con calma, avrei evitato di andare a casa.
Non volevo vedere i miei genitori che pranzavo in silenzio non sapendo cosa dire, cosa fare e soprattutto vedere la loro espressione delusa. Sarei andata al cimitero a trovare Cassie, i miei non mi avrebbero detto niente se non fossi tornata.
Forse per loro era una liberazione non avermi tra i piedi, non dovevano far finta che andasse tutto bene.
«Alice.» sentì pronunciare il mio nome da qualcuno. 
Ero già al cancello, non mi voltai. Continuai per la mia strada. «Alice.» di nuovo.
Qualcuno mi mise una mano sulle spalle per richiamarmi, non potevo più far finta di non aver sentito. Quella stessa persona si mise davanti a me, era Jessica.
«Tutto bene?» domandò.
«Sì.» mentì. Non andava nulla bene, faceva tutto tremendamente schifo.
Mi abbracciò, senza preavviso mi trovai tra le sue braccia. Io ero ferma immobile, non ricambiai. «Io e Vic siamo preoccupate per te.» allontanai il mio viso dalla sua spalla, si notava benissimo che era sincera. 
«Non dovreste, io sto bene.» cercai di convincerla. Inutile, non mi credeva.
«No, non è vero.» mi contraddì. «Ti manca da morire, anche oggi che sono passati quattro mesi. Anche a noi manca, non immagini quanto e so che è differente perchè la gente crede che sia stata tu ma noi sappiamo che non è vero e...» la bloccai.
«Lo so, lo so.» sapevo che loro erano dalla mia parte ma loro non sapevano perchè le tenevo lontane, forse era anche meglio così.
«Non ci tenere lontane...» mi supplicò.
«No, Jess.» iniziai a rivestirmi con quella maschera da dura che non mi apparteneva. Io morivo dentro ogni giorno ma nessuno sembrava saperlo, nessuno mai si era fermato a chiedermi come mi fossi sentita in quei quattro mesi. «Io sto bene così.» mi allontanai senza aspettare che dicesse altro.
Lei non mi seguì. Apprezzavo questo di Jessica, ti lasciava i tuoi spazi.
Camminai per una buona mezz'ora e mi fermai non appena mi trovai proprio di fronte il cancello dell'immenso cimitero, entrai e feci lo stesso percorso di sempre.
La prima cosa che vidi fu l'enorme scritta incisa nella lapide 
"CASSANDRA LOUISE ROBERTS
 8 Luglio 1996 - 23 Febbraio 2013"
accanto a quella scritta c'era una sua foto. Era la sua preferita, gliel'avevo scattata io proprio quell'inverno.
Aveva un'espressione buffa e i suoi genitori avevano deciso di mettere proprio quella perchè rappresentava il suo carattere vivace e strambo.
«Ehi Cassie.» dissi salutandola. Mi poggiai sopra la sua lapide come ogni volta che andavo lì. «So di essere venuta in anticipo, di solito sono qui ogni venerdì dopo la scuola e oggi è mercoledì.» feci una breve pausa per non scoppiare a piangere da un momento all'altro. «Ma vedi, oggi è diverso. Sono passati quattro mesi da quel giorno...» le lacrime iniziarono a fuoriuscire dal mio viso. Era inutile qualsiasi tentativo di ricacciarle indietro. «Oggi ho parlato con Jess, mi ha chiesto come stavo e io ho mentito, ho detto che stavo bene. Non mi ha creduto, mi ha anche chiesto di non allontanare nè lei nè Vic.» dovetti rifermare il mio discorso di nuovo. «Non capiscono che è per il loro bene starmi alla larga, io ormai mi sono abituata a questo stato di solitudine...» anche se stare soli è una vera merda, avrei voluto aggiungere.
«Ti ricordi Jackson, quel biondino che mi piaceva tanto al primo anno? Avevi ragione tu, è un vero coglione.» non capisco neanche come mi sia potuto piacere. «Ha detto che stavo premeditando la morte di qualcuno, lo sai che di solito sto zitta e subisco in silenzio senza lamentarmi ma oggi non l'ho rette più le sue battuttine fuoriluogo del cazzo. Gli ho risposto.» dissi fiera di me nell'ultima frase. «Ho detto che magari era proprio la sua morte, è servito per zittirlo.» mi immaginavo lei in questo momento che mi avrebbe sorriso e mi avrebbe detto di essere fiera di me.
«Non capisco come la gente possa pensare che sia stata io ad ammazzarti. Tu mi conosci bene, lo sai che non sono capace neanche di uccidere uno scarafaggio. Ti ricordi?» dissi sorridendo a quel ricordo. «Tu eri la mia migliore amica, per sempre sarà così. Ce lo siamo promesse ad otto anni.» io mantengo le mie promesse ma lei no, lei aveva promesso che non mi avrebbe mai abbandonata e invece ora non c'era più.
«Non hai mantenuto la promessa.» le feci presente, appunto. «Hai detto che ci saresti stata sempre, soprattutto nel momento del bisogno ed adesso dove sei? Perchè io ho bisogno di te.» mi feci travolgere dalle mie lacrime che mi offuscarono la mia vista.
Guardai altrove per ricompormi almeno un po' dal mio stato pietoso, vidi un signore di circa settanta anni.
Stava sempre lì, si sedeva sulla lapide della moglie e iniziava a raccontarle quello che aveva fatto il giorno prima dopo essere tornato a casa. Ogni giorno lasciava alla moglie una rosa rossa e tre bianche.
Da alcuni veniva preso per pazzo perchè passava molto tempo al cimitero, io lo vedevo come una persona a cui mancava la propria moglie e che quello era l'unico modo per sentirla vicina, per aver un contatto con lei e per parlarle in un qualche modo.
Riportai la mia attenzione alla mia migliore amica che ora si trovava tre metri sotto terra per una stupida curiosità.
«Perchè mi hai abbandonata? Perchè?!» non era colpa sua, era stata uccisa ma lei era stata sempre quella più forte tra le due. Era più logico che ci fossi io al posto suo, anche se era brutto da dire.
Eravamo e siamo entrambe giovani per meritarci la morte così presto. «Io come faccio senza la mia migliore amica, adesso?» mi concentrai sulla sua foto, è impossibile che si perda la vita per mano di un pazzo che dovrebbe essere morto molti anni fa.
«Perchè quella sera volevi andare là? Perchè come tutte le ragazze della nostra età non ti stava bene vedere un film o chiacchierare tra di noi?» iniziai ad alzare la voce. «Perchè con l'inganno mi hai fatta andare là? Sapevi che non ti avrei lasciato sola. Cosa cercavi? Cosa volevi?» domandai come se potesse darmi risposta. «La tua non era semplice curiosità o prova di coraggio. TU CERCAVI QUALCOSA.» era la prima volta che le urlavo conto, non mi era mai successo di sfogarmi in questo modo. «Se tu non avessi avuto quella brillante idea di andare lì, tu in questo momento saresti a lezione di piano e non sotto strati di terra fredda.» ad ogni parola mi sentivo meglio, come se per troppo tempo avessi tenuto quel dolore solo per me. Ma era così. «Ed io ora sarei a studiare per il test di biologia di domani!» era liberatorio, aveva ragione la psicologa che mi seguiva. 
Esternare tutto quello che provavo poteva aiutarmi a sentirmi più libera, a togliermi un peso dallo stomaco. Ma prima di allora mi ero sempre rifiutata, ricordare mi faceva troppo male.
Mi guardai intorno, nessuno stava davvero rivolgendo l'attenzione verso di me. Ringraziavo che almeno lì si facessero gli affari propri.
Da lontano vidi una donna con un cappotto nero venire verso la mia direzione, i lunghi capelli biondi e ricci erano molto simili a quelli di Cassie, gli occhi azzurri erano coperti da un paio di occhiali neri. Cassie aveva gli occhi verdi, eredidati dal padre.
Accanto c'era un bambino di sette anni che teneva stretta la mano della donna, Malcolm. 
Quel bambino era la copia al maschile di Cassie, l'unica cosa diversa erano i suoi occhi azzurri come quelli della madre.
Tra le mani della donna c'era un bel mazzo di fiori, erano stati appena raccolti. Sicuramente nel gardino di casa Roberts, Cassie anche se non voleva ammetterlo amava prendersi cura delle piante. 
La donna appena mi vide mi sorrise, mi aveva detto che non ce l'aveva con me. Per me era molto importante che almeno lei, la madre di Cassie, non mi odiasse. 
Conosceva sua figlia, sapeva che era una tipa impulsiva che amava mettersi nei guai. Non mi riteneva responsabile ma anzi mi aveva detto che apprezzava il fatto che non l'avessi lasciata sola ma che ci fossi stata fino all'ultimo secondo per lei.
Ma lei non sapeva che io non l'avevo vista morire, che proprio in quel momento era sola. 
Non avevo avuto il coraggio di dirglielo, non ero abbastanza forte da parlare di quella sera. 
«Ciao Alice.» mi salutò non appena fu vicina.
«Buongiorno Louise.» il secondo nome di Cassie era proprio il nome di sua madre.
Malcolm mi salutò con un cenno con la mano che fece andare prima verso destra e poi verso sinistra. «Ciao piccolino.» dissi scompigliando i suoi capelli.  
In quel momento mi ricordai delle mie lacrime e cercai di asciugarle il più possibile ma ormai entrambi le avevano notate ma non avevano detto nulla a riguardo. Potevano capirmi come io potevo capire loro se avessero pianto.
«Meglio che vada.» dissi riprendendo lo zaino e rimettendolo sulle mie spalle. «Il mio turno inizia tra quindici minuti.» la donna non aggiunse altro, mi saluto con un cenno e lo stesso fece il bambino.
Mi allontanai con calma e vidi che il signore settantenne stava ancora lì a parlare con la sua amata defunta.
Mi piace pensare che alcuni amori saranno per sempre.
 
 
In poco tempo arrivai al bar dove lavoravo. In anticipo di due minuti, entrai e mi diressi al bancone mettendo il mio grembiule e salutando la donna alla cassa, Laura, la mia datrice di lavoro.
Non lavoravo di certo di mia spontanea volontà, ero stata obbligata.
Invece di scontare una pena in carcere, essendo minorenne, il giudice che si occupava del caso aveva deciso di concedermi il servizio sociale.
Lavoravo in quel bar di cui la proprietaria era la moglie del giudice, non ero l'unica impiegata in quella situazione.
Diceva che le faceva piacere accogliere "le cause recuperabili".
Salutai Chloe, una ragazza di vent'anni che lavorava lì da circa due anni, anche lei con la fedina penale macchiata.
Un'ex drogata e spacciatrice. L'avevano arrestata due anni prima, dopo averla trovata alla guida di un veicolo rubato sotto l'effetto di stupefacenti.
Presi un canovaccio e mi diressi ai tavoli per pulirli. Come ogni giorno.
Raccolsi anche dei bicchieri lasciati su di essi dai clienti e li portai in cucina per lavarli. Tutto sotto lo sguardo attento di Laura.
Li poggiai sul lavello ma uno mi cadde, spaccandosi in mille pezzi.
«Tutto bene, Alice?» mi chiese la proprietaria dall'altro lato del locale.
«Sì, non preoccuparti. Mi è caduto un bicchiere.» sapeva che di solito era attenta al mio lavoro e non mi sfuggiva mai nulla dalle mani ma sicuramente era a conoscenza che quel giorno era "particolare" e quindi non disse nulla, neanche di fare più attenzione.
Mi inginocchiai per raccogliere i cocci, li raccolsi con calma per non tagliarmi ma mi feci un piccolo taglio lo stesso.
Istintivamente feci scivolare dalle mie mani tutti i piccoli pezzi e portai sotto gli occhi quel taglietto. Era piccolo ma bruciava moltissimo.
Il dolore però non era equiparabile al mio stato d'animo di quel giorno.
Mi venne una malsana idea, forse aveva ragione la gente a pensare che fossi pazza. Lo stavo diventanto, giorno dopo giorno.
Presi un pezzo abbastanza tagliente per avvicinarlo al mio braccio, per inciderlo e far sgorgare il sangue sulla mia pelle lattea.
Magari provando il dolore fisico, non avrei pensato a quello psichico. Forse era un buon modo per distrarsi da tutti i problemi.
Stavo per farlo, avevo paura e mi avvicinai cautamente al mio braccio tremolante.
«Non lo fare.» feci sfuggire tutto dalle mie mani, mi vergognavo come una ladra per quello che stavo per compiere.
Nel frattempo non mi ero resa conto di star piangendo, di nuovo.
Prima non facevo altro che sorridere, ridevo forse più del normale e adesso piangevo, ogni giorno e quasi ad ogni ora.
Mi girai verso destra e verso sinistra per capire chi avesse parlato, chi mi avesse interrotto.
Non erano nè Chloe nè Laura. Finalmente vidi la persona che aveva pronunciato quelle parole, si trovava nell'angolo più buio della stanza.
«Non dovresti farti del male.» capì chi fosse non appena alzò gli occhi verso di me e si mostrò ai miei occhi. 
Quella voce, quegli occhi, quello sguardo. Louis.
«Perchè non dovrei?» domandai. 
Lui voleva vedermi soffrire, poteva anche uccidermi se l'avesse davvero voluto e mi chiedevo perchè non l'avesse fatto. Aveva sfiorato quasi sempre il mio cuore ma non lo aveva mai centrato con quel coltello. 
Perchè ora era venuto a "salvarmi" proprio quando non volevo essere "salvata"?
Io volevo davvero sentire quel pezzo di vetro sul mio corpo, il sangue fluire per tutto il braccio e volevo davvero che quello mi facesse pensare, anche solo per cinque minuti, ad altro.
«Perchè...» venne verso la mia direzione, un suo passo avanti era un mio passo indietro. «Solo io posso provocarti dolore.» soffiò vicino al mio orecchio. Ero intrappolata, il mio corpo era arrivato a poggiare sul muro.
«Perchè?» era una domanda vasta e avrebbe potuto darmi mille risposte «Perchè provi piacere a infastidirmi?» cercai di essere più sfecifica. «Perchè ti vedo ovunque?» continuai. «Perchè non mi lasci vivere tranquillamente?» tante domande e certa che non sarebbe arrivata neanche una risposta.
Rise, mi stava prendendo per i fondelli. Gli piaceva prendersi gioco di me e di ogni mia debolezza.
«Io e te non siamo tanto diversi.» si sbagliava, io non ero lui.
«Io non sono un'assassina.» incalzai arrabbiata. «Io non ho ucciso i MIEI amici.» 
Bastò poco per farlo arrabbiare, mi guardò minaccioso ma non fece nulla per avventarsi su di me. «Tutti credono che sia stata tu, ti credono una pazza che vede fantasmi.» e tutto questo era solo ed esclusivamente colpa sua. «La gente ti isola, non avrai una fine tanto diversa dalla mia.» non poteva mettere a paragone me e lui, erano due storie diverse.
«Ti sbagli.» lo contraddì. «Io non finirò per ammazzarmi.» non ne avevo nessuna intenzione e mi mancava anche il coraggio.
«Non è detto che lo faccia tu.» alle sue parole rabbrividì, era ovvio che intendesse che l'avrebbe fatto lui.
Cercai di convincermi che lui non esisteva, che era solo frutto della mia immaginazione, che in questo momento ero sola in quella cucina.
Lui non scompariva, lo continuavo a vedere di fronte a me. Prese una mia ciocca di capelli e la portò dietro l'orecchio, fece per farmi una carezza.
Non riuscivo ad essere disgustata, il suo tocco freddo non mi dava così tanto fastidio come avrebbe dovuto.
«Hai un bel visetto.» si complimentò con me, fece una smorfia compiaciuta e si stava avvicinando pericolosamente a me.
Essendo al muro, non avevo via di scampo. Il suo corpo mi bloccava ogni via di fuga.
Io non voglio un suo bacio, lui è l'assassino di Cassie. Lui mi stava rendendo la vita un inferno.
La direzione delle sue labbra cambiò arrivando alla mia fronte e vi lasciò un bacio. Il suo gesto era stato dolce, delicato come se non volesse rompermi in mille pezzi anche se le sue parole mostravano tutt'altro avendomi minacciato di uccidermi più di una volta.
«Alice, tutto bene?» entrò in cucina Laura. 
Louis era sparito, io mi trovavo appiccicata al muro e rivolsi la mia attenzione su di lei cercando di non far trasparire nessuna emozione ambigua ai suoi occhi. «Mi stavo chiedendo perchè non tornassi.»
«Ehm...» iniziai ma mi interruppi non appena notai la mia voce rotta dal pianto. «mi sono graffiata e stavo cercando un cerotto.» non ero credibile, il cerotto lo cercavo con la schiena poggiata al muro con il viso pieno di lacrime e un'espressione spaventata?
Capì che quella non era la verità. «Senti, se non vuoi lavorare oggi...» cercai di interrupperla.
«No, non è niente.» provai a convincerla, non volevo tornare a casa. Almeno non prima di stasera.
«Invece è meglio che tu vada...» era irremovibile con la sua decisione. «Va' a casa, ti farebbe bene un po' di riposo.»
Non avevo altra scelta, sarei dovuta ritornare. 
Tolsi il mio grembiule e lo rimisi al posto, presi il mio zaino della scuola e dopo aver salutato sia Chloe che Laura, mi allontanai dal bar.
Non avendo nessuna fretta, camminai lentamente e ogni tanto lanciavo uno sguardo a ciò che mi circondava.
Buttai un occhio anche sull'orologio per vedere l'ora. Le cinque. 
Il mio turno sarebbe dovuto finire alle sei e mezza, il mio appuntamento dalla psicologa era alle sette.
Avevo due ore libere a disposizione, ne avrei approfittato per studiare. 
Il tempo per farlo ormai era davvero poco, molto poco.
Mi trovai vicino ad un parco, mi passò per la mente di studiare lì. Era un posto tranquillo, non ci dovrebbe essere nessuno.
Mi sedetti nella panchina più lontana, di fronte a me c'era un piccolo stagnetto dove ci stavano due papere. 
Due bambine, una biondina e una castana, stavano cercando di dare il cibo ad esse. L'impresa era più difficile del previsto a causa della staccionata che impediva loro il diretto contatto con gli animali.
Alla mente mi tornarono ricordi di me e Cassie da bambine quando facevamo la stessa cosa. 
«Dai Ashlynn, tiraglielo.» disse la castana.
Quella bambina mi ricordava me, non sembravano tanto diverse e l'altra, per la sua infinita vivacità, rappresentava perfettamente la mia defunta migliore amica.
Mi lasciai trasportare dai ricordi e non mi accorsi subito che la biondina era caduta e si era fatta sicuramente male.
L'amica cercava di soccorerla, io mi alzai istintivamente per aiutarla.
«Ehi, ti sei fatta male?» domandai, si voltarono verso di me e scosse la testa. L'aiutai ad alzarsi e mi sorrise riconoscente.
«Grazie.» era dolcissima. Si ripulì il vestitino che indossava e le mani sporche di terriccio. «Stupide anatre.»
«Sei sicura di non esserti fatta male?» chiesi per accettarmi che stesse bene.
Lei annuì, l'amica si avvicinò di più verso noi. «Cade sempre, penso che non senta più dolore ormai.» quella castana era me in tutto, non solo fisicamente ma anche il suo modo di parlare era simile al mio quando avevo circa la sua età.
La biondina le fece segno di star zitta, neanche Cassie amava essere messa in imbarazzo.
«Sei bellissima.» si complimentarono con me. 
Era la seconda volta in un giorno che sentivo farmi un complimento e il primo non era di certo da una persona gradita nella mia vita.
«Anche voi lo siete.» stavo per allontanarmi e iniziare a studiare ma la biondina mi prese per mano per fermarmi. 
«Come ti chiami?» domandò ingenuamente, sicuramente non aveva capito chi sono, ormai tutti mi conoscevano. O forse erano ancora troppo piccole per sapere.
«Alice.» risposi semplicemente. «Voi?»
«Io Ashlynn e lei Charlotte.» fece le presentazioni la bambina bionda, era molto loquace.
Una donna venne verso di noi, sicuramente la madre di una delle due. Lo sguardo severo faceva da contrasto ai suoi lineamenti dolci, era magra e non molto alta. Penso che tra le due sia la madre della bambina castana, le somigliava abbastanza.
«Charlotte! Ashlynn!» le richiamò, loro le concessero la loro attenzione. «Quante volte vi ho detto di non parlare con gli sconosciuti?» le rimproverò. Charlotte diventò rossa in viso, sicuramente perchè aveva disubbidito alla madre mentre l'altra bambina non faceva trasparire neanche un po' di preoccupazione, come se niente la potesse scalfire.
«Ma lei mi ha aiutato.» rispose discolpandosi. «è stata molto gentile.» mi difese.
Non volevo che fossero rimproverate per colpa mia. «Forse è meglio che vada.» 
La donna mi guardò e la sua espressione sembrava che volesse dire "forse è meglio che tu lo faccia". Aveva capito chi fossi.
«Ciao piccole.» le salutai per educazione ma senza avvicinarmi più del dovuto, loro mi fecero un gesto con la mano e io tornai alla panchina dove ero prima.
«Non dovete più avvicinarvi a quella ragazza, chiaro?» sentì dire da quella donna. Inutile negare che ci rimasi davvero male.
La biondina, Ashlynn, chiese il motivo e la donna rispose con «é pericolosa.» 
Non avevo ucciso nessuno anche se tutti lo pensavano, mi facevo gli affari miei senza dar fastidio a nessuno, avevo aiutato una bambina perchè era caduta, cosa c'era di pericoloso in tutto questo?
Louis, è solamente tutta colpa sua.
Presi un libro a caso e iniziai a concentrarmi su quello che c'era scritto nella prima pagina. Magari avrei preso un voto decente dopo tanto tempo.
 
 
Erano le sette in punto.
Mi trovavo davanti la porta della dottoressa Richards e aspettavo che mi aprisse. Non si fece attendere molto, mi invitò ad entrare e io non me lo feci ripetere due volte.
Mi accomodai nel divanetto del suo immenso studio e lei si pose, come ogni volta, di fronte a me sulla sua poltrona.
«Come va?» domandò gentilmente. Ogni volta si interessava a come stessi, non si riferiva solo alla mia salute ma anche a come stessi psicologicamente, emotivamente.
«Cerco di tirare avanti.» solita risposta. «Lei?» chiesi per cortesia.
«Non mi lamento.» prese la sua cartellina e iniziò ad annotare qualcosa.
Appena finì, si mise più comoda posando tutto ciò che si ritrovava nelle mani in un tavolino posto tra di noi.
Mi misi comoda anche io, si prospettava una lunga ora.
«Di cosa vuoi parlare oggi?» capitava, proprio come oggi, che facesse scegliere me di cosa parlare.
Questi erano gli incontri che preferivo, potevo parlare solo di cosa volevo e omettere ciò che non volevo ricordare.
«Come lei ben sa, oggi sono passati quattro mesi dalla morte della mia migliore amica.» penso che fosse giusto informarla di cosa mi era successo oggi al cimitero. Lei annuì per farmi capire che se lo ricordava e mi invitò a continuare. «Oggi sono stata al cimitero e mi è successa una cosa strana...» si fece più attenta.
«Lei mi ha sempre consigliato di sfogarmi cosicchè mi sarei sentita più libera e io ho finalmente detto tutto quello che volevo dire a Cassie. Ho pianto e urlato ma non appena ho finito mi sentivo leggera, come se avessi tolto un macigno che mi attanagliava lo stomaco.» sorrise compiaciuta perchè avevo ascoltato il suo consiglio. 
«Ti senti in colpa per averlo fatto?» no, perchè dovrei?
«No, mi sento meglio.» riprese la sua cartellina e scrisse. 
Mi chiedevo cosa appuntasse su di me, ero sempre tentata di chiederle se mi credesse anche lei una pazza come tutti gli altri.
«Poi sono andata al bar, Laura mi ha mandato a casa prima vedendomi stravolta.» non potevo nascondere neanche quel particolare, se poi l'avesse saputo da qualcun altro? «Mi è successa una cosa strana.»
«Cosa?» non tolse neanche per un secondo gli occhi dal mio viso, voleva che mi confidassi ma soprattutto che mi fidassi.
«Ho rivisto Louis.» la vidi preoccuparsi. «Mi ha "salvata".» 
Ora, se prima non lo pensava, mi avrebbe preso per una povera pazza senza speranza.
Le avevo sempre descritto Louis come un fantasma cattivo che provava piacere a vedermi soffrire e che in vita aveva fatto molte stragi e non si era risparmiato neanche dopo e ora le stavo dicendo che mi aveva aiutata in un certo senso. 
Incoerente, ecco come apparivo ai suoi occhi.
«In che senso?» voleva che fossi più chiara per capirci qualcosa.
«Volevo tagliarmi.» ammisi colpevole. «Ma lui è comparso prima che lo facessi.»
«Perchè volevi farlo?» non penso sia molto difficile da capire.
«Non volevo pensare al dolore per la perdita di Cassie, ho pensato che se mi fossi concentrata su un altro dolore forse avrei sofferto di meno.» mi avrebbe fatta spedire in un ospedale psichiatrico, ne ero sicura.
«Non pensi che sia sbagliato pensarla così?» scossi la testa, in quel momento per me era più che giusto. «Continua...» mi invitò a proseguire con il mio discorso, evitava di fare commenti. Preferiva ascoltare cosa avevo da dire.
«Mi ha anche detto che non dovevo farmi male.» al ricordo di quel pomeriggio, le lacrime stavano per ritornare fuori. «Ha aggiunto che solo lui poteva farmi provare dolore.» la dottoressa Richards aprì così tanto gli occhi da farli quasi uscire fuori dalle orbite.
«E perchè dovrebbe?» cercò di ricomporsi.
«Vorrei saperlo anche io.» dopo quattro mesi non ero riuscita ancora a spiegarmelo. «Mi chiedo perchè...» lasciai la frase in sospeso ma la psicologa voleva che continuassi, leggevo curiosità nei suoi occhi. «Ha avuto l'occasione di uccidermi e non l'ha fatto, preferisce infastidirmi... mi chiedo cosa voglia da me.»
Mi guardò pensandoci un po' su. «Non è un consiglio che dovrei darti in questo caso ma forse se tu tornassi in quella casa...» stava davvero dicendo che dovevo andare nel luogo dove era avvenuto l'omicidio? «tutto quello che la tua mente ha voluto rimuovere, potrebbe ritornare a galla e magari capirci di più.» per mandarmi là evidentemente non credeva in Louis, pensava che fosse tutto frutto della mia immaginazione. «E se davvero incontri questo Louis...» mi rimangio tutto quello pensato prima. «Cerca di chiarire con lui, potrebbe anche sparire per sempre dalla tua vita se tutto si risolvesse, non lo vedresti più ovunque.» 
Non sapevo più cosa pensare, mi chiedevo solo se lei credesse nell'esistenza di questo Louis.
«Non esitare a chiamarmi quando lo farai, inserisci il mio numero nelle chiamate rapide e così se qualcosa non va per il verso giusto...» ero sicura che la persona che avesse bisogno di una buon strizzacervelli fosse lei. «Chiamami che verrò in tuo aiuto...» si era fumata il cervello, non c'era altra spiegazione.
Quale psicologa poteva dare certi consigli?
«I-io...» iniziai. «non penso che sia una buona idea.»
«Non devi farlo per forza adesso, quando te la sentirai...» annuì, ci avrei pensato un po' su.
Guardai l'orologio, mancavano quindici minuti alla fine di quell'incontro.
«Vuoi aggiungere altro?» potevo anche evitare di raccontarle dei commenti poco carini dei miei compagni, ormai cercavo anche io di non farci più caso. 
«Ho parlato con Jessica oggi.» la dottoressa Richards sapeva chi fossero Jessica e Victoria, all'inizio gliene parlavo sempre perchè voleva che le spiegassi che tipo di amicizia era la nostra. «Mi ha detto che manca da morire anche a loro e di non tenerle lontane e che mi vogliono bene sia lei che Vic.» in poche parole avevo riassunto quella breve conversazione.
«Dovresti ascoltarla.» mi suggerì. «Questi momenti sono più facili da superare se si ha qualcuno accanto, soprattutto un amico.» no, era fuori discussione. Loro più lontane mi stanno, meglio vivranno.
«Lo faccio per il loro bene, non sopporterei che Louis se la prendesse anche con loro.» e se le avrebbe uccise perchè erano per lui un intralcio? 
Non potevo reggere anche la loro morte, quella sarebbe stata davvero la mia fine.
La psicologa non sapeva cosa dire, sapeva che ero irremovibile dalla mia decisione.
«Va bene.» decretò infine. «Con i tuoi genitori come va?» quello per me era un argomento tabù.
«Sono arrivata alla conclusione che mi odiano.» 
«Perchè lo pensi?» lei aveva avuto modo di parlare con loro ogni tanto ma non mi aveva mai detto di cosa avevano parlato.
«Vivo lì con loro ma è come se non esistessi.» non venivo mai interppellata, cercavano di non parlare o discutere davanti a me. Addirittura una volta avevo sentito mio padre dire che ero una vergogna per la sua reputazione, mia madre cercava di calmarlo perchè era fuori di sè ed io non ero neanche riuscita ad intervenire per difendermi.
Ogni tanto li sentivo litigare e appena arrivavo nella loro stessa stanza, ritornavano la famigliola felice e silenziosa.
«Loro ti vogliono bene.» che me lo dimostrassero! 
Nessuna carezza, nessun abbraccio, nulla da parte loro in questi mesi.
Ed io avevo solo bisogno che loro mi stessero vicini per farmi sapere che per me c'erano, che mi sostenevano e che soprattutto MI CREDEVANO.
«Per loro è difficile perchè non sanno come comportarsi.» neanche per me è facile ma cerco di provarci giorno dopo giorno.
Cerco di andare avanti, cerco di sopravvivere ad ogni insulto, ad ogni battutina cattiva, ad ogni sguardo spaventato o inorridito, ad ogni cosa che mi potesse ferire.
«Credono che per me è semplice?» lei scosse la testa, voleva correggersi.
«Non dico questo...» e allora cosa? Perchè io non ci stavo capendo più niente. «loro non vogliono vederti soffrire e non sanno cosa fare. Aiutali tu.» e come dovevo fare? Forse riusciva a leggere nel pensiero perchè mi rispose qualche secondo dopo. «Digli che vuoi che ti stiano accanto e loro lo faranno, sei la loro unica figlia e darebbero la vita per te. Sono le parole usate da loro quando li ho incontrati.» il problema è che io avevo molta paura di deluderli.
«Si è fatto tardi...» mi alzai dal divano.
«Sì.» disse dopo aver dato un'occhiata all'orologio. «Ti do un passaggio a casa.» 
«No, nessun problema. Torno a casa a piedi.» così avevo molto più tempo per pensare a cosa fare.
«é tardi ed è stato una giornata intensa per te, il minimo che puoi fare è accettare.» aveva ragione, oggi non avevo fatto altro che camminare per andare da un luogo che si trovava sempre all'opposto dell'altro. Ero stanca e mi erano successe tante cose.
«Ok, grazie.» 
 
 
Il viaggio in macchina era stato tranquillo, nessuno delle due aveva parlato di ciò che si era discusso nel suo studio.
Gli argomenti trattati erano scuola, musica, film... argomenti trattati superficialmente.
Inserì la chiave nella toppa della porta e appena la serratura scattò, scostai la porta verso l'interno ed entrai.
Feci un profondo respiro per prepararmi a un'altra cena silenziosa.
Sentì delle voci provenire dalla cucina, sentivo pronunciare il mio nome. Era ovvio che riguardasse me.
Mi era passata anche la voglia di cenare, sarei andata direttamente a dormire.
Le loro parole si bloccarono a metà discorso, forse avevano sentito il mio arrivo e subito dopo infatti mi trovai mia madre all'ingresso.
«La cena è quasi pronta.» mi informò, erano quelle le uniche parole che sentivo da lei. 
Mi informava del pranzo o della cena, rare volte altre frasi venivano fuori dalla sua bocca.
«Non dovete litigare per colpa mia.» mi stupì anche io delle mie parole. Non era proprio quello che volevo dire. «Comunque non ho fame, vado direttamente a dormire.»
Anche lei stupita delle mie parole, incapace di dirmi altro annuì. 
Mi diressi verso le scale per andare al piano superiore e stendermi nel letto di casa mia.
Appena mi trovai sulla soglia della porta, presi il mio zaino e lo lanciai più lontano da me. Tolsi le mie converse rovinate col passare del tempo e con un calciò le direzionai verso il letto. Non avevo neanche la voglia di togliermi gli indumenti di quel giorno per mettermi il pigiama, mi coricai vestita e cercai di prendere sono il più presto possibile.





Note dell'autrice:
Sono ritornata con questa storia e sono stata anche di parola, è mercoledì :D
Come avevo già detto. ho deciso di farla a più capitoli ma saranno pochi, il prossimo lo aggiornerò la prossima settimana prima di partire in gita (Non si può immaginare quando aspetto questo momento *-*) ma questo a voi non interessa di sicuro, quindi questo è il capitolo e che ne dite di lasciarmi una piccola-piccola recensione?
Anche per capire dove sbaglio e come posso migliorarmi.
Poi volevo fare anche una domandina, qualcuno si immaginava che Cassie non fosse morta?
Bene, questo è tutto e alla prossima!


 
Un bacione!
 Valentina <3
  
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