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Autore: SonLinaChan    13/11/2007    2 recensioni
Alla morte del sovrano di Elmekia, i due eredi al trono ingaggiano una lotta per la conquista del potere. Lina e Gourry si trovano loro malgrado sul terreno di battaglia, in missione per conto della città di Sailarg, ma decisi a rifuggire ogni coinvolgimento nella guerra. Ma basta poco perché una battaglia estranea si trasformi in una questione molto personale...
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Davvero una giornata gradevole, no

Ecco un nuovo capitolo. ^^ So che non è particolarmente denso di avvenimenti, ma sto preparando un po’ il terreno per l’azione principale. Ringrazio chi ha letto e commentato il precedente, spero che avrete la pazienza di continuare! (comunque, Daydreamer, non preoccuparti, il romanticismo arriverà…XD -> SonLinaChan sventola la sua bandiera Lina/Gourry) Buona lettura! ^^

“Davvero una giornata gradevole, no?”

Sospirai. Il cielo, azzurro cupo, si stagliava all’orizzonte contro una superficie di terra spoglia e giallastra. Le solitarie macchie di vegetazione si piegavano sotto la gelida frusta del vento, che fischiava minaccioso, sollevando alte nubi di polvere. La mia gola ardeva, e i miei occhi lacrimavano in modo incessante, irritati dalle particelle di terra.

Non era esattamente una giornata ‘gradevole’.

Lina reggeva con una mano le redini del cavallo, con l’altra il cappuccio della veste, che continuava a ricaderle sulle spalle a causa del vento. Gli spessi guanti di lana grezza parevano insufficienti a ripararle le dita, e mia moglie continuava a strofinarle al di sotto delle ampie maniche del mantello ogni volta che una tregua alla violenza del vento gliene offriva la possibilità. Ciò che normalmente la avrebbe innervosita, tuttavia, quella mattina non sembrava turbarla. Lina continuava a spronare la nostra cavalcatura, sorridendo e canticchiando vagamente fra sé.

“A volte mi spaventi un po’.” Borbottai. “Ti amo, ma mi spaventi un po’.”

“Che ci posso fare se le mie capacità di previsione sono così meravigliosamente superiori alla norma?” Replicò mia moglie, in tono allegro. “Non posso credere di avere ottenuto tutto quel cibo per nulla. E ho anche riavuto la mia gemma! ♥”

Sospirai, nuovamente. Dopo una settimana di viaggio, i miei timori si erano avverati. Dopo aver scrutato i nostri movimenti con più attenzione del necessario per giorni, gli uomini che avevano accettato di trasportarci sino a Talit avevano cercato di sorprenderci nel sonno. Inutile dire che quello che se la era cavata meglio avrebbe avuto problemi a riconoscersi allo specchio per diverse settimane… e che mia moglie aveva voluto uscirne con in mano il suo piccolo trofeo di vittoria. Tuttavia, per quanto tutto fosse nella norma, non avrei mai creduto di vedere Lina tanto felice di avere fra le mani casse e casse di carne e frutta essiccate, legumi e pesce sotto sale. “Credo che basteranno due giorni perché quel cibo ci disgusti…” Lanciai un’occhiata poco convinta all’interno del carro, e distolsi lo sguardo, infastidito dall’odore.

“Oh, smettila di fare la principessina, in fondo è il principio che conta!” Gli occhi di Lina si illuminarono per un momento. “Questo è il vero spirito del mercante!”

“La principessina…?” Potei solo mugugnare. Mi guardai bene dall’osservare che più che un comportamento da mercanti il nostro era stato un comportamento da briganti. Lo spirito critico tende ad essere confuso, dopo aver visto in volto diversi uomini agonizzanti.

“Il fatto è che la gente è così prevedibile…” Proseguì Lina, ignorandomi. “Voglio dire, prendi il capo carovaniere… come poteva sperare nella fiducia del prossimo un tizio con un sorriso del genere? Con quei capelli unti, e con una fascia nera sull’occhio? Pareva gridare, ‘Ehi, sono qui e voglio rapinarti’!”

Soppressi un sorriso. Mai giudicare dalle apparenze, eh?

Scossi la testa, e le presi le briglie dalle mani. “Da’ qua.” Strattonai per sbaglio i finimenti, ed il cavallo, un pezzato di uno smorto color crema che fino a quel momento non aveva mostrato grande tolleranza, nitrì, infastidito. Lina mi rivolse un’occhiata perplessa, ma io mi limitai a sorriderle. “E’ il mio turno.” Spiegai. Lina mi sorrise a sua volta, e ritrasse le dita. Soffiò sui guanti, in una vana ricerca di calore.

Scrutai l’orizzonte, e non potei evitare un nuovo sospiro. Quel paesaggio sembrava non cambiare mai. “Sei certa di sapere dove stiamo andando, vero?” Le avevo rivolto quella domanda decine di volte. Era la stessa sensazione che avevo provato quelli che sembravano mille anni prima, viaggiando verso la guerra. La sensazione di non muovermi, di non andare da nessuna parte. Ora che ci pensavo, la steppa non mi piaceva per niente.

Lina emise un sospiro esasperato. “Te l’ho già detto, Gourry, l’ho chiesto al carovaniere mentre tu legavi i suoi compagni, e lui mi ha detto di puntare sempre a sud. Ti assicuro che non era motivato a mentirmi…”

Io levai le sopracciglia. “Glielo hai ‘chiesto’? Gentilmente e con un sorriso sulle labbra, suppongo…?” Stavolta ero io a non riuscire a mascherare l’ironia della mia voce.

Lina mi rivolse un mezzo sorriso. “Devo ricordarti che ti avrebbe volentieri tagliato la gola?”

Scossi la testa, rassegnato.

“Hai già pensato a cosa fare una volta arrivati a Talit?” Chiesi, tanto per distogliere l’attenzione dal paesaggio. “Credi che Enron o come si chiama concederà udienza?”

“Eriol.” Mi corresse mia moglie, automaticamente. “Suppongo gli convenga ascoltare chi gli chiede udienza, se vuole raccogliere alleati.”

Mi grattai la guancia, perplesso. “Sempre che ne abbia bisogno.” Non ricordavo i dettagli del discorso di Sylphiel, ma mi pareva di capire che fosse l’uomo che avremmo incontrato a godere di una posizione di forza, nella guerra imminente.

“Nuove braccia per combattere fanno sempre comodo.” Lina sbadigliò. “E comunque, se vuoi saperlo, ho intenzione di consegnargli la missiva e di filarmela il prima possibile. Non ho alcuna voglia di trovarmi a viaggiare nel mezzo di una guerra.” Si stiracchiò, e si levò per ritirarsi nel più riparato spazio fra le cortine tirate del carro.

Io sorrisi. “Lina Inverse che evita i guai. Questo sarà un giorno da ricordare negli annali.”

Mia moglie mi rivolse un’occhiataccia. “Ah, ah. Guarda che io i guai non me li cerco, mi capitano e basta.”

Avrei avuto qualcosa da obiettare, a riguardo. E lo avrei fatto, l’ironia ancora una volta aperta nella mia voce. Ma quando feci per parlare, la frase mi morì in gola.

Qualcosa all’orizzonte aveva attirato la mia attenzione. Le mie labbra tremarono per un momento, e mi parve quasi di avvertire il mio volto impallidire.

Lina sembrò accorgersene, perché levò lo sguardo, seguendo la direzione dei miei occhi. “Che c’è?” Domandò, vagamente. Per qualche istante fissò semplicemente la nuvola di polvere che schermava il paesaggio, senza capire. Ma prima ancora che io potessi rispondere, le sue labbra si schiusero, e i suoi occhi si spalancarono. “Che diavolo…?”

Mia moglie non poté terminare. Improvvisamente, quella che pareva una raffica di vento innaturalmente violenta scosse il carro, che si inclinò e si raddrizzò nuovamente con violenza, facendola crollare a gambe all’aria. Il cavallo si impennò e prese a nitrire furiosamente, mentre io tiravo disperatamente le redini, per fermarlo, evitando che prendesse a correre senza controllo.

“Che cosa…?” Lina si sollevò a sedere, reggendosi il cappuccio, e fissando esterrefatta il cielo. “Che cos’era quel coso???”

La bestia nell’aria virò e percorse nuovamente in picchiata il cielo sopra di noi. Ci sorvolò a quota talmente bassa che rischiò di scoperchiare il carro con gli artigli.

La mano di Lina strinse convulsamente il mio braccio. “Un drago nero!” Sibilò, rispondendo alla sua stessa domanda.

La bestia prese a disegnare rapidi cerchi nell’aria, dando l’impressione di voler atterrare. Lina si alzò nuovamente in piedi, e mi parve quasi di avvertire l’attività convulsa della sua mente mentre cercava di decidere come difendersi. Avrei dovuto aiutarla, forse. Ma in quel momento non potevo pensare proprio a nulla.

“Lina! Dammi una mano!” Il cavallo sembrava impazzito per il terrore. Continuava a scalpitare e ad emettere folli nitriti, rischiando di sfuggire al mio controllo. Mi calai giù dal carro, e afferrai la briglia, cercando disperatamente di calmarlo.

Mia moglie parve rendersi conto solo in quel momento della mia lotta. In un balzo fu al mio fianco e posò una mano sul muso della bestia, recitando una sommessa cantilena. L’animale la fissò per un momento con occhi terrorizzati. Nitrì, sbuffò attraverso le narici dilatate, si dimenò come se avesse avuto intenzione di investirla. Quindi si bloccò, con innaturale rapidità. Rimase immobile, lo sguardo fisso, perso in qualche strana, diversa dimensione.

“Cosa…?”

“E’ una variante dello Sleeping.” Tagliò corto mia moglie, ed io non ebbi il tempo di domandare altro. Il drago aveva spiegato le sue grandi ali, e si era abbassato nel cielo, pronto ad atterrare di fronte a noi. Istintivamente, mi posi di fronte a Lina, e sguainai la spada. Lina stessa aveva fatto fabbricare per me quell’arma magica alla Gilda di Zephilia, in occasione delle nostre nozze, ed ormai anch’essa aveva - nel suo piccolo- una sua storia gloriosa. Si era dimostrata efficace con creature dalla pelle piuttosto resistente, compresa una lumaca gigante dalla corazza squamata (un incontro che meriterebbe una descrizione a sé, posso assicurarlo). Tuttavia, parve cogliermi solo in quel momento l’inquietante consapevolezza che non la avevo mai testata contro un drago nero…

La bestia posò le zampe al suolo, sollevando una montagna di polvere, ed emise uno spaventoso ruggito. Io indietreggiai di un passo e col braccio libero dalla spada mi schermai dalle particelle di terra impazzite, mentre i miei occhi prendevano a bruciare in modo terrificante.

In quelle condizioni, non potei accorgermi immediatamente di ciò che si nascondeva fra le squame del drago. Quando la polvere prese a depositarsi, tuttavia, mi resi conto che, avvolto da un’armatura di scaglie nere, arrampicato sulla sella color mogano che pesava sul possente dorso della creatura, si ergeva un uomo. Il suo elmo scuro riluceva nel freddo sole invernale, con la stessa sfumatura metallica della schiena del drago. Sembrava un tutt’uno con la bestia che cavalcava. “Sir Gabriev.” Chinò la testa in segno di saluto, e rimosse l’elmo. Doveva avere non più di quarant’anni. Folti e crespi ricci di un biondo pallido, senza alcuna striatura di castano, si accompagnavano ad una pelle così chiara da apparire trasparente. Una ampia cicatrice gli solcava la guancia destra. Ma nonostante questo, nonostante i lineamenti duri, i primi segni dell’età sulla fronte, la mascella vagamente squadrata, quel pallore, tanto in contrasto con l’oscurità che pareva inghiottire la sua figura, gli conferiva una strana, peculiare eleganza.

“Sir Gabriev, vi stavo cercando. Speravo che steste seguendo questa rotta.”

‘Sir Gabriev’?

“Ho un messaggio urgente per voi. Mi dispiace se la mia apparizione improvvisa vi ha spaventato.”

Feci per aprire bocca e chiedere spiegazioni, ma non ne ebbi il tempo. Qualcosa di incandescente ed incredibilmente rapido sfrecciò vicino al mio orecchio, in direzione del cavaliere misterioso, facendomi sobbalzare. Il drago ruggì, scostandosi, ma la freccia di fuoco non lo avrebbe comunque colpito. Atterrò a diversi metri dalla creatura, sulla terra arida.

Era quello che Lina chiamava ‘colpo di avvertimento’.

Mi volsi. Sul volto di mia moglie era dipinta un’espressione di puro furore.

“Che diavolo vi salta in mente???” Lina scattò, i pugni serrati ed il volto livido. “Vi pare il caso di piombare addosso alla gente con un drago??? UN DRAGO!!! Potevamo finire disarcionati!!!”

Il cavaliere si accigliò. Con un movimento agile, scese dalla schiena della sua cavalcatura, e la blandì con un cenno della mano. La creatura sbuffò, ma l’ostilità che avevo avvertito irradiare da essa fino ad un istante prima si placò. Si attorcigliò su se stessa, e si stese al suolo, continuando a fissarci con i suoi penetranti occhi gialli.

L’uomo tornò a rivolgerci la sua attenzione. Il suo sguardo si soffermò deliberatamente su mia moglie, e vi lessi una complessa commistione di sentimenti. Timore, diffidenza, uniti ad una vaga punta di disprezzo.

“Credevo che una persona in grado di fare tale sfoggio di arte magica non potesse temere un drago.” Il suo tono di voce era freddo, ma tutt’altro che neutro. Il sarcasmo traspariva chiaramente dalle sue parole.

Lina doveva essersene accorta, perché le sue labbra ora erano una linea sottile. Scelsi di intervenire, prima che l’ostilità repressa degenerasse in qualcosa di peggio. “Chi siete?” Chiesi, mantenendo piatto il mio tono di voce. “E come ci avete trovato? Nessuno sapeva dove ci stavamo dirigendo, tranne i sacerdoti di Sailarg…”

Lina mi riservò una gomitata nel costato. Sapevo che cosa stava pensando. Se si trattava di un inviato della corte ufficiale, avevo rivelato qualche informazione di troppo. D’altra parte, per qualche motivo avevo l’impressione che quell’uomo conoscesse già su di noi tutto quello che c’era da sapere…

“Mi chiamo Bastian, Bastian della casata dei Vindicei, e servo il signore di Talit. Sono stato incaricato di scortarvi fino alla Perla. Vi verrà spiegata ogni cosa al vostro arrivo.”

“Scortarci?” Fu Lina a parlare. Notai che il suo sguardo vagava verso il drago, che la fissava con quieto interesse. Le sue pupille erano linee sottili, e i suoi occhi scintillavano nel riflesso delle sue scaglie. “Dal modo con cui ci siete venuti incontro, voi e questa creatura, avrebbe più l’aria di un sequestro.”

Il cavaliere la ignorò deliberatamente. “Questa strada attualmente non è sicura, per voi.” Si rivolse a me, con fare austero. “L’usurpatore sa che siete in viaggio verso Talit.”

Lina inarcò un sopracciglio, decisa a non mollare le redini della conversazione. “L’usurpatore? Mi risulta che proprio a Talit viva chi sta cercando di usurpare il trono.”

Il cavaliere le rivolse un’occhiata gelida. “Non discuterò con una maga della legittimità del potere del mio signore.” Il termine ‘maga’ doveva chiaramente suonare come un insulto.

Lina si accigliò ulteriormente. “Non mi interessa cosa farai o non farai, grand’uomo. E se anche il tuo ‘usurpatore’ in qualche imperscrutabile modo è venuto a sapere che stiamo viaggiando verso Talit, cosa di cui a quanto pare l’intero modo è ora a conoscenza, non vedo perché la cosa dovrebbe turbarmi. Io non c’entro nulla nei vostri stupidi giochi di potere.”

Il disprezzo del nostro interlocutore parve acuirsi. Quando parlò, dalle sue labbra si riversò la collera fredda di chi non ottiene l’obbedienza che gli spetterebbe di diritto. “Bene, allora potrai spiegarlo alle sue guardie, appena ti raggiungeranno, maga. Ma dubito che saranno così propense a ragionare con voi, considerando che c’è una taglia di mille monete d’oro sulle vostre teste.”

A quelle parole, sia Lina che io spalancammo gli occhi. Una taglia? UNA TAGLIA?

“Non escludo che siano già sulle vostre tracce. Dei guerrieri a cavallo si muovono molto più velocemente di un carro. Ve l’ho detto, non siete al sicuro qui. Giunti alla Perla saremo in grado di proteggervi.”

“Un momento!” La voce di mia moglie era alterata. Era segnata da quella punta di isteria che assumeva quando Lina avvertiva di stare perdendo il controllo. “Noi non abbiamo fatto nulla! Non siamo di questo regno, non vogliamo intrometterci nei suoi affari! Non hanno alcun diritto di…”

“Non è questione di diritti!” Il cavaliere aveva alzato la voce, ora. Il drago, alle sue spalle, sbuffò e batté la coda al suolo, infastidito. “Tu non capisci, maga, che è quell’uomo, attualmente, a decidere ciò che giusto e ciò che è sbagliato in questo regno! Ed è deciso a rimuovere dalla sua strada ogni ostacolo verso il potere! Non starà a sentire le vostre ragioni!”

“Ma noi non vogliamo ostacolarlo proprio in nulla!” Lina era esasperata. Ma per quanto ragionevoli, sentivo che i suoi argomenti non contavano. Il tono del cavaliere di fronte a noi era brutale, ma l’uomo non aveva l’aria di chi stesse mentendo.

“In ogni caso, siamo in grado di difenderci…” Azzardai. Il cavaliere parve ricordarsi solo in quel momento che anche io ero presente. Si ricompose, con eccezionale velocità, e quando replicò il suo tono di voce era tornato alla normalità. “Mi permetto di dissentire, Sir Gabriev. Quell’uomo sta… sta facendo ricorso alla magia…” Instillò tanto disprezzo in quella parola che per un momento mi stupii che Lina non lo avesse aggredito per quella semplice frase. “Una nostra squadra in ricognizione è stata spazzata via proprio su queste steppe, mio signore, da uno solo dei suoi maghi. Non lo si può sottovalutare.”

Lina ed io ci scambiammo un’altra occhiata. Un’intera squadra, da un solo mago. Samon doveva avere al suo servizio degli esperti di magia nera.

Mi accostai a mia moglie, inquieto. “Lina.” Sussurrai. “Forse faremmo bene a seguirlo. Quanto meno fino a quando non avremo capito che cosa sta succedendo…”

“No!” Sibilò mia moglie. “Non capisci? Non sappiamo se ci stia dicendo la verità! E a maggior ragione, se fosse vero, seguirlo ora sarebbe come affermare la nostra alleanza con Eriol! Io non voglio…”

Ma Lina non poté terminare. In quell’istante, il ruggito del drago si levò alto nell’aria. Ci volgemmo entrambi. La bestia si era sollevata sulle massicce zampe, e stava fiutando il vento. Dalle sue narici uscivano sbuffi di fumo.

Il cavaliere di fronte a noi si accigliò. Schioccò la lingua, richiamando l’attenzione del drago, e ne scrutò le pupille ridotte ad impercettibili fessure. La bestia batté ancora una volta la coda al suolo, inquieta. C’era qualcosa che non andava.

“Sono già qui.” Sibilò il cavaliere. Quindi, si volse verso di noi, con un tono autoritario che non ammetteva repliche. “Ho l’ordine di farvi arrivare sani e salvi a Talit. Lasciate perdere il carro. Montate su quel cavallo, e proseguite verso Sud, più velocemente che potete. A mezza giornata da qui troverete un nostro avamposto. Io nel frattempo cercherò di depistarli.”

Lina ed io ci fissammo. Cosa dovevamo fare? Seguire alla cieca le richieste di un uomo che non conoscevamo, o restare, per finire coinvolti in una battaglia con cui non desideravamo avere a che fare?

Gli occhi di mia moglie si strinsero, e la sua fronte si aggrottò. Quindi, con fare stizzito, prese a slegare il cavallo dai finimenti che lo tenevano fissato al carro. Feci per domandarle le sue intenzioni, ma la maga si limitò a rivolgermi un’occhiata che diceva chiaramente ‘a dopo le spiegazioni’. Le mie labbra si richiusero, così come si erano aperte.

Il cavaliere non attese di vederci obbedire. Si era già issato sulla schiena del drago, che con le ali spiegate si preparava a spiccare il volo. “Ricordate. Eriol garantisce tutta la propria protezione a chi lo sostiene.” Ci ammonì. Quindi ci volse le spalle, e con un balzò si levò nel freddo cielo invernale.

Lina finse semplicemente di non aver sentito. La osservai legare le nostre borse al dorso del cavallo, con un’ultima occhiata irritata al carro abbandonato.

“Lina…” Azzardai. La maga mi zittì semplicemente con un gesto.

“Per ora, andiamocene di qui.” Affermò. Io sospirai, ma non mi opposi. In effetti, era la cosa più saggia da fare.

Montai a cavallo dietro di lei, e afferrai le redini. Lina sussurrò qualcosa, forse un contro-incantesimo. La bestia parve ridestarsi. Un momento dopo, schizzavamo sul terreno secco e duro della steppa, muovendoci in direzione del sole.

“Che cosa credi significhi questa storia?” Gridai, quando fui ragionevolmente certo che mia moglie si fosse calmata a sufficienza per parlare.

Lina si appoggiò a me, sul cavallo. Anche attraverso le spesse vesti che ci separavano, mi parve di avvertire quanto il suo corpo fosse teso per l’irritazione. “Credo che qualcuno stia cercando di incastrarci per coinvolgerci in questa battaglia.” Sibilò. La sua voce era lontana. Sapevo che mentre mi parlava il suo cervello stava vagliando ogni ipotesi.

“Pensi che quell’uomo stesse mentendo per darci un motivo per sostenere Eriol?”

“Può essere.” Replicò, con freddezza. “Ma questo comunque non spiega come sapesse chi siamo, e come fosse a conoscenza del fatto che ci trovavamo qui.” Mi posò la mano sul braccio, ed io feci rallentare il cavallo, in risposta. Non spiegava nemmeno perché quell’uomo si rivolgesse a me con un titolo che non sentivo pronunciare da anni, pensai. Ma Lina nella rabbia pareva non essersi accorta della cosa, ed io decisi di lasciar perdere la questione, almeno per il momento. “Peraltro, non capisco perché dovrebbe desiderare un nostro coinvolgimento…” Proseguì mia moglie, ignara dei miei personali dubbi. “In più…” Tacque per un istante, come incerta su come porre la questione. “… un drago nero. Comandava un drago nero. Cosa può significare?”

“Eh?” Battei le palpebre. Sinceramente, non mi ero posto quel problema. Non era la cavalcatura più ortodossa del mondo, certo… ma da quando viaggiavo con Lina, avevo imparato a non stupirmi più di nulla. Ricordavo di quel monaco, Rezo o come si chiamava… anche lui era a capo delle creature più disparate, e la cosa non era mai parsa come una grande fonte di turbamento, per Lina…

Mia moglie scosse la testa, alla mia perplessità. “Non capisci, Gourry? Un drago nero non è un drago blu!”

Levai le sopracciglia, confuso. Bé, ok. QUESTO anche io potevo dirlo.

Lina emise un grugnito esasperato, rendendosi conto che non la stavo seguendo. “Gourryyyy…” Si volse sul dorso del cavallo, squadrandomi storto. “Intendo dire che i draghi blu non sono creature indipendenti. Se li addestri a dovere, puoi ottenere la loro fedeltà e la loro obbedienza, proprio come potresti fare con un cane.” In realtà, dubitavo che mi sarebbe piaciuto tenere un drago in giardino, ma mi guardai bene dal farlo notare a Lina in quel momento… “I draghi neri sono tutto un altro discorso, però! Sono creature intelligenti, e schive, ed è raro persino che vengano avvistati dagli uomini, figurati trattati come delle cavalcature!”

Io inclinai la testa, perplesso. “Però di fronte a quell’uomo non ti sei mostrata particolarmente stupita…”

“E dargli quella soddisfazione???” Lina strinse i denti per l’irritazione. “Quel grosso idiota non aspettava altro! ‘Ehi, sono un cavaliere, e guardate com’è grosso il mio drago’! Compensazione, ecco come si chiama!”

Tossii violentemente, per soffocare una risata.

“E comunque, per quanto ne so io, gli ultimi esemplari di drago nero vivono tutti insieme ai draghi dorati sui monti Kataart.” Lina proseguì, accigliandosi. “Mi chiedo se quello non sia un fuori casta, o qualcosa del genere. Si sa così poco sulla società dei draghi neri… c’è una infinita controversia fra gli studiosi riguardo al fatto che siano o meno in grado di assumere forma umana, tanto per cominciare… Sicuramente non si hanno testimonianze di trasformazioni da almeno due millenni, così come non ci sono resoconti attendibili di persone che li abbiano sentiti parlare in linguaggio umano…” Lina levò un dito nell’aria, con l’espressione acuta che assumeva quando era in procinto di impartire una lunga lezione di magia. “La mia professoressa di storia, a Zephilia, diceva sempre che gli antichi scritti a riguardo riflettono solo la stupida presunzione umana che creature nobili e antiche come i draghi neri possano desiderare assumere la nostra stessa forma… D’altra parte rimane il fatto che i loro remoti cugini, i draghi dorati, sono notoriamente dei muta-forma, e a mio modesto parere…”

“Ehm, Lina…” La interruppi. “… dubito che rispolverare millenni di storia della società dei draghi al momento risolva la nostra situazione…”

Sapevo che sarebbe volentieri andata avanti per un’ora buona, e normalmente sarei stato più che felice di lasciarla parlare (senza che ciò implicasse la mia attenzione…), ma in quel momento avevamo esigenze più pressanti. Stando a quanto ci aveva detto quel cavaliere, fra noi e Talit si interponeva un gruppo di uomini di Eriol, che ci stava aspettando. Quello era il momento di decidere se proseguire o tornare sui nostri passi.

Lina, alla mia intromissione, assunse un’aria vagamente delusa, ma non si irritò. Conclusi che, dopotutto, doveva essere giunta alla mia stessa conclusione. La mia testa sarebbe rimasta attaccata al collo ancora per un po’. “Suppongo che se decidiamo di proseguire verso Talit tanto valga mantenere la rotta e non cercare di aggirare gli uomini di Eriol. Dovremmo comunque affrontarlo, prima o poi, e in questo modo l’accesso alla città per noi sarebbe decisamente più semplice…”

“Magari se ci mostriamo pronti a collaborare Eriol prenderà in considerazione anche la lettera che stiamo portando…” Considerai, pensoso.

Lina si accigliò. “Non sono certa che sarei disposta a vendermi per Sailarg. Anche se non voglio pensare che Sylphiel c’entri in questa storia.”

Io levai le sopracciglia, colto di sorpresa da quella affermazione. “Sylphiel? Come potrebbe c’entrare Sylphiel?”

“Pensaci.” Replicò Lina, in tono pratico. “Non sono certa del motivo per cui Eriol dovrebbe avere bisogno di noi… ma supponiamo che sia solo perché necessita a sua volta di un esperto di magia nera, un’informazione che tutti potrebbero facilmente dedurre… o che comunque il fatto che ci stava cercando sia in qualche modo trapelato, e sia noto nelle varie città del regno. Cosa potrebbe essere più utile a Sailarg, per ottenere l’aiuto finanziario che le serve, che stringere accordi con lui, e farci arrivare direttamente nella sua roccaforte?”

Non seppi cosa rispondere. Avrei dovuto pensarci anch’io. Non ero uno sprovveduto, per quanto Lina dicesse che mi fidavo troppo delle persone. D’altra parte… come potevo anche solo concepire che Sylphiel ci stesse usando a quel modo?

Lina colse la mia espressione e mi sorrise, senza più traccia di irritazione. “Te l’ho detto, anch’io la penso come te.” Annuì. “Non posso pensare che Sylphiel c’entri qualcosa.” Avvertii le sue dita sulla mia mano, e per quanto gelide in quel momento mi parvero estremamente calde.

“Pensi che i sacerdoti di Sailarg abbiano agito alle sue spalle?”

Lina tornò alla serietà. “E’ un’ipotesi.” Si volse, scrutando la strada che si dipanava lentamente davanti a noi. “D’altra parte, questo potrebbe spiegare la taglia sulle nostre teste. Se anche Samon sa che Eriol ci sta cercando, non importa per lui conoscerne il motivo. Noi due siamo comunque una minaccia.” Si appoggiò lievemente a me, pensosa. “Anche se non sono certa che voglia ucciderci. Può essere che voglia semplicemente averci dalla sua parte, a sua volta.”

Rigirai le briglie fra le dita. Continuavo a non capire che valore potessimo avere noi due in una guerra come quella. “E quindi, cosa facciamo?” Domandai. La curiosità di scoprire di più si mescolava in me al desiderio irrazionale di andarmene, il più in fretta possibile.

Lina sembrava mossa da sentimenti simili. “Da un lato credo che la cosa migliore da fare sarebbe cercare di uscire dai confini di Elmekia senza essere coinvolti, e mettere quanti più chilometri possibile fra noi e tutta questa faccenda.” Dichiarò, pensosa. “D’altra parte, so perfettamente che se lo facessi continuerei per mesi ad avvertire il peso di qualcosa di lasciato incompiuto. Continuerei a chiedermi se non ci sia ancora qualcuno sulle mie tracce. Senza parlare della curiosità, che credo mi ucciderebbe.” Fece un breve sospiro, come rassegnata ai suoi stessi impulsi. Io sorrisi fra me.

“A parte questo, non è detto che sarebbe facile andarsene, non è così?” Aggiunsi. “Con draghi ed esperti di magia nera al seguito, potrebbero braccarci fino all’ultimo metro prima del confine.”

“Se non oltre.” Lina sbuffò. “Non so se hai presente quando siamo stati inseguiti dai cacciatori di taglie di mezzo mondo, per colpa di quel pazzo di Rezo.”

Sì, lo avevo presente. Non credo che avrei mai scordato quell’orribile vestito rosa e Bolan, non nei miei peggiori incubi.

“Suppongo che la cosa più saggia da fare sia raggiungere Eriol, e fargli capire chiaramente che non abbiamo intenzione di collaborare con lui.” Lina strinse il pugno, con un fare minaccioso che avrebbe spaventato anche il cacciatore di taglie più assetato di denaro.

“E se Eriol non accettasse un rifiuto?” Domandai, col sentore di conoscere la risposta.

“Bé, combatteremo.” Lina lo disse in tono leggero. Io sospirai.

Una vita tranquilla sarebbe stata una bella prospettiva per la vecchiaia, in fondo.

Se fossi arrivato alla vecchiaia.

Talit, con gli edifici bianchi e argento a cui doveva il suo soprannome, era una versione meno antica ed austera della città di Sailune. Ampia e vitale, aveva quell’aria di infinità possibilità che è propria di ogni città in via di sviluppo. Il pallore delle case e dei palazzi era scalfito solo laddove la salsedine ne aveva intaccato i muri. Ma il burrascoso mare invernale non scandiva il tempo unicamente con la sua azione distruttrice. Il suono incessante della risacca accompagnava il susseguirsi dei minuti, inesorabile, a mano a mano che le onde si infrangevano contro le alte scogliere su cui la città si ergeva. Quel pomeriggio, il candore delle mura si tingeva nel riverbero rosa pallido del sole calante, creando un alone diffuso che si levava a meridione, visibile in lontananza. Alle spalle del palazzo dei duchi, rese scure e minacciose dalla sera incombente, le imponenti catene montuose che da Elmekia si dipanavano verso il sud del continente prendevano forma in morbidi rilievi, erosi nei secoli dalla furia del mare. Mare e montagne, un connubio di difese naturali che spiegava la fama di inespugnabilità di cui quel luogo godeva nel regno.

Rimasi a fissare quel panorama maestoso, incantata. Era strano come dopo mille viaggi ci fossero ancora paesaggi in grado di accendere la mia immaginazione a quel modo. Probabilmente incidevano sulla mia percezione quelle due lunghe settimane di viaggio nel nulla. Negli ultimi giorni, ero arrivata a pensare che non avrei incontrato altro che terra arida per il resto dei miei giorni…

Gourry, al mio fianco, sonnecchiava appoggiato alla parete del carro. Avevamo deciso di darci il cambio, nel rimanere vigili, tanto per assicurarci che gli uomini di Eriol non tentassero qualche scherzo. In realtà, ormai cominciavo a sperare che facessero qualcosa. L’ultima settimana era stata di una noia mortale. Dopo un paio di giorni la pelle irritata delle mie gambe e la mia schiena indolenzita mi avevano impedito di continuare viaggiare a quel modo, per dieci ore al giorno, sul dorso del cavallo. Da quel momento, seduti sul carro insieme a selle ed armi, non avevamo fatto altro che dormire, mangiare e montare la guardia. Non potevamo nemmeno discutere liberamente fra noi, circondati come eravamo da profili minacciosi di soldati. Nessuno ci rivolgeva la parola, tutti parevano troppo impegnati a scrutare il nulla di fronte a loro in cerca della improbabile avanzata di una qualche armata nemica. Il risultato era che l’ansia era montata anche in me, cosa che trovavo estremamente irritante. Era difficile, in quello stato di tensione, continuare a convincere me stessa che gli affari di Elmekia non mi riguardavano.

Ad un sobbalzo del carro, Gourry aprì gli occhi di colpo. Avevamo intrapreso la salita che conduceva, in un tortuoso percorso sterrato, alle mura bianche della città. Le ruote del carro sollevavano sassi e polvere al loro passaggio, e lo stretto abitacolo oscillava pericolosamente ad ogni metro di avanzata.

“Buongiorno, raggio di sole.” Ridacchiai, al suo sguardo spaesato. “Non ci crederai, ma siamo quasi arrivati.”

Gourry mi sorrise, con fare sonnolento. “Non ero io a salutarti con quella frase, di solito?” Mugugnò, attirandomi a sé, e riservandomi un bacio in fronte. “Questo carro oscilla tremendamente.” Si lamentò. “Ti giuro che mi sono svegliato pensando di essere in mare.”

“Gradirei non rivedere il tuo pranzo di oggi sul mio mantello pulito.” Gli rivolsi un ghigno. Mentre mi abbracciava, notai il suo sguardo vagare verso il mare grigio che si intravedeva fra le cortine di tessuto grezzo, alle mie spalle. La Perla compariva e scompariva, seguendo il ritmo dei ripidi tornanti percorsi dal carro, lasciando a spazio a lontane visioni delle sconfinate lande che ci eravamo lasciati alle spalle.

“Non ero mai stato a Talit.” Commentò, dopo qualche istante, assorto. “Ma mio padre è venuto qui in visita. Fu quando il passato signore della città, il padre della regina di Elmekia, morì, e il fratello della regina venne nominato Duca dei Possedimenti del Sud. Ero ancora bambino, ma me lo ricordo bene. Mio padre faceva parte della scorta del sovrano di Elmekia, che si era recato qui con la moglie per il lutto, e, quando tornò, a casa mia se ne parlò per giorni interi. I cavalieri del suo seguito erano rimasti entusiasti di questa città, ed io me la immaginavo come una specie di paradiso in terra. Mi ripromisi di visitarla, un giorno, ma poi negli anni me ne sono dimenticato…”

“Non è una novità…” Sussurrai, malignamente. All’occhiataccia di Gourry scoppiai a ridere. “Se ti può consolare, anch’io avevo dimenticato per un momento che questo è anche il tuo regno.” Gourry si limitò a rivolgermi un mezzo sorriso, e non fece commenti. Io non insistei. Il discorso sulla sua famiglia lo avevamo chiuso, ormai da molti anni.

“Laggiù! Fatevi identificare!”

Una voce si levò, lontana, oltre la parete di assi alle spalle di Gourry. Mi scostai dall’abbraccio di mio marito e mi sporsi dalla cortina sul lato opposto per vedere cosa stesse succedendo, ma dal retro del carro potevo solo scorgere soldati e polvere. Il cavaliere biondo che ci aveva sorpresi, piombandoci addosso con un drago, ora era fermo, in sella ad un cavallo bianco. Nell’istante in cui il mio sguardo lo intercettò, levò un braccio a mo’ di silenzioso segnale, ed anche il nostro carro si arrestò.

Bastian dei Vindicei ci aveva raggiunti sul suo drago qualche ora dopo che avevamo incontrato l’avamposto di Eriol, una settimana prima. Doveva essere lui a capo delle truppe, perché solo allora, e solo al suo ordine, gli uomini del sovrano ribelle si erano decisi a rimettersi in viaggio verso Talit. Con mio scorno, il drago nero non ci aveva accompagnati. Era volato via prima della nostra partenza, impedendomi di vivacizzare la mia settimana cercando di scoprire qualcosa di più a suo riguardo. Da allora il cavaliere dai capelli biondi aveva sempre cavalcato a pochi metri dal carro, non risparmiandomi occhiate torve ogni volta che incrociavo il suo sguardo. Avrei giurato che mi stesse tenendo d’occhio.

“Sono Bastian, Rodrick. Abbiamo condotto con noi Sir Gabriev e la maga.”

“Bastian.” Giunse una voce in risposta. “Eccoti, per gli dei, quel dannato drago si è presentato qui da solo giorni fa!!! Io e te dovremo scambiare due paroline su come devi gestire quella bestia!!!”

“Non è il momento, Rodrick.” Intimò semplicemente il cavaliere, scuro in volto. Il suo interlocutore si zittì, e si avvertì un pesante cigolio di cardini, mentre i portali della città venivano aperti per noi.

Quasi simultaneamente, il carro si rimise in movimento. Io ritirai la testa, e tornai a sedermi, sbuffando.

“Ci siamo, eh?” Commentò Gourry, con la consueta, pacata noncuranza.

“Spero che il biondo là fuori non decida di mostrarsi troppo tronfio di fronte a Eriol per il fatto di averci condotti da lui.” Mi limitai ad osservare, acidamente. “Non mi sorride molto l’idea di essere la fonte di un suo successo.”

Gourry sorrise vagamente, ma non replicò nulla. Il carro proseguì ancora per diversi minuti, in una lieve salita, quindi altri portali vennero spalancati per noi, e la processione ancora una volta si arrestò. Una mano guantata separò le cortine all’ingresso del carro, facendo penetrare nell’abitacolo la luce ormai spenta del tramonto.

“Scendete.” Intimò la voce di Bastian, dura. “Fra poco incontrerete il legittimo sovrano di Elmekia.”

Avrei avuto qualcosa da dire riguardo a quel ‘legittimo’, ma per una volta mi morsi la lingua ed evitai di creare discussioni. Se gli dei lo volevano, quella sera avrei consegnato la missiva ad Eriol, e poi non avrei più dovuto vedere l’irritante faccia di Bastian per il resto dei miei giorni.

Gourry mi precedette fuori dal carro, e mi porse la mano per aiutarmi a scendere gli stretti gradini in legno, resi più impervi dall’oscurità incombente. Fino ad un momento prima ero stata intorpidita dalla lunga immobilità, ma il vento gelido del tardo pomeriggio bastò a svegliarmi. A quella quota, vicino al mare, era, se possibile, ancora più freddo che sugli altopiani al centro del regno. Anche lì, al riparo delle mura, giungeva l’odore della salsedine, accompagnato dal rumore ossessionante delle onde. Il vento correva fra le file di pini sulle pendici delle montagne, producendo un cupo scroscio, simile al rumore della pioggia. L’aria era frizzante, e carica di umidità. Quella notte minacciava tempesta.

“In effetti al buio il panorama non appare così ridente…” Sussurrai. Il mio fiato si condensò in sottili nubi di fronte al mio viso, ed io rabbrividii, stringendomi nel mantello. Ora non mi sembrava più così spesso come era apparso mentre viaggiavo riparata da un tetto di assi. Avrei dovuto toglierlo finché ero a bordo del carro, ma il mio amore per il caldo aveva avuto il sopravvento.

Gourry mi circondò le spalle con un braccio, forse per scaldarmi, forse anch’egli in cerca di calore. Lo vidi osservare curiosamente il cortile in cui ci trovavamo, lastricato di bianco, che si apriva ai lati su ampi giardini, ora avvolti nelle tenebre. Un largo viale centrale correva dai portali sino alle bianche mura del palazzo, dalle cui finestre filtrava la luce di fiamme che promettevano cibo e calore. Potevo immaginare i servitori muoversi nei corridoi alla luce delle torce, allestire tavole, approntare le cucine. Improvvisamente, mi resi conto di essere terribilmente affamata.

Bastian affidò il suo cavallo ad un giovane scudiero, apparso dall’oscurità sulla nostra sinistra. Gli uomini che ci avevano accompagnati presero a disperdersi, trasportando spade e scudi, presumibilmente in direzione dell’armeria, e di un rinfrancante boccale di birra. Il cavaliere biondo invece, si allineò di fronte a noi, e con un gesto sbrigativo ci fece cenno di seguirlo.

Ci incamminammo per il viale, e quindi sulle gradinate che conducevano all’ingresso. Non entrammo dal portale principale, ma attraverso una porta sulla sinistra, che si apriva su una sorta di guardiola, ora vuota. Forse si trattava di un luogo in cui normalmente agli estranei era imposto di abbandonare le proprie armi, ma fui lieta che quella sera tale consuetudine non ci fosse richiesta. Io avevo sempre la magia, ma mi sentivo più al sicuro sapendo che Gourry portava la sua spada, nel fodero.

“Il mio signore vorrà godere della vostra compagnia durante la cena, suppongo.” Bastian si fermò nell’ampio atrio, illuminato solo debolmente dalla luce delle torce, e si liberò con noncuranza del mantello. Un servitore tanto esile da apparire quasi ridicolo, a confronto con il massiccio cavaliere, si fece avanti, e fu pronto ad afferrare la pesante veste prima ancora che Bastian potesse domandarglielo. “Conducili da lui, senza indugiare.” L’uomo si rivolse al gracile sottoposto, con solo un breve cenno. Il servitore si inchinò, e si affrettò ad aiutarci a rimuovere anche i nostri mantelli. Brian ci studiò per qualche lungo istante. “Sono certo che il mio signore vi attende con ansia.” Affermò poi, asciutto. Il suo tono di voce era neutro, e non riuscii a leggervi alcun accenno di soddisfazione. Se era compiaciuto del suo lavoro, non aveva intenzione di mostrarlo apertamente.

Rimase per qualche istante in silenzio, forse attendendo una nostra reazione, che non giunse. Quindi, con mio grande stupore, ci rivolse un breve inchino. Prima ancora che avessimo realizzato il suo gesto, tuttavia, si era già levato. Lo osservammo affrettarsi, e scomparire in uno dei corridoi laterali.

Gourry ed io ci scambiammo un’occhiata, ma non ci fu tempo di fare commenti. Il servitore si era già avviato, in uno spedito trotto, lungo uno dei corridoi sul lato opposto, stringendo ancora fra le dita il mantello del nostro accompagnatore. Ci affrettammo al suo seguito, passando arazzi e ritratti, e pareti di grigia pietra, fino a giungere ad un più piccolo atrio, in cui alle torce si accompagnava il vivace scoppiettare di un camino. Il servo si chinò, e ci apostrofò con voce impostata ad un neutro rispetto. “Il sovrano ha scelto di disertare la sala grande, per questa sera, miei signori. Vi riceverà nella sua stanza da pranzo privata.” Fece un cenno verso un grande portale ad arco, e si inchinò nuovamente. Quindi, senza attendere una nostra replica, trottò nuovamente via, ripercorrendo i suoi passi verso l’ingresso.

Gourry ed io, finalmente soli, potemmo scambiarci un’occhiata perplessa. Cos’erano tutte quelle formalità? E quella ostentazione di fiducia? Ci lasciavano entrare nel palazzo completamente armati, senza una scorta di guardie a tenerci d’occhio, e potevamo cenare al cospetto del sovrano?

“Non sono solo io a trovarlo strano, vero?” Sussurrò Gourry, squadrando la porta dietro cui, presumibilmente, Eriol ci attendeva.

“Si può dire che Eriol voglia metterci a nostro agio sin dall’inizio.” Replicai. Non mi piaceva per niente. Sentivo puzza di coinvolgimento forzato, e non avevo voglia, non avevo la minima voglia di essere manipolata come una stupida pedina. “Suppongo che non abbiamo grande scelta.” Sospirai, comunque. Ormai eravamo arrivati fin laggiù, e dubitavo che ci sarebbe stato permesso di andarcene prima di essere ricevuti.

Levai il pugno, e battei sul solido legno. Quasi simultaneamente, una voce compiaciuta si levò dall’interno. “Avanti. Avanti, siete i benvenuti.”

Spinsi il portale di fronte a me, e avanzai nella luce soffusa della stanza.

La sala era piuttosto ampia, ma calda, e accogliente. Un tappeto rosso ricopriva il pavimento in pietra per quasi tutta la sua superficie, frenando il gelo, e torce la rischiaravano su ogni parete, accompagnandosi ad un ampio camino sul muro a settentrione. Di fronte a noi, una parete di finestre si apriva sullo scenario buio dell’esterno. In quella direzione doveva esserci il mare, ma trovandoci al piano terra supponevo che di giorno si avesse semplicemente una visuale dei giardini.

Poltrone e un tavolo da scacchi riposavano di fronte al camino, e sulla parete opposta una enorme carta geografica avrebbe normalmente attratto la mia attenzione, ma in quel momento i miei occhi si concentrarono sull’elemento più vistoso della sala, la tavola riccamente apparecchiata che troneggiava al suo centro. Sei posti erano stati approntati. Dopotutto, Eriol non aveva intenzione di riceverci da solo.

I nostri ospiti occupavano già la stanza. Un uomo attraente ci attendeva in piedi davanti alla porta, il volto sorridente incorniciato da capelli folti e scuri, e illuminato da penetranti occhi verdi. Doveva avere circa trent’anni, e supposi che si trattasse dell’erede al trono. Per qualche motivo, il suo bel viso e il suo fisico asciutto mi colsero di sorpresa. Probabilmente ero stata influenzata dalla mia scarsa simpatia per i suoi cavalieri, ma lo avevo immaginato di aspetto decisamente meno gradevole.

Seduti accanto al camino si trovavano un uomo e una donna, apparentemente di una ventina d’anni più anziani. Rimasi colpita dalla loro somiglianza. Capelli castani, e gli stessi occhi verdi del principe. I loro lineamenti erano straordinariamente affini. Volti appuntiti e un naso vagamente arcuato, che conferiva loro un profilo aristocratico. Anche seduta, la donna appariva particolarmente alta, e aveva un’aria austera, nella sua veste di velluto verde ed argento. Mi chiesi se fosse la madre di Eriol. Non sapevo quanto più anziano del fratello fosse Samon, ma doveva avere partorito i suoi figli quando era ancora piuttosto giovane…

L’uomo che doveva essere il suo gemello si alzò. Notai che camminava a fatica, per una protesi di legno che gli sostituiva la metà inferiore della gamba destra. Un tempo anche lui doveva essere stato attraente, ma la sua aria arcigna e le rughe stranamente marcate non giocavano a favore del suo aspetto. Ci squadrò a lungo, con una ostilità che non mi piacque, ma quando parlò lo fece in modo inaspettatamente pacato. “Accomodatevi.” Una voce profonda, raschiante. “Non ha senso discutere a stomaco vuoto.”

Si sedette a capotavola, senza attendere che il principe lo precedesse. Il suo sguardo vagò verso una sedia in angolo, e seguendolo mi resi conto che c’era un’altra persona nella sala. Era stata tanto silenziosa ed immobile che la mia mente non aveva registrato la sua presenza.

“Livia!” Gracchiò l’uomo. “Stupida ragazzina! Cerca di renderti utile una buona volta, c’è il vino da servire!”

La giovane sussultò. Doveva avere al massimo quindici anni, e la sua pelle aveva lo straordinario candore di chi ha passato la maggior parte della sua esistenza lontano dalla luce del sole. I suoi capelli corvini, lasciati ricadere in morbide onde sulle spalle, ricordavano quelli del principe, ma erano i suoi occhi verdi a rivelare il suo legame di parentela con gli altri occupanti della sala. Mi chiesi se si trattasse della figlia di Eriol. Sembrava così spaventata che, pur non conoscendo la sua situazione, non potei evitare di provare un impeto di compassione, nei suoi confronti.

“Georg.” La madre di Eriol posò una mano sulle spalle della ragazza, che aveva preso ad alzarsi, e la indusse a rimanere al suo posto. “Non spaventare tua nipote. E’ già abbastanza difficile, per lei.”

L’uomo chiamato Georg eruppe in una risata senza gioia. “Non parlarne come se fosse colpa mia, Erianna. Non sono stato io a portarla QUI.”

Il volto della donna si indurì. “Starebbe benissimo, QUI, se tu la trattassi in modo consono al suo rango. In quanto a voi…” Mi scoccò un’occhiata che bastò a farmi scendere un brivido lungo la schiena. “Come vi è stato detto, potete accomodarvi.”

Gourry ed io ci scambiammo uno sguardo, prima di procedere lentamente verso i due posti più vicini. Eriol si sedette vicino a me, fissandomi con un’insistenza sufficiente ad imbarazzare me e a infastidire Gourry, almeno a giudicare dall’espressione che mio marito vestiva in quel momento.

La tensione si rilasciò momentaneamente per l’arrivo dei servitori con il cibo. A quanto pareva, ci attendeva una cena a base di carne. Il cinghiale era stato tagliato in grosse fette sugose, che emanavano un aroma di miele e succo di limone. Spesse salsicce erano state disposte su un ampio vassoio, attorniate da pomodori cotti e cosparsi d’olio. Fette di quello che poteva essere cervo, ricoperte di spezie, e fette di prosciutto scottato alla griglia erano circondate, su un diverso piatto, da verdure di ogni tipo. Pane bianco abbrustolito venne disposto al centro della tavola, e insieme ad esso pane nero, cosparso di un sottile strato di burro giallo pallido.

Quella che si dice una modesta cena in famiglia.

I nostri bicchieri vennero riempiti. Avvicinai il mio al naso, e odorai. Un vino rosso dal sentore talmente intenso da farmi girare la testa ancora prima di assaggiarlo. Mi chiesi se anche quello fosse stato deliberatamente scelto per aiutarci a ‘metterci a nostro agio’…

“Onorate la tavola, vi prego.” Eriol mi rivolse un lungo sorriso. “So che questo banchetto non è nemmeno degno di esservi presentato, ma il vostro arrivo ci è stato annunciato solo poco fa… Domani rimedieremo, ma ora non fate complimenti, fatelo per compiacermi.” Mi fissò, intensamente, e improvvisamente mi resi conto che non era semplicemente un uomo attraente. Era un uomo attraente, e consapevole di esserlo.

Le mie labbra si strinsero. Dopo il trattamento freddo da parte dei soldati di Eriol, non mi ero aspettata un atteggiamento diverso da parte di nessuno, a Elmekia. Era risaputo che la nobiltà del regno, pur trattando con rispetto la magia sacerdotale, non vedeva di buon occhio quella nera e offensiva. Anche l’ignoranza di Gourry a riguardo era per molti aspetti dovuta a questo. La sua famiglia apparteneva alla piccola aristocrazia, la più tradizionalista e chiusa, e non gli erano stati impartiti nemmeno i fondamenti di un’arte in cui io, provenendo da Zephilia, ero stata immersa sin dalla prima infanzia. In effetti, la tolleranza che lo spadaccino aveva sempre dimostrato anche verso gli aspetti più oscuri del mio mondo non era affatto scontata, con la famiglia che aveva alle spalle.

Sotto la tavola, strinsi per un momento le dita di mio marito. Gourry mi guardò con fare interrogativo, ma in quel momento non c’era modo di parlare fra noi. La tavolata aveva già preso a mangiare silenziosamente. Georg ingollava lunghe sorsate di vino ad ogni boccone, e Livia gli lanciava continue occhiate impaurite, sbocconcellando prosciutto insieme ad una fetta di pane. Gli occhi della regina e del principe, invece, erano tutti per me. La donna sorseggiava vino e mi fissava con sguardo gelido, una fetta di cinghiale ancora intatta nel piatto. Il figlio si portava alle labbra piccoli bocconi di salsiccia, continuando a lanciarmi sorrisi incoraggianti.

Con un sospiro, mi servii di una porzione di carne. Se l’erede al trono mangiava con tutto quell’entusiasmo, supponevo che non fosse avvelenata. Gourry mi imitò, e per qualche istante solo il rumore delle posate spezzò il silenzio della sala.

“Immagino che i miei soldati vi abbiano illustrato la situazione.” Fu la regina ad intraprendere la conversazione, in tono controllato. “La situazione per voi, intendo. Le storie su di voi mi fanno supporre che non siate tanto sprovveduti da esservi inoltrati nel regno senza sapere nulla della guerra incombente.”

Mi accigliai. A quanto pareva, la regina non aveva intenzione di giocare a carte scoperte. Immaginavo di dover fare lo stesso. “In effetti, ad un certo punto qualcuno deve avere accennato ad una taglia…” Cercai di mascherare il mio sarcasmo, con scarsi risultati. Gourry, al mio fianco, parve improvvisamente sul punto di strozzarsi con un boccone di salsiccia, e dovette bere un lungo sorso di vino.

Anche la regina si concesse un sorriso, non compresi se di circostanza o di reale apprezzamento. Quando parlò, tuttavia, nella sua voce non c’era traccia di allegria. “Temo che la colpa della taglia sia nostra.” Dichiarò, in tono conciliante. “Il mio figlio maggiore ha assoldato un esperto di magia nera, fra le sue truppe. Lui non gode come i miei cavalieri dell’appoggio di tre draghi neri, ma quelle creature non usano la magia, e i maghi veramente bravi ad Elmekia sono perle rare. Per questo, abbiamo offerto una grossa ricompensa a qualunque esperto di magia voglia essere assoldato come mago di corte, per la difesa del castello.” La regina parlava col raziocinio di un comandante consumato. I ‘suoi’ cavalieri, a quanto pareva, avevano una ferma guida.

“Samon deve avere saputo che ci stavamo dirigendo qui, e avere pensato che eravamo una minaccia per lui.” Conclusi per lei, cauta.

La regina annuì. “La vostra fama, in fondo, è nota nel regno.” La sua voce era bassa, quasi suadente.

Mi accigliai. C’erano diversi aspetti del suo discorso che non mi convincevano… e, sinceramente, non ero così certa che i draghi neri non praticassero magia… “Immagino che ora che siamo qui nulla potrà convincerlo che non ci muoviamo al vostro servizio.”

La regina sorrise. Il discorso stava seguendo esattamente il corso che desiderava. “Non dovete preoccuparvi. A prescindere dal fatto che accettiate o meno di lavorare per noi, ci impegniamo a garantirvi la nostra protezione.” Se ci avesse messo un po’ più di calore, la sua sollecitudine nei nostri confronti avrebbe quasi potuto apparire reale. “Potrete rimanere a palazzo fino alla fine della guerra, se lo desiderate. Dubito comunque che quel momento sia molto lontano…” La sua sicurezza mi fece pensare che ne fosse realmente convinta.

“E’ molto onorevole da parte vostra.” Dichiarai, senza pensarlo realmente. Sapevo cosa la regina aveva in mente. Se il palazzo fosse stato attaccato mentre noi ci trovavamo al suo interno, non avremmo potuto fare a meno di difenderci comunque.

“E’ un nostro dovere, considerando che i vostri problemi nascono da noi. Scoprirete che i sovrani di Elmekia tengono sempre fede ai valori cavallereschi a fondamento del regno.” Il suo sguardo si soffermò per un momento su Gourry. “Lealtà e Giustizia.” Recitò, con scarso entusiasmo.

“Comprendo.” Mi accigliai. “Tuttavia…” Non sapevo nemmeno io come terminare. Non sapevo ancora a cosa ci avrebbe condotti un rifiuto.

“Oh, no, non rispondetemi ora.” La regina si affettò a interrompermi. “Non lasciamo che pensieri e decisioni turbino questa serata. Mangiate e riposatevi, per oggi. Suppongo che non possa dispiacervi una notte in un comodo letto.”

“Suppongo… di no…” Replicai, con prudenza. Gourry mi rivolse un’occhiata curiosa, forse chiedendosi cosa avessi in mente, ma in realtà nemmeno io lo sapevo con certezza. Supponevo che una notte di tempo per capire come tirarci fuori da quella faccenda, in fondo, non sarebbe guastata.

“Sono felice che mia madre vi abbia persuasi.” Eriol ci apostrofò, in tono compiaciuto. “L’ospitalità di Talit è proverbiale. Scommetto che una notte basterà a farvi desiderare di rimanere qui per sempre…” Mi fissò, intensamente.

Vicino a me, Gourry si agitò, a disagio. “Ad ogni modo, non ci avete detto come sapevate che saremmo giunti qui…” Parlò, per la prima volta da quando eravamo entrati nella stanza. La sua domanda solo all’apparenza era innocente. Il sospetto circa i sacerdoti di Sailarg ci aveva tormentati per l’intera settimana.

“E’ stata una scoperta casuale, in realtà.” La risposta della regina fu tanto pronta da far pensare che quelle parole fossero state preparate in precedenza. “Un nostro esploratore ha saputo da dei mercanti di Sailarg della taglia, e ha sentito che eravate stati visti unirvi ad una carovana diretta a Talit. La nostra è stata solo una deduzione.”

I sospetti assunsero sempre più la forma di certezza. “Curioso.” Dichiarai, senza riuscire a tenere a freno la lingua. “Sapevate che ci stavamo dirigendo qui, ma non ne conoscevate il motivo. Eppure avete dato per scontato che non ci muovessimo attratti dall’incarico che offrite, e non ci avete nemmeno chiesto il motivo del nostro viaggio…”

Le labbra della regina ora erano strette in un sorriso venato di irritazione. Era chiaro che non eravamo degli sprovveduti, ed era chiaro che avevamo mangiato la foglia. La vidi ingaggiare una breve lotta psicologica con se stessa, chiedendosi come rispondere alle nostre provocazioni. Alla fine, parve risolversi per il mantenimento di un atteggiamento conciliante. “Stavo appunto per chiedervelo.” Dichiarò, con falsa cortesia. “A cosa dobbiamo l’onore della vostra visita?”

“Portiamo una missiva da parte del tempio di Sailarg.” Replicai, estraendo la busta sigillata da una delle tasche della mia tunica. “Suppongo di potervela consegnare e considerare concluso il mio compito senza recare la risposta. Sono certa che i vostri canali di comunicazione e trattativa con Sailarg sono più che efficaci.” Ancora una volta, non fui abile nel mascherare il mio sarcasmo.

“In effetti sì.” La voce della regina tradiva rabbia, ora. Il gelo dei suoi occhi si era trasferito alle sue labbra.

Non molte altre parole vennero scambiate nel corso della cena.

Diverse ore dopo, stavamo risalendo i gradini della torre in cima alla quale erano stati preparati i nostri alloggi. A detta di Eriol, le nostre stanze erano uno dei punti del castello dai quali la visuale era più suggestiva. Tuttavia, dubitavo che quella sera avremmo potuto apprezzare appieno la vista. Al di fuori delle strette finestre della torre, tutto ciò che era visibile era il fitto muro di oscurità di una notte senza stelle. L’unico suono che giungeva alle nostre orecchie era il rumore incessante dell’infrangersi delle onde. Mi stupii che si sentisse anche da lassù. Non sapevo se fosse per l’atmosfera calata sulla città dalla guerra incombente, ma la notte di Talit appariva straordinariamente silenziosa.

“Lina…” Gourry mi apostrofò, per l’ennesima volta da quando, lasciati soli dai nostri ospiti, avevamo intrapreso quella scalata. “Si può sapere che cosa pensi di fare?”

La realtà era che non lo sapevo. Solo qualche ora prima avrei risposto che il giorno successivo ce ne saremmo andati, e che non avrei sentito ragioni… tuttavia, in quel momento, non ero più tanto sicura di ciò che fosse giusto fare. Non era tanto per la ricompensa promessaci, che dopo la cena Eriol aveva quantificato, e che era effettivamente ricca. Piuttosto, l’atteggiamento della regina e di suo figlio mi aveva lasciata… disarmata. Non so dire che cosa mi ero aspettata esattamente… probabilmente, che usassero la loro autorità per cercare di convincerci a restare… E invece, se come era prevedibile dopo cena il discorso era tornato sulla questione del nostro ingaggio, come non era prevedibile avevamo finito col congedarci come vecchi amici ritrovatisi per una cena. Nessuna pressione, nessuna minaccia. Sembrava che, se avessimo desiderato andarcene, avremmo dovuto semplicemente ringraziare per l’ospitalità, e dire arrivederci.

Eppure, a quel punto era ovvio che la regina aveva promesso qualcosa a Sailarg in cambio di quella messinscena sulla missione, e dubitavo che si sarebbe presa il disturbo di farlo se non avesse avuto la certezza che ci saremmo fermati. Forse lei e suo figlio ritenevano che per noi la scelta migliore fosse ovvia? Che non fossimo tanto sciocchi da rifiutare denaro e protezione, quando ci venivano offerti su un piatto d’argento? E se era così… non era possibile che avessero ragione…? Per quanto mi sentissi in trappola fra quelle quattro mura, per quanto fermarmi mi sembrasse una perdita di tempo, se c’era davvero una taglia sulla nostra testa non era meglio sopportare per qualche settimana che venire perseguitata da cacciatori di taglie fino alla fine della guerra? Il mio orgoglio si ribellava all’idea che la regina ci manipolasse, ma il mio buon senso cominciava a suggerirmi che decidere sulla base del mio primo impulso poteva non essere la scelta migliore… Potevo sempre tornare a Sailarg una volta finita la guerra, e pretendere comunque la mia ricompensa. In quel modo, forse, non mi sarei sentita così fastidiosamente usata.

“Tu che cosa pensi?” Rigirai la domanda, sperando che l’opinione dello spadaccino potesse chiarirmi le idee.

“Bé…” Gourry parve esitare. “Per la cifra che ci hanno offerto, parrebbe un lavoro facile…Voglio dire, non dobbiamo nemmeno scendere in battaglia, non è così? Dovremmo solo difendere la città in caso di attacco, e non è detto che le truppe della capitale giungano fino a qui…” Il suo tono di voce non era convinto.

Le mie labbra si strinsero. “E non ti infastidisce l’idea di agire esattamente come la regina e suo figlio si aspettano da te?”

Gourry sospirò. “Non è tanto questo il problema…” Replicò, incerto. “E’ che… sono stupide questioni di potere. Non sono certo di voler combattere una battaglia del genere.” Il suo tono di voce era stanco, come se fosse stata una vecchia questione di cui non aveva più voglia di sentir parlare.

Mi arrestai, tanto all’improvviso che Gourry fu sul punto di travolgermi. Mi volsi a fronteggiarlo. “Forse dovremmo davvero rifiutare.” Dichiarai. “In fondo noi non siamo comuni mercenari, giusto? Voglio dire, possiamo scegliere per chi lavorare…”

Ci fu un istante di silenzio, mentre Gourry mi esaminava in volto. “La regina… non ti piace, non è così?”

Mi accigliai. “Non è questione di piacere o non piacere.” Scrutai il buio all’esterno di una delle finestre. “Erianna è un generale al comando del suo esercito. E’ chiaro che Eriol si limita a seguire le sue direttive. E sarei pronta a scommettere, invece, che Samon le si è contrapposto apertamente dopo la morte del padre.” Il mio sguardo si soffermò su una luce lontana, forse la lanterna all’ingresso di una locanda, che oscillava al vento. “Non so esattamente perché la abbia intrapresa, ma questa è la sua guerra, non quella di Eriol. E il punto è che vuole usare anche noi come sta facendo con suo figlio. E’ questo che non riesco ad accettare.”

Gourry si limitò a tacere. Seguì il mio sguardo, e anche lui per qualche istante rimase fermo, a fissare l’oscurità. Quindi, emise un sospiro, e mi pose una mano sulla spalla. “Dicono che la notte porti consiglio.” Dichiarò, gentilmente. “E’ stata una lunga giornata, Lina, e non possiamo ragionare lucidamente. Magari domattina le cose ci sembreranno più chiare.”

Dovetti sorridere, a quel semplice suggerimento. In fondo aveva ragione. La stanchezza a volte rendeva insormontabili i problemi più banali.

Mi levai in punta di piedi, e gli baciai brevemente le labbra. “Cosa farei, senza di te?” Mormorai. Gourry mi fissò con l’aria di chiedersi se stessi scherzando, ma io gli rivolsi un sorriso, e l’espressione dello spadaccino si rilassò. Le sue labbra si schiusero, e parve sul punto di dire qualcosa, ma all’improvviso la sua fronte si aggrottò. La sua mano, ancora poggiata sulla mia spalla, strinse con più forza.

Seguii la direzione del suo sguardo. “Cosa…?”

“C’è qualcuno.” Sussurrò, secco.

Me ne resi immediatamente conto anch’io. Un rumore di passi scendeva lentamente verso di noi dall’oscurità dei piani superiori della torre. Qualche istante dopo, una debole luce di torcia comparve dietro l’angolo della gradinata.

Non feci in tempo a chiedermi se dovevo allarmarmi. Una figura esile fece la sua apparizione in cima alla scala, pallida come un fantasma, alla luce del fuoco. Quando si accorse che c’era qualcuno, sussultò, e nascose frettolosamente qualcosa al di sotto del mantello.

“Livia?” Feci un passo avanti, ed evocai una sfera di luce, in modo da renderci visibili. La ragazza la osservò con stupore. Quindi, i suoi occhi incrociarono i miei e una comprensione mista a meraviglia si disegnò nel suo sguardo. Il suo volto riacquistò diverse tonalità di colore.

“Oh.” Disse semplicemente, con voce flebile. “Scu… scusatemi.” Fece per sorpassarci, ma io mi spostai lievemente a lato, e la bloccai. Non seppi perché lo feci. Forse solo per la curiosità di sapere cosa ci faceva in giro per il palazzo, in piena notte, una ragazzina che qualche ora prima era sembrata felicissima di essere spedita nelle sue stanze dalla voce autoritaria della regina.

Livia mi fissò con timore, ma io le rivolsi un sorriso. Non avevo intenzione di spaventarla. “Cosa ci fai, qui?” Le domandai, gentilmente. Colsi, in un movimento del suo mantello, una fugace visione del misterioso oggetto che stava nascondendo… un libro, di un insolito color rosso acceso, rilegato con finiture dorate.

Nonostante la luce debole, ebbi l’impressione di vederla arrossire… “In… in cima alla torre… sopra gli appartamenti… c’è una biblioteca…” Abbassò lo sguardo. Evidentemente, a suo avviso, quella constatazione doveva spiegare ogni cosa…

Aggrottai la fronte. “Ma che bisogno hai di andarci a quest’ora della notte?”

La ragazza sembrava incerta su come reagire al mio interrogatorio. Parve risolversi ad un atteggiamento più dignitoso, però, e levò la schiena, costringendosi a guardarmi negli occhi. “Lord… Georg…” Parve trovare difficoltoso pronunciare quel nome… “Lui… non approva che io legga… dice che è… una perdita di tempo…”

Mi accigliai. Questo Georg cominciava ad apparirmi decisamente ottuso…

“Però…” Livia proseguì, continuando a sostenere il mio sguardo. “A casa, mia madre faceva arrivare a palazzo libri da ogni regno nel continente… storie di dame, cavalieri e maghi…” I suoi occhi si illuminarono lievemente. “E durante le feste, mio padre faceva suonare per me e per mia sorella dei musici, e assumeva dei cantastorie…”

Per qualche motivo, non riuscivo a figurarmi Eriol dare sfoggio di tale amore paterno. E poi, ora che ci pensavo… se Livia aveva una sorella, perché non aveva partecipato anche lei alla cena, quella sera? E la moglie di Eriol, che fine aveva fatto? “Ma… tua madre… è…”

Il volto di Livia si incupì. “E’ alla capitale. Con il resto della mia famiglia.”

Gourry ed io ci scambiammo un’occhiata stupita. Ma… ma allora…?

“Mi manca, casa mia.” Livia sospirò. “Lord Georg mi fa paura. So di non piacergli. In realtà, credo che ben poco gli piaccia, tranne il suo palazzo e le sue vecchie carte geografiche. Sostiene mia nonna perché disprezza mio padre, e perché lei è la sua famiglia e sapete… Lealtà e Giustizia.” Concluse, come se quella formula fosse la logica giustificazione ad ogni azione.

“Mi stai dicendo che tu sei la figlia di Samon?” Era fin troppo chiaro cosa era successo. Erianna era riuscita ad andarsene dalla capitale portando con sé in ostaggio la sua stessa nipote. Non sapevo se essere ammirata dalla sua capacità tattica, o disgustata dal modo in cui minacciava la vita di una ragazza innocente, sangue del suo sangue, per controllare le mosse di suo figlio.

Livia annuì, silenziosamente, e il suo sguardo tornò ad abbassarsi, come le se fosse stato faticoso mantenere ancora le spalle ritte. “Ma la nonna è buona, con me… dice che se mio padre mi ama si arrenderà, ed io tornerò a casa… so che mente, perché la guerra non è così semplice… ma cerca di confortarmi, e non credo che mi farebbe mai del male…” Nemmeno lei pareva del tutto certa delle sue parole. Avrei voluto rassicurarla a mia volta, ma le parole non presero forma nella mia gola. Ora comprendevo di avere realmente motivo di provare compassione, per lei…

“Certo che no…” Fu Gourry a parlare, alle mie spalle. Gli lanciai un’occhiata, e notai che la sua espressione era vagamente scossa. “Non importa il motivo della battaglia… Lealtà e Giustizia, ricordi? Non ci si fa del male fra parenti…” La sua voce era dolce. Riconoscevo quel tono di conforto, venato di un sottile turbamento. Me lo aveva rivolto innumerevoli volte, per calmare i miei incubi dopo la faccenda di Phibrizo.

Livia arrossì lievemente. “E’ vero… dimenticavo che anche voi siete di Elmekia, signore…”

La osservai con nuova curiosità, e la ragazza emise una lieve risatina fanciullesca, che le colorì le gote, in contrasto col pallore di poco prima. “Ho… letto di voi…” Il suo sguardo vagò da Gourry a me. “Il guerriero di luce, e la celebre maga…” I suoi occhi si illuminarono, nuovamente. “Voi siete una leggenda ad Elmekia, signore. Come la vostra spada. Si dice che la abbiate brandita contro ogni genere di creatura, e…” Il suo sguardo si spostò a me. “Si dice che la abbiate perduta lottando contro il Signore degli Inferi. Il Signore degli Inferi. E voi, signora, siete addirittura stata posseduta da…”

“D’accordo, d’accordo.” La interruppi. “Mi fa piacere che tu non conosca solo le solite voci su di me, ma ora non esageriamo…” Gourry mi lanciò un’occhiata scettica, a cui risposi con un ghigno. Mio marito sapeva perfettamente che ero più che suscettibile alle lusinghe.

“Ma ogni voce su di voi è assolutamente fantastica.” L’entusiasmo di Livia non si spegneva facilmente. “Esistono persino delle ballate su di voi. Quando mi hanno detto che sareste giunti qui, io…”

La giovane principessa si interruppe. Un rumore era risuonato sul fondo della scala. Forse si trattava semplicemente di una delle ronde notturne, ma bastò a mettere nuovamente Livia in allarme. Il pallore catturò nuovamente le sue gote.

“Io… scusatemi, ma ora è meglio che torni nelle mie stanze… Lord Georg si arrabbierà se scopre che sono tornata qui…” Levò il cappuccio del mantello, e si affrettò lungo le scale. La osservammo scomparire nell’oscurità.

“Delle ballate?” Domandai, incredula. “Sarei proprio curiosa di sentire una cosa del genere…”

Gourry fece un mezzo sorriso. “Povera ragazza…” Commentò, a mezza voce.

“Già… Dopo averla sentita parlare, sono sempre meno convinta di voler rimanere a disposizione della regina…”

Gourry mi prese la mano. “Lo decideremo domani.” Mi sorrise, trascinandomi lievemente verso la cima della scala. “Ma, per ora, pare che ci siamo guadagnati un’ammiratrice.”

Gli lanciai un’occhiata maliziosa. “In realtà, temo sia molto più interessata a te… Tutti quei discorsi sulla tua spada…”

Ora che ci pensavo, Livia aveva più o meno l’età che avevo io, quando avevo conosciuto Gourry. Ma la nostra storia doveva essere un po’ diversa da quelle di dame e cavalieri di cui la principessa sognava, leggendo nei suoi libri.

La mano di Gourry salì alla mia testa, e mi scompigliò malamente i capelli. “Attenta a come parli.” Intimò. “Potrei replicare con pessime battute su Eriol.”

Scoppiai a ridere. “Ormai sei troppo vecchio per essere geloso, Gourry.”

“Non parlare come se fossimo sposati da quarant’anni.”

Ridacchiai. In effetti, dubitavo che qualsiasi ballata su di noi fosse davvero veritiera.

  
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