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Autore: xbondola    25/04/2013    6 recensioni
« Questo non ha niente » disse qualcuno e Harry ebbe un tuffo al cuore. Conosceva bene quella voce sottile: l'aveva sentita una sola volta, ma era bastata per far sì che gli si imprimesse nella memoria. « Andiamocene, Mike » disse ancora il ragazzo con il berretto e Harry capì finalmente perché avesse voluto non mostrarsi.
« È vero, è inutile restare qui, potrebbe arrivare gente » aggiunse uno dei gemelli, quello che fino ad allora non aveva ancora preso la parola. Mike lanciò una rapida occhiata a Harry, allo zaino riverso a terra e ai suoi amici, poi annuì.
« E tu » soffiò, rivolto a Harry, che lo fissava con il terrore negli occhi « vedi di non fare cazzate e non dire a nessuno di questa storia, altrimenti saranno guai ». Gli diede un ultimo, improvviso spintone e Harry cadde all'indietro, sulla bici, ma riuscì ad attutire la caduta in modo da non farsi troppo male. Mike e la sua banda scapparono, ma il ragazzo con il berretto restò per un attimo a fissarlo, gli occhi azzurri lucidi.
« Louis » sussurrò Harry, ma il ragazzo strinse le labbra, si voltò e fuggì.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Harry prese le chiavi, il cellulare e lo zaino dal ripiano della cucina e uscì di casa. Era molto presto e il sole si nascondeva dietro le nuvole grigie, che lasciavano filtrare solo una piccola, misera parte della sua luce.
« Ciao, Hazza! » disse Emily, la sua vicina di casa. Era una ragazzina di tredici anni, ma sembrava molto più grande data l'alta statura, i grandi occhi grigi sempre contornati da un filo di matita nera e le labbra piene ricoperte di lucido.
Harry le rivolse un sorriso. « Ciao, Em, passa una bella giornata! » trillò, ma la ragazza non sembrava essere di buon umore. Si ravviò i lunghi capelli neri e alzò gli occhi al cielo, borbottando: « certo, a scuola con due compiti in classe di fila. Sarà di certo una gran bella giornata, puoi scommetterci ».
 « Oh ». Harry ridacchio. « Be', allora buona fortuna! »
Emily si guardò intorno, alla ricerca di sua madre. Quando fu assolutamente certa che non fosse ancora uscita di casa, alzò il dito medio, fece una smorfia e chiuse il finestrino dell'auto per non dare all'altro la possibilità di replicare. Harry si allontanò, ridendo, e raggiunse la sua bicicletta. La scuola materna in cui lavorava da poco meno di tre anni non era molto distante dalla sua casa e lui non amava molto guidare.
Accanto alla scuola c'era un bar dove Harry si fermava spesso per fare colazione. Era un ambiente caldo e accogliente e al suo interno si sentiva sempre l'odore avvolgente di dolci fatti in casa. Harry lo adorava. Entrò, facendo tintinnare i campanelli affissi sulla porta d'ingresso, e salutò Milly, la proprietaria.
« Buongiorno, Milly! »
La donna, intenta a mescolare un impasto cremoso in una terrina semitrasparente, alzò lo sguardo e sorrise. « Giorno a te! Come va? »
Milly era una di quelle donne che avresti visto molto meglio nei panni di una buttafuori, piuttosto che in quelli di una pasticcera: era di colore e la sua pelle era di un bellissimo color cioccolato fondente; i grandi occhi marroni, un po' sporgenti, la facevano somigliare a una vecchia rana; le sue labbra erano grandi e carnose, di un rosso cupo, e celavano una fila di denti bianchissimi accavallati gli uni sugli altri; il suo naso rotondo era rivolto leggermente all'insù e i suoi capelli ricci e neri erano costantemente legati in una crocchia ordinata. Era una donna robusta e pesava di sicuro molto più di quanto avrebbe dovuto, ma non se ne faceva un problema. 
Nessuno, a vederla, avrebbe mai immaginato di quanta dolcezza fossero capaci le sue grandi mani, quanto affetto si nascondesse dietro quel viso all'apparenza burbero e scontroso. Harry l'adorava.
« A meraviglia » disse e si accomodò al bancone.
« Bene, sono contenta! » Milly gli regalò un sorriso storto, si voltò e ripose all'interno del frigorifero alle sue spalle la terrina, poi tornò a guardare Harry. « Il solito? » gli chiese, le mani sui fianchi.
« Sì, grazie, Milly ». Harry sorrise fino a quando due tenere fossette fecero capolino agli angoli della sua bocca. Milly gli servì una tazza di tè caldo. « Tieni » aggiunse poi, mettendogli davanti un sacchetto azzurro. « Questi sono un esperimento, i biscotti alle nocciole di Milly! Assaggiali e dimmi cosa ne pensi, offre la casa ».
« No, Milly, non posso accettare » tentò Harry, ma Milly lo liquidò con un secco: « non dire sciocchezze! » e tornò a cucinare. Harry sospirò: era davvero impossibile farle cambiare idea, ma, in fin dei conti, non gli dispiaceva così tanto. Aprì il sacchetto, sfilando con delicatezza il fiocco che lo sigillava, e ne estrasse un biscotto: non era molto grande, aveva la forma di un cerchio ed era molto sottile. Sembrava essere molto croccante. Una glassa bianca disegnava una spirale sulla sua superficie.
« Sembra buono » mormorò e ne addentò uno. Come al solito, non rimase deluso. « Milly » bofonchiò, con la bocca piena, « sono deliziosi! » Lei alzò lo sguardo dagli stampini che stava imburrando e sorrise.
« Sempre troppo gentile » disse, con gli occhi che brillavano.
« Sempre troppo modesta » le rispose Harry, addentando un altro biscotto. Bevve un sorso di tè e si leccò le labbra. « Va bene, meglio non esagerare » borbottò, strofinandosi le mani per lasciar cadere tutte le briciole. « Il resto lo mangerò dopo. Oh, a proposito, Milly! Dammi altri due sacchetti, li offro dopo ai bambini ».
« Harry, sei sempre così dolce! » commentò Milly; gli portò i due sacchetti che le aveva chiesto e aggiunse: « potresti far concorrenza ai miei pasticcini ».
« Niente può competere con i tuoi pasticcini. Puoi darmi anche un muffin al cioccolato? Michael è allergico alle nocciole ». Harry si sfilò il portafoglio dalla tasca dei pantaloni e lo mise via dopo aver poggiato i soldi sul bancone per saldare il conto.
« Come dicevo » Milly sorrise « sei sempre dolcissimo ».
 
*      *      *
 
Harry terminò la sua colazione, salutò Milly e uscì dal bar. La strada, quella mattina, era insolitamente deserta e tutto era fermo e silenzioso. Harry rabbrividì e si strinse nella giacca. Si avvicinò alla sua bici e aprì il lucchetto che la teneva legata a una ringhiera; non valeva la pena salirci e pedalare, la scuola era molto vicina, quindi decise di trascinarsela dietro, tenendola per il manubrio.
Sentì qualcuno gridare « ecco! » e stava per voltarsi, ma un paio di mani gli colpirono la schiena. Qualcuno lo aveva spintonato e lui, colto di sorpresa, si era accasciato in avanti. Il manubrio della bici lo colpì all'addome, facendolo gemere di dolore; per fortuna riuscì a portare in avanti le mani, evitando di spaccarsi la testa sull'asfalto. Tentò di rimettersi in piedi, ignorando il dolore all'addome e il bruciore sulle mani e sul ginocchio, ma qualcuno lo afferrò per la maglietta e lo tirò su di peso.
« Oh, scusa » disse una voce, aspra e dura, ma non sembrava affatto dispiaciuta. Harry si girò, spaventato, e incrociò lo sguardo di un ragazzo non molto alto, con un cappellino di lana nera e una felpa grigio chiaro. Era accompagnato da altri tre ragazzi: due di loro sembravano essere gemelli, si somigliavano moltissimo, mentre il terzo aveva il volto coperto dalla visiera del cappellino; sembrava non volesse farsi vedere. Era l'unico a non indossare una felpa: nonostante il freddo se ne stava nella sua maglietta nera a mezze maniche, che lasciava scoperte le braccia pallide, ricoperte da tatuaggi di varie dimensioni che serpeggiavano sulla sua pelle per poi scomparire sotto il tessuto della maglia e rimostrarsi, avvolgendo il suo collo sottile.
« Allora » disse il primo ragazzo. Aveva gli occhi azzurrissimi, ma freddi e distaccati. Si avvicinò a Harry e gli prese un polso, stringendolo così forte che Harry sentì la mano formicolare; era un dolore che non era mai riuscito a sopportare, quindi cercò di divincolarsi con tutte le sue forze, ma non ci riuscì. Occhi Azzurri gli assestò un pugno sul viso prima che potesse chiamare aiuto e Harry sputò sull'asfalto, per poi passarsi un braccio sulle labbra nel tentativo di ripulirle dal sangue.
« Cosa cazzo volete da me? » chiese, la voce che tremava dalla rabbia, dalla paura, non riusciva neppure più a capire cosa sentisse di più in quel momento.
« Dacci tutto ciò che hai » disse uno dei gemelli « e non ti accadrà nulla ». Harry deglutì rumorosamente a fece come gli era stato ordinato. Sentiva il cuore battergli ovunque: martellava al centro del petto, furioso, e nelle orecchie, nella gola, nel cervello. Era un continuo pulsare, un susseguirsi di colpi irregolari che lo confondevano. Con le mani tremanti, Harry si sfilò il portafoglio dalla tasca posteriore dei pantaloni e lo porse a Occhi Azzurri, che glielo strappò di mano. Diede una rapida occhiata al suo interno, ghignò e lo passò a uno dei due gemelli.
« Cos'hai lì dentro? » chiese poi, indicando con un cenno del mento lo zaino che Harry portava ancora sulle spalle. Harry strinse le labbra, ma non si mosse né disse nulla e il ragazzo assottigliò lo sguardo, assumendo un'aria minacciosa: « ho detto » asserì, parlando più lentamente « cos'hai in quel fottutissimo zaino? »
Harry strinse i pugni: avrebbe tanto voluto ribellarsi, ma sapeva che contro quattro ragazzacci come quelli aveva ben poche speranze di uscirne vivo. Si guardò intorno, alla ricerca di qualcosa, qualunque cosa, ma tutto era ancora deserto. Si sfilò lo zaino dalle spalle e lo porse all'altro ragazzo, che lo afferrò con un grugnito di stizza. 
Cominciò a rovistare al suo interno con foga, alla ricerca di tesori che Harry non aveva; si ritrovò tra le mani solo un paio di libri illustrati, un quaderno, un'agenda, un astuccio bianco. Ogni oggetto veniva sistematicamente gettato sull'asfalto.
« Ma guarda un po' » disse Occhi Azzurri, tenendo stretti tra le mani i sacchetti che Harry aveva comprato al negozio di Milly. « Cos'è, la mamma ti prepara ancora la merenda? Eh? Ti fa ancora i biscottini? » Rise e Harry davvero non riuscì a capire cosa ci trovasse di divertente in una battuta così infantile, ma tacque. L'altro ragazzo gettò a terra il cibo senza curarsene troppo, poi lasciò cadere lo zaino.
« Questo non ha niente » disse qualcuno e Harry ebbe un tuffo al cuore. Conosceva bene quella voce sottile: l'aveva sentita una sola volta, ma era bastata per far sì che gli si imprimesse nella memoria. « Andiamocene, Mike » disse ancora il ragazzo con il berretto e Harry capì finalmente perché avesse voluto non mostrarsi.
« È vero, è inutile restare qui, potrebbe arrivare gente » aggiunse uno dei gemelli, quello che fino ad allora non aveva ancora preso la parola. Mike lanciò una rapida occhiata a Harry, allo zaino riverso a terra e ai suoi amici, poi annuì.
« E tu » soffiò, rivolto a Harry, che lo fissava con il terrore negli occhi « vedi di non fare cazzate e non dire a nessuno di questa storia, altrimenti saranno guai ». Gli diede un ultimo, improvviso spintone e Harry cadde all'indietro, sulla bici, ma riuscì ad attutire la caduta in modo da non farsi troppo male. Mike e la sua banda scapparono, ma il ragazzo con il berretto restò per un attimo a fissarlo, gli occhi azzurri lucidi.
« Louis » sussurrò Harry, ma il ragazzo strinse le labbra, si voltò e fuggì.
 
*      *      *
 
Harry si alzò da terra e si guardò i palmi delle mani: erano ricoperti da escoriazioni e graffi più o meno superficiali. C'era del sangue, brandelli di pelle si sollevavano e tutto era ricoperto da un sottile strato di polvere. Harry cercò di ripulire delicatamente le ferite con un fazzoletto di carta, ignorando il bruciore che sentiva, e si abbassò per lanciare un'occhiata al suo ginocchio sbucciato.
Guardò l'asfalto: uno dei sacchetti azzurri si era aperto e aveva riversato una manciata di biscotti alle nocciole a terra. Harry si chinò per salvare il salvabile, ripose tutti gli oggetti nel suo zaino, se lo caricò sulle spalle e cominciò a camminare, con la sua bicicletta accanto, come se nulla fosse successo.
Giunto all'ingresso della scuola, il bidello, Don Miles, gli corse incontro con la solita andatura zoppicante e la schiena ricurva. « O Santa Pace! » disse, portandosi le mani alla bocca. Harry accennò un sorriso per tranquillizzarlo, ma l'uomo non diede segno di essersene accorto e continuò: « cosa ti è successo? »
« Niente » minimizzò Harry. « Puoi portarmi lo zaino in classe, per favore? I bambini arriveranno tra mezz'ora, così ho il tempo di darmi una ripulita ». Allungò una mano e gli porse lo zaino. Don Miles annuì, gli occhi spalancati.
« Ma cos'è successo? » chiese ancora.
« Sono caduto dalla bici » mentì Harry. Il bidello strinse le labbra, incerto: Harry non era mai stato molto bravo a mentire, quando lo faceva glielo si leggeva in faccia e Don Miles non aveva l'aria di uno che crede a chiunque. Harry sperò con tutto se stesso che non avesse voglia di fare domande.
« Sei sicuro? » gli chiese ancora quello, lo sguardo cupo.
« Sì » tentò di nuovo Harry. Alzò lo sguardo e vide il suo interlocutore fissarlo con una certa insistenza. Prese un respiro e forzò un sorriso. « Davvero, sto bene ».
« Se è successo qualcosa, qualunque cosa, io... »
« Davvero, Miles » lo liquidò Harry e l'uomo annuì, le labbra serrate.
« Come vuoi. Andiamo, devi darti una ripulita, quel ginocchio è pieno di polvere ». Harry tirò un sospiro di sollievo: finalmente si era arreso! Si passò una mano tra i capelli ricci e seguì il bidello all'interno dell'edificio. Per fortuna non c'era nessuno, i suoi colleghi dovevano essere tutti nella sala ritrovo, dove si trovavano i distributori automatici di caffè e merendine di vario genere. Harry ringraziò mutamente e si diresse verso il bagno degli uomini, che era libero.
Si chiuse la porta alle spalle ed esaminò la sua immagine riflessa nello specchio: aveva il labbro superiore gonfio e il viso sporco di sangue rappreso, ne sentiva il sapore ferroso anche in bocca. Aprì il rubinetto, regolando la temperatura dell'acqua, e si diede una rapida lavata alle mani, poi toccò al viso, alla bocca. Sputò nel lavabo e si asciugò mani e viso con un asciugamano. Prese un pacco di fazzoletti dalle tasche dei pantaloni, ne estrasse uno e lo inumidì, per poi passarselo sul ginocchio.
Quando ebbe finito si sollevò la maglietta e osservò il suo addome: a prima vista non recava alcuna ferita, ma la zona con cui aveva urtato la bici era gonfia; gemette di dolore quando provò a toccarla e calò di nuovo la maglietta. Prese un respiro.
« Dio mio » sussurrò e appoggiò la schiena alla parete del bagno, per poi lasciarsi scivolare lungo di essa, fino a sedersi sul pavimento freddo. Le lacrime cominciarono a rigargli il volto, tiepide e improvvise; raggiunsero il suo mento, percorsero il suo collo fino a scomparire nello scollo della sua maglietta. Si portò le ginocchia al petto e ci affondò il viso, circondandolo poi con le braccia; era scosso dai singhiozzi, non riusciva a controllare il suo corpo. Nella sua testa risuonava la voce dell'uomo che l'aveva assalito, sentiva le sue mani prepotenti sulla pelle e i suoi occhi azzurri sul suo corpo debole e indifeso. Sentiva la voce di Louis che suggeriva di lasciar perdere e lo vedeva andar via, le labbra sottili serrate e gli occhi chiari freddi e distaccati.
Non riusciva a credere che non avesse fatto nulla per fermare quel criminale. Non riusciva nemmeno a pensare che fosse rimasto a guardare, impassibile, senza dire nulla, senza muovere un dito. Si era nascosto dietro la visiera del suo cappello, sperando di non farsi vedere, e alla fine si era tradito.  E aveva tradito anche Harry.
Qualcuno bussò alla porta e Harry alzò il volto di scatto. Per un attimo temette di non averla chiusa bene, ma nessuno era entrato. Si alzò in piedi e disse, cercando di frenare il tremito nella sua voce: « un attimo ». Si guardò allo specchio: aveva gli occhi gonfi e arrossati, si sentiva il viso bollente. 
Si sciacquò il viso con acqua fredda, si sforzò di sorridere come faceva di solito e aprì la porta, per ritrovarsi di fronte il volto serio di John, un suo collega. L'uomo strabuzzò gli occhi, stupito. « Cosa ti è successo? Guarda i tuoi pantaloni! »
Come se non me ne fossi accorto, pensò Harry, ma si limitò a stringersi nelle spalle e a rifilargli la stessa scusata usata in precedenza: « sono caduto dalla bici ». John sorrise e Harry non si sorprese del fatto che non si fosse accorto di nulla. Non era una di quelle persone particolarmente attente ai bisogno degli altri, anzi era un tipo molto superficiale e distratto, quando si trattava delle persone.
« Be', farai meglio a stare più attento, la prossima volta! » Gli diede una pacca sulla spalla ed entrò in bagno, poi si richiuse la porta alle spalle.
« Idiota » sibilò Harry e si avviò verso la sua classe.
 
*      *      *
 
La classe in cui insegnava Harry era composta da tredici alunni, tutti di età compresa tra i tre e i cinque anni. Quando entrò in classe, tutti si dimostrarono davvero molto interessati a quello che lo aveva ridotto in quello stato, ma perfino per Harry fu semplice farsi credere quando rifilò loro la storia della caduta.
« Bene » disse Harry ai bambini che lo osservavano, rapiti. « Questa è la giornata della creatività, quindi ho portato quell'enorme scatolone pieno di cose! Quello che dovete fare è molto semplice: scegliete cosa usare da quello scatolone, lo prendete e ci costruite qualcosa, qualunque cosa! Io vi aiuterò, ovviamente ».
« Ma cosa dobbiamo fare? » chiese Jen, una bambina dai lunghi capelli rossi.
« Quello che volete: potete costruire, fare disegni o casette di cartone oppure braccialetti di carta, coroncine, quello che volete! »
« Posso anche costruire un razzo spaziale mega-galattico? » domandò Michael.
« Ehm, direi di sì, se pensi di farcela ». Michael fece un saltello e corse verso la scatola, ansioso di cominciare la costruzione del suo razzo spaziale mega-galattico. Harry ridacchiò e si avvicinò alla folla di bambini che si era riunita lì. Due bambine avevano cominciato a litigare per chi avrebbe dovuto usare la carta velina rosa. Harry le convinse a dividersi i materiali e alla fine ognuna di loro poté usare un po' della carta per le cose che dovevano preparare.
Micheal aveva cominciato a decorare con le tempere un cilindro di cartone, un rotolo da carta da forno. Aveva disegnato degli oblò, che non somigliavano affatto a degli oblò, e delle fasce rosse che dividevano la struttura in tre parti. Harry andava in giro a dispensare consigli e complimenti, usava le forbici per chi doveva tagliare qualcosa, aiutava a mettere la giusta quantità di colla sui pezzi da attaccare.
« Hay » disse una vocina sottile. Harry abbassò la sguardo e incontrò gli occhi azzurri di Sara, una bambina di quattro anni, che lo fissavano. Sara non sapeva ancora la pronuncia corretta di alcune parole, in particolare le riusciva difficile pronunciare la lettera "erre".
« Ehi, Sara » disse Harry, inginocchiandosi sul pavimento per essere alla sua altezza. « Cos'hai in mano? » le chiese poi, indicando con un dito l'oggetto che la bambina teneva stretto tra le mani piccole e paffute.
« È una coioncina di fioi » cinguettò lei, sorridendo. Harry la osservò, meravigliato, con un sorriso brillante sul volto. « È davvero meravigliosa » disse e Sara arrossì, nascondendo il viso nel colletto della maglia. Allungò una manina e porse la coroncina a Harry, che la prese e la osservò attentamente: era composta da una striscia sottile di cartoncino, i cui estremi erano stati incollati tra loro in modo da avere forma circolare; all'esterno Sara aveva incollato tanti fiorellini di carta velina bianca e rosa.
« Sei bravissima » disse ancora e porse l'oggetto a Sara, che scosse la testa.
« È pe' te! »
« Per me? » Harry si aprì in un sorriso. « Grazie! Sai una cosa? Credo proprio che la metterò, così andrò in giro con la mia bellissima coroncina di fiori e tutti mi invidieranno! Solo io ho una bella coroncina fatta da te! » Strinse la bambina tra le braccia e si posò la corona sul capo. Lei ridacchiò, rossa in viso, poi sgambettò al suo posto.
Qualcuno bussò alla porta e Harry si voltò giusto in tempo per vedere Don Miles, con il solito cappello a quadri, far capolino sulla soglia. « Harry, c'è un uomo qui fuori che chiede di te. Dice che è una cosa molto urgente ».
« Chi è? » chiese Harry.
« Mai visto prima ».
« Ehm, okay. Vado, puoi restare a controllare i bambini per qualche minuto? »
« Certo, ma fa' in fretta, non sono mai stato un bravo baby-sitter ».
Harry fece un sorriso di riconoscenza e uscì. Arrivò all'ingresso e vide un uomo non molto alto, col corpo fasciato da un paio di jeans strappati e una t-shirt nera, le braccia coperte di tatuaggi, i capelli scuri. Si fermò di scatto, il cuore che accelerava i battiti. Si sentì sprofondare in se stesso. Strinse i pugni e meditò l'idea di tornare in classe e chiedere a Don Miles di cacciare via l'ospite indesiderato, ma quest'ultimo si voltò verso di lui e lo chiamò. Harry deglutì, ma non si mosse. Stava tremando.
« Harry » ripeté il ragazzo. Guardandolo, Harry non poté far a meno di pensare che Louis fosse dannatamente bello. I capelli erano castani, scuri, quasi tendenti al nero, ma sul davanti il ciuffo era tinto di un cupo rosso ciliegia. Gli occhi azzurri erano contornati dal tratto di una matita nera, che li metteva ancor più in risalto e le sopracciglia sottili, così come una narice e le orecchie, erano decorate da anelli argentati. Harry notò che c'era qualcosa di diverso, nel suo viso: aveva un labbro gonfio e un livido sul braccio, ma nonostante questo restava incredibilmente bello e a Harry questo dava quasi fastidio.
« Sei venuto a chiedermi di nuovo di non fare la spia? » sputò, velenoso, e Louis abbassò lo sguardo. Harry si avvicinò, il cuore che martellava furiosamente nel suo petto.
« Mi dispiace per ciò che è successo questa mattina » soffiò l'altro, lo sguardo basso. S'infilò una mano nella tasca anteriore dei jeans e la porse a Harry, che la osservò con sguardo interrogativo finché non riconobbe il suo portafoglio. 
« Mi dispiace » ripeté Louis, senza riuscire ad alzare gli occhi, fissi sul pavimento di marmo. « Io non sapevo che fossi tu finché Mike non ti ha spinto, non lo sapevo, altrimenti avrei cercato di dissuaderlo, io... »
« Cosa diavolo c'entra, questo? Io o un altro uomo, che differenza c'è? Siamo persone, Louis. Io non sono speciale, non merito un trattamento di favore solo perché ho limonato con te in una stupida discoteca! » Harry non riusciva a controllare il fiume di parole che con prepotenza gli era salito alle labbra. « Avresti dovuto fermarli solo perché era giusto così. E invece hai preferito nasconderti, far finta di nulla ».
« Davvero, Harry » sussurrò Louis, la voce tremante « io non volevo ».
« Ma lo hai fatto. Non hai impedito che mi facessero del male ». Louis strinse le labbra, cercando di trattenere le lacrime.
« Mi dispiace » e la sua voce era appena udibile. « Quando siamo andati via ho chiesto a Mike di ridarmi le tue cose, ma lui non mi ha nemmeno ascoltato. Gli ho strappato di mano il portafoglio e lui mi ha colpito. Mi ha detto che facevo meglio a sparire per sempre, che non voleva più avermi tra i piedi. Vedi, Harry, quella sera, in discoteca, ti ho mentito. Non sono mai stato abbastanza bravo per trovare lavoro, la mia vita è sempre stata per strada, da quando i miei sono morti. È sempre stato semplice, per me: Mike è famoso da queste parti, poteva darmi dei soldi, poteva aiutarmi, e io ci sono cascato come un idiota. Faccio parte della sua banda da un anno ».
Louis deglutì, indeciso se continuare o meno; sentiva di dovere delle scuse ad Harry, ma quelle non erano abbastanza. Gli doveva delle spiegazioni. Continuò il suo racconto: « è da qualche settimana che ho cominciato a farmi qualche domanda. La mia vita è una merda, Harry. Non ho una famiglia, non ho un lavoro, non ho nulla. Quando ti ho conosciuto mi hai parlato di te e sembravi così felice! Avevi lottato molto per ottenere dei risultati e alla fine ce l'avevi fatta. Tu rappresentavi tutto ciò che non ero io ».
Harry non disse nulla e Louis prese quel silenzio come un muto invito a continuare: « ho cominciato a pensare che avrei potuto fare qualcosa. Quella sera ho davvero cominciato a credere che avrei potuto cambiare la mia vita. Eri tu, capisci? Mi avevi aperto un mondo completamente nuovo. Poi sei andato via e sono tornato alla mia vita di merda. Non sono riuscito a fare nulla. Tutto era come prima ».
Harry non sapeva cosa dire: di fronte a lui c'era di nuovo il Louis che aveva conosciuto, sembrava solo un po' più fragile di quanto ricordasse.
« Quando ti ho rivisto, oggi, ho ricominciato a sperare. Era come se tu fossi lì per ricordarmi che potevo farcela, che potevo cambiare le cose. Ma non ne ho avuto il coraggio, non subito, almeno. Mike era il mio punto fermo, scegliere di aiutarti significava scegliere una strada buia che non sapevo dove mi avrebbe portato. Ma alla fine ho deciso di mollare tutto, Harry. Puoi perdonarmi? »
Harry teneva lo sguardo sulle sue scarpe sporche, incapace di spiccicar parola. Ora conosceva un lato di Louis che non aveva mai visto. Tutta la rabbia provata nei suoi confronti era sparita, sostituita da un senso di protezione che non riusciva a spiegarsi.
« Per favore » supplicò Louis, che sembrava essere sull'orlo delle lacrime.
« Sì » mormorò Harry.
« Eh? » Louis trattenne il fiato per un secondo.
« Posso perdonarti » disse Harry. Louis non riuscì a impedirsi di sorridere e Harry alzò finalmente lo sguardo, incrociando così i suoi occhi azzurri e lucidi, colmi di lacrime.
« Grazie » singhiozzò Louis. Era rosso in viso e sembrava imbarazzato. Si voltò e si asciugò gli occhi con il polso, ridacchiando nervosamente. « Dio » borbottò, « sto facendo davvero la figura della ragazzina in lacrime? »
« Direi proprio di sì ». Harry rise e Louis si voltò verso di lui, sorridendo.
« Giuro che da oggi le cose per me cambieranno » disse. « Ho intenzione di mettere la testa a posto, cercare un lavoro, una casa... ce la farò, Harry. È una promessa ». Allungò una mano e Harry la strinse con sicurezza.
« Sono felice per te » disse. « Ce la farai, ne sono sicuro ».
« È anche merito tuo ».
« Forse. Per qualunque cosa, puoi chiedere a me! »
« Oh! » Louis arrossì e abbassò lo sguardo.
Harry prese la coroncina di fiori dalla sua testa e se la rigirò tra le mani. Louis lo fissava con sguardo interrogativo.
« Una coroncina? » non sembrava essersene accorto prima.
« Tieni » mormorò Harry e gliela posò sul capo, sorridendo. « Questo è un regalo per celebrare l'inizio di una nuova vita ». Louis strabuzzò gli occhi e sfiorò l'oggetto con le dita. Non era esattamente il suo genere, ma era la cosa più bella che avesse mai ricevuto.
« Grazie » sussurrò.
« Figurati. Ehi, ti sta proprio bene! »
Louis sorrise. Guardò Harry negli occhi, strinse le labbra e si sollevò sulle punte per abbracciarlo. Harry restò immobile, senza sapere cosa fare. 
« Grazie » ripeté Louis. Grazie a te, pensò Harry, mentre ricambiava l'abbraccio e affondava il viso nell'incavo del suo collo.


Tabitha's black corner.

 

Ciao! Eccomi di ritorno in questo fandom, con una nuova OS sulla mia cara band preferita: gli One Direction.

Ovviamente, si tratta di una Larry Stylinson.
Sono sorprendente, eh? Non ve lo sareste mai aspettato da me... ehm, no.

Ringrazio chi ha letto la storia e ancor di più chi leggerà questo angolino autore.
Un ringraziamento speciale va a quelle persone belliffime che hanno letto anche altre mie storie e 
a Marcella, Alessia e tutte le mie amiche perché sono fighe, come me.
Ehm, no, okay... forse è meglio che io la smetta di dire stronzate e passi alla storia, sì.
Spero vi sia piaciuta. L'idea è nata da tutte quelle foto che girano di Harry con la coroncina e Louis ricoperto di tatuaggi.
Forse la fine può sembrare un po' affrettata, ma io non la penso così.
Louis avrebbe aiutato subito Harry, ma Mike rappresentava la sua unica certezza,
aiutare Harry significava perdere l'unica famiglia che aveva (se possiamo considerarla famiglia, but still).
Lui, però, quando si allontana, capisce che quella è forse la sua unica opportunità di cambiare,
affronta Mike e torna da Harry.
Va be', a parte questo, lasciate un commentino, se vi va, e ditemi cosa ne pensate. :)
Se ci sono cose da modificare, non esitate a farmelo sapere!

Grazie mille, alla prossima.

 

   
 
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