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Autore: JoyS    25/04/2013    1 recensioni
Ma cos'è in fondo la solitudine?
Si è davvero in grado di descriverla?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Solitudine

La solitudine è la luce bianca della lampadina di un obitorio.
Essa oscilla dal soffitto d'intonaco screpolato, sfarfallando ad ogni ruggito del temporale all'esterno e guardando la pioggia sanguinare lentamente sul pavimento piastrellato.
La solitudine è una cella buia, umida, fredda; è un pazzo che, seduto sul pavimento della propria prigione, cerca di grattare via il muschio dalle grandi pietre scure e ruvide. Graffia la superficie ferendosi, senza accorgersi che il muschio stesso si sta annidando sotto le sue unghie rovinate, abbracciando i polpastrelli dilaniati e colmi di sangue, ormai secco e aggrumato.
La solitudine è un parco soleggiato in un pomeriggio estivo, le risate dei bambini, la triste consapevolezza di non potere più essere felice come loro.
Li si guarda giocare, divertirsi, mentre la propria speranza di riconoscere le stesse espressioni sul proprio volto si libra in aria e vola lontano, come uno dei loro aquiloni.
Si arriva ad un punto, nella propria vita, in cui ci si domanda, titubanti, se si è realmente felici.
Dopo anni vissuti negli agi, tra centinaia di persone e passatempi, ci si chiede se, effettivamente, ciò che si vede è realmente ciò che si desidera. Si inizia a gurdarsi intorno con occhi diversi, ogni luogo appare estraneo, ogni discorso mai avuto martella la mente, chiedendo a se stessi di riflettere.
Ed è proprio in quest'istante che in noi inizia a formarsi un piccolo, profondo, buco nero, che risucchierà al proprio interno ogni illusione o immagine utopistica, lasciandoci galleggiare in un immenso e pericoloso mare di desolazione.
La solitudie, infatti, è l'amica più sincera che si possa incontrare, perché è proprio nella penombra e nel silenzio della propria stanza che si cerca la risposta ad ogni domanda che intimidisce porsi.
Sdraiati sul letto, si fissa il vuoto, guardando molto più lontano del muro da tempo imbiancato, e ascoltando tutte le parole nascoste nelle nostre viscere, dimenticate a causa del tempo e della paura; a se stessi si appare incontentabili, viziati, infelici nonostante la perfezione circostante, e così si inizia ad odiare, si inizia a provare disgusto verso la felicità stessa, verso l'egocentrico amarsi della gente, verso se stessi; si inizia ad elaborare un intreccio di pensieri senza uscita, si costruisce autonomamente il proprio portale per l'oblio.
La solitudine è, e sarà sempre, la fredda carezza che accompagna ogni azione della propria vita, essa è la propria ombra, il proprio respiro, essa è le lacrime dei conoscenti al proprio funerale, quando fluttuando fra le loro figure sconfortate, ci si rende conto che la solitudine che si prova nella propria bara di velluto vermiglio è paradossalmente meno opprimente di ciò che si percepisce in vita. 
E lì, dove nessuno può vedere, si torna a sorridere. 




Joy

   
 
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