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Autore: Water_wolf    26/04/2013    4 recensioni
Che cosa si è disposti a sorpassare per l’amore? Nel caso di Shin e Hannare molto, lui è un semi-unicorno, lei una semi-drago, e il loro amore è “impuro”, sbocciato da un’erbaccia, invece che da un fiore. La religione degli unicorni, infatti, proibisce severamente il contatto coi draghi, creature a loro detta malvagie e selvagge. Ma quando il loro rapporto evolve, passando dai baci all’unione corporale (non descritta), la fede degli unicorni e i sacerdoti di Licorne si metteranno in mezzo, facendo un bel po’ di danni. Toccherà a Hannare trovare una soluzione che, forse, risiede nell’annullamento totale.
Seconda classificata al contest Fantasy I Love U indetto da fravgolina
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Nome utente/nickname:Water_wolf (sia su EFP sia sul forum)
- Titolo: Lightning (Fulmine)
- Numero capitoli: Uno (One-shot, 4.135 parole)
- Rating: Giallo
- Generi: Fantasy
- Avvertimenti: Nessuno
- Pacchetti scelti: Pisolo + Turchese
- Note d’autore:One shot fantasy con note sentimentali, la narrazione è alternata tra presente e passato, perciò ci sono piccoli flash back (in corsivo) Spero sia uscito qualcosa di decente, buona lettura^^
- Breve introduzione: Che cosa si è disposti a sorpassare per l’amore? Nel caso di Shin e Hannare molto, lui è un semi-unicorno, lei una semi-drago, e il loro amore è “impuro”, sbocciato da un’erbaccia, invece che da un fiore. La religione degli unicorni, infatti, proibisce severamente il contatto coi draghi, creature a loro detta malvagie e selvagge. Ma quando il loro rapporto evolve, passando dai baci all’unione corporale (non descritta), la fede degli unicorni e i sacerdoti di Licorne si metteranno in mezzo, facendo un bel po’ di danni. Toccherà a Hannare trovare una soluzione che, forse, risiede nell’annullamento totale.
 

§

 
Un colpo, un altro. Una fitta, un’altra.
Hannare si lanciava con veemenza conto la barriera, nella speranza che la forza dei suoi muscoli unita a quella disperazione riuscisse ad abbatterla. Il muro trasparente, però, era opera della magia dei Licorne, i sacerdoti metà uomini metà unicorni, e non c’era modo di fare breccia, nemmeno se Hannare avesse continuato a schiantarcisi contro per milioni di anni.
Ma alla ragazza drago non interessava. Non le importava se andando avanti così sarebbe morta, perché lo era già dentro. Non le importava delle ferite che si stava autoinfliggendo, perché non sarebbero mai state pari a quelle del cuore. Non le importava quanto avrebbe sofferto, perché, in fondo, sapeva che il dolore sarebbe durato in eterno. E allora continuava senza sosta, imprecando contro quel dio a cui Shin era consacrato, e per il quale aveva dovuto pagare.
Le scaglie color smeraldo della dragonessa erano screziate di rosso, come un prato al tramonto di una battaglia, come foglie sporche dopo una pioggia di sangue. Hannare ringhiava, soffocando le urla di dolore che le bruciavano in gola.
Un colpo, un altro. Una fitta, un’altra.
La dragonessa si lanciava contro la barriera imperterrita, più per mettere a tacere le grida di Shin nella sua testa che nella reale speranza di riuscire a creare un varco nel muro. Sentì i lamenti dell’unicorno più acuti, mentre gli occhi, anch’essi verdi, si offuscavano per colpa delle lacrime.
Un urlo più forte degli altri la trapassò, infliggendole un dolore ben più forte delle bruciature e delle ecchimosi che aveva su tutto il corpo. Indietreggiò tra le spighe, le sue spighe, verso il vecchio pero, il suo pero, l’unico albero nel giro di miglia nella campagna, la sua campagna, e prese la rincorsa.
Con i muscoli tesi per lo sforzo si scagliò contro la barriera. Una fitta lancinante le percorse l’ala destra, costringendola a terra strappandole un grido di dolore. Il suo petto fu percorso da un fremito e Hannare ritornò nella sua forma umana, incapace di dominare la sua parte ferina. Il braccio ferito le infliggeva un dolore lacerante, le bruciature erano carboni ardenti sulla pelle nuda.
Sorrise per l’ironia di quella situazione, un drago, una creatura capace di produrre fuoco, che soffriva per delle scottature. Pensò a cosa le avrebbe detto Shin, e rise.
Rise come una matta, rise come se il menestrello di città le avesse appena raccontato una barzelletta divertentissima, rise come se lui fosse lì, al suo fianco. Ma l’incanto finì, così come era arrivato, al giungere dell’ennesimo grido nella sua mente.
Era quello il grande dono che il seme dell’unicorno le aveva fatto, quello della telepatia, così che fossero in grado di parlare anche a grandi distanze, di sentire se l’altro stava bene o meno.
Ma, in quel momento, più che un regalo la telepatia era una tortura, la stessa che gli stavano infliggendo, la stessa che stava divorando Hannare. Rivolse lo sguardo al cielo e sperò che, come allora, un fulmine lo attraversasse.
 
La bambina dai capelli rossi sorrise; era la sua prima volta in città ed era rimasta affascinata dal castello dei reali. Le guglie affusolate, i pietroni bianchi, le piante rampicanti che salivano su per le torri come ricami, il portone di cedro con intarsi dorati, i leoni scolpiti da uno scalpello sicuro, tutto della fortezza l’incantava.
<< Vado alla bottega di Verion, tu aspettami qui, d’accordo? >> le chiese Kyari, suo padre, nonché capo del villaggio dei Semi-Draghi.
Non erano molti quelli come loro, i muta forma, e i pochi si erano uniti sotto la guida di Kyari. Hannare annuì sbadatamente, gli occhioni verdi intenti a catturare ogni più piccolo dettaglio di Vell, la città.
Ignorando le parole del padre, si avventurò tra le vie, guidata dall’olfatto sviluppato. Il pane ai semi di girasole era appena stato cotto, e un fabbro stava forgiando una daga d’argento, intuì la bambina. Arrivò in piazza e solo allora si rese conto che non conosceva più il percorso che aveva fatto e che nessuno sarebbe stato in grado di aiutarla. Si diede della stupida, dell’inetta, ed era sicura che suo padre l’avrebbe punita.
La rabbia prese il sopravvento sulla ragione, inibendole i sensi, cosicché Hannare si trasformò in drago. Non era ancora in grado di tenere a bada la sua natura ferina e per questo doveva prestare maggiore attenzione alle emozioni che stuzzicavano la creatura racchiusa in lei. La gente si accorse subito della dragonessa e, allarmata, chiamarono i gendarmi. Questi ultimi non tardarono ad arrivare e, vedendo un cucciolo di drago nella piazza, sfoderarono le spade.
Hannare provò a difendersi ma la sua parte umana aveva paura, una paura folle, e si ritrasformò in bambina.  I gendarmi rimasero a bocca aperta. Hannare ne approfittò per scappare, ma per le vie uomini e donne lasciarono le loro occupazioni per dirigersi verso di lei.
“E’ un drago! Mangiamone la carne e vivremo cinquant’anni di più!” gridò una vecchia dal naso adunco.
Gli altri si gettarono contro la piccola, bloccandola sul selciato e dando inizio al pestaggio. Hannare non capiva il motivo per cui la stavano picchiano, ma non c’era bisogno di capire per sapere che se non si fosse difesa sarebbe morta sotto il peso delle percosse.
Tentò di trasformarsi in drago, ma non era abbastanza concentrata e non ci riuscì. Allora morse, graffiò, ringhiò con tutte le sue forze. Ma una bambina di nove anni non può resistere contro tutte le persone che si accanivano contro di lei.
Sentì il sapore metallico del sangue in bocca e il calore di un taglio sulla nuca.
Poi il tempo parve arrestarsi, uomini e donne si fermarono, lasciando spazio ad una sola figura. Era un bambino, i capelli neri, il viso candido, e degli spettacolari occhi viola. Hannare ne rimase affascinata tanto che quando il bambino parlò quasi non lo sentì.
<< Va’ via, scappa, oppure morirai. Io non sono capace di mantenere la magia oltre. >>

La bambina si riscosse, si alzò e corse via. Incrociò la bottega di cui le aveva parlato Kyari e si fermò. Controllò alle sue spalle ma il bambino era sparito.
I suoi occhi, le sue iridi viola, però, erano ancora lì, e fu certa che non le avrebbe mai dimenticate.

 
Hannare gridò, dando voce al dolore che le opprimeva il petto. Le sue urla si unirono a quelle di Shin, nella sua mente, e il ricordo dei suoi occhi cristallini le invase la memoria. Sfinita, e senza più voce, poggiò il capo tra le spighe, lasciando che i capelli rossi infiammassero il grano.
Il ragazzo unicorno le aveva sempre chiesto perché non li portasse lunghi, come tutte le altre ragazze, invece che corti e arruffati. La sua risposta era sempre stata una sola: “io non sono come gli altri”.
 
Hannare si lasciò guidare dal corpo, chiuse gli occhi, e corse, corse come solo lei sapeva fare, veloce come è veloce il vento, elegante come è elegante il cervo. Il grano le graffiava le caviglie, l’oro della campagna le illuminava il viso.
Arrivò alla barriera, quel muro invisibile che invisibile non è, che divideva i Semi-Draghi dai Semi-Unicorni, da quando i sacerdoti di Licorne avevano proclamato la natura grezza, selvaggia e scontrosa dei draghi a metà, nociva per la purezza della loro fede. La magia che l’aveva creata era un potente sigillo che nessuno era in grado di spezzare.
Solo una filastrocca narrava un modo per aprire un varco nel muro.

 
“Quando il fulmine giungerà,
il ciel sereno squarcerà,
solo allora il portale si aprirà.”
 
Hannare non ci credeva, non era mai stata la ragazza che amava sedersi davanti al fuoco, la sera, per ascoltare i racconti delle anziane donne. Al contrario, avvertiva il bisogno di primeggiare in tutte le arti del combattimento, così da poter diventare una degna erede del villaggio dei draghi a metà.
Quel giorno d’estate, però, dovette ricredersi. Si distese a terra, le mani incrociate dietro la nuca, gli occhi intenti a scrutare il cielo limpido, attraversato dalle nuvole, e si crogiolò tra i raggi del sole.
Qualcuno fischiettava, al d là della barriera, invitando a danzare usignoli e pettirossi in valzer aerei. Hannare si mise seduta di scatto, i sensi di drago all’erta, e cercò l’origine di quella melodia. Avanzò a gattoni fino alla barriera, guardando a destra e a sinistra.
<< Buh! >> la voce la fece sobbalzare.
Hannare alzò lo sguardo e incontro due oceani viola. Un sorriso si dipinse sul viso del ragazzo unicorno, incorniciando dei denti bianchissimi con delle labbra rosee e carnose. La semi-drago doveva avere un’espressione dipinta sul volto davvero buffa per far ridere così il giovane.
<< S-sei tu? >> domandò, certa che quegli occhi appartenessero solo ad una persona.
La domanda rimase senza risposta perché, all’improvviso, un fulmine squarciò la quiete estiva, irrompendo tra i due. La barriera luccicò tanto che Hannare si dovette proteggere gli occhi con le mani per non essere accecata.
Si udì uno scoppio, poi, miriadi di scintille argentee volarono via, sotto forma di farfalle. Il ragazzo unicorno se ne fece atterrare una sul palmo aperto della mano, la osservò con interesse finché la farfalla non gli sorrise, prima di svanire, come una bolla di sapone.
La mutaforma era incredula. Si diede un buffetto sulla guancia per assicurarsi di non stare sognando e, alla fine, si decise a stendere un braccio davanti a lei. La sua mano incontro la pelle candida del semi-unicorno, che la strinse sorridente. Hannare, per la seconda volta in un minuto, si domandò se non fosse nel letto di casa sua.
Da quando un abitante d’oltre barriera si lasciava avvicinare, addirittura toccare, da un impuro mutaforma? Perché non stava scappando?

Il ragazzo parve intuire i pensieri della giovane e, per tutta risposta, si avvicinò al viso di Hannare e bisbigliò << Perché aspettavo questo incontro da anni, ragazza drago. >>
Hannare avvampò, distolse lo sguardo e gli diede le spalle. Non riuscì a resistere alla tentazione di guardarlo e, dopo nemmeno sessanta secondi, si voltò.
Trovò il radioso sorriso del semi-unicorno ad accoglierla.
<< Sei tu? Il bambino che mi salvò la vita? >> domandò ancora, non riuscendo a nascondere la gioia, l’adrenalina, che premeva alla bocca dello stomaco.
<< Sì. >> rispose semplicemente.
Si alzò in piedi e, incerto, mise una gamba al di là della breccia. Non avvertendo alcun dolore, passò interamente dall’altra parte e mosse qualche passo nella terra dei Semi-Draghi. I suoi occhi erano sgranati, sul volto un abile pennello aveva dipinto lo stupore e la meraviglia di un bambino.
Hannare rise, una delle poche risate sincere in tanto, forse troppo, tempo. Il ragazzo unicorno si girò per vederla meglio, e in quella risata trovò la bambina che aveva visto la prima volta a Vell, durante il pestaggio. La mutaforma si alzò da terra, si spazzò la polvere dalle vesti in cuoio, prese il polso del semi-unicorno e iniziò a correre tra l’oro dei campi, trascinandosi dietro lui.
Non aveva idea di chi fosse quel ragazzo, avvertiva solo la sua aura di semi-unicorno, eppure sentiva un legame, un’empatia che li univa e che li aveva sempre uniti. Il giovane la superò e raggiunse un vecchio pero dalla corteccia rovinata, il tronco segnato dai colpi delle accette che, tempo prima, avevano provato ad abbatterlo, e si sedette tra le sue radici nodulose. Hannare si arrampicò in cima, poggiò la schiena al legno e chiuse gli occhi.

<< Fai sempre così con gli sconosciuti? >> le chiese il ragazzo unicorno, guardando insù, in cerca degli occhi verdi di Hannare.
Lei carezzò una foglia del pero e ribatté << Non sei uno sconosciuto. >>

<< E allora qual è il mio nome? >> la mise alla prova il mutaforma.
Hannare scese dal ramo e si portò vicina al semi-unicorno, specchiandosi nei suoi occhi viola. << E il mio? >>

Il giovane provò l’impellente di baciarla, di rapire la verginità di quella ragazza, di farla sua, di assaggiare il suo profumo, di annusare la sua pelle, di mordere le sue labbra, di stringerla, di romperla per poi rimetterla a posto, come una bambola.
 Le sfiorò le labbra e mormorò << Shin… il mio nome è Shin. >>
La semi-drago socchiuse gli occhi e cercò ancora la carezza, la dolcezza, la forza, di Shin.
<< Hannare. >> sussurrò.
Il mutaforma cedette alla tentazione e premette le sue labbra su quelle della persona che per anni gli era stata proibita. Proibita dal suo stesso dio, dalla sua fede, dai sommi sacerdoti di Licorne, da tutto ciò in cui credeva. Ciecamente. Hannare bruciò, andò in fiamme la sua pelle, la sua scorza, i suoi occhi, i suoi capelli, tutto. Completamente.
E fu al buio che si incontrarono, che le loro labbra si assaggiarono, assaporandosi, lentamente, smaniosamente. Rubarono uno i respiri dell’altra, si respirarono.
Hannare non era il tipo di ragazza che si sedeva su una sedia, fissando il nulla, a fantasticare su chi avrebbe ottenuto il suo cuore, immaginando il colpo di fulmine. Non ci credeva.
Ma quel giorno d’estate, per la seconda volta, si dovette ricredere.

 
Lacrime, calde, salate, dolorose, brucianti, rigarono il suo viso. Si odiò per questo, per la sua debolezza, per l’impossibilità di fare qualcosa che non fosse soffrire. Non aveva più voce, non aveva più corpo, non aveva più nulla.
Possedeva solo i cocci di quello che era stata, la cenere di un amore che non avrebbe dovuto nascere, e i suoi occhi, che sgorgavano lacrime, senza requie.
 
<< Tu mi ami? >> le chiese Shin.
Erano seduti all’ombra del vecchio pero, abbracciati ad osservare i giochi di luce tra le fronde, con le spighe dorate che solleticavano loro la pelle, infilandosi birichine tra i capelli. Il cuore di Hannare accelerò i battiti, quasi volesse bucarle il petto. Si mise sopra il petto asciutto del ragazzo unicorno e sorrise timidamente.
<< Sì. Sì, io ti amo. >> sussurrò.
Quelle parole le erano costate una fatica immane, perché quando un drago rivela apertamente i propri sentimenti al partner si abbandona a lui, rinunciando all’autonomia, ammettendo che si ha bisogno di qualcun altro, oltre a se stessi, per vivere.
<< Anch’io. >> disse Shin, riportandole un riccio ribelle dietro l’orecchio.
Si fissarono, perdendosi uno negli occhi dell’altra. Shin mosse piano il bacino. Hannare gli sbottonò i primi alamari della tunica. Lui le prese le mani, fermandola.
<< Non voglio fare qualcosa di cui potresti pentirti. >> sussurrò, baciandole dolcemente il collo.
<< Allora continuiamo. >> lo incalzò lei.
E quel giorno la ragazza drago e il ragazzo unicorno fecero l’amore, oltrepassando un confine, un limite che nessuno dei due avrebbe mai dovuto superare. Mai.

 
Hannare sentì la mente libera di ogni grida. Sulle prime ne fu felice, poi, un pensiero si insinuò tra le crepe dell’animo, colpendola nel profondo. “Shin” lo chiamò, sfruttando la telepatia.
Nessuna risposta, nessun urlo. Niente.
“Shin…” ripeté, ma il nulla le riempiva la mente.
E allora seppe.
Capì che non c’era più niente da fare, nessuno per cui combattere, nessuno per cui valeva la pena vivere.
Perché Hannare senza Shin era nulla.
 
I sacerdoti di Licorne erano furibondi. Non erano all’oscuro di ciò che uno dei loro fratelli stava compiendo, eppure l’avevano lasciato fare, così che comprendesse fino in fondo quanto male ci fosse nei Semi-Draghi. Ma il ragazzo unicorno era ostinato, credeva che fosse dio che ad avergli fatto incontrare quella giovane, che fosse il volere divino.
<< Abbiate fede, se il fulmine ha squarciato la barriera c’è un motivo. Potrebbe essere un miracolo, capite? Convertire i Semi-Draghi a Licorne, rendendoli puri, insegnandoli a credere in un dio, ad avere fede, come noi. >> ripeteva quando lo interpellavano a riguardo.
Unirsi ad una di loro, ad un impura… era andato al di là di ogni regola, e il suo comportamento andava punito. Così, quel giorno, dieci sacerdoti di Licorne lo avevano seguito fino alla barriera, per fermarlo e riparare lo squarcio della barriera.
Shin varcò il muro invisibile che invisibile non è, trovando ad attenderlo dall’altra parte una giovane semi-drago dai capelli rossi come spire infuocate e occhi verdi come un prato in primavera. I due si baciarono, ignari di chi li stava osservando, con passione.
Alcuni sacerdoti si portarono la mano alla bocca, in preda a conati di vomito; altri rivolsero lo sguardo al cielo e mormorarono una preghiera << Il giovane mi pare ormai irrecuperabile. >> osservò il capo della spedizione.
Si rivelarono dai loro nascondigli, avvolti nelle loro tuniche turchesi, il colore di Licorne, e arrivarono al confine della barriera. Nessuno osò varcarla.

La ragazza drago si accorse subito della loro presenza, si staccò da Shin, e mostrò i denti, ormai trasformati in zanne bianche. Anche il semi-unicorno si voltò, e soffocò un grido tra meraviglia e terrore.
<< Shin del villaggio dei Semi-Unicorni, ragazzo consacrato a Licorne, nell’autorità suprema del nostro dio, siamo obbligati a separarti da questa impura che ti ha rubato il senno con misteriosi inganni, costringendoci a prendere provvedimenti severi. >> annunciò Rik, il capo.
Hannare fece una risatina isterica. Come osavano quei vermi parlare in quel modo dell’amore che provava per Shin?

<< Voi non avete capito… vi sbagliate… Hannare non è chi credete. >> si schermì Shin, mettendo un braccio davanti a Hannare.
<< Non osare pronunciare il nome dell’impura! Rivolgiti a lei come un oggetto, non ad un tuo pari! >> gridò un sacerdote, colpito da quella parole quasi eretiche.
Rik fece segno ai suoi di avanzare. Con timore oltrepassò lo squarciò, poi si avvicinò al ragazzo unicorno, lo prese per un braccio e fece per trascinarlo via. Hannare ringhiò, scuotendo il terreno, faticando a mantenere la sua forma ibrida. Rik non si scompose.
<< Se non opporrai resistenza, Licorne potrebbe graziarti. Dimostra che hai ancora fede, ragazzo. >> disse il semi-unicorno, tentando in vano di convincere Shin senza l’ausilio della forza. Il moro si dimenò, cercando di riappropriarsi del braccio.
Rik strinse la presa e si avviò verso il varco.
<< Non ti muovere. >> ringhiò Hannare, scoprendo le zanne, mostrando le gengive rosse.
Rik continuò a camminare, compunto. << Non mi hai sentito? Ho detto non ti muovere. Lui rimane qui.>> lo ammonì, quasi urlando, una furia cieca che montava dentro, grattando sotto lo sterno.
Rik oltrepassò la barriera. Hannare scattò, le mani trasformate in zampe piene d’artigli, gli avambracci squamati di verde. Si gettò contro il capo spedizione, liberò Shin dalla sua presa e atterrò Rik. L’uomo unicorno aveva lo sguardo velato di terrore, ma non si diede per vinto.
Sputò per terra << Meriteresti di morire, mostro. >>

Hannare fece schioccare la lingua biforcuta, lunga, da serpe, assaporando la paura del sacerdote.
Si portò a qualche spanna dal suo viso e sibilò << Dipende tutto dal tuo concetto di mostro, il mio, per esempio, ti rispecchia perfettamente. >>
Alzò in alto la zampa, calcolando la traiettoria per staccare di netto la testa al sacerdote.
<< Sii felice, incontrerai il tuo dio, bastardo. >> aggiunse, feroce, e calò la mano.
Un globo magico la colpì in pieno stomaco, impedendole di compiere l’irreparabile.
<< Hannare! >> urlò Shin, raggiungendo l’amata, scagliata lontana dall’incantesimo.
La semi-drago si rialzò, accarezzò il viso di Shin e rivolse lo sguardo sprezzante verso i dieci sacerdoti. Era uno scontro impari, dieci maghi contro una ragazza drago, sarebbe stato uno scontro arduo. Hannare si avventò contro quello che le sembrava più indifeso, ma quello evocò una magia che le bloccò i movimenti. Lei digrignò i denti.
Rik riacciuffò Shin e lo costrinse al di là dello squarcio, tenendogli un bracco stretto alla giugulare. Il ragazzo unicorno non era mai stato un combattente provetto, e in quel momento era troppo scosso per riuscire ad evocare anche una delle magie più banali.
Con tutta la forza di cui fu capace Hannare si liberò, gettandosi sul sacerdote e ponendo fine alla sua vita con un unico, semplice, colpo alla gola.
Shin sgranò gli occhi. Non aveva mai visto la ragazza drago da quella prospettiva, quella di una bestia capace di uccidere.
Scosse la testa con veemenza, lei stava lottando per la persona che amava, era lecito dare il tutto per tutto.
<< Richiudete la barriera, presto! >> ordinò Rik.
I sacerdoti di Licorne annuirono, iniziando a mormorare una litania. Hannare si voltò nella loro direzione. Piccoli cocci si stavano creando davanti ai suoi occhi, aggiustando lo squarcio fatto dal fulmine velocemente. Troppo velocemente.

<< NO! >> gridò, lanciandosi all’attacco.
Il muro si richiuse proprio in quel momento, frapponendosi tra Hannare e Shin.
Rik sorrise, beffardo. << Iak nur loht ah. >> annunciò, e i nove sacerdoti di Licorne più Shin scomparvero.
Si ritrovarono all’interno di una stanza quadrangolare, le pareti bianche, l’unica mobilia era una sedia di frassino, posta al centro della stanza. Shin la riconobbe subito, nessuno l’aveva mai vista, ma numerosi libri ne parlavano.
Era la stanza della tortura.
Rabbrividì.
I sacerdoti lo assicurarono con delle corde alla sedia. Rik uscì, per poi rientrare con una frusta in pugno. I primi colpi furono violenti, sale sulle ferite, fuoco sulla carne.
Poi la coscienza se andò piano piano, lasciandogli l’unica consapevolezza del dolore e delle sue grida.
Urla che non riusciva a contenere, e che raggiungevano la mente di Hannare, straziandola.

 
Con la forza della disperazione, Hannare si costrinse ad alzarsi. Il dolore al braccio si fece acuto, le bruciature la divorarono con fitte. Sarebbe andata dall’unica persona in grado di alleviare i suoi mali, l’unica capace di fare qualcosa di estremo, l’unica che l’aveva amata prima di Shin.
Ad ogni passo le sembrava di morire, come se parti di lei si staccassero piano piano. Ma non sarebbe morta così, tra le spighe che avevano accompagnato il piacere dell’amore. Sarebbe morta in battaglia, uccisa da Kyari, suo padre, in uno scontro, come il più nobile dei draghi.
Quando arrivò al villaggio, le parve di aver camminato per giorni interi, senza cibo né acqua. Lee, un cucciolo, le corse incontro.
<< Va’ via. >> lo aggredì Hannare, trascinandosi tra le vie. Il semi-drago la guardò di traverso.
<< Va’ via! >> gridò lei, scostandolo con una mano.
Lee si allontanò, offeso. La ragazza drago fece il percorso che conduceva alla casa di suo padre. Lo trovò innanzi alla porta, seduto su una sedia a dondolo, intento ad affilare la lama di una spada. Fiutò l’odore di sua figlia, e alzò lo sguardo.
La squadrò da capo a piedi, valutando ogni ferita, soffermandosi sulla luce che le illuminava lo sguardo.
<< Ti sfido, padre, per succederti alla guida del villaggio. >> dichiarò, sporgendosi verso di lui.
<< No. >>
Hannare si infuriò.
<< Non puoi negarmi questo diritto, devi accettare lo scontro! >> urlò lei, la voce incrinata.
<< No, non così. >> la respinse.
<< Vigliacco. >> lo accusò lei, senza pensarlo realmente.
Kyari si alzò dalla sedia, poggiò la spada a terra, si avvicinò a lei e la scrutò profondamente.
<< Non asseconderò una follia. >> disse, duro, le iridi verdi puntate in quelle di sua figlia.
<< Padre, per favore… >> mugolò << Uccidimi, poni fine al mio dolore. >>
<< Non dire sciocchezze, nessuno è mai morto per amore. >> ribatté, sprezzante, carpendo il motivo di quell’assurda richiesta tramite il legame che univa i draghi a metà di una stessa famiglia.
Hannare sentì gli occhi inumidirsi, le lacrime pungenti. << Qualcuno sì. >>
<< Nessuno che valga la pena d’essere ricordato. >>
<< No. Perché chi è morto era importante, per me. Perché Shin è morto, perché io ora sono un involucro vuoto. >> mormorò Hannare, abbassando il capo.
Kyari si irrigidì.
Shin, il ragazzo unicorno, la persona che amava sua figlia, ed era ricambiato. Lo stesso a cui lui non aveva dato peso, pensando che fosse un’infatuazione passeggera.
<< Non morirai. >> disse, il tono si era fatto più dolce.
<< Uccidimi… >> lo supplicò.
<< No. >> ribadì lui.
<< Mia madre l’avrebbe fatto. >> ribatté Hannare. << Tua madre non c’è, e non era una stupida. >> tagliò corto Kyari, punto sul vivo.
Mowar, la moglie di Kyari, era morta di parto, diciassette anni prima.
<< Allora fa’ in modo che io possa raggiungerla. >> tentò di convincerlo la ragazza drago.
Il padre sospirò, si passò una mano sulla testa stempiata, e ritornò a fissare sua figlia. La luce che aveva animato gli occhi di Hannare si era spenta, e restava solo il fioco riflesso di chi ha perso tutto.
<< Andiamo nell’arena. >> sentenziò poi.
Hannare fu tentata di abbracciarlo, ma preferì trasformarsi in drago e raggiungere il campo di scontro. Un meraviglioso drago coriaceo, dalle squame dure e scure, si posizionò innanzi a lei.
Hannare lo fissò negli occhi, con decisione, e, per un attimo, li sovrappose a quelli viola di Shin.
Kyari si perse ad osservare le iridi verdi di sua figlia, come le sue, e dichiarò << Iniziamo. >>
  
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