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Autore: AsfodeloSpirito17662    26/04/2013    10 recensioni
Doveva ubriacarsi. Non c'era altro modo di affrontare quella grigia, grigissima tragedia. Il punch scivolò giù nella gola che una vera bellezza! Forse un po' troppo bene, tant'è che lo stomaco iniziò a bruciargli come avesse inghiottito un fiammifero. Lasciò cadere il bicchiere di plastica vuoto a terra e si appoggiò al muro durante un giramento particolarmente crudele. Era alla maledetta festa della confraternita dei Camelot, Arthur Pendragon era lì da qualche parte a strusciarsi in mezzo alla bolgia ubriaco come una melanzana e lui, che finalmente era riuscito a trovarsi nello stesso posto alla stessa ora e non perché avevano lezione insieme, era vestito da donna!
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Lancillotto, Merlino, Mordred, Morgana, Principe Artù | Coppie: Gwen/Lancillotto, Merlino/Artù
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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NONO CAPITOLO




Arthur si avvicinò al paglione, osservando da vicino come la punta della freccia avesse praticamente sfiorato il centro del bersaglio; sfiorato appunto, non andato perfettamente a segno. Con un cipiglio irritato, iniziò ad estrarre tutte le frecce che aveva scoccato, infilandole una alla volta all'interno della faretra che pendeva dal suo fianco destro.
Il cielo era coperto da alcune nuvole, ma ogni tanto, un flebile raggio di sole riusciva ad infiltrarsi tra quel muro nebbioso, creando deboli chiazze di luce sull'erba verde.
L'ora di pranzo era passata da un po', ma Arthur non avrebbe saputo davvero dire quanto tempo fosse passato, da che aveva iniziato ad allenarsi; sentì dei passi sull'erba alle sue spalle, ma non si voltò, troppo impegnato ad imprecare contro una freccia che si era conficcata un po' troppo a fondo nel paglione. Infilò una mano nella tasca della tuta ed estrasse una fettuccia di gomma; la piegò a metà ed afferrò la freccia, ricominciando a tirare.

"Ehi! Che stai facendo?"

Merlin si fermò accanto a lui, le mani abbandonate nelle tasche dei jeans e l'immancabile borsa piena di libri a costringerlo in una postura ciondolante. Arthur sbuffò e con un ultimo sforzo, riuscì ad estrarre la freccia. Schioccò soddisfatto la lingua contro il palato e la ripose nella faretra assieme alle altre, aprendo la fettuccia di gomma.
"Secondo te?" rispose piuttosto annoiato, già avviandosi verso la linea di tiro, a trenta metri di distanza dal paglione.
Merlin corrugò la fronte, basito dal tono di voce che aveva udito.
"Ti sei alzato con il piede sbagliato oggi?" domandò, trotterellando dietro di lui con aria piuttosto tranquilla. Il giorno prima non si erano visti e dopo l'ultima conversazione che avevano avuto (e che risaliva alla sera della festa), era sorta in lui la strana e scomoda sensazione di aver lasciato una questione in sospeso.
Arthur non rispose, probabilmente troppo impegnato a sistemare il paracolpi sull'avambraccio sinistro. A quel punto, Merlin capì con chiarezza che qualcosa non andava; accelerò il passo e finì per affiancare il biondo, che venne adocchiato oltre la frangia scompigliata.
"Ti sei alzato con il piede sbagliato" sentenziò stavolta, senza ombra di dubbio.
Arthur gli lanciò una breve occhiata, stringendo un po' i lacci del paracolpi.
"Non dovresti prendere così sul serio tutto quello che dici, lo sai?"
Merlin rallentò visibilmente, lasciando che l'altro prendesse un certo vantaggio. Sbatté con aria idiota le palpebre un paio di volte e restò a fissare la schiena di Arthur che si allontanava verso la linea di tiro, senza sapere cosa dire. Non poteva crederci.
Si è offeso. Si è offeso per davvero. Ecco che cosa mi sono perso, la sera della festa!

Riavviando tutti gli ingranaggi del suo cervello, fece un piccolo scatto, guadagnando di nuovo il terreno che aveva perso su di lui. Stavolta quando lo affiancò, gli puntò palesemente gli occhi addosso.
"Arthur, ma sul serio ce l'hai con me per quella storia?!" strabuzzò gli occhi, la bocca semi aperta, "Non è colpa mia se non riesci a trovare quella ragazza, perché te la stai prendendo con me?!"
Pendragon si fermò nel bel mezzo del campo da tiro e si voltò per fronteggiarlo. Allargò le braccia con esasperazione, prima di farle ricadere pesantemente contro i fianchi.
"Non me la sto prendendo con te, Emrys!"
"Ah, no? E che cosa dovrebbe significare allora quello che hai detto?"
"Forse non sono io che non dovrei prenderti seriamente, forse sei tu a non doverlo fare con me! Era per dire, Emrys!"
Arthur ricominciò a camminare a passo più spedito, puntando ostinatamente gli occhi verso l'arco che lo attendeva pigramente sul suo supporto.
"Tanto per dire un cavolo!" Merlin non si arrese e lo seguì, sentendo un'irritazione sempre più crescente premere contro lo sterno; "E' per questo che non stiamo più andando in giro a stalkerare studentesse? E' perché ti ho detto di lasciar perdere?!"
Fu costretto a fermarsi di colpo perché Arthur si girò verso di lui così velocemente, che si ritrovò a barcollare qualche passo all'indietro. Sentì la voce strozzarsi nella gola, quando i suoi occhi celesti lo racchiusero in un globo di gelida rabbia. Pendragon era un fascio di nervi.
"Ma chi ti credi di essere?!" sputò, la voce bassa, quasi ringhiante, "Pensare di avere tutta questa influenza su di me è davvero un po' troppo, soprattutto per te, Merlin!"
Merlin avvertì distintamente il suo cuore compiere una vertiginosa caduta verso lo stomaco. No, non poteva essere, stava andando tutto a sfacelo! Non si era mai aspettato di vedere i suoi sentimenti ricambiati da Arthur, ma essere almeno suo amico, quella era stata una fortuna insperata che non poteva calpestare! Non poteva lasciarlo accadere! Provò a dire qualcosa, nonostante fosse stato ferito da quelle parole.
"Non ho mai preteso né voluto, avere un'influenza su di te..." commentò con un tono di voce piuttosto titubante, ma limpido come una giornata di sole.
Arthur restò a guardarlo ancora per dei lunghi istanti, durante i quali il moro non distolse mai lo sguardo, mettendo in chiaro in un certo modo, la totale onestà delle sue parole. Tuttavia Pendragon, probabilmente perché troppo accecato dal nervosismo, non pareva essere nelle condizioni adatte per intuire ed apprezzare quella sincerità, qualità che scarseggiava anche nella sua più ristretta cerchia di amici.
Irrigidendo il profilo del volto in maniera inconscia, il biondo tornò a voltargli le spalle; "Vattene Emrys, voglio stare da solo" sentenziò, raccattando il suo arco, prima di allontanarsi verso i dormitori maschili dei Camelot.
Merlin rimase fermo vicino la linea di tiro, le braccia a sfiorare i fianchi magri ed un'improvvisa, mostruosa voragine al posto dello stomaco.
Aveva come la sensazione di aver appena smarrito la bussola.
Che stava succedendo?

*

"Ciao Morgana! Che ci fai qui?"

Morgana si girò con un sorriso sfavillante, incontrando immediatamente lo sguardo del buon Leon.
Sollevò la capiente borsa bianca verso l'alto e si strinse nelle spalle.
"Sono venuta a portare alcuni appunti a mio fratello. Ho finito di correggerli questa mattina ma, come al solito, sono sempre io quella che deve fare il lavoro sporco!"
Leon rise con un certo divertimento, chiudendosi alle spalle la porta della sua stanza; "Dovresti rallentare però, tra i tuoi impegni e l'aiuto che dai a tuo fratello, credo tu abbia le idee un po' confuse!"
Morgana finse con egregia maestria un'aria totalmente sorpresa.
"Che cosa intendi dire?"
"Beh" rispose Leon, con un sorriso un po' colpevole sulle labbra, di chi non vorrebbe ridere degli altri ma riesce a trattenersi a stento, "La camera di tuo fratello è al piano di sotto, non te lo ricordi più?"
La ragazza sgranò gli occhi e la bocca formò una O pressoché perfetta. Trascorsero alcuni istanti di silenzio, necessari a far credere a Leon che la sconvolgente notizia era in corso di elaborazione.
"Diavolo! Hai ragione! Oh, Dio!" si coprì la faccia con una mano, dando l'aria di essere mortalmente imbarazzata da quella gaffe. Si avvicinò all'amico di suo fratello e lo prese sotto braccio, sfarfallando le ciglia lunghe e scure.
"Perché non mi accompagni? Così non potrò perdermi di nuovo!"
Leon schiuse le labbra piuttosto scioccamente, incantato dal movimento ipnotico degli occhi di Morgana; contro ogni aspettativa, riuscì a racimolare la forza necessaria per biascicare un assenso.
Mentre entrambi si avviavano verso le scale, la ragazza voltò la testa indietro, lanciando un'occhiata alla porta della stanza numero centoventitré; stese le labbra in un sorriso ferino: aveva proprio l'aria di un gatto già pronto a leccarsi i baffi.

*

Tom assottigliò le palpebre sugli occhi e tenne le mani appoggiate sulle ginocchia, in una posa palesemente minacciosa ed ostile (o almeno così l'avrebbe definita il nostro eroe). Lancelot dovette forzarsi oltre ogni modo per non distogliere lo sguardo ed allentò il colletto della camicia per riflesso. Tom aveva riposto temporaneamente i suoi arnesi, ma la fucina era ancora calda di lavoro e Lake sentiva già la stoffa della canottiera (quella della salute, che andava infilata nelle mutande), appiccicarsi alla schiena.
Francamente non poteva comportarsi meglio di così. Stava mantenendo la sua parola, era andato dal padre di Gwen con tutte (più o meno) le buone intenzioni del mondo e ci aveva parlato senza ricorrere all'uso di violenza. All'inizio Tom aveva soppesato da una mano all'altra il suo fidato martello, tanto che l'aveva quasi fatto preoccupare per la sua incolumità, ma poi si era seduto ed aveva iniziato a fissarlo; lo aveva fissato così intensamente che Lancelot, schiacciato da quegli occhi neri come la pece, aveva sentito le ginocchia piegarsi da sole ed il sedere crollare sulla panca davanti la sedia dove s'era accomodato Tom.
Dal momento in cui Lance aveva finito di parlare, l'uomo non aveva aperto bocca ed arrivati a quel punto, il silenzio era diventato terribilmente palpabile. Lancelot se lo sentiva stringere addosso quasi quanto la camicia.

"Signor Taibhse(1), io-"
"Sta' zitto"

In realtà, Lance credette si essersi beccato uno stai zitto, perché interpretare quella sorta di ringhio animalesco che era fuoriuscito dalle profondità più profonde della gola di Tom, sarebbe stata un'impresa per chiunque.
Magari mi ha appena detto ti ammazzo. Secondo me l'ha detto. Voglio dire, è plausibile. Me lo aspetterei.

"E così credi di poter venire qui a dirmi come dovrei comportarmi con mia figlia" masticò l'uomo ad un certo punto, facendo rimanere l'altro di stucco. Lancelot aveva sinceramente creduto che Tom non avrebbe davvero parlato, con lui. Si era solo aspettato di essere preso selvaggiamente a martellate in mezzo alla fronte.
"No, io veramente- cioè sì! Nel senso, non è che... Voglio dire-"
"Sì ragazzo, spiegami che cosa vorresti dire, prima che ti spalmi la faccia sulla fucina. Le piaghe che hai adesso ti sembreranno soltanto dei ghirigori”
D'accordo, pensò Lancelot dopo aver preso un respiro profondo, dalle minacce silenziose è passato a quelle verbali. Ma, come ho detto, sono venuto preparato. Preparato psicologicamente. Fisicamente un po' meno, ma posso sempre improvvisare.

"Voglio dire che io tengo a sua figlia. Ci tengo davvero. Altrimenti non avrei cercato di farle la corte in tutti i modi possibili, alcuni dei quali veramente assurdi, lo riconosco. E se non fosse sempre per Gwen, credo che a quest'ora la faccia sulla fucina glie l'avrei spalmata io, con tutto il rispetto. Non so se ci ha fatto caso, ma ho delle ustioni sulla faccia e mi mancano le sopracciglia. Non mi sarei certo aspettato che i miei tentativi di corteggiamento avrebbero rischiato di ammazzarmi, ma non per questo ho smesso. Primo perché amo Gwen e mi piace, mi piace maledettamente ricoprirla di attenzioni. Secondo, l'ho fatto per rispetto nei suoi confronti, Signor Taibhse. Rispetto per quelle che credevo essere le sue ultime volontà. Dica un po', pensa veramente che sarei io quello a dover finire in pasto alla fucina?"

Tom aveva allargato gli occhi, tanta era stata la sfacciata schiettezza con la quale Lancelot gli si era rivolto. Mai, mai nessuno degli ex fidanzati di sua figlia aveva osato parlargli a quel modo! Quando afferrò il martello dal tavolo da lavoro, Lake era già schizzato in piedi come una molla, un incalzante colorito biancastro a dimostrazione che il sangue stava velocemente defluendo dalla faccia. Il fabbro si alzò in piedi con un grido da vero guerriero moicano e fece roteare il martello per aria, senza perdere tempo. Iniziò così all'improvviso, una specie di caccia all'uomo: Lance si mise a correre intorno al tavolo, ripetendo spesso un oh mio Dio oh mio Dio davvero sentito e Tom cercò di stargli dietro e di acciuffarlo; doveva davvero spaccargli quella faccia di bronzo che aveva, una volta per tutte. Era diventata una questione di principio!

"Signor Taibhse!" gridò il ragazzo, circumnavigando il tavolo e mantenendo un certo vantaggio, "Possiamo parlarne, per favore? Ho giurato a Gwen che mi sarei comportato civilmente!"
Il martello si abbatté pesantemente sul tavolo, a dimostrazione di cosa ne pensasse Tom delle sue intenzioni civili. Si fermarono entrambi, uno davanti all'altro, il fabbro con un po' di fiatone in più.
"Per favore" ne approfittò Lancelot, "Mi dia una chance! Una possibilità!"
La corsa si scatenò di nuovo, Tom con uno scatto cercò di aggirare lestamente il tavolo ma Lance era troppo veloce e decisamente più giovane di lui; si sorprese anche di come il fabbro non avesse ancora tentato di lanciargli dietro il martello, invece di limitarsi a rincorrerlo.
Mh, ma non facciamoglielo notare eh. Non diamogli spunti o pretesti del genere. Direi che sono già abbastanza sfigato di mio, senza che mi metta ad incitarla, la sfiga.

"Per la miseria, Tom!"
"Un'altra confidenza così e ti strappo le pa-"
"Non degeneriamo!"
"Quando ti acchiappo Lake, chiederai pietà!"
"Non mi arrenderò mai!"

Lancelot si fermò all'improvviso e piantò le mani sul tavolino, fissando il fabbro con intensa serietà. Tom si fermò davanti a lui e se uno sguardo avesse potuto uccidere, Lance sarebbe stato già bello che morto.
"Se si aspetta davvero che volterò le spalle a Gwen e me ne andrò come hanno fatto tutti quegli altri imbecilli prima di me, si sbaglia di grosso. Può minacciarmi, malmenarmi, passarmi sopra con un trattore, può insultarmi ed anche maledirmi. Ma non le servirà a niente, Signor Taibhse. Se spera davvero di cavarsela con me come ha fatto con gli altri, si accorgerà ben presto di aver fatto male i calcoli. Amo Gwen e le resterò accanto, a prescindere da come terminerà questa conversazione!"

Tom osservò il dito che Lancelot, nel parlare, gli aveva puntato contro. Da lì, fece risalire lentamente lo sguardo sul volto accaldato del ragazzo, che lo fissava con una determinazione davvero fuori dal comune. Che avesse finalmente trovato quello giusto? Quello degno? Unendo le labbra in una linea dura e sottile, lasciò ricadere pesantemente il martello sul tavolo, che fece un tonfo non indifferente. Incrociò le braccia massicce contro il petto e soppesò silenziosamente il coraggio che Lake stava dimostrando davanti le sue minacce. O forse si trattava di semplice stupidità? Il fatto era che qualche merito, bisognava riconoscerglielo. E, come aveva già notato, era la prima volta che uno dei fidanzati di sua figlia dimostrava quella presenza di animo.

"Bene Lake" esordì all'improvviso, mostrandosi un po' più civile, "Vuoi restare con mia figlia?"
Lancelot annuì, allargando le braccia con una certa, esasperata eloquenza.
"Allora sposatela. Entro l'anno. Dimostrami la serietà delle tue intenzioni!"
Il ragazzo venne colto totalmente contropiede da quella sentenza. Restò a fissare il volto di Tom con un'espressione piuttosto inebetita e boccheggiò come un pesce fuor d'acqua. Sposare Gwen?
Ma fa sul serio? Crede davvero che la sposerò solo perché lo vuole lui? Oramai so che non è malato sul serio, perché diavolo pensa che continuerò a dargli retta? Solo perché è suo padre? Quest'uomo è pazzo.

Eppure Lancelot, rimuginando sui mille e più motivi per non dare l'ennesima soddisfazione a quell'individuo oscuro e ricattatore che altri non era che il fabbro, si accorse che il pensiero di sposare Gwen non lo infastidiva, anzi. La proposta di Tom l'aveva lasciato senza parole solo perché l'uomo, nonostante la sua messa in scena fosse stata scoperta, continuava imperterrito a pretendere da lui un certo atteggiamento. Ma sposare Gwen... diamine, realizzò che per lui andava bene.
Qual è il problema? Fatto.

Allungò una mano verso il fabbro, per sigillare una promessa.
"Entro la fine dell'anno diventerò suo genero ed a quel punto, la smetterà di comportarsi da padre psicopatico, non è vero?"
Tom non aspettò che un secondo, prima di stringere la mano di Lancelot in una morsa d'acciaio trincia dita.
"Se entro la fine dell'anno non diventerai mio genero, sappi che a quel punto niente e nessuno potrà impedirmi di spaccarti la faccia, se farai del male alla mia bambina. Ti ho avvertito, Lake"

*

Arthur fissò la lavagna senza vederla realmente. Si era infilato in un'aula vuota per cercare di ripassare, in vista di un esame oramai alle porte, ma tutto ciò che la sua mente riusciva a partorire, era il pensiero di quello che Morgana gli aveva detto. Come aveva potuto baciare per davvero un uomo e non accorgersene nemmeno? D'accordo, la festa era stata in maschera e probabilmente lui era stato un po' ubriaco, ma... non riuscire a distinguere la bocca di un ragazzo da quella di una ragazza... era semplicemente assurdo.
Lui amava le ragazze.
Le adorava.
Le venerava... se davvero aveva compiuto un tale sbaglio, la colpa era da attribuirsi nient'altro che all'alcool. E alle luci lampeggianti.
Un altro aspetto che aveva veramente dell'assurdo in tutta quella faccenda, era che stesse davvero prendendo in considerazione le parole di sua sorella.
Questo spiegherebbe anche perché l'ipotetica ragazza non si è fatta mai avanti. Se dovesse essere sul serio un lui, fossi al posto suo mi vergognerei come un ladro. Maledizione.

E se invece l'ipotesi di Morgana fosse stata sbagliata? D'altronde, che prove aveva lei per dimostrare una cosa del genere? Tante quante ne aveva lui per dimostrare che aveva baciato una ragazza.
Con un sospiro profondo, affondò le mani nei capelli e poggiò i gomiti sul tavolo. Quella storia lo stava facendo andare fuori di testa, oramai era diventata una questione di principio. Doveva sapere qual era la verità, il mistero si infittiva sempre più e lui non sopportava i segreti. Erano una cosa che aveva sempre odiato.
E poi c'era Emrys.
Emrys, con il suo essere dannatamente vago.
Emrys, che sembrava sapere sempre qual era la cosa giusta da dire e poi lo spiazzava con un atteggiamento da menefreghista.
Ciò che più lo irritava, era l'importanza che le parole di quel ragazzo acquisivano per lui. Sin dal primo momento in cui aveva incrociato gli occhi azzurri di Merlin, era rimasto spiazzato dalla loro limpidezza, dalla loro trasparenza. Aveva avvertito, con una sicurezza sconcertante, che quel ragazzo e la sincerità sembravano essere fatti della stessa materia. Per lui Merlin era un ossimoro, perché nonostante avrebbe scommesso una mano sull'onestà dell'amico, una parte di lui sentiva che c'era qualcosa di strano. Se davvero Emrys era tutta la sincerità che lasciava trasparire dallo sguardo, perché allora si comportava in maniera tanto sfuggente? E perché così rare, erano le volte in cui sembrava dire qualcosa perché voleva dirla? Arthur non si sarebbe mai stancato di ammetterlo, ma Merlin era un vero enigma.
Una parte di lui, quella fuori dal suo controllo, si fidava ciecamente di quel nerd da strapazzo che aveva incrociato il suo cammino. L'altra parte, la più cauta, gli suggeriva di spogliarlo da quella patina di onestà che lo ricopriva da capo a piedi e di grattare la superficie, per scoprire cosa c'era sotto; nel secondo caso, sarebbe sicuramente incorso nelle ire del diretto interessato, ma Arthur cominciava davvero ad essere stufo, di quella situazione. Se avesse saputo, il giorno in cui l'aveva costretto ad aiutarlo in quell'impresa, che Merlin sarebbe arrivato a condizionare il suo umore così profondamente, non avrebbe saputo dire se le cose sarebbero andate diversamente. Non sapeva se avrebbe chiesto comunque il suo aiuto, ma credeva che no, piuttosto sarebbe uscito dalla biblioteca ed avrebbe ideato qualcos'altro.
Se c'era una cosa che aveva in comune con Morgana, era la mania di controllo. Già non sopportava che qualcuno potesse scombinargli i pensieri in quella maniera, se poi quel qualcuno era piombato nella sua vita da tempo relativamente scarso, beh... c'era qualcosa che non andava.
L'importante, in quel momento, era scoprire l'identità della persona vestita di verde. Non gli importava se si fosse trattato di un uomo o di una donna, gli bastava togliersi quel sassolino dalla scarpa. Nel caso di un uomo, si sarebbero fatti due risate ed avrebbero finto che nulla fosse accaduto; nel caso di una una donna, le avrebbe chiesto di uscire.
Alle feste in maschera incidenti di quel genere potevano capitare a chiunque, no? Se fosse successo anche a lui, beh... dove stava il problema?

Arthur sapeva quel era il problema, ma non poteva pensarlo, figurarsi dirlo a voce alta.
Il problema era che quel bacio gli era piaciuto da matti. L'aveva rincoglionito.
Che cosa avrebbe fatto, se avesse scoperto che era davvero un ragazzo, quello che l'aveva baciato? Poteva scendere a patti di essere stato vittima di una gaffe del genere, ma non era altrettanto sicuro di poter passare sopra una tale consapevolezza. Baciare un ragazzo non poteva essergli piaciuto così tanto.
Doveva trattarsi di una ragazza.
Per forza.
Si rifiutò categoricamente di pensare a come si sarebbe dovuto comportare, in caso contrario.
L'opzione non era neanche contemplabile.

Alzò gli occhi dal tavolino nell'esatto momento in cui la testa di Morgana fece capolino nell'aula, oltre la soglia. Gli occhi chiari di sua sorella lo individuarono subito, d'altronde era l'unico presente lì dentro.
"Arthur!" esclamò, aprendo tutta la porta per entrare, "Stavo cercando proprio te!"
Che culo, pensò Pendragon Maschio, guardandosi bene dall'esternare quell'impeto di gioia. La osservò avvicinarsi al tavolo e sedersi proprio di fronte a lui, portando con sé un intenso e piacevole odore di camomilla.
"Come stai? Ho incrociato Emrys per i corridoi poco fa, l'ho visto abbastanza abbacchiato. Mi ha detto che avete avuto una discussione"
Arthur corrugò la fronte con espressione interrogativa.
No che non abbiamo avuto una discussione. Lui ha parlato. Io mi sono irritato. Lui si è irritato. Io me ne sono andato. Questo è discutere? No, che non lo è.
"Emrys tende a farla più tragica di quel che è"
"Mh, sicuramente è così" rispose Morgana, tamburellando i polpastrelli sul tavolo, "O forse stai pensando a quello che ti ho detto e sei diventato particolarmente irritabile?"
"Se pensi che io sia diventato particolarmente irritabile, sei venuta qui per testarlo di persona?"
Morgana alzò le mani per aria come in segno di pacifica resa e sorrise morbidamente.
"No ma, sai, stavo pensando..."
"Succede sempre qualche casino quando pensi, Morgana..."
"Non fingere di non essere interessato. Non è niente di certo, ma è sempre qualcosa, no? Mi pare tu non sappia più che cosa fare..."
Arthur le lanciò uno sguardo torvo; incrociò le braccia contro il petto ed il suo silenzio, invitò la sorella a continuare.
"Ti ricordi la sera della prima festa?" domandò lei, aspettando un suo cenno di assenso prima di proseguire, "Cerchiamo di concentrarci sulle persone che frequentano il college. Escludiamo per un attimo l'ipotesi che possa trattarsi di un infiltrato. Ipotesi tra l'altro meno probabile della prima. Comunque, se ci soffermiamo solo sulla cerchia di studenti iscritti ed ipotizziamo che io abbia avuto ragione, nel supporre che si sia trattato di un ragazzo... ricordi forse l'assenza di qualcuno, quella sera?"
Il biondo abbassò lo sguardo e si sforzò di ricordare i volti che aveva incrociato il giorno del misfatto. Leon, Gwaine, Valiant... altra gente che conosceva ma di cui non ricordava bene il nome...
"Morgana, c'era un sacco di gente alla festa, come pretendi che possa aver notato l'assenza di qualcuno?! Tra l'altro dopo un certo punto i miei ricordi diventano abbastanza vaghi"
La ragazza sospirò con insofferenza e roteò gli occhi chiari verso il soffitto.
"Arthur, ti ho chiesto di provare a ricordare. Non potresti metterci un po' più di impegno, prima di lasciar perdere così?"
Anche il fratello sbuffò sonoramente e stropicciò le palpebre con le dita, mettendoci un po' più di impegno, gne gne gne.
Poi, all'improvviso, gli venne in mente un dettaglio.
Gwaine.

"Ehy, Arthur, hai per caso visto Mordred?" domandò Gwaine, caracollando verso di lui nel suo costume da Gandalf, "Voglio che mi faccia da secondo nella gara di bevute, nel caso dovessi morire nel tentativo di vincere" specificò, sorridendo di un sorriso smagliante.

"No, non l'ho visto" biascicò, già oltrepassandolo per andare a prendersi qualcosa dal tavolo delle bevande, "Prova in dormitorio" concluse e, ancora una volta, scandagliò con attenzione i costumi di tutte le ragazze che gli capitarono a tiro d'occhio.


Morgana dovette scorgere qualcosa sul suo viso, perché si tese verso di lui come una corda di violino; lo scrutò con attenzione e con le sopracciglia arcuate. Per la prima volta in tutta la sua vita, Arthur ebbe l'impressione che finalmente fosse la sorella a pendere dalle sue labbra, anziché il contrario.
"Chi è?" soffiò lei, indagando nei suoi occhi alla ricerca di un nome.
Pendragon Maschio sbatté le palpebre piuttosto scioccamente e masticò un Mordred così poco convinto, che Morgana ebbe l'impressione di non averlo sentito parlare affatto.

Non aveva messo in conto che Arthur sarebbe stato il primo a fare il nome di quell'imbecille ma, ehi: quando il destino decideva di metterti davanti occasioni così ghiotte e servite su un piatto d'argento, sarebbe stato da veri maleducati rifiutare. Morgana non poté credere alla fortuna che le stava capitando e rimescolando mentalmente le carte dei suoi piani, colse la palla al balzo.

"Mordred?!" ripeté, con tono più chiaro, ottenendo uno scialbo, disorientato assenso da parte di suo fratello. Mostrandosi piuttosto colpita da quella rivelazione, si tirò indietro ed appoggiò la schiena contro la spalliera della sedia. Allargò gli occhi, dando l'impressione di star analizzando l'informazione ed all'improvviso, schioccò la lingua contro il palato come avesse appena scoperto la via per il Valhalla.
"Vuoi vedere che la sera della seconda festa mi ha baciata soltanto per attirare la tua attenzione?!" commentò, simulando un tono di voce così sibillino e fremente di indignazione, da risultare praticamente genuino. Arthur, se possibile, apparì ancora più frastornato. La guardò come fosse impazzita ma infondo agli occhi azzurri, c'era l'ombra del panico.
Morgana avrebbe preso quell'ombra e l'avrebbe clonata all'infinito.
"Arthur, pensaci, deve essere per forza così! Dopo quell'avvenimento non mi ha neanche più rivolto la parola! E tu gli sei saltato praticamente addosso! Quel piccolo bastardo! Sapeva che lo stavi guardando! Non ha fatto altro che usarmi!" sbatté con veemenza un pugno sul tavolo, sottolineando la sua presunta ira funesta. Cercò gli occhi di suo fratello, che la stava guardando con un tale terrore da farla quasi tentennare. Quasi.
Si sporse verso di lui con aria agguerrita, da vera donna ferita nell'orgoglio e gli artigliò la maglia con le unghie perfettamente smaltate.
"Ascoltami bene, Arthur. C'è un solo modo per scoprire se Duirvir effettivamente ha preso in giro entrambi. E' diventata una questione personale, che potrebbe riguardare anche me. Tu che hai accesso libero nel dormitorio dei Camelot, vai in camera sua. Se ha veramente indossato i panni della ragazza dal vestito verde, il costume dovrà per forza essere ancora lì!"

*

Arthur non poteva crederci. La sua mascella avrebbe toccato il pavimento, se solo fosse stato umanamente possibile. Li aveva trovati. Li aveva trovati per davvero! Nascosti malamente dietro l'armadio, aveva trovato gli abiti della ragazza in verde!
Mentre vagava senza una meta per i corridoi dell'università, cercò di capire come diavolo era stato possibile arrivare a quel punto.
Mordred l'aveva baciato.
Mordred l'aveva baciato e lui aveva pure ricambiato!
Dovette appoggiarsi contro il primo muro disponibile, per non cedere alla portata di quella rivelazione.
Ma porco cazzo!

Assecondando il bisogno che aveva di continuare a muoversi, uscì nel cortile interno della scuola e si lasciò crollare su una delle panchine vicino la fontana. Il sole era quasi calato del tutto ed i lampioni si erano già accesi per illuminare l'edificio di pietra. Arthur abbandonò mollemente le mani sulle gambe e fissò l'acqua zampillare pacificamente dagli erogatori.
Morgana aveva avuto ragione.
Del resto, ammise una parte di lui che assolutamente non gli apparteneva, sua sorella aveva sempre ragione.
Che cazzo, è peggio di un oracolo della madonna. E' una strega. Ed io la odio.

Nonostante avesse appena declamato la sua avversità per la diabolica (non sapeva neanche quanto) consanguinea, restava il fatto che Mordred l'aveva baciato.
E che a lui era piaciuto.
Scosse le spalle e scacciò un intenso brivido di puro disagio.
A lui era piaciuto.
No, doveva esserci qualcosa di sbagliato. Qualcosa che non andava.
Ricordava, che gli fosse piaciuto. Ma la sua lucidità in quel momento era pesantemente alterata. Era ubriaco, strafatto di luci stroboscopiche e di grida festose. Era stato lui, ma non era stato lui. Non era stato in sé, quella sera. A partire dal primo bicchiere di whiskey.
Se lo baciassi adesso sono sicuro che mi farebbe schifo. Ma schifo forte. Talmente schifo che la zuppa di verdure che mi rifila Mary in mensa ogni sacrosanta volta, mi sembrerà caviale.

A quel punto, capì che cosa doveva fare.
Si alzò in piedi con aria un po' meno depressa e prese la via verso la mensa.
Era quasi ora di cena, l'avrebbe sicuramente pescato lì seduto a qualche tavolo, impegnato a mangiare.
Mentre si immise nel corridoio di destra, cercò di spiegarsi come avesse potuto Mordred guardarlo in faccia per tutto quel tempo senza tradire la minima colpa, la più piccola vergogna od il minimo imbarazzo.
Che razza di essere umano è?

Svoltò un angolo ed in quel momento, vide l'oggetto dei suoi pensieri camminare poco distante da lui, in compagnia di un amico.
Ah, così era anche meglio.

"Duirvir!" esclamò ad alta voce, superando un paio di aule vuote. Il ragazzo si girò verso di lui e quando lo riconobbe, Arthur notò un certo irrigidimento.
"Posso parlarti?"
Mordred si rivolse all'amico: "Vai Vince. Ti raggiungo subito, tienimi il posto" commentò, piuttosto quieto.
Quando Vince si fu allontanato, Mordred infilò le mani nelle tasche dei pantaloni e si avvicinò con lentezza ad Arthur, mantenendo lo sguardo basso.
Ah, la faccia del colpevole! pensò subito Pendragon Maschio, cominciando a costruire castelli per aria. Morgana sarebbe stata fiera di vedere come stesse facendo, da solo, tutto il lavoro sporco.
"Senti Pendragon" esordì il moro, evitando per ovvi motivi il suo sguardo, "Mi dispiace per quello che è successo l'altra sera. Non so che cosa mi sia preso, devo aver bevuto troppo. Non avevo cattive intenzioni nei confronti di tua sorella..."
Arthur lo squadrò con un cipiglio piuttosto serio, lasciandolo parlare. Il piano del buon stratega era semplice: prima l'avrebbe baciato, per accertarsi che la sensazione di schifo totale si sarebbe verificata. Poi l'avrebbe gonfiato di botte come una maledetta mongolfiera, per aver taciuto tutto quel tempo e per aver messo le mani addosso a sua sorella, con il solo obiettivo di usarla.
Mordred sbirciò la sua espressione con cautela e raggrumò le labbra.
D'accordo, forse è arrivato il caso di ammetterlo ad alta voce.
"Senti, a me tua sorella pia-"
"Piantala con questa commedia"
Il ragazzo, dopo essere stato bruscamente interrotto, avvertì un leggero senso di smarrimento.
"Scusa...?"
"Lo so che sei stato tu, Mordred. Mi dispiace solo che tu non sia venuto da me a parlarne, piuttosto che guardarmi diventare matto giorno dopo giorno. Ero convinto che per te la nostra amicizia valesse di più. Pensi davvero che non avrei saputo riderci sopra?"
"Credo... credo di non capire...?" Mordred corrugò la fronte, sicuro di essersi perso qualche pezzo per strada. Di cosa stava parlando Arthur? Aveva scoperto che era stato lui, ad aver messo in giro le foto di Morgana?
No, impossibile. Sarebbe venuto a stringermi la mano, non a farmi il terzo grado.
"Ah, non capisci?" rispose l'altro, con sferzante ironia, "Lascia che ti spieghi allora"
Senza neanche dargli il tempo di capire cosa diavolo stesse accadendo, Mordred avvertì le mani di Arthur afferrare bruscamente il suo volto e poi, in una confusione generale di occhi e capelli, poté scoprire l'esatta consistenza che avevano le labbra di Pendragon Maschio.
Duirvir sgranò gli occhi a palla, restando praticamente congelato come uno stoccafisso. La scena era piuttosto comica.
Arthur Pendragon lo stava baciando e non sapeva cosa avesse fatto per meritarsi un castigo del genere.
Oh Cristo, no!


Riattivando in pochi secondi il cervello, con una spinta spiazzata Mordred lo allontanò da sé e lo guardò come fosse completamente ammattito (o come avesse appena commesso l'errore più grande della sua vita). Invece di pulirsi la bocca come un ossesso però, iniziò a guardarsi freneticamente attorno, come alla ricerca di qualcosa. O di qualcuno.
Mi ha fregato. Mi ha fregato, me lo sento. Non la vedo, ma lo so che è qui. Sento le sue vibrazioni negative a chilometri di distanza! Porca puttana!

"Grandioso Pendragon, davvero grandioso!" sbottò, cadendo preda di un lapsus furioso, "Non so come diavolo tu sia arrivato a fare una cosa del genere, ma lasciati dire che non stai bene!"
Inspirò profondamente, cercando di ritrovare la sua caratteristica calma. In realtà un'idea ce l'aveva, di come diavolo Arthur fosse arrivato a fare una cosa del genere; o perlomeno, chi ne fosse la causa.
Dal canto suo, il biondo sfiorò appena le labbra con i polpastrelli e guardo Mordred come fosse un totale sconosciuto. Lo guardò come non l'avesse mai visto davvero.
"Non sei tu..." sussurrò, permettendo alle pareti di pietra di assorbire il suo smarrimento. Fece qualche passo all'indietro e lasciò che il suo corpo venisse inghiottito da alcune ombre.
"Non sei tu..."
Mordred non disse niente. Cominciava a capire perché Arthur l'avesse baciato.
Devo solo scoprire come Morgana sia riuscita a convincerlo che la ragazza dal vestito verde fossi io.
"Che cosa ci facevano i suoi vestiti in camera tua?
La domanda che gli pose, mandò in confusione anche lui. Cercò di studiarne l'espressione, ma Arthur si mantenne volutamente nell'ombra.
"Arthur, di nuovo, ti dico che non so di cosa tu stia parlando! Quali vestiti?"
Non ci posso credere, li ha davvero ficcati in camera mia! Ma è diabolica! Oh Dio vorrei baciarla. Vorrei baciarla proprio adesso, per la miseria. E' meravigliosa!


Ma Pendragon non lo ascoltava più. Gli aveva voltato le spalle e mormorava tra sé.
"Devono averceli messi... deve essere così... ma chi?"
Mordred gli si avvicinò silenziosamente di qualche passo, per cercare di capire cosa diamine stesse dicendo.
Abbiamo fatto ammattire del tutto Pendragon. Adesso parla anche da solo, nascosto tra le ombre come il peggior malvagio che un cartone animato potrebbe mai avere.
"Qualcuno che può aver accesso ai dormitori maschili dei Camelot. Quindi deve essere per forza un maschio. Ed un Camelot. Ma chi?"

Arthur si voltò soltanto quando sentì un tocco gentile sulla spalla. Lasciò vagare distrattamente gli occhi sul volto di Mordred, con l'aria di qualcuno che si stava perdendo dentro.
Poi, all'improvviso, qualcosa di doloroso e pesante si abbatté con una certa determinazione sulla mascella del moro.
Colto impreparato, Mordred barcollò all'indietro e finì spalle al muro.
Ma che diamine?! Prima mi bacia e poi mi picchia?!

Toccò con incredulità il punto offeso e piantò gli occhi chiari sul volto di Arthur: "Si può sapere che diavolo ti prende?!" ringhiò, avvertendo già un certo prurito alle mani. D'accordo che Pendragon era stato astutamente manipolato e raggirato, ma a tutto c'era un limite! Se voleva fare a botte, era il benvenuto!
Arthur si massaggiò le nocche della mano e gli rivolse uno sguardo glaciale.
"Questo era per aver baciato mia sorella. Sono un fratello protettivo Duirvir, che cosa ci vuoi fare?"

Senza aggiungere altro, il biondo lo superò, continuando la sua marcia verso la mensa.
Ovviamente non avrebbe mangiato niente, lo stomaco gli si era accartocciato tutto su se stesso come un foglio di carta che brucia.
Mordred restò per un paio di minuti con le spalle appoggiate contro la parete; poi, quando non riuscì a cogliere nessun movimento nei dintorni (aveva aspettato addirittura che Arthur si fosse allontanato di un bel po'), decise che continuare ad aspettare di coglierla sul luogo del misfatto sarebbe stato inutile.
Il domani era l'unico ad avere risposte in grembo.















NOTE DELL'AUTORE: Questo capitolo è un po' più corto degli altri ma accadono un po' di cosine carine, dai <3 ve lo aspettavate questo tiro da Morgana? Ma quanto è machiavellica questa ragazza? Vi giuro che mi spaventa, non ha limiti XD Ed avete capito perché Mordred è un disadattato sociale? Più lei lo maltrattata, più lui si sente stimolato a fare peggio! Meno male che ho messo l'avvertimento 'demenziale' per questa storia, altrimenti avrei dovuto dare serie spiegazioni per tutto questo delirio XD Come al solito vi ringrazio per le innumerevoli bellissimi fantastiche splendide eccetera eccetera recensioni! La cosa più bella è aver conosciuto molte di voi anche fuori dall'ambito di EFP :D Approfitto di questo spazio per rinfrescarvi la memoria: Morgana è sempre stata la proprietaria del vestito verde, nel primo capitolo viene specificato che lei ha prestato il vestito a Merlin perché Merlin ha perso una scommessa. E' riuscita ad introdursi nel dormitorio dei Camelot semplicemente perché essendo la sorella di Arthur ed avendogli sempre portato gli appunti, sapeva che la sua presenza lì non avrebbe destato sospetti :D Come è riuscita ad entrare in camera di Mordred? Probabilmente ha doti nascosti di scassinatrice, prima o poi mi farò spiegare da lei questo dettaglio. C'è da dire che dalla mia esperienza inglese, ho appreso che molti inglesi non hanno l'abitudine di chiudere la porta a chiave. Pessima, pessima usanza ù_ù In questo periodo sono piuttosto impegnata, chiedo perdono se aggiorno lentamente. Ma so che mi vorrete bene lo stesso u.u Le note sono insolitamente poche stavolta! (Una sola):

(1) Taibhse, dal gaelico vuol dire fantasma. Nel ciclo arturiano Ginevra era definita come fata o fantasma bianco. Mi serviva un cognome. Questo è il suo cognome.



Vabbé, finisco di ammorbarvi sul serio u.u mancano 4 capitoli eh e_e DICO QUATTRO!

Ciao u.u


   
 
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