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Autore: yeahitsmarts    27/04/2013    2 recensioni
"Anche il giorno più lungo finisce."
Alaska Lynch ha una vita noiosa e sempre uguale di cui però non si lamenta mai. Passa il suo tempo con il naso fra i libri di storia, letteratura e arte e i pomeriggi a ridere insieme a Cassie e Matt. La notte esce di nascosto di casa e se ne va a passeggiare al cimitero scrivendo e recitando poesie.
Cosa potrebbe andare storto in una monotonia simile? Qualche morto, un incidente stradale, un suicidio? Assolutamente no. Ciò che rompe l'equilibro della ragazza è una vacanze estiva a casa della nonna a Kilkenny. L'Irlanda, paese magico e sconosciuto, sembra lontanissimo dalla piovosa Londra. Della nonna Alaska ha ben pochi ricordi: qualche pietra incisa, una scrivania piena di scartoffie e un grande giardino colorato, niente di più.
E se tutto ciò che le hanno raccontato fosse soltanto un modo per proteggerla?
Il viaggio porterà Alaska alla scoperta di una se stessa dimenticata nel tempo.
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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01 # Nel cuore della notte.
«Non dirmi che i tuoi lo faranno davvero!» Cassie non poteva proprio crederci, continuava a fissare l'amica sperando che quella le confessasse che in realtà era tutto uno scherzo per farsi due risate. Alaska non si scompose, mantenne lo sguardo fisso sul sandwich al tonno e pomodoro davanti a sé e sospirò «Cassie, per favore, non agitarti, è solo per quest'estate, poi torno. Puoi sempre venirmi a trovare, non me ne vado mica in Ameri..»
«Solo?» La interruppe bruscamente lei «Solo per quest'estate?» Continuò esasperata «Cosa ne farò io delle mie vacanze?»
Stava proprio esagerando e Alaska non si trattenne nel dirglielo «Cassie, dai calmati. Sai come sono i miei, no? Tua zia Margaret ci tiene tanto a conoscerti!» tentò di imitare la voce profonda del padre e finalmente l'amica si sciolse in una risata «Comunque potrai venire da me una, due, anche tre settimane!» 
«E Matt?» Matthew. A lui non ci aveva pensato.
«Anche Matt!» e sorrise.
Una voce allegra giunse dalle loro spalle «Chi è che mi nomina invano?» tutti e tre scoppiarono a ridere e anche lui si unì al tavolo «Di cosa stavate spettegolando?» il sorriso sparì dalla faccia delle due «Beh, ecco... Alaska... Estate...» Matt continuò a mantenere la stessa espressione gioiosa di quando era arrivato «Alaska cosa?» domandò per spronare Cassie a continuare «Ecco, lei... Vedi, non so proprio come...» «Parto per tutta l'estate» l'affermazione le uscì secca dalle labbra.
«Oh...» Matt sembrò confuso «Oh... Che fame, lo mangi quello?»
«Fa' pure» Cassie gli allungò il sandwich e si sentì terribilmente in colpa «Verrete a stare da me, Matt. Dormiremo tre settimane insieme. Verrai, vero?»
«Non so, penso di sì. Devo andare in classe, ci si vede!»
«Aspetta, non andar..»
«A dopo!» e la testa biondo cenere del ragazzo uscì e sparì dalla loro vista.
«Che c'è? Cosa ho fatto?» Cassie la fissava con sguardo truce «Certe volte non ti capisco proprio» «Cosa non dovresti capire?» «Tu» Alaska continuava a non seguire la logica del suo ragionamento. Cassie però se ne fregò e proseguì «Tu, esatto. Certe volte sei una stronza insensibile di dimensioni epiche, non ti rendi davvero conto di quanto poco tatto ci metti nel dire le cose, vero?»
«Ascolta» stava perdendo la pazienza perchè quegli insulti gratuiti proprio non avevano senso. Ma come si permetteva? Non aveva fatto niente di male. Cercò di mantenere una calma apparente e proseguì dopo un enorme sospiro «E' l'ultimo giorno di scuola, domani mi aspetta un viaggio abbastanza lungo. Vogliamo davvero passare queste ore così? D'accordo» Alaska si sentiva profondamente offesa ma doveva assolutamente tenerlo per sé. 
La risposta non tardò ad arrivare «Finchè non cambi e non cresci un po'... Sì. E spero che tu maturi entro la tua partenza» e così dicendo, raccolse le sue cose e fece per andarsene.
Inizialmente Alaska si trovò spiazzata e senza frasi per controbattere. Si strinse le braccia al petto con fare altezzoso e studiò l' amica in silenzio. «Stronza insensibile ci sarai!» le gridò ma non fu certa che Cassie l'avesse sentita: se ne era andata con una velocità incredibile.
 
L'ora di matematica fu una vera tragedia greca. Alaska, come di consueto, si sedette all'ultimo banco vicino alla finestra pronta ad accogliere Cassie con un enorme sorriso sulla faccia. Quello di prima, pensava, era soltanto uno stupido litigio che avrebbero superato in un batter d'occhio. 
Si sbagliava di grosso. L'amica entrò in classe e la fissò per circa cinque minuti ferma sulla soglia della porta. Alaska la salutò con un gesto della mano e lei fece per ignorarla catapultandosi in prima fila, davanti alla cattedra. «Allora non mi sbagliavo quando ti ho dato della stronza insensibile» digrignò a denti stretti. «Come scusa?» era talmente presa dai suoi pensieri che non si era proprio accorta che una ragazza bassina le si era seduta accanto. Cercò di ricordarne il nome, ma quel viso paffuto e quella montatura d'occhiali tonda l'aveva vista solamente di sfuggita. «Niente, stavo... Stavo pensando ad alta voce» si giustificò Alaska. «Ah, wow, fantastico, allora è vero quando in giro dicono che sei strana..» Il professore ancora non era in classe. Alaska dalla rabbia spezzò una matita e la guardò in cagnesco «Ascolta, brutta stronza insignificante di cui non ricordo neanche il nome» il suo volto si era tinto di rosso e tutti si erano zittiti e voltati per guardarla. Poco le importava, era l'ora di dare una lezione a tutte quelle malelingue che la insultavano e screditavano senza motivo. «Soltanto perchè mi distinguo da questa massa di idioti senza cervello non vuol dire che io sia strana, okay? Quelli sbagliati siete voi che passate il vostro tempo a giudicare e parlare e giudicare ancora senza sapere» si alzò, infilò le sue cose nella borsa alla rinfusa e si avviò verso la porta. Poco prima di uscire però si ricordò dell'amica che non aveva aperto bocca. Con passo veloce la raggiunse e le si posizionò davanti «Sai che c'è, Cassie? Secondo me sei stata proprio tu a mandare in giro queste voce» non poteva crederci, era fuori di sé e non le importava. Il giorno dopo sarebbe partita per starsene tre mesi lontana da tutti e tutto e per la prima volta vide quel viaggio come una vera e propria salvezza. «Non chiamarmi, non telefonarmi più, non cercarmi, io e te non siamo amiche, capito?»  Le veniva da piangere, pensare che forse Cassie l'aveva presa in giro per tutto quel tempo la faceva sentire la persona più sola su questo pianeta. Si voltò, non aspettò neanche una sua risposta. «E forse non lo siamo mai state» aggiunse più tardi, una volta fuori.
 
Il sole batteva forte sulla città di Londra. Alaska non aveva pazienza nemmeno di aspettare l'autobus per tornare a casa, così decise di accendere l'ipod, spegnere il telefono e farsela a piedi. Si tolse il felpone dell'Obey e si mise in marcia con Mardy Bum appena iniziata. Ad ogni passo si sentiva meglio, presto sarebbe scappata da quello schifo di città, schifo di amicizie, schifo di vita e schifo di casa. E finalmente sarebbe stata una nuova Alaska. Promise a sè stessa di iniziare ad essere meno scontrosa con gli sconosciuti, ad essere più aperta e rispettosa del prossimo. Di sorridere di più, di essere cordiale e gentile. E una volta tornata? Quel pensiero le rimbombò nella testa. Non era ancora partita e già non voleva più saperne della piovosa Londra. 
 
La chiave non entrava nella fessura, probabilmente sua madre era a casa e non l'aveva sentita rientrare. Si attaccò al citofono per tre minuti e poi aspettò zitta sotto la veranda. 
«Alaska Dakota Savannah Lynch» la voce della madre rimbombò sopra il volume della musica. Cazzo, fu l'unico pensiero sensato che le venne in mente. Doveva essere molto, molto arrabbiata per chiamarla con il suo nome completo. Nome che tra l'altro odiava. Lei si voltò lentamente impreparata allo scontro verbale che da lì a poco avrebbe avuto luogo. Si tolse le cuffie, spense l'ipod e infine si alzò. Cercò di apparire il più naturale possibile ma sentiva tutti i muscoli tesi «Sì, mamma?» La donna struccata e nella sua vestaglia da casa rosa pastello, sembrava stanca e più anziana dei suoi quarantaquattro anni. «Dove diavolo eri finita? Mi hanno chiamata da scuola per dirmi che sei uscita con un'ora di anticipo senza permesso!»  sembrava sull'orlo di una crisi di pianto. Alaska avrebbe voluto avvicinarsi e calmarla ma probabilmente la madre, alla prima occasione, le avrebbe tirato uno schiaffo in pieno viso.
Meglio mantenere le distanze, decise a malincuore. 
«Ti ho fatto diciotto chiamate, Alaska, diciotto! Dove hai messo il telefono?» senza proferire parola si tastò le tasche, prese il cellulare e lo accese. Le arrivarono dei messaggi di avviso delle chiamate perse. Ventidue in tutto, quattro erano di Cassie. Che Cassie si fotta, non deve interessarle nulla di me.
«Alaska, mi hai delusa moltissimo e mi hai fatto prendere uno spavento enorme. Pensavo ti fosse capitato qualcosa di brutto!» mosse qualche passo verso di lei e, con sua sorpresa, l'abbracciò «Non farlo mai più, ti prego. Adesso chiamo tuo padre e gli dico che è tutto okay, va bene tesoro? Non farlo mai più» Dov'erano gli spintoni, gli schiaffi in faccia e le mega punizioni che si aspettava? Sua madre stava letteralmente impazzendo per colpa della vecchiaia. Alaska scosse la testa «Va bene, va bene... Le valigie?» «In camera tua pronte per essere riempite!».
La ragazza salì di corsa le scale di casa e si catapultò nella sua stanza. Le pareti bianche, spoglie, tre scaffali stracolmi di libri, un armadio e una scarpiera. Rovesciò sul letto tutto ciò che i suoi cassetti contenevano e iniziò a sistemare il tutto nei suoi bagagli. 
Il cellulare riprese a squillare: Cassie. «E' inutile, tanto non ti rispondo» ma alla quinta telefonata cedette. «Pronto?» dall'altra parte nessuna risposta. «Pronto?» ripetè una seconda e una terza volta. Ma Cassie, di parlare, proprio non voleva saperne. «Ascolta, ci sei rimasta male per oggi? Non m'importa, fattene una ragione. Io parto domani mattina alle 10, se hai qualcosa da dire, per favore, fallo prima di quell'orario lì, altrimenti ci si rivede a settembre, forse» Cassie le sarebbe mancata terribilmente, già lo sapeva. Per un momento ad Alaska parve udire dei sussurri confusi, poi la chiamata terminò. «Assurdo» si disse scuotendo la testa. 
 
«Alaska, svegliati, è ora di cena» il padre se ne stava seduto al bordo del letto, gli occhiali rettangolari sul viso. La fissava con un espressione impassibile, la solita aria distaccata e sprezzante che aveva con tutti. In quasi diciassette anni di vita non l'aveva mai chiamata con un nomignolo affettuoso, mai nemmeno un abbraccio. «Ma che ora è?» domandò cercando in giro la sua radiosveglia. «Sono le otto, è pronto da mangiare, muoviti!» le ordinò severo. Sarà ancora arrabbiato per oggi pomeriggio, chissà.
Si alzò e infilandosi una felpa blu notte, scese le scale. A tavola il silenzio venne rotto dalla dolce voce della madre. «Hai preso tutto, cara?» «Sì mamma» «E i documenti?» «Anche» Ti prego smettila, aggiunse mentalmente. Si infilò in bocca un'enorme forchettata di spaghetti al sugo e tirò su con il naso. «Spero che a casa di tua nonna non farai queste sceneggiate da villana. Ti abbiamo insegnato una buona educazione e mi pare che sia il caso che la usi» Alaska sbuffò in faccia al padre e lasciò cadere la posata nel piatto «Ma cosa avete tutti quanti oggi? Siete da ricoverare, dico sul serio, mi fate quasi paura!» e invece di scappare in camera sua come era solita fare dopo i litigi famigliari, incrociò le braccia al petto e aspettò una risposta logica a quell'insensata giornata. A parlare fu la madre dopo un profondo respiro «Siamo soltanto preoccupati per te» Bella spiegazione di merda. «Sul tavolo in salone c'è un pacco per te, lo ha lasciato.. Quel ragazzo biondino, il tuo amico» Alaska si sentì ribollire di rabbia «Cosa? E perchè non gli hai detto di salire a salutarmi?» la madre parve non accorgersi dell'esagerata reazione «L'ho fatto» le disse giungendo le mani sul tavolo «Ma ha detto che andava di fretta e non aveva voglia di disturbare. E' così carino ed educato, perchè non ti sei messa con lui invece con quel deficiente che ti ha... » non riusciva a trovare la parola giusta. «Che ti ha rovinata» concluse il padre.
Quello era davvero il colmo. Fece strusciare rumorosamente la sedia sul pavimento, gettò il tovagliolo in mezzo la tavola e, soltanto dopo aver preso il pacco dal salone, si chiuse in camera sua. Non aprì neanche il regalo, lo gettò in una valigia qualsiasi, impostò la sveglia per le sei e si mise al letto.
Era di così cattivo umore che non avrebbe avuto neanche la forza di sgattaiolare al cimitero a leggere qualche poesia ad Agnes. Non avrebbe potuto neanche salutarla. 
«Andate a fare in culo tutti, proprio tutti!» fu l'ultima cosa che disse prima di cadere in un sonno profondo.
 
La luce della lampada ad olio illuminava appena i tre volti seduti a terra. Quella sera a Kilkenny faceva un freddo cane e la foresta non era affatto ospitale. «Non sto più nella pelle!» esclamò la prima. Il secondo scosse la testa e sorrise «Secondo me è bellissima» ma il terzo, che neanche voleva stare lì, sfasciò tutti i loro sogni «Sarà un disastro, secondo me non è affatto come ce l'immaginiamo. Farà schifo, staremo da schifo tutti!» Guardò la luna per un po' e poi si allontanò dagli altri senza dire una parola. «Perchè fa così?»  gli chiese mentre si sistemava una ciocca di capelli ribelli dietro l'orecchio. «Secondo me ha paura!» rispose lui mentre spegneva la lampada «E di cosa?» si strinse nelle spalle «Dell'amore, credo» 
 
A Londra, nel cuore della notte, Alaska si era appena svegliata da un terribile incubo.

yay ragazzi, sono tornata! Ve l'avevo promesso, e quindi eccomi qui! Spero davvero che il capitoletto vi piaccia. Bene, non so cosa dire, aspetto voi!
  
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