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Autore: BecauseOfMusic_    27/04/2013    1 recensioni
Chi l'avrebbe mai detto? Spencer Reid innamorato. Spencer Reid innamorato perso di una nuova collega, che sembra essersi presa a cuore il suo futuro, e si preoccupa molto per lui.
Spencer Reid che perde la testa per una donna che, a quanto pare, ha già un'altro.
Genere: Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SONO TORNATA!
Lo so, pensavate che non avrei più pubblicato vero? ahah e invece no! 
Sono sempre qui, e finalmente sono riuscita a 'partorire'  un capitolo che valga la pena di essere letto! :)
Quindi vi prego di recensire e continuare a seguire: anche solo per dirmi cosa non vi piace, ma fatelo.

Bene ho concluso: buona lettura! :D
BecauseOfMusic_




POV HOTCH

Jesse è veramente nervosa oggi: non dice una sola parola da quando siamo entrati nell'ufficio di Bronson, ed è davvero strano: in genere ha sempre idee brillanti e riesce a dare una grande mano per risolvere i casi; quando il capitano Strauss me l'ha presentata non pensavo che sarebbe stata un buon acquisto per noi: aveva un'aria così fragile e smarrita che pensavo quasi fosse uno scherzo.

Invece non lo era affatto, anzi: col tempo ha dato prova di essere davvero un'ottima profiler, e inoltre riesce ad instaurare ottimi rapporti con le famiglie delle vittime con le quali abbiamo, purtroppo, a che fare. Ottiene la loro fiducia in così poco tempo che qualcuno potrebbe pensare faccia magie.
Oggi però è praticamente l'ombra della donna che conosco: è pallida, agitata e tesa come una corda di violino. Bronson continua a guardarla con insistenza, e socchiude gli occhi: non riesco a classificare il suo sguardo.
Credo che aiutare Jesse ad uscire dalla stanza con una scusa è la cosa migliore: forse quando avrà preso una boccata d'aria sarà più rilassata.

“Jesse, potresti cominciare a parlare con le famiglie delle vittime?” le sussurro in un orecchio.
Lei mi guarda, visibilmente sollevata, e annuisce.
“Prima però prendi un po' d'aria eh?” annuisce di nuovo, poi si alza mormora “scusatemi” ed esce dalla porta quasi correndo.
Faccio cenno a Reid di seguirla, lui può aiutarla meglio di tutti: in fondo hanno la stessa età o quasi, e lui lavora da più tempo in questo campo. La sua esperienza le sarà utile.

“Mi scusi agente Hotchner” mi richiama Bronson “posso sapere perché permette ad alcuni membri della sua squadra di abbandonare con così tanta nonchalance una riunione in pieno svolgimento?”
“Si sbaglia, ho pregato io l'agente Smithson e l'agente Reid di uscire per cominciare il loro lavoro”
Lui sobbalza visibilmente quando faccio il nome di Jesse, ma si riprende rapidamente, ed esclama “Se è così allora proseguiamo”
“A dire il vero, signore, abbiamo già detto tutto ciò che c'era da dire” lo interrompe JJ “se tutte le informazioni che poteva darci sono in questi fascicoli, allora abbiamo terminato”
L'uomo sembra preso in contropiede dalla mia collega, non deve essere abituato a qualcuno che controbatte le sue parole.

“Ma si, naturalmente. Allora...beh tenetemi aggiornato”
Annuisco “Ma certo, non si preoccupi. Potrebbe mostrarci per favore una stanza dove possiamo lavorare in tranquillità?”
“Sicuro: mi dia solo un istante.” risponde, poi spalanca la porta del suo ufficio ed urla “Brusset! Vieni qui subito!”
pochi attimi dopo appare trafelato un ragazzetto che avrà al massimo quindici anni: porta abiti scoloriti ed ha un'esplosione di lentiggini sul viso e sulle braccia.
“Il caffè signor Bronson”
“Sciocco ragazzo! Te l'ho chiesto mezz'ora fa il caffè: dove sei andato a prenderlo, in Thailandia?”
“Veramente c'è un negozio a un'isolato da qui e...”
“Basta ciance!” abbaia il poliziotto “Porta i signori nella sala riunioni più grande, e poi vammi a prendere un altro caffè. E stavolta vedi di metterci meno tempo!”
“S-si signore” sussulta il ragazzo.

Bronson estrae un fazzoletto dalla tasca dei pantaloni e se lo passa sul viso paonazzo.

“Deve scusare i miei modi, agente Hotchner. Quel ragazzo è mio nipote; è cresciuto con la madre fino ad ora, che lo ha tirato su veramente male: insomma passa giornate intere sui libri e un giorno mi salta fuori con: sai nonno vorrei fare il poliziotto, essere un eroe. Fare il poliziotto è un lavoro da duri, non da pappe molli, almeno io la vedo così.”
“E questo le da il diritto di trattarlo così?” domanda aggressivo Morgan “si è mai domandato se magari suo nipote stia cercando da lei approvazione? E lei gli rende la permanenza qui un inferno! Forse se lo trattasse meglio e smettesse di sgridarlo per ogni inezia non avrebbe più paura di lei.” Vorrei intervenire, ma non faccio in tempo.
Il capo della polizia si mette di fronte a Derek e gonfia il petto, pensando forse di essere minaccioso. Ma ha fatto male i conti: il mio collega, più alto di dieci centimetri lo squadra, torvo, e a lui non resta che tornare nel suo ufficio borbottando sotto i baffi.

Io mi rivolgo al quindicenne, che ora guarda Morgan con adorazione, quasi fosse un santo
“Allora, possiamo andare?”
Lui annuisce e si avvia, ma continua a girarsi per osservarlo. Mi scappa un sorriso ironico: Morgan si è appena guadagnato un fan.

 

 

POV JESSE

Appena varcata la soglia della centrale comincio a correre verso il piccolo parco che si trova all'incrocio con la strada che sto percorrendo. Ci andavo quando ero bambina, con mio padre: nei pomeriggi assolati e ventosi di agosto, quando tornava a casa dal lavoro, gettava la sua borsa sul letto e mi prendeva in spalla. Com'era forte allora: giovane e sorridente. Sembrava che niente e nessuno avrebbe potuto dividerci; ricordo ancora la sua risata, e il cigolio dell'altalena, e l'odore pieno della mia estate: fiori, vento, frutti maturi e dopobarba.

Dio, come mi manca mio padre.

Chissà se è ancora aperto, se esiste ancora quel parco: è tanto che non vengo a Camp Point, quasi sette anni.
Forse è abbandonato, meglio così, ho bisogno di stare sola.
Non è abbandonato, anzi lo hanno ingrandito: ora ci sono le altalene e diversi scivoli; non c'è nessuno, forse perché il cielo è nero e gonfio di nubi. Mi siedo su una delle due panchine e osservo il terreno davanti ai miei piedi. Forse sarei dovuta restare a Quantico, non so se sarò in grado di affrontare il mio passato.

La voce di Reid, che si è accomodato in silenzio sull'altalena di fronte a me, mi richiama alla realtà
“So che è una domanda stupida, ma sei sicura di stare bene?”
“E tu che ci fai qui?” domando sorpresa.
“Hotch mi ha detto di seguirti, dobbiamo parlare con le famiglie.” dice frettolosamente “non hai risposto alla mia domanda.”
Sorrido tornando a guardare i fili d'erba che ondeggiano sempre più velocemente, guidati dal vento.
“Sei ostinato Spencer”
“E tu sei un riccio”
“Io sono cosa?” < ma ha preso una botta in testa? >
“Si, un riccio. Non appena qualcuno cerca di sapere di più su di te, oppure cerca di farti da confidente come me in questo caso, tu ti chiudi in te stessa e diventi scontrosa: come il riccio quando qualcuno cerca di toccarlo.”
“Non è un paragone molto carino” osservo.
“No, ma è la verità.”

Rimaniamo in silenzio per degli istanti che a me sembrano lunghissimi; è strano, ma con lui per me è tutto un dilemma: l'attimo prima stiamo parlando di una cosa e quello dopo lui cambia completamente argomento, seguendo solo il filo logico dei suoi pensieri. Mi piace Reid, è sveglio e sensibile, ma irrimediabilmente pignolo e timido: chi non lo conosce potrebbe pensare che si atteggi a so-tutto-io, anche se non è così: dopo alcuni giorni che lavoravo con la squadra ho capito che in realtà è semplicemente fatto così, non riesce a trattenersi dal correggere le persone quando sbagliano. Mi fa sempre divertire tanto: se non ci fosse il lavoro con la squadra sarebbe molto più noioso.

Decido che è il caso di cominciare a parlare con le famiglie delle vittime.
“Andiamo” dico gli dico alzandomi “da quale famiglia vuoi cominciare?”
Lui si stiracchia e sbadiglia “La più vicina, per favore, l'ultima cosa che voglio è inzupparmi da capo a piedi” estraggo dalla mia borsa enorme un paio di scarpe da ginnastica e dei calzini, insieme alla cartelletta con il luoghi di residenza dei familiari delle vittime.
Spencer aggrotta la fronte “Scarpe da ginnastica?”
“si, penso che dovremo correre per riuscire ad arrivare prima che scoppi il temporale, e i tacchi non sono certo l'ideale”
sorride “No, direi di no”
“Coraggio andiamo” lo esorto porgendogli la mano per aiutarlo a mettersi in piedi “la famiglia Auden vive a soli due isolati da qui.”
Raccolgo la borsa, e mentre mi volto un tornado biondo mi investe e mi butta per terra.
Sento Reid gridare di spavento, ed istintivamente porto la mano alla fondina della pistola, ma una voce terribilmente familiare mi urla nell'orecchio sinistro “Megghy sei tornata!”

 

 

POV REID

Eravamo nel parco un attimo fa, e la ragazza che adesso mi cammina accanto senza smettere di parlare neppure un istante si è praticamente avventata su Jesse come fanno i leoni nella savana con le gazzelle; per alcuni istanti ho temuto che fosse una scippatrice o qualcosa del genere e che l'avesse ferita, poi lei ha rafforzato la presa intorno al torace della bionda, ridendo, ed io mi sono rilassato.

Ora siamo diretti verso casa Auden

“Ehi, allora” fa l'amica di Jesse “non mi hai ancora presentato il tuo fidanzato” io, colto alla sprovvista rischio di cadere faccia a terra sull'asfalto della strada.
“Il mio che?... Jenny sei impazzita per caso? Lui non è il mio ragazzo...! lui è Spencer, uno dei miei colleghi di lavoro.” Oddio, ha detto Spencer, non il dottor Reid! Beh, è già un passo avanti.
“E che lavoro fai Megghy? Sono ben sette anni che non fai vedere il tuo brutto muso da queste parti! Che hai combinato da quando sei andata via?”
“College, università e lavoro, come qualunque altro essere umano” sottolinea Jesse, secca.

Che strano: se sono sette anni che si è allontanata da Camp Point allora perché non è contenta di tornare? E soprattuto perché non ha mai menzionato la sua famiglia, gli amici, o la sua vita prima del trasferimento al college?

“Non hai ancora detto che lavoro fai, sputa il rospo Megghy!” ecco, anche questo: perché la chiama Megghy? Lei mi ha spiegato che è un soprannome affettuoso, ma l'amica bionda non ha mai smesso di chiamarla così.
“Sono diventata un'agente dell' FBI, unità analisi comportamentale. Ora sei contenta?”
“No” risponde Jenny sgranando gli occhi blu “Tu sai dove vorrei vederti ora, e non capisco come tu possa aver...”
“Basta! Ne abbiamo parlato decine di volte prima che andassi via, e non ho cambiato la mia idea”
“Lo so, sei testarda come un mulo!”
“Di cosa state parlando?” chiedo, per inserirmi nella conversazione.
“Aspetta...” la bionda si ferma in mezzo alla strada “loro non sanno niente?”
“No, e non ci provare neppure!” esclama Jesse, cercando di coprire la bocca dell'altra ragazza con una mano.

Ma è tutto inutile, infatti quest'ultima grida rivolta a me “Megghy era una stella nascente nella pallavolo!”

“Davvero?” chiedo divertito.
“Si, ma niente di serio o importante” borbotta lei.
“Come no? Hai ricevuto una borsa di studio al college perché giocavi molto bene a pallavolo, niente di serio, chiaramente” le dice di rimando Jenny in tono sarcastico, mentre mi da una gomitata complice nelle costole.

Mi piace questa ragazza: è un po' esuberante, ma molto simpatica.

“Comunque” riprende la mia collega immusonita “non ha niente a che vedere con il caso di questi giorni”
“Si invece!” risponde la bionda “Auden è il cognome di Kathleene da sposata, il suo cognome da nubile era Jenson”
Jesse spalanca gli occhi “Mi stai dicendo che Katy-ballerina-Jenson è Kathleene Auden?”
“Proprio così, vedo che cominci a ricordare.”
“Significa che conoscevi una delle vittime?” domando perplesso.

Lei annuisce “Si, Katy Jenson era nella mia squadra di pallavolo al liceo, ecco perché il suo nome mi suonava familiare; e ora che ci penso anche Angel, Ellen e Daphne facevano parte della squadra, ma mentre Angel era una giocatrice di ruolo, Ellen e Daphne erano solo delle riserve: sbaglio?”
Jenny scuote la testa “No, non sbagli, ma hanno giocato le ultime partite di campionato no?”
“Può darsi” riprende Jesse, ormai siamo in vista della casa “Ma...”

D'un tratto si blocca ed impallidisce: guardando nella sua direzione noto una coppia di persone scendere i gradini di casa Auden.
Si tratta di una donna piuttosto anziana e di un ragazzo in carrozzella, che avrà al massimo trent'anni; quando noto la sua faccia comprendo perché Jesse si è fermata con quell'espressione terrorizzata: il viso del ragazzo sembra imploso, si notano solo gli occhi e il labbro inferiore, tutto il resto è teso verso il naso, praticamente inesistente.

“Che meraviglia questa vetrina!” esclama Jenny, trascinandoci verso un negozio di dolci.
“Ma..” cerco di obbiettare. < non dobbiamo andare a parlare con la famiglia Auden? >
“Hai ragione, questi dolci hanno un aspetto fantastico” concorda la mia collega.


...ah! naturalmente giuro solennemente di pubblicare il prossimo capitolo molto più in fretta ;)

 

 

 

 

  
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