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Autore: wordsaredeadlythings    27/04/2013    4 recensioni
« Stai per andartene. »
« Sì. »
« E non hai detto niente a nessuno. »
« Esatto. »
« Nemmeno a me. »
Jean si mise seduta composta, passandosi una mano tra i capelli castani.
« Non volevo addii, lo sai che li odio. »
« Quindi volevi solo… sparire? »
« L’idea era quella. »
Julie nascose le mani dentro le maniche della felpa, per poi torturarle in silenzio, lo sguardo basso, la mente alla ricerca frenetica delle parole giuste da dire.
« Perché ora? » domandò Julie, dopo alcuni secondi.
Jean alzò le spalle, senza rispondere.
« Stai cercando di dirmi che non c’è un motivo? »
« E’ semplicemente giunto il momento. Sapevi che sarebbe arrivato, prima o poi. »

Una stazione, due ragazze, la neve.
E un addio che spezza l'anima in due.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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22.40
L’ultimo treno partiva alle dieci e quaranta, fuori nevicava e lei non aveva nemmeno un berretto, ma non le importava moltissimo. Indossava delle scarpe da ginnastica, un paio di jeans strappati ed una maglietta dei Nirvana, con un giacchino di pelle appoggiato distrattamente addosso, slacciato. Era seduta sulla panchina antistante ai binari, quella panchina sulla quale aveva passato ore e ore della sua adolescenza, tanto tempo prima che nemmeno sembrava tale. C’era una sensazione di pace, lì. Le stazioni erano il luogo degli addii e dei nuovi inizi, il luogo dove tutto aveva fine o inizio, la partenza o l’arrivo della corsa chiamata “vita”. 
La sigaretta che teneva distrattamente tra le dita era quasi a metà, ma nemmeno questo importava. Nella sua mente scivolavano mille parole distratte, un brusio continuo che sembrava destinato a non spegnersi mai. Si sentiva così stanca, e tutto quell’inutile brusio non faceva che irritarla. Quanto mancava alle 22.40? Venti minuti? Dieci? Aveva bisogno di quel treno. Fingere il contrario ormai era inutile.
Prese un tiro dalla sigaretta, sentendo il fumo scivolare giù per i polmoni, mentre guardava la neve che scendeva lentamente dal cielo, cadendo a terra con delicatezza, senza fare rumore. Aveva immaginato un sacco di volte quel momento, ma non aveva mai pensato alla possibilità di avere della neve con sé. Qualcosa di candido, di buono, di delicato e silenzioso. Sì, effettivamente la neve era la migliore compagna di viaggio. Era meglio così: non voleva nessuno con sé. Meglio da soli, da qualche parte, a ricominciare.
« Mi avevi detto che avevi smesso. » esclamò una voce, poco lontano.
Jean sobbalzò, voltandosi  in direzione della voce, e sorrise lievemente, uno di quei sorrisi di carta velina che sembravano perseguitarla da sempre, mentre Julie si avvicinava, sedendosi accanto a lei, su quella panchina fredda e scomoda, in silenzio.
« Ho detto tante cose. » affermò l’altra, vaga. Prese un altro tiro di sigaretta, senza pensarci. Ormai non aveva importanza.
Julie la osservò con la coda dell’occhio, nascosta magistralmente dietro i suoi lunghi capelli scuri, un po’ mossi e un po’ crespi. I capelli di un’adolescente invisibile, esattamente come Jean. Invisibili.
« Stai per andartene. »
« Sì. »
« E non hai detto niente a nessuno. »
« Esatto. »
« Nemmeno a me. »
Jean si mise seduta composta, passandosi una mano tra i capelli castani.
« Non volevo addii, lo sai che li odio. »
« Quindi volevi solo… sparire? »
« L’idea era quella. »
Julie nascose le mani dentro le maniche della felpa, per poi torturarle in silenzio, lo sguardo basso, la mente alla ricerca frenetica delle parole giuste da dire.
« Perché ora? » domandò Julie, dopo alcuni secondi.
Jean alzò le spalle, senza rispondere.
« Stai cercando di dirmi che non c’è un motivo? »
« E’ semplicemente giunto il momento. Sapevi che sarebbe arrivato, prima o poi. »
Jean si morse il labbro, lo sguardo basso, l’aria di chi sta per perdere qualcosa che non vorrebbe perdere. Ma la lontananza, la partenza, significava perdita? Significava addio? Aveva paura di sì.
« E’ arrivato troppo presto. »
Jean sorrise « Sarebbe sempre stato troppo presto, sai com’è. »
Julie sospirò, socchiudendo gli occhi.
« Non piangere. » affermò l’altra ragazza, portando nuovamente il filtro della sigaretta alle labbra « Non è una cosa triste. »
« Te ne vai. Te ne vai e non tornerai. Questa è una cosa triste, non pensi? »
« Non è il mio posto. Non lo è mai stato, e credo che tu riesca a capirlo. »
« Non hai mai voluto che lo fosse. E’ diverso. »
« Questo cambia le cose? »
« Certo! » Julie alzò la voce « Certo che cambia le cose! Se tu… ti fossi sforzata di… di apprezzare questo posto, forse… forse non partiresti. »
« E’ un discorso infantile, lo sai anche tu. Mi sono sempre sforzata di amare questo posto, ma la verità è che non posso. Non è il mio posto. Io non appartengo a questa città. »
Julie sospirò. « Scusa. »
« Figurati. » replicò la ragazza, buttando fuori il fumo dalle labbra.
Julie la osservò, appoggiando la schiena sulla panchina. Guardò la neve che scendeva, e quei due fiocchi appiccicati ai suoi capelli, che si erano già sciolti. Le cose si sciolgono, finiscono. Era difficile da accettare.
« Mi mancherai. » sussurrò la ragazza, tenendo gli occhi sul pavimento, fissi in quella terra di nessuno. Faceva male, si sentiva in frantumi, e tutti i pezzi si schiantavano su quel pavimento di nessuno, nella terra degli addii. Non c’era niente di buono, in quella stazione. Non c’era mai stato niente di buono.
« Anche tu. » replicò Jean, sicura « Mi mancherai anche tu. »
Ripeteva perché Julie memorizzasse, perché si sentisse più sicura, perché a qualcuno sarebbe mancata, in quel mondo del cazzo, in quella città maledetta, in quella terra di nessuno. Su quella panchina ghiacciata che d’ora in avanti sarebbe stata la loro panchina. Un oggetto appartenente a qualcuno, in quel luogo di nessuno.
« Dove pensi di andare? »
« Non lo so. »
« Non hai nemmeno un… piano, o qualcosa del genere? »
« Non ne ho bisogno. »
« Ma se… »
« Andrà bene. » Jean sorrise « Andrà tutto alla grande. Non devi preoccuparti per me… pensa a te, piuttosto: tu ce l’hai un posto dove andare, un piano, e qualcosa del genere? »
« Non… non ho niente. So solo che mi mancherai. Mi manchi già ora e fa male da impazzire » affermò, mordendosi le labbra. Ma ormai era l’unica cosa rimasta da fare « Ho paura che se mi abbracci ti prenderai un pezzo di me che non avrò mai indietro. Ho paura che la mancanza mi divorerà l’anima. Ho paura e basta. Tu.. non ne hai? »
« So che sto andando in un posto migliore, in un certo senso. Vado a cercare il mio posto, è ciò che devo fare. » sorrise « E va bene così. Non ho molta paura, perché so che qualsiasi cosa accada, prima o poi troverò il posto giusto e andrà tutto bene, a quel punto. »
Julie rimase in silenzio, mentre Jean controllava il grande orologio della stazione. 22.35, mancava pochissimo, presto il treno sarebbe partito, e la ricerca sarebbe cominciata. Non aveva più nulla da fare lì da tanto tempo, e non vedeva l’ora di trovare il posto giusto per lei.
Fece per avviarsi verso il binario, quando Julie si alzò.
« Avevi detto che tu eri progettata per restare! » trillò, nel silenzio della stazione semivuota « E allora perché te ne vai? Perché te ne stai andando come tutti? »
Jean si voltò, immergendo i suoi occhi in quelli dell’amica, ed intuì che stava per piangere. Non l’aveva mai vista piangere, ma quella faccenda saltò in secondo piano, perché aveva ragione, lei l’aveva detto, l’aveva promesso. Ma non era ciò che voleva.
« Non c’è un perché, lo sai anche tu. »
« Deve esserci! Non puoi… partire così, senza dire niente! Non puoi! »
« Le persone se ne vanno e non bisogna fidarsi degli altri. E’ una delle prime cose che ho imparato. »
« Ma ci sono persone delle quali non puoi non fidarti, e io mi fido di te. »
Jean sospirò.
« Non dovresti. »
Julie scosse la testa.
« Resta. Resta, ti prego. »
« Non lo farò. »
« Perché? »
« Perché voglio essere felice. E stando qui non sarò mai felice. E’ questa la realtà. »
« E quindi cos’è questo, un addio? »
« Direi di sì. »
Julie sgranò gli occhi, spiazzata da quella consapevolezza.
22.38, se ne sarebbe andata tra due minuti. Due minuti solamente.
« Ti voglio bene. » affermò, mentre il treno si apprestava ad arrivare, in perfetto orario. Non le era mai capitato, ma forse era destino, semplicemente destino.
Jean sorrise.
« Ti voglio bene anche io. »
Le porte si aprirono.
Jean prese un respiro, saltò nel treno, inghiottita da quella macchina di ferro che l’avrebbe portata via.
Julie non pianse. Rimase lì finché il treno non scivolò via, inghiottito dalla notte, dal futuro, dalla paura, da tutto. Poi, semplicemente, si voltò e scivolò fuori da quella terra di nessuno.
Certe cose non si controllano nemmeno se si vorrebbe, pensò.
Se n’è andata, non tornerà, ma è così che doveva andare.
Ci sono cose che sfuggono al nostro controllo, e possiamo solo accettarlo, non c’è niente da fare per far girare il mondo come vogliamo. E Julie ora riusciva a vederlo, a percepirlo.
Ci sarebbe voluto tempo, si disse. Tanto tempo. Ma sarebbe andato tutto bene, perché Jean aveva ragione. Jean aveva scelto se stessa, quella volta. Aveva scelto la sua felicità, non quella degli altri. E Julie lo capiva.
E mentre sentiva il suo cuore lacerarsi definitivamente, sorrise.


 



Non sapevo in che categoria metterla, quindi ho deciso di inserirla qua.
Probabilmente non la leggerà nessuno e farà schifo a tutti, ma era da tanto tempo che volevo postarla. L'ho scritta mesi e mesi fa, quando ancora faceva un freddo cane e mi sentivo un'anomalia del sistema.
Ad oggi, mi sento ancora un'anomalia del sistema e c'è ancora un freddo cane, ma la speranza di andarmene di qui è forte, fortissima.
Spero che, per quei pochi - se esistono - che sono arrivati fino in fondo, vi sia piaciuta tanto quanto è piaciuto a me scriverla.
Un bacio,
_Cris





 

   
 
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