Feeling different
Si svegliò di soprassalto, temendo di essere in
ritardo, si guardò intorno e vide che la sveglia sul suo comodino segnava le
sei: era ancora presto.
Ormai, però, sapeva benissimo che non si sarebbe
più riaddormentata, era troppo emozionata. Era il primo di settembre e di lì a
poche ore sarebbe partita alla volta della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
Dieci minuti prima delle undici era sul
binario nove e tre quarti osservando con attenzione i maghi e le streghe
intorno a lei… aveva letto tante cose su di loro, ma vederli in carne ed ossa
era molto diverso!
Passò il viaggio in uno scompartimento con un
certo Ron Weasley ed Harry Potter, di cui ovviamente
sapeva tutto, e li trovò entrambi molto simpatici… chissà se sarebbero stati
nella stessa Casa…
La sera il treno si fermò, tra la nebbia si
scorgeva l’imponente sagoma del castello e il cuore le si
allargò: era strano, si sentiva molto felice e al tempo stesso aveva
tanta paura, paura di non essere all’altezza di quel mondo che era certo
stupendo, ma che forse non era il suo.
Attraversò il lago sulla stessa barca di Harry e Ron ed in breve si trovò
allo Smistamento.
“Hermione Granger” disse
Si avvicinò lentamente allo sgabello su cui era
posato il Cappello Parlante, le sue gambe erano scosse da una
leggero tremore, quel vecchio cappello apparentemente insignificante
avrebbe segnato il suo ingresso nel mondo magico; provò paura e orgoglio allo
stesso tempo sentendo gli occhi d tutta Hogwarts
puntati su di lei: quando si sarebbe alzata da quello sgabello sarebbe stata
finalmente parte integrante di tutto quello.
Si sedette e sussultò leggermente
quando sentì una voce sussurrarle all’orecchio: “Una gran bella mente,
bella davvero! La cosa migliore è… CORVONERO!”
Si alzò e si diresse soddisfatta al tavolo della
sua Casa.
Iniziò così il primo anno ad
Hogwarts di Hermione Granger, il primo periodo andò tutto bene, poi le cose
cambiarono, o forse cambiò solo il suo modo di vederle…
Tutte le mattine si svegliava molto prima delle
altre e andava in sala comune a ripassare la lezione del giorno, quando le
ragazze scendevano le rivolgevano ampi sorrisi, le si
sedevano vicino e le chiedevano di dare un’occhiata alla lezione, lei
acconsentiva sempre. Poi scendevano tutte insieme a
fare colazione e le altre quattro parlavano tra loro lasciandola sempre un po’
in disparte.
In quei momenti si sentiva un’intrusa, avrebbe
dato qualunque cosa per essere lontana, perché gli altri non fossero costretti
a sopportarla; le sarebbe piaciuto immensamente essere diversa, più simile alle
altre.
Sì, forse il problema principale era la sua
diversità. Lei era una strega eccellente, padroneggiava alcuni incantesimi che
gli altri avrebbero imparato con difficoltà gli anni successivi, ma non era una
ragazza come le altre: non considerava una giornata sprecata se non metteva gli
occhi su un bel ragazzo, la sua principale preoccupazione non erano i suoi
capelli, non credeva che le lezioni fossero una perdita di tempo… tutte cose
che erano vere per la maggioranza delle ragazze della sua età.
Finalmente la campanella
che segnava l’inizio delle lezioni la distraeva dai suoi tristi pensieri;
entravano in classe e lei sedeva al primo banco, vicino alla cattedra, e per
un’ora la figura dell’insegnante occupava completamente la sua mente: era un
sollievo trovarsi davanti una persona che le prestava ascolto e la lodava
facendola sentire importante; era per questo che si impegnava tanto nello
studio, per dimostrare che valeva e che non era assolutamente insignificante
come volevano farle credere. Ma anche le lezioni avevano i loro difetti,
spesso il professore taceva, facendola distrarre e dandole modo di sentire il
suo nome, sussurrato dagli altri ragazzi e seguito da risate silenziose. Ogni
volta fingeva di essersi sbagliata, per un certo periodo riuscì anche ad
illudersi di aver ragione.
I pomeriggi li passava nel suo regno,la biblioteca, circondata dai suoi migliori amici, i libri.
Le pareva ovvio considerare i libri degli amici perché quando leggeva si
estraniava dal resto del mondo e non era di peso a nessuno; e poi i libri erano
nella stessa situazione: i ragazzi passavano malvolentieri il tempo con loro e,
quando lo facevano, era perché erano costretti o perché ne traevano vantaggio.
Restava in biblioteca finché Madama Pince non la
mandava via, poi scendeva a cena e si ritirava velocemente tra le tende del suo
letto a baldacchino.
Non si addormentava subito: per un po’ immaginava
come sarebbe stato se avesse avuto dei veri amici fino a
quando, cullata dalla speranza, lasciava che la stanchezza la vincesse.
Era una tiepida giornata di marzo e il sole
splendeva sui prati intorno al castello. Hermione
sedeva in biblioteca, completamente sola, circondata da una pila di libri. Si
concesse una pausa, alzò lo sguardo e guardò fuori dalla
finestra: gli altri studenti erano sdraiati al sole al limitare della foresta o
sulle rive del lago, parlavano, ridevano e lei provò una fitta di gelosia;
tornò a guardare il libro che aveva davanti, senza vederlo realmente, e lottò
per cacciare indietro le lacrime, era troppo orgogliosa per piangere.
Proprio in quel momento accadde una cosa che non
si aspettava: una mano si posò delicatamente sulla sua spalla, per un attimo
assaporò il piacevole calore di quel gesto così amichevole, poi si voltò. La
mano apparteneva ad Harry Potter, che la osservava sorridendo, poco più in là anche Ron Weasley sorrideva dicendole:
“Non mi sembra proprio la giornata adatta per starsene soli a studiare in
biblioteca!”
Quasi senza accorgersene Hermione
si trovò nel parco, distesa sotto una faggio, a ridere
e scherzare con Harry e Ron.
Era felice.
Per la prima volta da quando era arrivata da Hogwarts si sentiva normale, accettata, apprezzata.
Dimenticò all’istante i torti che aveva subito, tutto quello che aveva
sofferto, e si ritrovò a pensare che valeva la pena
essere stata male così a lungo per assaporare fino in fondo quella gioia
immensa. Guardò i ragazzi e le ragazze intorno a sé e si chiese se anche a loro
faceva quell’effetto
starsene lì, senza alcun problema al mondo, ma aveva i suoi dubbi a riguardo:
conosceva la loro mentalità… non avrebbero apprezzato allo stesso modo.
Da quel momento tutto sembrò diverso, più bello:
i rapporti con i suoi compagni casa non cambiarono, ma
la prospettiva di passare del tempo con i suoi migliori amici le rendeva tutto
più sopportabile. Così ogni sera, invece di immaginare un futuro che le pareva
impossibile, progettava i loro prossimi incontri e ringraziava per quella
magnifica sensazione di non essere mai sola, mai.
Questa
storia è dedicata a chi, almeno una volta, si è sentito solo e ha trovato negli
amici la forza di andare avanti… Ed è ovviamente dedicata a chi mi fa andare
avanti, dandomi quella magnifica sensazione di non essere mai sola, mai.