Titolo: Where The Wild Roses Grow
Autrice: Juliet
Personaggi: Rosalie Hale,
Edward Cullen
Rating: Arancione (R,
per il tema e a tratti il linguaggio)
Avvertimenti: One – shot, Song – fic (kind of, actually), Spoiler
Eclipse
“A
me erano sempre piaciute. Non so da chi Royce l’avesse saputo, forse da Vera…
ad ogni modo, iniziò a portarmene una ogni volta che veniva a trovarmi. E
quando era costretto ad assentarsi e non poteva farmi visita per diversi giorni
di seguito, allora me le faceva recapitare.
Ovunque
fosse, potevo essere certa che prima dell’ora di andare a letto, avrei ricevuto
la mia rosa rossa.”
Edward
non diceva nulla, lo sguardo lontano dal mio viso.
“Mia
sorella lo trovava ‘tremendamente romantico’, per dirlo con le sue parole. Più
di una volta mi ha detto che sperava di poter essere fortunata quanto lo ero
stata io, una volta che avesse deciso di trovarsi un fidanzato.
‘Un
uomo che paragona la tua bellezza a quella di un fiore ti tratterà come una
regina per tutta la vita’.”
Where
The Wild Roses Grow
For her lips were the colour of the roses
That grew down the river, all bloody and wild
Ovviamente, lo sentii arrivare.
Se c’era qualcosa, nell’essere stata riportata a
nuova vita non nelle sembianze di un angelo ma nella forma di una creatura
mitologica bevitrice di sangue, che mi faceva piacere pensare era proprio il
fatto che nessuno mi avrebbe più colto di sorpresa.
La pioggia mi aveva gradualmente inzuppato gli
abiti e incollato i miei lunghi capelli dorati alla schiena fradicia. Non mi
ero ancora abituata alla diversa capacità di percezione che i miei sensi
avevano acquisito con la trasformazione. Potevo distinguere un profumo
qualunque a decine e decine di metri di distanza, eppure non ero più in grado
di percepire quelli a cui ero più abituata. Come, ad esempio, l’odore
particolare dei miei capelli bagnati dalla pioggia ora.
Se n’era semplicemente andato.
O forse, come tutto il resto del mio corpo, era
mutato ed io non ero ancora in grado di riconoscerlo.
Rimasi con il viso rivolto alle basse e pesanti
nubi che si addensavano sopra di me, permettendo all’acqua di colpirlo a suo
piacimento. Da umana, avevo detestato la sensazione che le gelide gocce di
pioggia mi trasmettevano, scivolando a loro piacimento sulla mia pelle;
Rebecca, invece, amava i temporali estivi, ricordai improvvisamente, senza un
preciso perché. Per un secondo la rividi ridere, gli occhi della stessa
tonalità dei miei da viva e i palmi delle mani rivolti verso l’alto, quasi
cercasse di assorbire più acqua possibile. In quel momento, stavo facendo lo
stesso, con una sola differenza. Lo trovavo piacevole, migliaia di tocchi
tiepidi sulla mia pelle.
“Credevo non ti piacesse la pioggia.”
Chinai leggermente la testa di lato, in tempo per
vederlo, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni, studiarmi con aria
intensa. Sbuffai. Non era stato semplice trovare il modo di stabilire una
convivenza pacifica, vista la maniera in cui era iniziato il nostro rapporto,
ma con grande sollievo di Esme e Carlisle, ce l’avevamo – con tutte le
eccezioni del caso, ovviamente – fatta.
Ad onor del vero, infatti, ci davamo ancora
parecchio sui nervi l’uno con l’altro, ma la maggior parte delle volte in cui
ci ritrovavamo a passare del tempo insieme non finivamo con l’insultarci a
vicenda. Ma, cosa che Edward sapeva benissimo, non sopportavo vederlo
socchiudere appena gli occhi, come per concentrarsi meglio sui miei pensieri.
Non che avessi qualcosa da nascondergli; si trattava piuttosto di una
cosiddetta ‘questione di principio’, seppure mista ad una buona dose di
irritabilità. Ciò che pensavo dovevo essere io a decidere se condividerlo con
lui oppure no.
Evidentemente, però, Edward trovava divertente
darmi sui nervi, nemmeno fosse stato morso da Carlisle all’età di cinque anni,
e non diciassette.
“Resta fuori dalla mia testa.”
Scoppiò a ridere, scuotendo piano il capo, quasi
fosse stupito che mi fossi accorta di come non avesse di certo fatto uno sforzo
per ignorare i pensieri che mi affollavano la mente nell’attimo in cui era
arrivato dal nulla. O, molto probabilmente, dall’attimo in cui l’aveva sfiorato
l’idea di trovarmi.
“Perdonami, sorellina,” mi prese in giro
spudoratamente, “Ho sempre ingannato Carlisle, riguardo la mia età…” Esibì quel
mezzo sorriso furbo e molto, molto irritante da vedergli sul volto, tanto per
mettere alla prova i miei nervi quel giorno, senza ombra di dubbio. Si sedette
ad un metro abbondante di distanza dal punto in cui me ne stavo semiseduta io.
“Ho smesso di ascoltare,” mi aggiornò, ancora non del tutto serio. “Ma sarebbe
più facile se tu parlassi, così, tanto per permettermi di concentrarmi sulle
tue parole invece che su ciò che pensi…”
Sospirai, quasi fossi esausta. Semplicemente
assurdo, ma l’abitudine mi era rimasta, ereditata da diciotto anni trascorsi in
un corpo che conosceva la spossatezza ed era in grado di agognare al sonno. Mi
passai una mano sugli occhi.
“Che cosa vuoi, Edward?”
Mi restituii una lunga occhiata, quasi stesse
considerando l’esatto significato della mia domanda. Alzai le sopracciglia di
fronte alla sua espressione.
“Guarda che non serve saper leggere nella mente
degli altri per fare due più due. Cosa hai ascoltato, sentiamo,” lo
incoraggiai, utilizzando solo parte del sarcasmo che avrei potuto sfoderare in
un’occasione del genere. Quella sera, nonostante il mio corpo non le si potesse
adeguare, la mia mente avrebbe gradito del riposo.
Edward allungò le gambe davanti a sé in un
movimento fluido ed elegante come non avevo mai visto fare nemmeno ai più
raffinati giovani che un tempo si presentavano a casa mia, nella speranza di
affascinarmi e poter ottenere il privilegio di sposare la bellissima Rosalie
Hale. A volte mi faceva ridere pensare che cosa avrebbero potuto inventarsi se
mi avessero conosciuta con l’aspetto che avevo ora. Quando rispose, mio
fratello lo fece lentamente, come avrebbe potuto fare se si fosse trovato
accanto una semplice umana e non una creatura identica a lui.
“Ti ci posso accompagnare.”
Aggrottai appena la fronte.
“Dove?”
“Dove crescono le rose selvatiche.”
Chiusi gli occhi, a quelle parole. Fu l’unica
reazione che mi permisi di mostrargli. Perfino coperti dal sottile manto delle
palpebre, il sole rosso del tramonto all’orizzonte, dove il cielo era terso,
riusciva a imprimere sulle mie iridi la figura, appena scura sui bordi, di un
ruscello ai cui lati fiorivano le rose rosse che tanto avevo amato dagli anni
in cui ero solo una bambina a quello in cui progettavo il mio matrimonio con
l’uomo che finì per ammazzarmi ed abbandonarmi fra la neve come la più miserabile
delle puttane. L’uomo che mi aveva punito perché ero troppo bella per rimanere
in vita, l’uomo che, per tutto il tempo in cui fummo fidanzati, aveva fatto
cogliere quelle stesse, identiche rose per me.
“Devi lasciarlo andare, Rosalie.”
Seppur controvoglia, riaprii lentamente gli occhi
su mio fratello. Un’altra, stupida precauzione umana. Avrebbe mai potuto ora,
l’astro accecante sul punto di sparire oltre i monti in lontananza, ferire i
miei occhi immortali? Edward era ormai fradicio quanto me, scintillante ai
deboli raggi di luce che ancora non erano stati inghiottiti dall’orizzonte. Si
alzò allora in piedi e mi tese la mano.
“Cosa vuoi fare?”
Fu lui a sbuffare, stavolta. Un attimo dopo, mi
aveva alzata di peso.
“Aggrappati,” ordinò, spazientito, voltandosi per
offrirmi la sua schiena.
“Aggrappati?” ripetei. “Ma cosa stai --?”
“Non stiamo andando a casa.”
“Senti, Edward –“
“Rosalie,” tagliò corto lui, quasi ringhiando, “per
favore. E’ l’ultima volta che te lo chiedo.” Fece una pausa. “Poi dovrai farne
a meno.”
On the last day I took her where the wild
roses grow
And she lay on the bank, the wind light as a thief
And I kissed her goodbye, said, "All beauty must die"
And lent down and planted a rose between her teeth
***
Dove crescono le rose selvatiche c’era mia sorella,
Rebecca.
Coglieva solo le più belle, prestando la massima
attenzione a non distruggerne la perfezione rovinandone un solo petalo quando
le riponeva nel grembiule che aveva portato con sé.
Ricordai la notte in cui, troppo eccitate entrambe
per dormire, avevamo promesso che sia io che lei ci saremmo sposate con un
abito che avremmo fatto decorare solo dalle rose rosse del ruscello che
scorreva placidamente nella valle che per diciotto anni era stata la mia unica
casa.
Era sempre un dolore fisico il ridipingere un
qualsiasi aspetto della mia vita precedente quando ero conscia del fatto che un
giorno l’avrei perso di nuovo, quella volta per sempre. La memoria umana
svanisce, aveva detto Carlisle, una sera delle prime che trascorsi con i
Cullen.
“Posso sentire i suoi pensieri.”
Sorrisi.
“Cosa pensa?”
“Che non sarebbe la stessa cosa, se potesse
coglierle con te, questa sera.”
Guardai mia sorella allontanarsi, portando le rose
con sé. Non pioveva più ormai, e la loro fragranza era nell’aria. La potevo
percepire perfettamente, dal punto in cui mi trovavo.
Appoggiai la testa sulla spalla di mio fratello e
lasciai che mi sorreggesse.
He said, "If I
show you the roses, will you follow?"
[Nick Cave & Kylie Minogue – Where The Wild Roses
Grow]
***
Ecco il mio ultimo lavoro.
In tutta sincerità, non so come sia uscito. Non si
tratta di una fanfiction semplice ed immediata, per nulla. Tutto ha un senso
nella mia visione del passato di Rosalie, spero che sia possibile anche ad
altri cogliere il filo logico di questa one – shot.
Grazie mille, per l’ennesima volta, a Takiko,
la mia fantastica beta che si sciroppa uno dietro l’altro tutte le bozze che le
invio, suggerendomi poi dove e come migliorarle. Grazie, grazie, grazie.
Bene, sono curiosa di sapere che cosa ne
pensiate…^^ Fatemi sapere!
Juliet